Le Lingue Artificiali de Il Trono di Spade: Analisi

Le Lingue Artificiali de Il Trono di Spade: Analisi
linguistica dell’Alto Valyriano e del Dothraki

Author: Alida Castronovo

MS Date: 02-14-2019

FL Date: 06-01-2019

FL Number: FL-00005D-00

Citation: Castronovo, Alida. 2019. “Le Lingue Artificiali de
Il Trono di Spade: Analisi linguistica dell’Alto
Valyriano e del Dothraki.” FL-00005D-00,
Fiat Lingua, . Web. 01
June 2019.

Copyright: © 2019 Alida Castronovo. This work is licensed

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SCUOLA DELLE SCIENZE UMANE E DEL PATRIMONIO CULTURALE
Corso di Laurea in Lingue e Letterature Moderne dell’Occidente e dell’Oriente
Dipartimento: Scienze Umanistiche

Le Lingue Artificiali de Il Trono di Spade
Analisi linguistica dell’Alto Valyriano e del Dothraki

TESI DI LAUREA DI
ALIDA CASTRONOVO
MATRICOLA 0657595

RELATRICE
PROF.SSA LUISA BRUCALE

ANNO ACCADEMICO 2017 – 2018

A Biagio e Paola, ovunque voi siate…

INDICE

Introduzione

Capitolo I – Le lingue artificiali

1.1 Che cos’è una lingua artificiale?

1.2 Classificazione tipologica delle lingue artificiali

1.2.1 L’invenzione nelle lingue naturali

1.2.2 L’invenzione nei linguaggi infantili

1.2.3 Le lingue inventate in stato di trance

1.2.4 L’invenzione linguistica artistica

1.3 Rimediare a Babele – Le Ragioni della Glossopoiesi

1.3.1 Le lingue filosofiche a priori del XVII e XVIII secolo

1.3.2 Le lingue internazionali ausiliarie

1.4 Obiezioni teoriche

Capitolo II – Le lingue artificiali nella letteratura e nella cinematografia

2.1 J.R.R. Tolkien e Il Signore degli Anelli

2.1.1 La lingua quenya

2.1.1.1 I suoni del quenya

2.1.1.2 Morfologia

2.1.1.3 Alfabeti Elfici

2.1.1.4 Conclusioni

2.2 Il na’vi di Paul Frommer

2.2.1 Fonetica e fonologia

2.2.2 Classi Lessicali e Morfologia

2.2.3 Sintassi

2.2.4 Conclusioni

I

IV

1

1

2

4

5

5

7

9

12

17

25

27

27

29

34

35

40

42

45

48

52

56

56

2.3 Il klingon di Mark Okrand

2.3.1 I suoni del klingon

2.3.2 Morfologia

2.3.3 Sintassi

2.3.4 Conclusioni

Capitolo III – Le Lingue di Game of Thrones

3.1 Struttura della saga

3.2 Sinossi dell’opera

3.3 Le conlangs di Game of Thrones – L’alto valyriano

3.3.1 Genealogia dell’alto valyriano

3.3.2 Genesi della lingua

3.3.3 Fonologia

3.3.4 Morfologia

3.3.5 Sintassi

3.3.6 Conclusioni

3.4 Le conlangs di Game of Thrones – Il dothraki

3.4.1 Genesi della lingua

3.4.2 Fonologia

3.4.3 Grammatica

3.4.3.1 Pronomi personali

3.4.3.2 Il sistema verbale

3.4.3.3 I nomi

3.4.3.4 I casi del dothraki

3.4.3.5 Gli aggettivi

3.4.3.6 Gli avverbi

3.4.3.7 I dimostrativi

3.4.3.8 Le adposizioni

3.4.4 Conclusioni

II

58

60

63

78

78

81

81

82

84

85

87

98

105

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139

139

139

145

146

149

152

153

155

156

Capitolo IV – La tipologia linguistica del dothraki e dell’alto valyriano 159

4.1 Classificazione tipologica

4.1.1 Tipologia dell’ordine dei costituenti nelle frasi dichiarative

4.2 Alto valyriano

4.3 Dothraki

4.4 Conclusioni

Conclusioni

BIBLIOGRAFIA

SITOGRAFIA

FILMOGRAFIA

IMMAGINI

160

161

164

171

175

177

179

181

182

183

III

INTRODUZIONE

Questa tesi nasce dalla combinazione di una delle mie più grandi passioni, ovvero

le serie tv, e di uno dei miei maggiori interessi, la linguistica. L’idea è scaturita in

seguito alla visione di un episodio in particolare della mia serie tv preferita, Game

of Thrones. L’espisodio in questione vede uno dei personaggi principali della serie,

Daenerys, interagire con uno schiavista, utilizzando una lingua artificiale, l’alto

valyriano. Nonostante questi suoni arrivassero alle mie orecchie come un insieme

di suoni indistinti e senza alcun significato, qualcosa deve aver catturato la mia

attenzione. Non so se si trattasse dell’interpretazione coinvolgente dell’attrice

Emilia Clarke o del pathos della scena in sé, oppure del mio interesse preesistente

verso la ricerca linguistica e l’uso che di questa si fa in contesti cinematografici, ma

sta di fatto che ho sentito la ‘necessità’ di scavare più a fondo nell’argomento.

Inutile dire che il risultato è stato sorprendente. La ricerca mi ha condotto in un

mondo che conoscevo soltanto superficialmente, fatto di siti, blog, forum, ancora

siti, libri, film, serie tv, i quali, click dopo click, hanno contribuito ad accrescere la

mia passione per le lingue. Pertanto, ho deciso di riportare in questa trattazione ciò

che è emerso nel mio viaggio all’interno della glossopoiesi.

Nel Capitolo I verrano affrontati i concetti di base riguardanti il mondo delle lingue

artificiali, indagandone origini, motivazioni e presentando alcuni tra gli esempi più

noti, come il volapük o l’esperanto.

Nel Capitolo II verranno presentati i grandi esempi di lingue artificiali create per la

letteratura o per la cinematografia, come la lingua elfica di Tolkien, il na’vi di Paul

Frommer e il klingon di Mark Okrand.

Il Capitolo III scenderà più a fondo nell’analisi delle lingue artificiali create da

David J. Peterson per la serie tv Game of Thrones, l’alto valyriano e il dothraki. In

IV

questo capitolo verranno analizzati tutti gli aspetti linguistici noti, correlati di

tabelle esplicative ed esempi chiarificatori.

Infine, nel Capitolo IV viene proposta un’analisi delle lingue di Game of Thrones

volta a valutarne l’adeguatezza linguistica da un punto di vista tipologico, facendo

riferimento alla classificazione tipologica delle lingue che vede come suo principale

teorico Joseph Greenberg. Le lingue in questione verranno, dunque, analizzate

attraverso il filtro delle implicazioni postulate negli universali linguistici

greenberghiani.

V

CAPITOLO I – Le Lingue Artificiali

1.1 Che cos’è una lingua artificiale?

La definizione precisa di una così complessa entità come la lingua risulta un lavoro

non poco arduo. Pertanto, è possibile tracciare un ritratto dai caratteri generali e non

precisamente delineati. Si definisce lingua un complesso sistema articolato su più

livelli (quello fonetico, quello morfo-sintattico e quello semantico) atto alla

trasmissione di messaggi, agli scambi comunicativi. (Cfr. Graffi-Scalise: 2002,

p.27)

Come poter definire diversamente un sistema di cui nemmeno coloro che ne

fanno utilizzo hanno una chiara visione? D’altro canto, a rifletterci bene, nessun

parlante nativo possiede un chiaro quadro sul funzionamento della propria lingua

madre. Qualsiasi madrelingua italiano sa bene che è sbagliato dire *sto stando, ma

solo chi ha avuto modo di confrontarsi con la linguistica potrebbe spiegare le cause

di questa impossibilità, le quali sono da rintracciare sull’aspetto verbale.

La spontaneità, la naturalezza e il non del tutto consapevole automatismo con

cui l’uomo apprende – e impara ad utilizzare – una lingua contribuiscono alla

delineazione di differenti definizioni di lingue, che portano gli studiosi della

linguistica a distinguere, in primo luogo, lingue naturali1 e lingue artificiali.

La definizione di lingua artificiale, se si dà per assodata la definizione di lingua,

non presenta troppe difficoltà. Si definisce, infatti, lingua artificiale una lingua

ideata da un singolo individuo o da un gruppo di individui, che ne sviluppano i tratti

caratteristici collegati ad ogni livello linguistico, sia esso fonetico, morfologico,

sintattico o semantico. La principale differenza tra le due categorie risiede nella

fonte d’origine dei due sistemi linguistici: mentre le lingue artificiali sono frutto di

una pianificazione ‘a tavolino’, le lingue naturali nascono spontaneamente e si

sviluppano progressivamente all’interno di una determinata cultura.

Le lingue artificiali sono state a lungo studiate, sia per indagarne i processi di

costruzione, sia per rintracciarne i motivi che porterebbero un individuo a creare un

1 Si tiene a precisare che la denominazione ‘lingua naturale’ verrà utilizzata in questa trattazione
solamente per distinguere le lingue storico-naturali da quelle create artificialmente.

1

nuovo sistema linguistico.

Si cercherà, prima di tutto, così come è stato fatto anche per le lingue naturali, di

tracciare, quanto più esaustivamente possibile, una chiara demarcazione di natura

tipologica delle lingue artificiali, basandosi sulla classificazione effettuata da

Alessandro Bausani, nonché di rintracciarne le spinte propulsive.

1.2 Classificazione tipologica delle Lingue Artificiali

Le lingue naturali vengono classificate secondo l’appartenenza a tipologie

linguistiche che presentano le medesime caratteristiche strutturali, come i processi

di derivazione delle parole, la disposizione sintattica degli elementi che

compongono la frase, e così via.

Allo stesso modo, Alessandro Bausani (1974, p.13) stila una classificazione

tipologica dell’inventività linguistica, partendo dalla distinzione dei gradi di ‘libertà

linguistica’ di Roman Jakobson:

«Una prima rozza tipologia potrebbe essere quella basata sulla polarità della lingua

come espressione e come relazione/comunicazione. Potrebbero cioè inventarsi

lingue puramente o soprattutto espressive, a scopi poetici ed esoterici, spesso

irregolari, difficili, ‘originali’ […] oppure lingue a scopi di più ampia

intercomprensione internazionale (l’esperanto e le sue congeneri)».

Ma queste creazioni non hanno limite fino a un certo punto: esistono confini

linguistici che non possono essere oltrepassati. A questo proposito si pronuncia

Roman Jakobson, il quale propone una scala di libertà nella creazione linguistica.

«Thus in the combination of linguistic units there is an ascending scale of freedom.

In the combination of distinctive features into phonemes, the freedom of the

individual speaker is zero; the code has already established all the possibilities

which may be utilized in the given language. Freedom to combine phonemes into

words is circumscribed, it is limited to the marginal situation of wordcoinage. In

the forming of sentences out of words the speaker is less constrained. And finally,

in the combination of sentences into utterances, the action of compulsory

syntactical rules ceases and the freedom of any individual speaker to create novel

contexts increases substantially, although again the numerous stereotyped

2

utterances are not to be overlooked.»2

Sulla base di questo intervento, Bausani ricostruisce schematicamente questa scala

di libertà creativa nella lingua, distinguendo:

 Libertà di I grado (al livello ‘vitale’, preculturale, inconscio dei fonemi)

 Libertà di II grado (al livello delle parole);

 Libertà di III grado (al livello della frase);

 Libertà di IV grado (al livello della espressione).

A seconda del grado di libertà, allora, Bausani, precisando che la libertà creativa di

IV grado può essere esercitata in qualsiasi lingua naturale, classifica ulteriormente

le lingue artificiali, suddividendole in quattro categorie:

1) Lingue che creano una sintassi speciale, non naturale, lasciando sostanzialmente

intatto il patrimonio morfologico e fonetico della lingua naturale dell’‘inventore’

(certi linguaggi poetici o cerimoniali);

2) Lingue che creano un nuovo lessico lasciando più o meno intatta la morfologia

del linguaggio naturale (è il caso dei ‘gerghi’);

3) Lingue che creano una nuova morfologia oltre al nuovo lessico, lasciando più o

meno intatto il patrimonio fonetico del linguaggio naturale dell’inventore (è il caso

di molte lingue inventate ‘universali’);

4) Lingue che tentano persino di mutare il patrimonio fonematico della lingua

naturale dell’inventore (caso abbastanza raro, ma esistente, sia in qualche lingua

inventata ‘universale’ sia in qualche lingua inventata infantile)».

Ma potrebbe operarsi una distinzione ancora più dettagliata. Lo stesso Bausani

costruisce uno schema riassuntivo esplicativo, che, qui, riporto fedelmente:

A (sacre)

B (laiche)

1. Lingua artificiale sacra vera e propria (es. il balaibalan)

2. Pseudolinguaggio sacro parziale (glossolalia; formule magiche)

1. Lingua artificiale ‘laica’ di puro gioco espressivo
(lingue inventate da ragazzi)

2. Lingua artificiale di comunicazione (es. l’Esperanto)

2 Cfr. Roman Jakobson, Aphasia as a Linguistic Problem, in R. Jakoboson e M. Halle,
Fundamentals of Language, ‘s-Gravenhage, 1965, p.60.

3

Continua Bausani (1974, p.15) «Nei casi A1 e B2 predominerebbe un elemento

sociale (tali lingue cioè, sacre o laiche che siano, servirebbero soprattutto a una

comunicazione), nei casi A2 e B1 predominerebbe l’elemento asociale, puramente

espressivo o di gioco.»

Un’altra distinzione può essere effettuata all’interno del campo delle lingue

artificiali, che si traduce in una dicotomica distinzione tipologica tra lingue a priori

e lingue a posteriori.

Si definiscono lingue a priori quei sistemi linguistici caratterizzati da strutture

linguistiche create ex novo, che non si basano, quindi, su nessun’altra lingua

esistente.

Le lingue a posteriori, invece, sono quelle lingue che vengono sviluppate a partire

da lingue naturali già esistenti: per la loro creazione vengono utilizzati, quindi,

materiali linguistici di altre lingue, più o meno deformati o mescolati in varie

combinazioni.

1.2.1 L’invenzione nelle lingue naturali

L’inventività linguistica non è solo da pensare come un artificio creativo troppo

lontano dalla realtà. Come anche Bausani fa notare, raccontando un aneddoto

riguardante la lingua australiana, l’invenzione o la sostituzione linguistica può

occorrere anche nel campo delle lingue naturali. Oltre a sottolineare come

l’invenzione linguistica possa nascere semplicemente per questioni tabuistiche

relative ad una comunità, Bausani ci racconta una storia esplicativa del fenomeno

sostitutivo. In Australia, tradizione vuole che, nel caso di morte di qualcuno che

avesse un nome collegato ad oggetti di uso comune o ad animali, quel nome venisse

cambiato. «Quando morì un tasmaniano che si chiamava Ramanalu (=piccolo

gabbiano) perché quando nacque volava un gabbiano – riferisce J. Fraser nella

introduzione alla Grammatica australiana del Threlkeld – non si poteva più usare

la parola rama per gabbiano e fu inventata un’altra parola da una radice che

significava ‘bianco’. Questo, data la frequenza di nomi propri significativi, crea

nelle lingue australiane un continuo fluttuare del lessico: e non sempre si tratta di

una voga provvisoria del nuovo vocabolo, bensì di vera e propria sostituzione

4

permanente.» (Bausani:1974, p. 17)

Il fenomeno di sostituzione linguistica è presente in qualsiasi sistema linguistico

però, nella maggior parte dei casi, si tratta di un fenomeno provvisorio che lascia il

tempo che trova, mentre in alcuni casi specifici di lingue primitive si tratta di

un’alterazione permanente, la quale, talvolta, conduce a «una differenziazione

linguistica notevole anche fra tribù vicine» (Bausani: 1974, p. 19).

Si potrebbe anche rintracciare inventività linguistica in quelle che Umberto Eco

chiama ‘lingue di bricolage’ (Eco: 1996, p.9), cioè i pidgin, codici linguistici di

contatto plurilingue caratterizzati da un’estrema semplicità strutturale e lessicale.

Nello specifico, l’alterazione a scopo semplificativo della lingua potrebbe essere

interpretata come una forma di inventività linguistica, dove, se in genere è il campo

lessicale quello a subire maggiormente alterazioni di tipo sostitutivo, questa volta,

non solo il lessico viene modificato, ma anche la struttura sintattica. In questa

circostanza Bausani ci offre un chiaro esempio, citando il caso di un «‘cicerone’

improvvisato italiano che mostrando in una chiesa un antico quadro allo straniero

gli dice: “Questo essere molto bello pittura Michelangelo”.», dove ad essere alterati

sono la morfologia e la costruzione sintattica, mentre il lessico non viene alterato.

1.2.2 L’invenzione nei linguaggi infantili

I casi più interessanti di creatività linguistica, però, non sono quelli che agiscono

all’interno di gradi di libertà relativamente ampi, quali il III o il IV grado, dove non

sorprende l’introduzione di nuovi o modificati elementi linguistici, piuttosto quelli

che raggiungono il II o addirittura il I grado. A tal proposito, Bausani (1974, p. 25)

cita un caso menzionato da Jespersen nel suo Language: «si tratta di alcuni bambini

islandesi che, vivendo in un casolare isolato nell’interno dell’Islanda, soli con la

propria madre, passavano lunghi periodi a giocare fra loro e, in tali giochi,

svilupparono, in modo sempre più complesso, una lingua inventata [chiamata

markuska] che finirono per parlare spessissimo. Jespersen riferisce che la madre,

data la loro ostinazione nel parlar tale lingua anche con lei, fu costretta a impararla!»

1.2.3 Le lingue inventate in stato di trance

L’invenzione linguistica non è una pratica che si attua solamente in stato cosciente.

5

Esistono, infatti, lingue che vengono elaborate durante uno stato di trance. Anche

in questo caso, Bausani ci fornisce svariati esempi, come quello del medico

cecoslovacco Jaroslav Stuchlík, che inventò circa sedici lingue a priori e con

sistema di scrittura anch’esso creato ex novo. Certamente, si tratta di un progetto

eccezionale, frutto, però, della mente di «un soggetto schizofrenico, paranoico e

megalomane.» (cfr. Bausani:1974, p. 34).

Ancora più interessante è la raccolta dello psichiatra Eugenio Tanzi, il quale

assembla, in una raccolta del 1889, 239 neologismi di soggetti alienati di alcuni

manicomi italiani. Come ci suggerisce lo stesso Bausani (1974, p.35), neologismi

con questa provenienza si differenziano dalla semplice inventività linguistica,

caratterizzati in genere da una componente sociale (chi inventa delle lingue,

qualsiasi sia lo scopo, sia esso avere un codice segreto, sia esso avvicinarsi a Dio e

così via, sottintende sempre la volontà di comunicare), esclusivamente per il loro

carattere asociale. «Il Tanzi afferma anzi che almeno il 30% dei paranoici sono

‘neologisti’. Quelli più interessanti sono le parole o espressioni completamente

senza senso apparente, fuori della forma comune del linguaggio. Secondo il Tanzi

questa ‘parola’ del tutto inventata … “rivela nella sua lingua origine grottesca e

senza esempi la propria origine incosciente degli strati più profondi e ignorati della

memoria organica. Avido di un simbolo verbale che appaghi la sua fede confusa e

pure intensissima verso qualche cosa di soprannaturale, il paranoico accetta la

prima combinazione fonetica che gli balena nella coscienza. […] L’origine per così

dire automatica e non logica del suo neologismo gli accresce anzi il convincimento

che esso provenga dal di fuori e sia il frutto di una intuizione superumana o d’una

ispirazione divina. […] Talora il significato del neologismo è troppo ‘denso’ per il

pazzo stesso, che non sa spiegarne con precisione il significato nella lingua

normale.”»

Dal momento in cui lo studio di Tanzi non è più accessibile, Bausani fornisce

qualche esempio dei neologismi:

«Sensine e sersini, specie di diavoletti di Cartesio, l’‘anima delle cose’ come li

definisce l’inventore dei loro nomi, un operaio fonditore pazzo, ma notevolmente

intelligente.

Alveatico, specie di nube rarefatta che, avvolgendo la testa del malato, lo trasforma

6

in un’altra persona, il che costituisce la conquitescenza mirtica dell’alveatico (sic!).

Pitroskoi marabiska patomba lemba zagamba strapùlika! È una specie di scongiuro

o formula che fu udita da un paranoico intelligentissimo.» (Bausani:1974, p. 36)

Chiaramente, proprio per il suddetto carattere asociale di queste verbigerazioni,

non possiamo definire tali atti come parte di una lingua ben definita, piuttosto

possiamo definirli come sporadici sproloqui di soggetti mentalmente instabili e

come tali trattarli.

1.2.4 L’invenzione linguistica artistica

Ritornando alla creazione linguistica cosciente, è opportuno soffermarsi sul

fenomeno inventivo artistico e, più specificatamente, poetico.

A ben rifletterci, già la parola ‘poesia’, nella sua etimologia, sottintende il concetto

di creazione. La parola, infatti, deriva dal greco poiesis (ποίησις) e porta proprio il

significato di ‘fare, creare’.

Ma ancora di più ci si rende conto di quanto il concetto di invenzione linguistica

sia vicino alla produzione poetica quando ci addentriamo nel mondo delle metafore

dirette, ovverosia quelle che non hanno un immediato termine di paragone.

L’esempio più evidente sono le kenningar del mondo germanico antico. Questo

metodo di composizione lessicale consiste nell’accostare due o più termini, la cui

somma darà un risultato dal riferimento metaforico, collegato all’entità per cui è

stato creato, per cui si avranno parole come quelle nella tabella che segue3:

Hwælweg

Sǣmearh

Merehræg

Lett. La via delle balene

Lett. Il cavallo del mare

Lett. Il vestito del mare

Il mare

La nave

La vela

In questi casi, la motivazione metaforica dei costrutti rimane circoscritta ad un

utilizzo creativo della lingua, motivo per cui spesso queste parole contano poche

occorrenze nei testi. Ciononostante, non si può negare a questo fenomeno creativo

l’appartenenza al campo dell’invenzione linguistica.

3 Le kenningar riportate sono state estratte da Helmut Gneuss, The Old English language, tratto da
Godden, Malcolm, The Cambridge companion to Old English literature, 1991 Cambridge University
Press, pp. 23-54.

7

Per non spostarci troppo dal contesto italiano, occorre citare il poeta

contemporaneo Fosco Maraini, al cui genio si deve la cosiddetta ‘poesia

metasemantica’. Il lavoro di Maraini si sviluppa, se così si può dire, in antitesi alla

semantica, cioè alla branca della linguistica che si occupa del significato delle

parole. L’autore fiorentino, nella sua raccolta di poesie ‘Gnòsi delle Fànfole’, opera

un’alterazione del sistema lessicale della lingua di riferimento, in questo caso

l’italiano, lasciando intatta la caratterizzazione morfo-sintattica. Ciò che Maraini

vuole dimostrare è che, utilizzando parole prive di significato ma che mantengono

strutture grammaticali e fonetiche della lingua di base, il lettore può riuscire a

comprenderne, se non esattamente il significato, quantomeno l’appartenenza del

lessico a determinate categorie grammaticali. In altre parole, il lettore riesce a capire

se una parola è un nome o un verbo o un aggettivo e così via. Per concretizzare gli

effetti suscitati da questo tipo di invenzione linguistica, viene qui riportato

l’esempio più celebre di poesia metasemantica scritta proprio da Maraini, ‘Il

Lonfo’:

Il Lonfo non vaterca né gluisce

e molto raramente barigatta,

ma quando soffia il bego a bisce bisce,

sdilenca un poco e gnagio s’archipatta.

È frusco il Lonfo! È pieno di lupigna

arrafferia malversa e sofolenta!

Se cionfi ti sbiduglia e ti arrupigna

se lugri ti botalla e ti criventa.

Eppure il vecchio Lonfo ammargelluto

che bete e zugghia e fonca nei trombazzi

fa legica busia, fa gisbuto;

e quasi quasi in segno di sberdazzi

gli affarferesti un gniffo. Ma lui, zuto

t’ alloppa, ti sbernecchia; e tu l’accazzi.

In conclusione a questa breve disamina sulla distinzione tipologica delle lingue

inventate, mi sembra doveroso sottolineare ancora come il fenomeno d’invenzione

non è da pensare come raro e isolato, piuttosto esso è abbastanza frequente e non

poi così inusuale. Inoltre, vanno distinti i gradi di profondità dell’invenzione

linguistica, poiché ritroviamo sistemi linguistici naturali che integrano solamente

8

qualche sporadico elemento linguistico, che, a pensarci bene, altro non è che una

mera coniazione di neologismi (si pensi alla parola ‘petaloso’ coniata da un

bambino di terza elementare, o, ancora, alla parola ‘Brexit’, che vengono oggi

utilizzate correntemente) e interi sistemi linguistici, dove qualsiasi livello

linguistico viene coscientemente creato e concatenato all’altro.

Infine, come sottolinea anche Bausani (1974, p.49), alcuni casi estremi di

produzione linguistica artificiale, più che nel campo della linguistica, possono

riversarsi nell’ambito di competenza della psicologia, della sociologia,

dell’etnologia e dell’estetica.

1.3 Rimediare a Babele – Le ragioni della glossopoiesi

Nel suo La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, Umberto Eco stila

una macro-classificazione delle tipologie linguistiche che andrà a trattare. Pertanto,

prende in considerazione (Eco:1996, p.8):

a) Lingue storiche, ritenute originarie e perfette, come l’ebraico, l’egizio o il

cinese.

b) Lingue madri originarie da cu si pensa siano derivate gran parte delle lingue

naturali esistenti, come l’indo-europeo.

c) Lingue costruite artificialmente, che possono avere tre scopi principali:

1. Perfezionare la lingua per esprimere perfettamente le idee e scoprire

eventuali connessioni tra gli aspetti della realtà (ne sono un esempio le

lingue filosofiche a priori del XVII secolo).

2. Perfezionare la lingua per il raggiungimento di un’universalità (ne sono un

esempio le lingue internazionali a posteriori del XIX secolo).

3. Perfezionare la lingua per praticità (ne sono un esempio le poligrafie).

d) Lingue magiche, siano esse scoperte o create, che mirano ad una perfezione

mistica.

Ciò che Eco non tratta, invece, sono le lingue oniriche, ossia quelle lingue inventate

in stato di trance e quindi in stato non cosciente, le lingue bricolage, come i pidgin,

le lingue veicolari, lingue di ‘mediazione’ che sostituiscono le lingue naturali in

aree multilingui, come il francese o l’inglese, e le lingue romanzesche e poetiche,

9

cioè lingue fittizie ideate per popolazioni fantastiche, di cui io mi occuperò

approfonditamente in questa trattazione (vedi Capitoli II e III).

Ma da dove deriva la Grande Questione della Lingua? Quali sono le cause

scatenanti della diversità linguistica?

Bisogna prima di tutto risalire al passo 11 del libro della Genesi, il quale narra

della cupidigia e dell’insaziabilità dell’uomo che aspira sempre al raggiungimento

della divinità. Riporto qui fedelmente il passo:

1 Tutta la terra aveva un’unica lingua e uniche parole. 2 Emigrando dall’oriente, gli

uomini capitarono in una pianura nella regione di Sinar e vi si stabilirono. 3 Si dissero

l’un l’altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il mattone servì loro

da pietra e il bitume da malta. 4 Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una

torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la

terra». 5 Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano

costruendo. 6 Il Signore disse: «Ecco, essi sono un unico popolo e hanno tutti un’unica

lingua; questo è l’inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non

sarà loro impossibile. 7 Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non

comprendano più l’uno la lingua dell’altro». 8 Il Signore li disperse di là su tutta la

terra ed essi cessarono di costruire la città. 9 Per questo la si chiamò Babele, perché

là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la

terra.4

Questo passo, da solo, basterebbe ad aprire (o riaprire) eterni dibattiti, a cui le menti

più brillanti della storia dell’uomo hanno dato il loro contributo, come il chiedersi

in che lingua Dio parlasse ad Adamo, poiché è solo in un secondo momento che

Dio gli affiderà il compito di dare un nome alle cose e agli animali creati da Lui,

oppure il chiedersi su quali basi Adamo costruisce la sua nomenclatura.

Arbitrariamente oppure in qualche modo è legata alla natura dell’animale stesso?

Se decidessimo di pensare le sue scelte lessicali come arbitrarie, verremmo subito

contraddetti dal nome che Adamo scelse per sua moglie, così come testimoniato dal

verso della Genesi 3-20

4Cfr.http://www.bibbiaedu.it/testi/Bibbia_CEI_2008.Ricerca?Libro=Genesi&Capitolo=11&versett
o_finale=9&versetto_iniziale=9&tipo_ricerca=0&visintro=1&parola=babele#VER_7

10

20L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi.5

dove la non-arbitrarietà della scelta lessicale appare cristallina.

È in questo senso che si deve intendere l’‘eterno dibattito’, dove tutto viene

confermato e poi contraddetto, un cane che si morde la coda. Motivo per cui non ci

si può permettere un approfondimento sull’argomento, poiché si rischia di annegare

in un fiume di parole la cui riva è ben lontana dall’immaginario comune.

Il motivo per cui viene riportato qui il passo del mito babelico (Genesi 11) è

perché, proprio su questo, si può rintracciare l’unica grande e reale spinta propulsiva

che porterà alla ricerca ‘famelica’ di una lingua originaria, perfetta, quella con cui

Adamo (l’uomo) e Dio interloquivano e che, di conseguenza, porterà ad uno studio

intenso e ad una profonda riflessione sulla lingua. Non stupisce, dunque, né che il

mito babelico sia l’episodio su cui è stata posta maggiore attenzione all’interno

della tradizione della filosofia del linguaggio, né che la differenziazione linguistica

sia stata vista, almeno inizialmente, non come un evolversi naturale delle lingue,

bensì come una punizione divina, una maledizione, a cui poter porre rimedio

solamente mediante un ritorno alle origini, solamente attraverso la «restituzione

della lingua adamica.» (Eco:1996, p.16).

Da questo presupposto si sviluppano le corse alla ricerca della lingua originaria,

di cui non si potrà parlare approfonditamente, poiché si rischia di inerpicarsi nel

pericoloso vortice della linguistica storica, una branca che si è occupata e si occupa

della ricostruzione proto-linguistica di una lingua madre da cui sarebbero derivate

le lingue naturali attestate, mediante l’utilizzo del metodo comparativo. Il metodo

prevede il confronto tra lingue che si presumono imparentate e, attraverso la ricerca

di corrispondenze fonetiche, la ricostruzione sistematica di una plausibile lingua

antenata in comune che avrebbe generato le suddette lingue figlie. Il riferimento

alla linguistica storica è qui presente solamente per dare contezza di quei turbinosi

movimenti verso la linguistica, che ‘Babele’ ha incessantemente innescato – e che

continua ad innescare. Pertanto, non tratterò che marginalmente questo tipo di

5Cfr.http://www.bibbiaedu.it/testi/Bibbia_CEI_2008.Ricerca?Libro=Genesi&Capitolo=3&versetto
_finale=20&versetto_iniziale=20&tipo_ricerca=0&visintro=1&parola=chiam%F2+Eva#VER_18

11

‘invenzione linguistica’, dal momento in cui sarebbe più corretto, in questo caso,

parlare di ricostruzione di una lingua, piuttosto che di costruzione vera e propria.

Oltre a questa motivazione di ‘ritorno alla lingua perfetta’, parlata da Dio,

esistono altri motivi per l’invenzione linguistica, come d’altro canto Umberto Eco

aveva già sottolineato nella sua classificazione (vedi punto c)).

1.3.1 Le lingue filosofiche a priori del XVII e XVIII secolo

Le lingue costruite artificialmente che hanno il fine di «perfezionare la lingua

per esprimere perfettamente le idee e scoprire eventuali connessioni tra gli aspetti

della realtà» (Eco: 1996, p.8) trovano perfetto riscontro nelle lingue filosofiche a

priori del XVII e XVIII secolo. Per quanto riguarda la motivazione, le lingue

filosofiche a priori introducono un capovolgimento delle carte, poiché, laddove

prima la ricerca della lingua perfetta tesseva le sue trame in ambiti di tipo religioso,

adesso lo scopo dei filosofi è quello di raggiungere una lingua filosofica che possa

dipanare la matassa degli idola baconiani6 che hanno privato l’uomo e la sua mente

della ragione, escludendolo dal progresso scientifico.

Inoltre, non è un caso che la propensione al raggiungimento di una lingua

universale provenga principalmente dalle isole britanniche, dove non si tratta del

mero riflesso di un’eco coloniale, di cui l’Inghilterra si fa regina indiscussa, si tratta,

piuttosto, di motivazioni di tipo religioso, legate al rifiuto categorico del latino

come lingua scientifica veicolare, lingua imprescindibilmente legata alla Chiesa

Cattolica, senza contare le difficoltà pragmatiche che lo studioso inglese incontrava

nel confrontarsi con una lingua così divergente dalla propria.

Oltre a queste motivazioni viscerali, vi erano motivazioni più prettamente

pratiche, quali la facilitazione degli scambi commerciali e delle prassi didattiche o

l’esigenza di trovare nomenclature adatte a nuove scoperte in campo scientifico per

6“Uno dei cardini della filosofia baconiana è la distruzione degli idola, e cioè di quelle false idee
che ci provengono o dalla stessa nostra umana natura, specifica e individuale, o dai dogmi filosofici
tramandati dalla tradizione o ancora – e siamo agli idola fori che ci riguardano più da vicino – dal
modo in cui usiamo la lingua. […] Gli idola che si impongono per mezzo delle parole «o sono nomi
di cose che non esistono […] o sono nomi di cose che esistono, ma confusi, mal definiti ed estratti
dalle cose in modo affrettato e parziale»” (Eco: 1996, p. 227)

12

rimediare alle «vaghezze simbolico-allegoriche del

linguaggio alchemico

precedente.» (Eco: 1996, p. 227).

Naturalmente, il dibattito, per sua stessa definizione, presenta anche un rovescio

di medaglia rivestito di scetticismo. Ne sono la prova tangibile alcuni scritti firmati

da grandi nomi, tra cui figura quello di Cartesio.

Nel 1629 padre Marino Mersenne manda a Cartesio un progetto di ‘nouvelle

langue’ di un certo des Vallées, al quale risponde successivamente con una lettera,

nella quale illustra il suo pensiero nei confronti di una lingua creata artificialmente.

Si riporta qui di seguito la lettera:

“Per il resto, trovo che si potrebbe aggiungere a ciò un’invenzione, sia per

comporre le parole primitive di questa lingua, sia per i loro caratteri; di modo

che essa potrebbe essere insegnata in pochissimi termini, e cioè per mezzo

dell’ordine, ossia, stabilendo un ordine fra tutti pensieri che possono entrare nella

mente umana, allo stesso modo in cui ve n’è uno naturale fra i numeri; e come si

può apprendere in un giorno a nominare tutti i numeri fino all’infinito, e scriverli

in una lingua sconosciuta, il che comporta pur sempre un’infinità di parole

differenti, così si dovrebbe poter fare lo stesso con tutte le altre parole necessarie

ad esprimere tutte le altre cose che vengono in mente agli uomini. Se una cosa

simile fosse trovata, io non dubiterei minimamente che questa lingua sarebbe ben

presto corrente in tutto il mondo; perché vi sono moltissime persone che

impiegherebbero volentieri cinque o sei giorni di tempo per potersi far capire da

tutti gli uomini. Ma io non credo che il Vostro autore ci abbia pensato, sia perché

nelle sue proposizioni non v’è nulla che lo testimoni, sia perché l’invenzione di

questa lingua dipende dalla vera Filosofia; perché altrimenti è impossibile

elencare tutti i pensieri degli uomini, e metterli in ordine, e nemmeno distinguerli

in modo che essi siano chiari e semplici, che, a mio avviso, è il più grande segreto

che si possa avere per acquisire la buona scienza. E se qualcuno avesse spiegato

bene quali sono le idee semplici che sono nell’immaginazione degli uomini, e di

cui è composto tutto ciò che pensano, e se ciò fosse recepito da tutti, io oserei

sperare, di lì a poco, in una lingua universale facilissima da imparare, da

pronunciare e da scrivere, e, ciò che più conta, [una lingua] che aiuterebbe nel

giudizio, presentandogli tutte le cose così distintamente, che gli sarebbe quasi

impossibile sbagliarsi; invece, al contrario, le parole che abbiamo hanno quasi

esclusivamente significati confusi, ai quali la mente degli uomini si è abituata da

lungo tempo, di modo che essa non capisce quasi nulla perfettamente. Ora io

ritengo che questa lingua sia possibile, e che si possa trovare la scienza dalla

13

quale essa dipende, per mezzo della quale i villici potrebbero giudicare la verità

delle cose meglio di quanto adesso non facciano i filosofi. Ma non sperate di

vederla mai in uso; ciò presuppone grandi cambiamenti nell’ordine delle cose, e

bisognerebbe che tutto il mondo non fosse che un paradiso terrestre, il che non è

concepibile se non nel paese dei romanzi.”7

Come questa lettera del 1629 dimostra, lo scetticismo e la riluttanza che

accompagna da sempre il mondo delle creazioni linguistiche trae le sue origini in

tempi ben più antichi di quanto comunemente si pensi. E non c’è, dunque, da

stupirsi se la catena di diffidenza si sia protratta, all’interno delle cerchie di linguisti,

fino ai giorni nostri, fatto questo non privo di fondamento. Infatti, se si analizzano

i tentativi di creazione di una lingua a priori da un punto di vista logico-linguistico,

ne risultano per lo più insoddisfacenti tentativi di sistematizzazione di cose e

nozioni elaborate all’interno del pensiero umano, le quali risultano potenzialmente

infinite. A questo proposito, sono state avanzate diverse proposte, di cui verranno

di seguito riportate le più importanti.

 L’Ars Signorum di G. Dalgarno

Il maestro scozzese Dalgarno rintraccia due principi cardine nella creazione di una

lingua: una classificazione contenutistica del sapere, che viene stilata dal filosofo,

e una grammatica che organizzi sistematicamente, sul piano espressivo, le suddette

categorie del sapere.

Pertanto, Dalgarno opera un’oculata assegnazione fonetica per ogni parola del

suo sistema linguistico, individuando i suoni che più gli sembrano adeguati e più

facilmente riproducibili dall’apparato fonatorio umano. Passa, successivamente, al

problema dei primitivi, scegliendo di classificare non solo i generi naturali, ma

anche artefatti e accidenti, adottando un ardito criterio di composizionalità, secondo

la quale ogni sostanza non è che un insieme di accidenti. Cercando di

ridimensionare il numero di primitivi, Dalgarno costruisce delle tavole organizzate

7 Per il testo originale, si rimanda a Renato Cartesio, Isaac Beeckman, Marin Mersenne, Lettere
(1619-1648). Testo francese e latino a fronte, 2015, Bompiani sotto la direzione di G. Belgioioso,
J. Armogathe, pp. 190-192

14

secondo una gerarchizzazione che vede al vertice i generi fondamentali, seguiti dai

generi intermedi e infine dalle specie, assegnando ad ogni categoria una lettera, sia

essa maiuscola, sia minuscola. Si tratta, dunque, di un sistema linguistico che si

avvale di lettere corrispondenti a cose e/o a concetti, racchiusi in categorie

sistematizzate, all’interno di una sorta di albero ‘genealogico’, calcato sull’albero

di Porfirio.8

Fermo restano che la lingua, così come lui l’aveva pensata, presentava molte

difficoltà nella composizione, nonché nella memorizzazione dei termini, il motivo

principale per cui il sistema non avrebbe potuto funzionare è che una classificazione

così scevra di sfumature, per quanto potesse costituire il fondamento per una

possibile lingua universale, ne avrebbe ridotto l’espressività e il sistema sarebbe

risultato, quindi, limitato e costretto a composizioni espressive troppo vincolanti,

che avrebbero significato una costrizione della libertà e della profondità

dell’espressione umana.

 L’Essay toward a real character, and a philosophical language di J. Wilkins

Il sistema di Wilkins, seppur più o meno simile a quello di Dalgarno9, risulta il più

completo tra gli altri sistemi proposti in questo secolo. Ciò che Wilkins critica delle

precedenti proposte è la stretta dipendenza dei sistemi linguistici dal lessico di una

determinata lingua, qualsiasi essa fosse. Pertanto, propone come fondamento della

sua lingua un riferimento alla natura delle cose e alle nozioni comuni su cui tutta

l’umanità potesse trovare un punto di contatto. In altre parole, deve basarsi su

concetti comprensibili per tutti gli uomini e, quindi, presenti in ogni cultura. È

chiaro che questo ragionamento di base presuppone un colossale progetto di

descrizione del sapere, che includa qualsiasi nozione elementare che sia condivisa

da ogni essere razionale.

8 L’albero di Porfirio è una tavola della coordinazione e della subordinazione dei generi e delle
specie, le cui classificazioni seguono un ordine decrescente, dal più generico al più specifico,
secondo il processo della dicotomia (ad es., l’entità si distingue in ‘astratto’ e ‘concreto’, quello
concreto a sua volta si distingue in ‘meno perfetto’ e in ‘più perfetto’, il ‘meno perfetto’ a sua volta
si distingue in ‘spirituale’ e in ‘corporeo’, e così via.)
9 Tanto che costò a Wilkins un’accusa di plagio da parte di Dalgarno, accusa ingiusta, a detta di Eco,
«perché Wilkins ha di fatto realizzato quello che Dalgarno aveva solo promesso, e d’altra parte il
progetto di Dalgarno era stato anticipato in vari modi negli anni precedenti» (Eco:1996, p. 246).

15

La falla di sistema del suo progetto consisteva nella delimitazione areale di quelli

che lui definiva saperi ‘universali’, che di fatto erano circoscritti al contesto inglese

– o al massimo europeo – e di conseguenza veniva ignorata la possibilità che popoli

di cultura diversa avessero potuto organizzare l’universo in maniera diametralmente

opposta alle sue concezioni ‘comuni a tutti gli uomini’.

 La Lingua Generalis di G. Leibniz

Anche il grande studioso Leibniz fornisce il suo contributo alla storia

dell’invenzione linguistica, con la sua Lingua Generalis, nel 1678. Il suo sistema

linguistico prevedeva la trascrizione di corrispondenze numeri-consonanti e unità

decimali-vocali, secondo questo schema:

1
b
Unità
a

2
c

3
d

4
f

5
g

6
h

Decine
e

Centinaia
i

Migliaia
o

7
l

8
9
m
n
Decine di migliaia
u

La lingua proposta da Leibniz, che, non a caso, egli chiamò lingua Adamica,

aveva come punto d’origine la sua idea di Characteristica Universalis. Fondamento

della sua idea era la concezione che tutte le idee complesse fossero il risultato della

somma di idee semplici, così come tutti i numeri non primi sono nient’altro che i

risultati di combinazioni dei numeri primi. Pertanto, se si volessero creare idee

complesse basterebbe operare una moltiplicazione aritmetica, o, viceversa, se si

volesse risalire ad un’idea semplice basterebbe operare una scomposizione in

numeri primi. Ogni ragionamento altro non è che una vera e propria operazione

matematica.

Dunque, seguendo lo schema sopra riportato, ad un numero come 74.982

corrisponderà la parola lufonimeca. Dove:

-7 decine di migliaia= lu;

– 4 migliaia= fo;

– 9 centinaia= ni;

– 8 decine= me;

– 2 unità= ca.

Una volta stabilito il criterio di composizionalità, e ferme restando le idee

16

concettuali da cui Leibniz partiva, bisognava, adesso formare un vocabolario,

analizzando tutte le idee dello spirito umano, scomporle, riducendole in idee

semplici, e inventariarle. Non risulta difficile da credere che Leibniz cominciò il

lavoro ma non lo portò mai a termine, lasciando nient’altro che un abbozzo.

Pertanto, nell’attesa (o, forse sarebbe meglio dire, speranza) che questo dizionario

delle idee potesse essere inventato, si accontentò di proporre una grammatica per

scopi pratici che avesse una sola coniugazione e una sola declinazione, che fosse

priva di morfemi derivazionali di genere e numero. Inoltre, ritenendo ridondante

l’utilizzo di flessioni sia sintetiche che analitiche, propone di usare, nel nome,

solamente il caso nominativo preceduto da diverse preposizioni e, nel verbo, solo

l’indicativo preceduto da diverse congiunzioni. Resta però importante la distinzione

del tempo, tanto che propone di estenderla anche per nomi e aggettivi, cosi che

amavitio e amaturitio significheranno il fatto di aver amato o di dover amare.

Se le motivazioni che spinsero Leibniz verso la creazione di questo sistema di

semplificazione del latino restavano circoscritte a fini pratici, altrove vanno

rintracciate le motivazioni che lo spinsero all’invenzione di una lingua filosofica a

priori, o «l’algebra delle idee», così come la chiama Bausani (1974, p.112).

All’interno di un contesto storico in cui i suoi corrispondenti inglesi puntavano

ad una sorta di lingua veicolare che sarebbe servita al miglioramento degli scambi

commerciali, nonché alla facilitazione dello scambio scientifico, si ritrova in

Leibniz una spinta di tipo religioso, assente persino in Wilkins, il vescovo di

Chester. Ciò a cui Leibniz ambiva era la riunificazione delle chiese, ritenuta l’unica

chiave per realizzare il prospetto irenistico di un cristianesimo universale che lo

aveva spinto e convinto a inventare una nuova lingua.

Da qui si andavano delineando altri tipi di motivazione dell’inventiva linguistica

che porteranno successivamente alla creazione di sistemi linguistici internazionali

ausiliari.

1.3.2 Le lingue internazionali ausiliarie

A cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, nonostante si continuino a costruire lingue a

priori, più o meno filosofiche, come il Solresol10, cominciano ad emergere lingue

10 Il Solresol è una lingua artificiale a priori, inventata intorno il 1817 da Jean-François Sudre, un

17

internazionali ausiliarie.

La ragione è da individuare nella sempre più facile possibilità di scambi e

relazioni internazionali, logica conseguenza dello sviluppo delle comunicazioni e

dei trasporti. Il mercato europeo si estende su tutto il mondo, l’impalcatura

coloniale estendeva i suoi ponteggi da un capo all’altro del mondo, trasportando

con sé le politiche europee dall’India alla Nigeria al Canada. Si concretizza, quindi,

l’esigenza da parte delle nazioni di unirsi e di collaborare per risolvere innumerevoli

problemi.

Ne consegue che la produzione scientifica che viene a prodursi in un ambiente

così ‘mondializzato’ ma così diverso al suo interno, debba far convergere tutte le

sue differenze quantomeno in un sistema linguistico comune. Ancora una volta si

presenta, dunque, la necessità di una lingua universale.

A questo proposito, Louis Couturat e Léopold Leau fondano nel 1901 la

Delegazione per l’adozione di una lingua ausiliaria internazionale, la quale si

proponeva di risolvere i problemi di comunicazione esistenti tra le varie nazioni del

pianeta. Elessero, pertanto, un Comitato internazionale di linguisti e di scienziati di

fama internazionale (tra cui Jespersen, Baudoin e Meillet), il quale aveva il compito

di esaminare ogni progetto di lingua universale proposto (compito, questo, non

semplice, dal momento in cui nel corso del XIX secolo, tra lingue a posteriori e

sistemi misti, si contano più di 38 proposte) per poi scegliere il sistema linguistico

più ‘adatto’.

Ma quali erano i criteri secondo cui definire una lingua più ‘adatta’ di un’altra?

Couturat e Leau considerano utopistico sia adottare come lingua internazionale una

delle lingue già esistenti, sia ritornare ad una lingua neutrale, ma ormai morta, come

il latino. Pertanto, l’unica soluzione sembrerebbe un sistema linguistico artificiale,

che sia parimenti degno rispetto alle lingue naturali già esistenti, ma che possa al

tempo stesso essere percepito dai parlanti come neutro.

I criteri scelti per questa

lingua neutra sono

la semplificazione,

la

razionalizzazione della grammatica, pur restando ancorata ai modelli grammatici

professore francese delle scuole medie, che scelse come elementi di una lingua universale, non suoni
già esistenti in altre lingue, ma le sette note musicali, segni uniformi, invariabili e davvero universali.
In questo sistema le parole potevano combinarsi attraverso diverse sequenze sillabiche, cioè le note
musicali. Si tratta di una lingua a priori non filosofica, dal momento in cui il lessico non si basa su
una classificazione filosofica delle idee, bensì su una scelta del tutto arbitraria.

18

delle lingue naturali, e la produzione di un lessico quanto più rievocativo possibile,

che possa essere, in qualche modo, riconducibile ai termini già presenti nelle lingue

naturali. In altre parole, si può definire la Lingua Internazionale Ausiliaria come un

sistema linguistico a posteriori, poiché la sua creazione presuppone una

combinazione sincretica delle lingue naturali esistenti.

Nonostante Couturat e Leau abbiano chiare le caratteristiche che una Lingua

Internazionale Ausiliaria dovrebbe possedere, restano abbastanza realisti da

accettare l’inesistenza di un criterio scientifico che sia in grado di determinare

oggettivamente quale sistema linguistico a posteriori sia più accettabile, più

‘appropriato’ di un altro. Dunque, la promozione da lingua artificiale a Lingua

Ausiliaria, non dipenderebbe che da una vera e propria scelta politica arbitraria,

stabilita convenzionalmente a tavolino e senza la possibilità di utilizzare criteri

‘meritocratici’.

Ma la realtà a cui si affaccia il loro progetto ‘mondiale’ è, come la definisce Eco

(1996, p. 343), «una nuova Babele di lingue internazionali», di cui si riporteranno,

in questa trattazione, gli esempi più noti e più accreditati.

 I sistemi misti – Il volapük

Il volapük è stato il primo sistema linguistico ausiliario a raggiungere fama

internazionale. Questa lingua, opera del prelato cattolico tedesco Johann Martin

Schleyer, fu inventata intorno al 1879 con lo scopo di riunire i popoli e promuovere

tra essi un armonioso sentimento di fraternità. Il progetto, non appena venne

pubblicato, si diffuse prima in Germania e in Francia e, nella decade successiva,

anche nel resto del mondo. Nel 1889 si contano più di 283 club di volapükisti. Una

volta che il volapük diventa di ‘dominio pubblico’, incorre in una naturale e

inarrestabile ‘babelizzazione’, dove la lingua, diventando di proprietà dei parlanti,

comincia a subire cambiamenti che risultarono in svariate diramazioni di varianti

di volapük, le quali andarono poi a risultare in nuove lingue vere e proprie (la

Langue Universelle di Menet, 1886, lo Spelin di Bauer, 1886, il Balta di Dormoy,

1893, ecc).

Il volapük è una lingua artificiale di tipo misto, che si trova, cioè, tra l’a priori e l’a

19

posteriori. Ciò significa che il sistema linguistico di Schleyer mutua da lingue

naturali esistenti, e più specificatamente dall’inglese (in quanto lingua più diffusa),

i suoi radicali, anche se piuttosto deformati, e introduce elementi della declinazione,

congiunzioni, molte particelle, pronomi ecc., in modo del tutto arbitrario.

Questo sistema linguistico si avvale di 28 lettere, ognuna con il proprio suono, e

l’accento cade sempre sull’ultima sillaba. Inoltre, Schleyer decide di eliminare la

lettera r, ritenuta, a suo giudizio, impronunciabile dai parlanti cinesi (supposizione

errata, dal momento in cui i cinesi non hanno difficoltà a pronunciarla, piuttosto

non riescono a distinguerla dalla lettera l).

Sulla base dei radicali scelti, Schleyer sviluppa un sistema di derivazione di tipo

flessivo, regolare e a priori. Per cui, gli aggettivi hanno tutti il suffisso –ik (gud =

‘bontà’> gudik = ‘buono’), il suffisso –av indica sempre una scienza (stel = ‘stella’>

stelav = ‘astronomia’), e così via.

Ma, ovviamente, un così regolare sistema di derivazione porta inevitabilmente a

scelte arbitrarie: nell’esempio proposto da Eco (1996, p. 345), ci si chiede, dal

momento in cui il prefisso lu-, che designa l’inferiorità, e vat, che è la parola per

‘acqua’, perché luvat significherebbe ‘urina’ e non ‘acqua sporca’? O, ancora,

perché la parola flitaf (animale che vola) significa ‘mosca’, come se fosse l’unico

animale volante? A questo proposito Couturat e Leau, analizzando il volapük,

osservano che questa lingua, pur non essendo una lingua filosofica, sistematizza le

nozioni secondo un metodo filosofico, acquisendone i difetti senza alcun vantaggio

logico. Anzi, forse questo tipo di assetto potrebbe generare ancora più confusione,

dal momento in cui, non solo la sistematizzazione di stampo filosofico delle idee è

limitata e vincolante per l’espressività umana, ma in più Schleyer sottomette i

radicali ad uno stravolgimento fonetico e formale aprioristico (sia a causa delle sue

preoccupazioni fonetiche, sia a causa della necessità che ogni radice cominciasse e

terminasse per consonante), rendendo, in questo modo, impossibile ricondurre le

parole del volapük a parole esistenti nelle lingue naturali. Così vol = ‘mondo’ (da

world) e pük = ‘lingua’ (da speak) genererebbero, mediante l’aggiunta della

desinenza –a del genitivo, la parola volapük che vuol dire, appunto, ‘lingua del

mondo’.

Nonostante il successo mondiale, dopo il 1890, il volapük comincia il suo rovinoso

20

declino. Le motivazioni sono da rintracciare nei contrasti tra Schleyer e molti dei

volapükisti, dove il primo asseriva di aver dotato la sua lingua di qualsiasi mezzo

per esprimere qualsiasi sfumatura di significato, dalla più semplice alla più sottile,

mentre i volapükisti, che la consideravano una lingua ausiliaria come tante altre che

serviva come lingua veicolare all’interno del panorama europeo, la ritenevano

troppo strana, non familiare ed esageratamente complicata per il ruolo di

mediazione che avrebbe dovuto rivestire.

 L’esperanto

È con la scomparsa del volapük che si afferma internazionalmente l’esperanto.

L’esperanto nasce nel 1887, proprio quando si assisteva al trionfo indiscusso del

volapük a livello mondiale, ad opera del medico oculista Ludwick Lejzer

Zamenhof.

Il successo di questa nuova lingua si deve, certamente, alle origini del suo inventore

e alla personalità che questi ha sviluppato all’interno del contesto culturale in cui è

cresciuto. Già durante l’adolescenza, Zamenhof aveva cominciato a elaborare dei

timidi prototipi di lingua internazionale, motivato dalla convivenza inconciliabile

di razze e di lingue. Egli, infatti, era cresciuto a Bialystok, una cittadina a nord-est

della Polonia divisa in quattro quartieri popolati da gente che parlava quattro lingue

differenti: polacco, russo, tedesco ed ebraico (yiddish). Si trattava, dunque, di una

convergenza di diverse culture animate da spinte nazionalistiche e da onde

incessanti di antisemitismo (cavalcate anche dal governo zarista nei confronti degli

intellettuali, specialmente di quelli ebrei), le quali portarono Zamenhof a credere

che una lingua universale, comune a tutti, potesse essere la soluzione ai conflitti tra

le varie comunità, auspicando, dunque, di raggiungere una condizione di pace tra i

popoli. Essa è la stessa motivazione che lo portò a darsi come pseudonimo ‘Doktor

esperanto’, il Dottore Speranzoso (cfr. Bausani:1974, p. 121). Durante i suoi studi

a Varsavia, Zamenhof si rese conto della difficoltà della grammatica delle lingue

naturali. Pertanto, si preoccupò di creare un sistema linguistico che avesse una

grammatica molto semplice.

L’ alfabeto dell’esperanto conta 28 lettere, ognuna rispondente ad un solo suono,

21

e l’accento tonico cade sempre sulla penultima sillaba. Esiste un solo articolo, la.

Per il lessico, Zamenhof identifica tutti i termini con radice comune che possano

essere compresi da tutti, come lingwe, lingua, langue, language, lengua; rosa, roza,

rose ecc. Per tutti quei termini per cui non riesce a trovare una radice comune, crea

il termine ex novo, utilizzando un criterio distributivo, gerarchizzando le sue

preferenze. Si baserà, quindi, per prima sulle lingue neolatine, seguite da quelle

germaniche e poi da quelle slave. Dunque, come suggerisce Eco, «il parlante di

qualsiasi lingua europea troverà:

a) Molti termini riconoscibili perché identici o affini ai propri;

b) Altri [termini], stranieri, che in qualche modo già conosce;

c) Alcuni termini a prima vista ostici ma che, una volta appreso il significato,

risultano riconoscibili;

d) Un numero ragionevolmente ridotto di termini ignoti da apprende ex novo.»

Per quanto riguarda i nomi composti, Zamenhof ne fa largo uso, poiché,

sfruttando la composizionalità della lingua, si riduce notevolmente la necessità di

più radici. Oltre ad apportare vantaggi di economicità linguistica, la composizione

di termini permetterebbe la creazione di neologismi che possano essere facilmente

riconoscibili tra i parlanti stessi.

Zamenhof si preoccupa anche di semplificare la morfologia derivazionale,

sopprimendo le difformità tra lemmi che designano lo stesso contenuto (come

padre, madre, genitori). Pertanto, utilizza una modalità di derivazione del

femminile che avviene mediante suffissazione: alla parola neutra, terminante in –o,

verrà aggiunta la marca del femminile, attraverso il suffisso –in. Per cui: patro>

patr+in-o = padre> madre. E ancora, la marca di numero, singolare o plurale, viene

espressa secondo lo stesso procedimento: alla base neutra si aggiunge la desinenza

–j.

22

Singolare

Plurale

Terminazione: -o/-in

Terminazione: -j

Maschile/Forma base

Terminazione: -o

Femminile

Patr+o

Patro> padre

Patr+in+o

Patr+o+j

Patroj>padri

Patr+in+o+j

Terminazione: -in

Patrino>madre

Patrinoj>madri

Per quanto riguarda la formazione degli aggettivi, si formano anch’essi mediante

suffissazione. Infatti, per formarli, basta aggiungere il suffisso –a alla radice: si avrà

quindi patr + a = patra ‘paterno’ che concorda con il nome. Si avranno, dunque,

frasi come: la bonaj patroj ‘i buoni padri’.

Il sistema di Zamenhof, naturalmente, non fu esente da critiche. Ciò che più gli

venne criticato, fu il mantenimento del caso accusativo, visto quasi come una spia

del ‘favoreggiamento’ dell’autore nei confronti delle lingue slave e germaniche (le

lingue delle sue origini, insomma). A questo proposito si pronuncia A. Meillet,

scrivendo: «È un errore imperdonabile istituire, come fa l’esperanto, una distinzione

tra accusativo e nominativo, distinzione di cui beneficeranno tutti gli uomini di

lingua romanza e inglese e che sarà inutile per tutti gli altri.»11 Ma la ragione per

cui Zamenhof mantiene la distinzione non è di certo un nostalgico abbandono ai

sentimentalismi, bensì cela alle sue basi una motivazione prettamente linguistica.

L’accusativo, infatti, nelle lingue non flessive è l’unico caso che non viene

introdotto da preposizioni ed è quindi necessario segnalarlo adeguatamente. D’altro

canto, come Eco sottolinea, «le lingue che hanno abolito l’accusativo per i nomi lo

conservano nei pronomi (IO amo ME stesso).»

L’insistenza per il mantenimento dell’accusativo viene dall’ambiguità che può

sorgere nelle lingue non flessive. Ne è la dimostrazione la frase in lingua francese

che lo stesso Eco riporta come esempio: je l’écoute mieux que vous che potrebbe

sia significare (i) io do ascolto a qualcuno meglio di quanto non faccia la persona

con cui parlo oppure (ii) io do ascolto a qualcuno più di quanto non dia ascolto alla

11 «C’est une impardonnable erreur d’instituer, comme le fait l’esperanto, une distinction de
l’accusatif et du nominatif, distinction qui embrassera tous les hommes de langue romane et anglaise
et qui est inutile aux autres.» (Bausani:1974, p. 124). Mia la traduzione.

23

persona con cui parlo. L’esperanto, nel caso (i) direbbe: mi aŭskultas lin pli bone

ol vi e, nel caso (ii), mi aŭskultas lin pli bone ol vin.

 L’ido

Così come era accaduto per il volapük, anche l’esperanto vive il sue decennio di

irruenti battaglie di ‘riforma’ del lessico e della grammatica.

Quando il Comitato della Delegazione per l’adozione di una lingua ausiliaria

internazionale (vedi par. 1.4.2) si ritrovò a stabilire quale tra le LIA fosse la più

‘adatta’, scelse l’esperanto con riserva. Vale a dire che si sceglieva l’esperanto nella

speranza che si attuassero le riforme che venivano proposte dal sistema ‘ido’.

Questa deliberazione portò all’inevitabile scisma tra i conservatori esperantisti e i

sostenitori della riforma linguistica dell’esperanto.

La lingua, per così dire, riformata mutua la sua denominazione dall’esperanto

stesso. Venne chiamata ido, a partire dal suffisso –id ‘figlio’, ‘discendente’, con

l’aggiunta del suffisso –o, che serviva alla formazione dei nomi, attribuendo,

quindi, alla parola ido il significato di ‘lingua figlia’.

Il progetto ido suscitò un grande scalpore, dal momento che fu presentato alla

Delegazione dal marchese di Beaufront, uno dei più energici sostenitori

dell’esperanto in Francia – atto che fu considerato un vero e proprio tradimento.

L’ido si proponeva di sopprimere quelli che venivano considerati i difetti

principali dell’esperanto, quali l’utilizzo delle lettere accentate, l’accordo

dell’aggettivo in numero e caso, il sopracitato ‘problema’ dell’accusativo e, inoltre,

per quanto riguarda il lessico, preferiva parole internazionali alle forme agglutinate

dell’esperanto.

Come afferma Bausani (1974, p. 129), l’ido, «indubbiamente, è una delle lingue

artificiali più intelligentemente composte […] Tuttavia l’ido non poté resistere alla

potente organizzazione dell’esperanto, malgrado che esso venga considerato tuttora

in ambienti interlinguistici una delle cinque lingue internazionali ausiliari più serie

e diffuse.»

24

1.4 Obiezioni teoriche

Il problema di fondo delle lingue a posteriori è che questa tipologia linguistica non

si pone come obiettivo la creazione di una lingua che sia adatta all’espressione di

un contenuto (e uno solo) che sia universale. Piuttosto, l’obiettivo-motore della

creazione di una lingua a posteriori, si muoveva verso l’individuazione di un

sistema abbastanza flessibile, che potesse andare bene per esprimere i contenuti (al

plurale) delle varie culture. In altre parole, si trattava di trovare una sorta di minimo

comune multiplo, che avrebbe reso, quindi, intercomprensibili e interscambiabili i

contenuti diversi per ogni cultura.

Diversamente dalle lingue filosofiche a priori, in cui ci si chiedeva quali fossero

i concetti e le idee dell’uomo che fossero comuni a tutto il mondo, nel caso delle

lingue a posteriori si prova a trovare un codice linguistico che sia in grado di

‘riassumere’ in un’unica lingua tutti gli ‘universi’ di ogni cultura.

Dunque, nessuno tra i propugnatori di una lingua internazionale ausiliaria si è mai

posto il problema del relativismo linguistico12 o ha mai spostato la sua attenzione

sul fatto che lingue diverse organizzano il contenuto in modi altrettanto diversi. Per

cui, risultano fine a se stessi i tentativi di dimostrare come persino le opere letterarie

possano essere tradotte in queste lingue artificiali, come l’esperanto, come se questo

potesse essere la prova della loro ‘versatilità’. ‘Fine a se stessi’, perché si

presuppone, in questo modo, che esistano da lingua a lingua espressioni e modi di

percepire l’universo che siano comuni a tutte le culture.

Un’altra obiezione nei confronti della lingua artificiale, in generale, è stata mossa

da Destutt de Tracy, il quale riteneva impossibile la creazione di una lingua

universale che potesse rimanere invariata nel tempo e nello spazio. Pertanto

afferma: «Quand’anche tutti gli uomini della terra si accordassero oggi per parlare

12 Il concetto di relativismo linguistico venne elaborato da Edward Sapir e Benjamin Lee Whorf, nel
1956, dando vita alla cosiddetta Ipotesi di Sapir-Whorf. L’ipotesi afferma che la struttura di ogni
lingua sottintende una propria struttura dell’universo, una struttura che Whorf definisce
“metafisica”, le cui differenze interculturali si manifestano in modo evidente quando si esaminano
lingue e culture molto diverse tra di loro. In altre parole, il modo in cui l’uomo elabora
concettualmente l’idea di universo è imprescindibilmente influenzato dalla lingua usata per farlo.
Questa ipotesi suggerisce, quindi, che la nostra idea di universo dipenda dalla lingua che usiamo.
Perciò, a lingue diverse corrispondono diversi modi di percepire il mondo.

25

la stessa lingua, ben presto, per l’influenza stessa dell’uso, essa si altererebbe e

modificherebbe in mille modi diversi nei diversi paesi, e darebbe nascita ad

altrettanti

idiomi distinti, che si allontanerebbero progressivamente

l’uno

dall’altro» (Eco: 1996, p. 357).

Dunque, è inevitabile che una lingua ausiliaria, usata in tutto il mondo, possa

incorrere ad alterazioni così significative da impedire la comunicazione. Pertanto, i

mass media potrebbero rivelarsi l’unica soluzione per la diffusione di modelli

globali di comportamento linguistico, per cui una LIA potrebbe facilmente

diffondersi e mantenersi più o meno integra.

26

CAPITOLO II – Le Lingue Artificiali nella Letteratura e nella

Cinematografia

Dopo una breve descrizione dei caratteri generali delle lingue artificiali, intento di

questa trattazione è quello di specializzare l’indagine, restringendo il campo di

analisi a quelle che Umberto Eco definisce Lingue romanzesche e poetiche (vedi

paragrafo 1.3).

Si cercherà di proporre, quindi, una panoramica generale dei più grandi esempi

di lingue artificiali creati per opere letterarie o cinematografiche. Non si potrà,

dunque, scavare nelle pieghe più profonde delle singole entità glossopoietiche, in

quanto ad ognuna di esse, prese singolarmente, dovrebbero essere destinati interi

volumi a sé stanti.

2.1 J.R.R. Tolkien e Il Signore degli Anelli

È a John Ronald Reuel Tolkien che corrisponde il nome del genio per eccellenza

della glossopoiesi. Genio che non conosce – e che non ha conosciuto – limiti di

tempo e di spazio. Con il suo immenso amore per le lingue, ha indubbiamente

pavimentato il sentiero della glossopoiesi, spianando la strada a chi, dopo di lui, si

sia voluto inerpicare nel lungo e tortuoso cammino verso la creazione di una lingua

artificiale.

Tolkien dimostra, già in tenera età, la sua particolare propensione per le lingue,

manifestando le sue spiccate capacità linguistiche che diedero alla madre l’input

necessario per metterlo in contatto con la lingua latina e quella francese (cfr.

Danesi:2006, p.13).

I primi esperimenti linguistici risalgono alla sua adolescenza. Egli entra in contatto,

infatti, con l’animalese, una lingua che sente parlare ad alcuni ragazzi, fatto questo

che lo stupisce non poco, poiché ha sempre immaginato il momento di creazione

come un momento individuale e privato. Pertanto, il vederlo usato da più di una

persona, e con lo scopo di comunicare, lo sorprese non poco (Tolkien:1931, p. 287).

L’aspetto sorprendente dell’animalese, secondo Tolkien, come lui stesso afferma

nel suo saggio Un vizio segreto, è che la lingua non si proponeva come scopo la

27

segretezza, né aveva lo scopo di ingannare gli adulti. Per cui, si chiedeva da cosa

derivasse

la spinta propulsiva, e dice

infatti: «Il divertimento doveva

necessariamente risiedere in qualcosa di diverso dalla qualità iniziatica o dalla

pretesa di appartenere a una società segreta. […] Mi viene da pensare che risiedesse

nell’uso della facoltà linguistica […] per puro divertimento e piacere personale.»

(Tolkien: 1931, p.288)

Tolkien definisce l’attività di creazione linguistica come un’arte individuale,

«un’arte per la quale non basta addirittura un’intera vita» (Tolkien:1931, p.289),

qualsiasi sia lo scopo della creazione. Pertanto, i creatori di lingue artificiali

vengono definiti dei veri e propri artisti, «e come tali incompleti in mancanza di

pubblico». (Tolkien:1931, p.289)

Ciò che Tolkien tiene a sottolineare è che, nonostante l’invenzione linguistica sia

presente anche nelle lingue naturali, essa resta vincolata dalla tradizione e

sottomessa a costrizioni fonemiche esistenti. Perciò, si chiede da dove provenga

questa ispirazione che dà luogo a creazioni così diverse dalle lingue naturali, come

il Nevbosh.13

Per fortuna, la risposta non tarda ad arrivare, e viene proprio dallo stesso Tolkien:

«L’istinto all’invenzione linguistica, l’adeguare un concetto a simbolo fonetico, e

soprattutto il piacere insito nel contemplare il nuovo rapporto che si viene a creare,

sono del tutto ragioni, non perversioni. […] Sicuramente la fonte principale di

piacere è la contemplazione del rapporto tra concetto e suono.» (Tolkien:1931,

p.295). Questo fenomeno di ‘compiacimento’ spiegherebbe il motivo per cui gli

studenti riescano ad apprezzare dei testi poetici in una lingua straniera, pur non

padroneggiandola ancora.

Una volta individuata la motivazione glossopoietica, Tolkien si sofferma sulle

13 La lingua Nevbosh (o «Nuovo Nonsense», secondo Tolkien) fu inventata dagli stessi creatori
dell’animalico. Stavolta, però, collaborarono con lo stesso Tolkien, al fine di creare una lingua che
avesse, diversamente dall’animalico, «velleità di segretezza». (Tolkien:1931, p.290) Volevano
creare, dunque, una lingua comprensibile solo a loro. Questa lingua si componeva di vocaboli
inglesi, francesi, latini, che venivano storpiati o invertiti. Tuttavia, col passare del tempo, il sistema
linguistico in questione, non bastò più ai suoi ideatori, che cominciarono ad introdurre nuovi termini,
come lint (= ‘veloce’) a cui poi vennero anteposti dei prefissi, che ne variarono di poco il significato
– così come accade nelle lingue naturali – dando vita a parole come catlint (get + lint= diventare
lint> col significato di ‘imparare’), o faclint (facere + lint= rendere lint> col significato di
‘insegnare’).

28

difficoltà che un’arte come questa si ritrova ad incontrare.

Una di queste difficoltà è da rintracciare nella sempre più dirompente incapacità di

lasciarsi andare dell’uomo, costantemente vittima di un’automazione emotiva, il

quale ritiene questo passatempo una perdita di tempo. O, addirittura, arriva a

pensare di scegliersi un altro hobby, svilendo ancora di più il ruolo artistico

dell’invenzione. Tuttavia, questo concetto non impedisce all’uomo di praticare

questo passatempo, seppur non senza remore. Il glottoteta, infatti, continua la sua

attività di ‘inventore’ ma lo tiene nascosto, considerando il suo ‘vizio’ una sorta di

attività ridicola di cui vergognarsi, di cui fare incetta e dopo nasconderne le prove

nei fondi di un cassetto. Un vizio da tenere segreto, insomma.

Naturalmente, come d’altro canto accade per la maggior parte delle forme d’arte,

il problema principale è di tipo economico. La glossopoiesi è un passatempo non

redditizio: «non permette di vincere premi o concorsi (almeno finora), non lo si può

regalare alla zia per il suo compleanno (in generale), non assicura borse di studio,

titoli accademici e neppure seguaci.» (Tolkien:1931, p.296)

Questi, dunque, sono i motivi per cui la maggior parte delle lingue inventate

restano incompiute.

2.1.1 La lingua quenya

Dal 1912 fino al suo decesso, Tolkien lavora a quella che sarà la principale lingua

elfica, il quenya.

Per la creazione della sua lingua, il nostro filologo stila una lista di radici

etimologiche da cui, successivamente, farà derivare, mediante determinate regole

di derivazione, le parole. Tra l’altro, questa sorta di dizionario etimologico, il

Qenyaqetsa, dimostra come l’intento di Tolkien fosse quello di lavorare alla lingua

seguendo un’impronta di stampo storico-filologico. In questo senso, avrebbe potuto

stilare un semplice glossario contenenti

le parole, ma egli,

interessato

particolarmente agli studi di indoeuropeistica, volle dare alla sua lingua un carattere

di verosimiglianza che potesse offrire a chiunque si approcciasse a questo nuovo

sistema linguistico l’impressione che si trattasse di una lingua davvero esistente, un

sistema che avrebbe potuto persino ricostruire dei termini elfici non attestati,

proprio come l’indoeuropeo.

29

Il Ruolo della Mitopoiesi nelle Lingue de Il Signore degli Anelli

Seguendo la scia delle sue intenzioni metodologiche, l’autore comincia a chiedersi

chi parlasse il quenya e a quale dimensione storica esso appartenesse. Aveva dunque

centrato appieno la questione della contestualizzazione della lingua. Le lingue,

infatti, non sono entità avulse dalla realtà, bensì elementi imprescindibilmente

legati ad un preciso momento storico. A questo proposito, il nostro autore sottolinea

come «per la costruzione di una lingua artistica veramente perfetta sia necessario

elaborare, quantomeno a grandi linee, una mitologia ad essa concomitante. Non

solo perché certi frammenti poetici finiranno inevitabilmente per far parte della sua

struttura, […] ma anche perché creazione della lingua e creazione della mitologia

sono funzioni correlate; per conferire un determinato gusto estetico alla lingua

creata dall’individuo è necessario che in quella lingua siano presenti le tracce di una

mitologia individuale», pertanto, «la costruzione di un linguaggio genererà di per

sé una mitologia» (Tolkien:1931, pp.300-301).

La straordinarietà del lavoro di Tolkien è da ricercare nella motivazione che lo

ha portato a scrivere Il Signore degli Anelli, uno dei più grandi capolavori fantasy

della storia. L’idea genitrice, infatti, non si manifesta solamente come un mero

sprazzo di creatività letteraria, ma si tratta di un vero e proprio dono che il nostro

glottoteta ha voluto offrire alla sua lingua, regalandole un popolo, e una dimensione

realistica (e non reale), in cui essa potesse essere una lingua ‘naturale’, viva e vera.

Seppur si tratti di un vero e proprio altro mondo, difficile da riassumere

analizzando tutte le sfaccettature di cui si compone, è necessario almeno accennare

a questa mitologia fantastica, un teatro creato ad hoc per permettere alla lingue di

Tolkien di prendere ‘corpo’.

La peculiarità della mitologia tolkeniana consiste nell’aver ambientato la

narrazione, diversamente da come accade in genere per le altre saghe fantasy (dove

la storia, di solito, si svolge in un universo ‘alternativo’), sul nostro pianeta. Il nostro

Autore ha concepito la storia della Terra di Mezzo come antecedente alla nostra

storia, quella del pianeta Terra, e colloca, infatti, la fine della Terza Era, l’era in cui

30

si svolgono le vicende narrate ne Il Signore degli Anelli, circa 6.000 anni prima dei

giorni nostri. (Danese:2006, pp. 28-29)

La storia dell’universo tolkeniano, chiamato Eä14, affonda le sue radici nella

Creazione. Così come nella cosmogonia cristiana, anche l’Eä viene creato da un

essere supremo, Eru Ilúvatar, la cui figura richiama indubbiamente la figura del

Dio cristiano, ipotesi che viene, in un certo senso, confermata dagli appellativi con

cui viene designato (Eru significa, infatti, in tutte le principali lingue elfiche, ‘uno,

l’unico’ e Ilúvatar, in quenya, significa ‘Padre del Tutto’)15. Inoltre, è possibile

ravvisare dei collegamenti con la mitologia finnica, di cui Tolkien era profondo

conoscitore: il nome Ilúvatar, infatti, ricorda quello di Ilmatar16, lo spirito che

generò il Mondo secondo la cosmogonia finnica narrata nel Kelevala.17

14 Eä è una parola del quenya che significa letteralmente ‘Sia!’ Già dalle origini viene rappresentato,
dunque, il potere della parola, dove è questa a dare forma al mondo. La leggenda narra, infatti, che
Eru, creò il Mondo pronunciando questa parola. (Danese:2006, p.21)
15 Cfr. Ambar Eldaron, Elvish Dictionary quenya-English English-quenya, 2015
16 Ilmatar (=lett. ‘figlia dell’Aria’), secondo la cosmogonia finnica, la genitrice il Mondo. La storia
narra la vita di questa fanciulla che, vivendo da sola nei recinti dell’aria, cominciò ad annoiarsi.
Perciò, discese verso il basso immergendosi su un mare infinito. A quel punto il vento alzò una
tempesta, facendo infrangere le onde su Ilmatar, che fu, così, fecondata dal vento e dal mare. «There
was a virgin, maiden of the air, lovely woman, a spirit of nature. Long she kept her purity, ever her
virginity in the spacious farmyards, on the smooth fields of the air. In time she got bored, her life
seemed strange in always being alone, living as a virgin in the spacious farmyards, in the vast wastes
of the air. Now indeed she comes lower down, settled down on the billows, on the broad expanse of
the sea, on the wide open sea. There came a great blast of wind, severe weather from the east; it
raised the sea up into foam, splashed it into billows.
The wind kept rocking the girl, a wave kept driving the virgin around about on the blue sea, on the
whitecapped billows. The wind blew her pregnant, the sea made her thick through. She carried a
hard womb, a stiff bellyful for seven hundred years, for nine ages of man. Nothing is bom, the self-
begotten fetus does not come free.
As mother of the water the virgin went hither and yon. She swims east, swims west, swims northwest,
south, swims along the whole horizon in the agonies of her burning gestation, with severe labor
pains. Nothing is bom, the self-begotten fetus does not come free..» (cfr. Harvard University Press;
F edition (March 15, 1985) The Kalevala: Or Poems of the Kaleva District Elias Lonnrot Jr. Francis
Peabody Magoun pp.4-5 )
17Il Kelevala (= lett. ‘Terra di Kaleva’, Kaleva era il padre della stirpe finlandese) è uno dei testi più
importanti della letteratura europea. Si tratta di una raccolta di canti popolari mitologici della cultura
finlandese, messi insieme dal medico, filologo finlandese Elias Lönrot. (Cfr. Treccani- Lönrot)

31

Tornando al nostro mito, Eru crea gli Ainur, spiriti generati dalla sua mente, e,

insieme a loro, comincia ad intonare un canto, la Musica degli Ainur (in quenya

Ainulindalë), a partire da cui si creerà Arda, la Terra. Non è che un abbozzo, il quale

non prenderà vita fin quando Eru non pronuncerà la

parola Eä. Dal coro si distacca un solo Ainur,

Melko, il quale, accecato da smanie di predominio

su Arda, trascina con sé altri Ainur, che si

accordarono con lui. Le cacofonie generate dalle

dissonanze di Melko furono le basi per la genesi

delle molteplici forme del Male.18

A questo punto, Ilúvatar creò Eä, il Mondo sferico in

mezzo al Vuoto, nel quale discesero alcuni degli

Figura 1

Ainur, e si impegnarono a portare a termine le opere di cui avevano avuto visione

nella musica, fino alla creazione di Arda, la futura

dimora dei Figli di Ilúvatar, ossia gli Elfi e gli

Uomini. Alla loro discesa segue una progressiva

diramazione dinastica (vedi Tabella 1), che diede

vita a miscugli di razze e popoli, con annesse

mutazioni della lingua che questi popoli parlavano.

Questo periodo comprende quattro ere, ricche di

Figura 2

avvenimenti e intrecci, guerre e battaglie, dove

l’eterna lotta tra il bene e il male resta sempre la protagonista indiscussa.

Non è possibile, qui, scavare approfonditamente tra le trame dell’intreccio, ma

18 «But now Ilúvatar sat and hearkened, and for a great while it seemed goog to him, for in the music
there were no flaws. But as the theme progressed, it came into the heart of Melkor to interweave
matters of his own imagining that were not in accord with the theme of Ilúvatar; for the sought
therein to increase the power and glory of the part assigned to himself. To Melkor among the Ainur
had been given the greatest gifts of power and knowledge, and he had a share in all the gifts of his
brethen. He had gone often alone into the void places seeking the Imperishable Flame; for desire
grew hot within him to bring into Being things of his own, and it seemed to him that Ilúvatar tookno
thought for the Void, and he was impatient of its emptiness. Yet he found not the Fire, for it is with
Ilúvatar. But being alone he had begun to conceive thoughts of his own unlike those of his brethen.»
(Tolkien J.R.R., The Silmarillion, Houghton Mifflin Harcourt, Cap. Ainulindalë; si precisa che è
stata consultata la versione ebook, pertanto, non potendo fornire indicazioni precise sulla pagine, ho
inserito il nome del capitolo nel quale trovare il passo citato).

32

questo breve accenno di mitologia tolkeniana basta a dare contezza della

complessità delle interconnessioni che il suo inventore ha sviluppato per creare un

mondo che fosse coerentemente ramificato tanto quanto le lingue che egli ha

inventato.

Tabella 1

Popolo: Quendi
Lingua: Quendiano o Elfico
Primitivo

Popolo: Eldar
Lingua: Eldarin

Popolo: Avari

Lingua: Quenya

Lingua: Telerin

Popolo: Vanyar
Lingua: Vanyarin

Popolo: Ñoldor
Lingua: Ñoldorin

Popolo: Falathrim
Lingua: Falathrin

Popolo: Sindar
Lingua: Sindarin

Popolo: Nandor
Lingua: Nandorin

Com’è possibile notare da questo albero genealogico19, gli intrecci e le diramazioni

che segnano i confini tra i diversi popoli corrispondono naturalmente a

diversificazioni linguistiche.

Le caratteristiche linguistiche della lingua quenya

Tolkien non si ispirò alla cultura finnica solamente per la tradizione mitologica, ma

anche per la creazione della lingua quenya. Moltissime somiglianze, infatti, sono

riscontrabili ad ogni livello linguistico (dalla fonetica alla morfologia e al lessico).

Le somiglianze sono talmente tante, e talvolta così evidenti, da spingere molto

studiosi delle lingue tolkeniane alla ricerca delle fonti ‘ispiratrici’ di Tolkien.

Naturalmente, non si dovrebbero interpretare tali somiglianze come una sorta di

plagio, piuttosto bisogna riconoscere come sia inevitabile il trasferimento di

elementi linguistici propri delle lingue che lo hanno maggiormente interessato; il

finnico era senza dubbio uno di quelle.

19 L’albero è stato ricostruito da me, seguendo le indicazioni riportate in Danese:2006 pp. 21-29. È
stato davvero difficile ricostruire l’albero, poiché la storia delle lingue tolkeniane è così legata agli
avvenimenti storici, agli spostamenti dei popoli, che molto spesso i confini tra l’una o l’altra lingua
sono davvero poco nitidi.

33

2.1.1.1 I suoni del quenya

Successivamente alla lettura di una traduzione del Kalevala, Tolkien si procurò

un’edizione originale della raccolta di canti popolari finnici, scontrandosi così, per

la prima volta, con i suoni di questa lingua: «Era come se scoprissi una cantina

piena di bottiglie di un vino squisito, di un tipo e con un sapore che non avevo mai

gustato prima. Mi inebriò davvero.» (Kloczko:2004, p. 163).

La lettura del Kalevala si rivelò una scoperta formidabile per Tolkien. L’interesse

verso ‘i suoni della lingua finnica’ era suscitato probabilmente dall’effetto acustico

che il susseguirsi di «trilli fonetici» generava.20

Questa sensazione di bellezza fonetica potrebbe provenire dalla sonorità del

finnico, cioè dalla percentuale di sillabe aperte, sillabe che terminano con una

vocale. È chiaro come, per un parlante anglofono, questa tipologia acustica sia

considerata qualcosa di insolito – visto che l’inglese conta per lo più sillabe chiuse.

Si potrebbe dire, dunque, che fu proprio questo aspetto del finnico a influenzare il

sistema fonetico del quenya. (Cfr. Danese:2006, p.34)

Per quanto riguarda l’accento, il quenya non devia dalle comuni regole osservate

dalle lingue naturali. Dunque, si ritrovano:

a) Parole di due sillabe, dove l’accento cade sulla prima sillaba e non viene indicato

graficamente (lasse);

b) Parole di tre o più sillabe, dove, se la penultima sillaba è lunga, riceve un accento

acuto, indicato graficamente (andúne, ‘ovest’), se, invece, la penultima sillaba è

breve, l’accento si sposta sulla terzultima (éleni, ‘stelle’) (cfr.Danese:2006,

p.72).

20 «Per noi sono ormai lontani i tempi meno smaliziati in cui perfino Omero poteva permettersi di
distorcere una parola in modo da adattarla a esigenze melodiche, o in cui erano concesse libertà
spensierate come nel Kalevala, in cui i versi possono adornarsi di trilli fonetici, come per esempio
in Enkä lähe Inkerelle, Penkerelle, pänkerelle (Kal.XI,55), oppure Ihveniä ahvenia, tuimenia,
taimenia (Kal.XLVIII,100), dove pänkerelle, ihveniä, taimenia sono «non significanti», puri e
semplici abbellimenti della melodia fonetica studiati per armonizzarsi a penkerelle, o tuimenia, che
invece «significano».» (Cfr. Tolkien:1931, p.311)

34

2.1.1.2 Morfologia

Il quenya è una lingua flessiva-sintetica, flessiva in quanto le diverse relazioni

grammaticali vengono espresse mediante l’aggiunta di un suffisso, sintetica in

quanto le varie funzioni grammaticali non vengono espresse da suffissi separati

(ciascuno per ogni funzione diversa), bensì attraverso un unico suffisso che

racchiude in sé le diverse funzioni (Cfr. Graffi-Scalise:2002 p.65).

Per quanto riguarda la flessione del nome, il quenya possiede quattro numeri: il

singolare, il duale, il plurale e il ‘plurale generale’ (Danese:2006, p.73).

La presenza del duale conferisce alla lingua le sembianze di una lingua arcaica. Il

duale era presente nell’indoeuropeo e, di conseguenza, fu trasmesso alle lingue

antiche, come il greco, il sanscrito, il gotico e il latino (dove però ha finito per

confluire in un unico ‘plurale’).

Il plurale si forma aggiungendo una –i ai nomi che terminano con una

consonante, oppure una –r quando terminano con una vocale.

Es. elen ‘stella’> eleni ‘stelle’

Ainu > pl. Ainur (Cfr. Danese:2006, p.74)

In riferimento agli aggettivi, il quenya possiede quattro desinenze: esistono

aggettivi in –a/-ya (unqua ‘vuoto’), –e (more ‘nero’), –ea (illomea ‘ombreggiato’)

e in –in (alcarin ‘radioso’).

Il grado dell’aggettivo, contrariamente al modo in cui si forma nella maggior

parte delle lingue europee, si forma non con suffissi, bensì con prefissi.

Il grado superlativo si esprime anch’esso mediante prefissi: «Aiya Earendil

Elenion Ancalima», cioè ‘Salve Earendil, il più brillante tra gli astri’. Da questa

frase si desume che li superlativo venga espresso attravero il prefisso an-, preceduto

dall’oggetto della comparazione al caso genitivo partitivo, con desinenza –o/-on

(elenion). (Danese:2006, p. 76)

Per quanto riguarda il grado comparativo, esso si forma mediante il prefisso

intensivo li-/lin-, seguito dal termine di comparazione al caso genitivo partitivo. Per

fare un esempio, la frase ‘il sole è più luminoso della luna’ verrà tradotto con

35

‘anar isilo lincalima’. Dove:

 Anar = sole

Isil+o =luna+ marca del genitivo partitivo

lin+calima = prefisso di comparazione accrescitivo (più) + ‘luminoso’.

La posizione dell’aggettivo è abbastanza flessibile, anche se, di norma, precede

il nome al caso nominativo e lo segue, invece, in tutti gli altri casi.

L’aggettivo possessivo viene espresso anch’esso mediante un suffisso da

aggiungere al nome a cui è riferito. Il possessivo si declina allo stesso modo dei

nomi. Facciamo un esempio: il suffisso per la terza persona singolare maschile è –

rya. Esso è declinabile al genitivo e risulta in –ryo (= ‘del suo’) oppure all’ablativo

plurale –ryallor. Quindi, per formare una frase ‘sulle vostre torri’, si avrà un’unica

parola, ossia mindolyannar, dove:

 mindo è il nome (caso nominativo);

-lya è il suffisso designato per la seconda persona plurale;

-nna è la desinenza dell’allativo;

-r è la marca del plurale.

I pronomi personali sono espressi attraverso due forme: una forma isolata e la

forma-suffisso da aggiungere al verbo. A scopo di chiarezza, si riporta, qui,

fedelmente, lo schema di Danesi (2006, p.78), dove viene specificato che le forme

asteriscate sono forme ricostruite.

Pron. Possessivo

Pron. Personale Isolato

Pron.Pers. Suffisso

I sing
II sing familiare

(i)nya
(e)lda, *-(e)lla

II sing cortese
III sing
III sing neutro
I plur. Esclus.
I plur. Inclus.
II plur familiare

-(e)rya
*-(i)sta
-lma, *-mma
-lva, *-ngwa
-lya

II plur cortesia

-lya

Inye
*etye, *-ecce

elye, *-elle
E

*elme, *(em)me
*elve, *engwe
*etye, *ecce

elye, *elle

-nye/-n
-tye/ -t,

-lle, -lye /-l
-ro/s(m)-re/s(f)

-lme, -mme
-lve, *ngwe
-tye/-t

-lle/ lye/-l

III plur

*-(i)nta

*elto (m)*elte (f).

-nte

36

Per quanto riguarda gli avverbi, quelli del quenya non possiedono particolari

caratteristiche morfologiche che permettano di distinguerli dalle altre parti del

discorso. La posizione dell’avverbio non è fissa, esso può trovarsi infatti all’inizio

o alla fine della frase. Inoltre, come la frase “Háya, vaháya sín Atalante”, cioè

‘Lontano, molto lontano è Atalante’, l’avverbio possiede diversi gradi. Infatti,

l’avverbio háya ‘lontano’ è preceduto dal prefisso va- che intensifica il significato

della parola cui si unisce.

Alla fine di questa sommaria analisi morfologica, non si possono lasciare inespresse

alcune considerazioni sul verbo. In quenya, dalla forma del verbo è possibile

riconoscere numero, tempo, voce e aspetto.

In quenya si distinguono sei tempi verbali: presente aoristo, imperfetto, passato,

futuro, futuro perfetto e ottativo.

Per quanto riguarda il modo verbale, la lingua presenta tre modi: indicativo,

ottativo e imperativo. L’ottativo e l’imperativo non hanno una coniugazione

propria, ma occorrono insieme ai verbi ausiliari o a particelle:

Es. machta = ‘combattere’

á machta! = ‘combatti!’

Imperativo

ava machta! = ‘non combattere!’

Es. nai matchalye = ‘Possa tu combattere’ Ottativo

Per quanto riguarda il modo indicativo, Tolkien, come accade per i verbi germanici,

suddivise i verbi in due macro-categorie: ‘classe forte’ e ‘classe debole’. I verbi forti

in quenya sono caratterizzati dal cambiamento della vocale radicale nella forma al

passato, ma, a differenza di quanto accade nell’anglosassone, non si tratta di un

cambiamento qualitativo, bensì di un cambiamento nella struttura consonantica

della radice.

Avendo già parlato del modo ottativo e dell’imperativo, si mostrerà, con una

tabella riassuntiva, il funzionamento del modo indicativo, con i relativi tempi a esso

connessi:

37

MODO INDICATIVO21

Tempi verbali:

PRESENTE

Come si forma:

Si allunga la vocale radicale e si aggiunge la desinenza –a.

Es. verbo debole = ulya ‘versare’> úlya

verbo forte = mel ‘amare’> méla

PERFETTO

Si assiste ad un aumento-raddoppiamento con l’aggiunta della

desinenza –ie.

Es. Utúvienyes ‘l’ho trovato’, dove:

u- = rappresenta il raddoppiamento della vocale radicale;

tuv- = verbo ‘trovare’ alla forma base;

-ie= suffisso che indica il tempo perfetto;

-nye= suffisso per il pronome personale;

-s= suffisso che indica il pronome personale oggetto (3°

pers. sing.).

PASSATO

Quando il verbo è debole, si forma mediante l’aggiunta del

Usato per eventi accaduti in un

suffisso –ne.

passato molto lontano.

Es. lanta ‘cadere’> lantane

Quando il verbo è forte, si esprime con lo stesso suffisso che,

però, si nasalizza nella radice stessa del verbo.

Es. mat ‘mangiare’> mante

FUTURO

Per i verbi deboli, si forma eliminando la vocale finale della

forma base del verbo e si aggiunge la desinenza –uva.

Es. lant ‘cadere’>lántuva (con accento sulla radice)

Per i verbi forti, la desinenza –uva si aggiunge alla forma base

del verbo.

Es. rer ‘seminare’22>réruva

AORISTO

In Eldarin comune, si forma con il suffisso –i che,

Usato per descrivere eventi che

successivamente in quenya classico si è trasformato in –e, ma

si verificano a prescindere dal

torna –i quando viene aggiunto un pronome personale.

tempo che passa.

Es. cari ‘costruire/fare’> care> 1° pers. sing. carinye

INFINITO

Per i verbi forti, si forma allo stesso modo dell’aoristo, ma nel

caso si debba aggiungere una desinenza che designi la persona

si deve inserire il suffisso –ta.

Es. caritas ‘farlo’.

Per i verbi deboli, si forma aggiungendo il suffisso –ie.

21 Cfr. Danese:2006, pp. 80-85
22 Cfr. Ambar Eldaron, Elvish Dictionary quenya-English English-quenya, 2015

38

PARTICIPIO

Anche in quenya abbiamo due forme di participio: una forma

Es. lanta ‘cadere’> lantie ‘caduto’

presente e una passata.

La forma presente si forma mediante l’aggiunzione del

suffisso –la.

Es. lanta ‘cadere’> lantala ‘cadente’

La forma passata, invece, si forma con il suffisso –na,

preceduto da una vocale che in genere è -i-.

Es. rer> *rer-i-na>*rerna (la i cade per sincope)

not ‘contare’> nótina

GERUNDIO

Viene anch’esso espresso con il suffisso –ie, come accade per

l’infinto, solo che, in questo caso, la suffissazione coinvolge

anche i verbi forti.

Es. enyal ‘commemorare’> enyalie ‘commemorando’

Infine, prima di accennare al sistema alfabetico elfico, una breve considerazione

sulla formazione delle parole.

Il quenya presenta molti composti, la cui formazione era uno degli esercizi

linguistici più importanti nel mondo ‘elfico’. La creatività linguistica (lámatyáve,

in quenya) era uno degli aspetti più importanti per un elfo; esisteva persino una

cerimonia, l’essecilme, in cui un elfo poteva comporre il suo stesso nome.

I composti lessicali possono formarsi sia attraverso prefissi, sia attraverso suffissi.

Si riportano brevemente alcuni esempi:

 Al (negazione). Al+ firin ‘mortale’> alfirin ‘immortale’

 Epe- (ripetizione). Epe+ esse ‘nome’> epesse ‘soprannome’

 Dur (servitore). Aran ‘re’+ dur> Arandur ‘servitore del re/ministro ’

(n)dil (amicizia, devozione). Elen ‘stella’ + dil> Elendil ‘amico delle stelle’

(nome di un re degli Uomini).

39

2.1.1.3 Alfabeti elfici

Nel periodo dell’antico quenya (nel 1179), l’elfo Rúmil inventò il primo alfabeto

elfico, il sarati.

Questo alfabeto è di tipo consonantico e considera le vocali come una coloritura

della consonante, rappresentata graficamente da segni diacritici.

Si riporta di seguito lo schema consonantico che propone Danesi (2006, p.88).

Segni diacritici vocalici

L’alfabeto di Rúmil non godette di grande successo, anche se servì, in un certo

senso, ad iniziare una tradizione di scrittura della storia.

Dopo circa settant’anni venne introdotto un nuovo sistema di scrittura, che

riprendeva le caratteristiche dell’alfabeto sarati, ma che risultava più semplice di

questo. Si tratta dell’alfabeto tengwar, creato dall’elfo Feanor; un sistema di segni

dal referente fisso. Costituì una sorta di modello di base che fu utilizzato per i vari

40

dialetti elfici. Ma il modello che Danese prende come riferimento è l’alfabeto

tengwar utilizzato per la lingua quenya.

Non potendoci dilungare troppo sul sistema alfabetico, si sottolinea solamente che

l’iniziale del nome di ciascun carattere, in genere, contrassegna il suono della lettera

stessa. Quindi la lettera

, numen indica la lettera n.

Infine, le lettere ordinate verticalmente sono numerate con i numeri romani e

indicano il luogo di articolazione:

I. Dentali (t, nd, th, nt, -n-, -r-)

II. Labiali (p, mb, f, mp, -m-, -b-)

41

III. Velari (c, ng, h, nc, ng, -nn-)

IV. Labiovelari (cw, ngw, hw, nqw, ngw, -v-)

I sei gradi indicano il grado di sordità, nasalità e spirantizzazione:

Grado 1. Occlusive sorde (t, p, c, qu)

Grado 2. Occlusive sonore nasalizzate (nd, mb, ng, ngw)

Grado 3. Fricative sorde (th, f, h, hw)

Grado 4. Occlusive sorde nasalizzate (nt, mp, nc, nqu)

Grado 5. Nasali (n, m, ng, ngw)

Grado 6. Utilizzato per le consonanti più deboli o semivocaliche (r, v, nn, w).

2.1.1.4 Conclusioni

Avendo tracciato una sommaria disamina del processo di creazione linguistica in

Tolkien, non resta che lasciarsi andare a qualche considerazione conclusiva.

La pietra miliare della storia del fantasy, Il Signore degli Anelli, la saga creata

da Tolkien tra il 1937 e il 1949 e pubblicata in tre volumi tra il 1954 e 1955, deve

sicuramente il suo successo alla concatenazione di tradizioni linguistiche, le quali

si intrecciano inevitabilmente ad un’attenta elaborazione mitologica.

Il romanzo, nel tempo, ha attirato le attenzioni di studiosi, autori o di semplici

appassionati del genere, i quali hanno dato vita a delle vere e proprie società

tolkeniane23, associazioni senza scopo di lucro che hanno come obiettivo la

divulgazione e la promozione delle opere tolkeniane, ispirate dalla prima società, la

Tolkien Society, con sede in Gran Bretagna.24

Inoltre,

la storia della Terra di Mezzo, ha

ispirato

la

trasposizione

cinematografica, diretta dal regista neozelandese Peter Jackson. La pluripremiata

trilogia25, uno dei più grandi progetti mai realizzati nella storia del cinema, è stata

23 http://www.jrrtolkien.it/jrr-tolkien/tolkien-in-italia/associazioni-tolkieniane/
24 https://www.tolkiensociety.org/
25 L’intera trilogia ha vinto complessivamente 17 premi Oscar:
-La compagnia dell’anello vince 4 premi Oscar nel 2001: Migliore fotografia, Miglior trucco,
Migliori effetti speciali, Miglior colonna sonora (Cfr.
http://awardsdatabase.oscars.org/Search/Nominations?filmId=3986&view=2-Film%20Title-
Alpha)
-Le due torri vince 2 premi Oscar nel 2002: Miglior montaggio sonoro, Migliori effetti speciali
(Cfr.http://awardsdatabase.oscars.org/Search/Nominations?filmId=3593&view=2-Film%20Title-
Alpha)

42

insignita del titolo di trilogia cinematografica con maggior incasso mondiale di tutti

i tempi, contando $2.917.421.382 di incassi totali, a fronte dei $281.000.000 spesi

per la produzione di tutta la trilogia.

Ma l’aspetto che più ci riguarda è sicuramente quello più prettamente linguistico.

Le lingue che Tolkien ha inventato non si limitano solamente all’elfico e ai suoi

dialetti. Per quanto riguarda le lingue elfiche26, egli provò a creare una lingua

partendo da quello che lui riteneva il modello perfetto di lingua, una lingua ‘bella’

– e cioè il quenya (Danese:2006, p.112). Ma non si limitò a questa lingua, egli creò

anche l’aspra lingua dei

nani o l’oscura Lingua

Nera (la lingua in cui è

scritta

la

frase

incisa

sull’Anello. Vedi Figura

3) o, ancora, la ‘brutta’

lingua degli orchi. Come

Figura 3
Danese fa notare (2006, p. 112) «È significativo comunque notare che egli abbia

affidato le lingue sgradevoli alle genti malvagie: è come se, nel suo mondo, la

disarmonia di una lingua rispecchiasse anche la grettezza e la bassezza di una razza

o di un popolo. Per questo le lingue elfiche risultano esser le più gradevoli di tutta

Arda.» Pertanto, è come se, in certo senso, Tolkien volesse comunicarci che ‘siamo

ciò che parliamo’; come se l’identità di un essere (sia esso umano, sia esso un

-Il ritorno del re vince11 premi Oscar nel 2003: Miglior film, Migliore regia, Migliore sceneggiatura
non originale, Migliore scenografia, Migliori costumi, Miglior trucco, Miglior montaggio, Miglior
(Cfr.
sonora, Miglior canzone.
speciali, Miglior colonna
sonoro, Migliori effetti
http://awardsdatabase.oscars.org/Search/Nominations?filmId=4237&view=2-Film%20Title-
Alpha)
26 Oltre al quenya, Tolkien inventa anche il Sindarin, cui in questa trattazione non è stato riservato
molto spazio, se non per un accenno. Un’analisi anche di questo sistema linguistico, ricco e
completo, avrebbe, infatti, rischiato di fuorviare da quelle che sono le intenzioni tematiche di questa
trattazione. Pertanto, si fornirà una breve descrizione, per non escluderla totalmente dalla trattazione.
Possiamo trovare informazioni dettagliate all’interno dell’opera di David Salo, il linguista che fece
da consulente linguistico per la realizzazione della trasposizione cinematografica della trilogia (cfr.
https://web.archive.org/web/20070221080323/http://www.ls.wisc.edu/ArtesLibv7n1.pdf, pag. 4).
Nel suo libro, Salo descrive il Sindarin come «the end product of a history set within his [di Tolkien]
created or “secondary” world. The peculiar characteristics of this Elvish language were imagined
as deriving from periods of separation, isolation, and renewed contact with other Elvish languages.»
Per un’analisi più approfondita cfr. David Salo, A Gateway to Sindarin: A Grammar of an Elvish
Language from J. R. R. Tolkien’s Lord of the Rings, 2007, University of Utah Press.

43

personaggio fittizio) dipendesse dalla musicalità o dalla cacofonia prodotta dalla

parola che esso pronuncia. Questo profondo interesse per la musicalità della lingua,

continuamente reiterato da Tolkien nel suo Un vizio segreto, viene avvalorato dalla

possibilità di applicarlo anche alle lingue vive. Tolkien scrive che «La parola come

musica […] scorre in sottofondo, ma raramente per scelta consapevole. Vi sono

momenti in cui ci fermiamo a domandarci come mai un verso o un distico

producano un effetto al di là del semplice significato delle parole, e allora lo

attribuiamo all’autentica magia del poeta, o lo definiamo con qualche altra

espressione ugualmente priva di senso.» Egli, in un certo senso, lamenta la poca

attenzione con cui viene recepito il legame tra la forma-vocabolo e la musicalità del

suono, che spesso si traduce con una frettolosa attribuzione dell’effetto a «tratti più

elementari come rima o allitterazione» (Tolkien:1931, p.310).

E continua dicendo che «nelle lingue vive questa scoperta è ancora più

emozionante, perché la lingua non è in sé elaborata per questo scopo, è solo in

occasioni rare e fortunate scopriremo di averla usata per dire esattamente quello che

volevamo, con pienezza di significato, usandola simultaneamente come un canto

spensierato.» Quindi, ciò che Tolkien ci dice indirettamente è, forse, che il segreto

per la creazione di una lingua che sia ‘perfetta’ risiede proprio nella consapevolezza

della corrispondenza parola-suono, che, accompagnata da un sottofondo

mitologico, si sposa insieme in un’incantevole danza al ritmo di quel ‘canto

spensierato’ per il quale egli è sempre partito alla ricerca.

44

2.2 Il na’vi di Paul Frommer

Un’immersione totale nel mondo delle conlangs27 non può che includere altri

progetti glossopoietici come quello

realizzato dal linguista americano Paul

Frommer per il colossal Avatar, il film

con più incassi nella storia del cinema28,

diretto dal regista James Cameron, nel

2009.

Figura 4

Una compagnia interplanetaria terrestre, la RDA, viene inviata per una missione sul

pianeta Pandora con l’obiettivo di recuperare delle risorse naturali che stanno per

esaurirsi sulla terra.

Tra le diverse specie che popolano il pianeta, c’è una popolazione di umanoidi

senzienti dalla pelle blu striata, i na’vi (vedi Fig.5), alti anche più di 3 metri, i quali

si trovano in profonda comunione con la natura. Per avvicinare gli abitanti di

Pandora, gli scienziati costruiscono degli avatar, cioè dei corpi, identici a quelli dei

na’vi, creati in laboratorio, mediante il mescolamento genetico del DNA umano e

na’vi. Ogni avatar è collegato ad una e una sola persona, la quale è, infatti, l’unica

a poterlo controllare. Il controllo viene esercitato attraverso una capsula, dove il

Figura 5

soggetto si distende e cade in

una sorta di sonno profondo,

trasferendo, in questo modo,

la coscienza – e l’anima –

dell’umano nell’avatar na’vi.

L’aspetto che ci interessa più

da vicino è senza alcun dubbio

la lingua na’vi, la quale prende, dunque, il nome dall’omonimo popolo che la parla.

L’ideatore della lingua na’vi, Paul Frommer, nel 2010, ha rilasciato un’intervista,

per la rivista digitale Rapporto confidenziale29, nella quale espone il suo modus

27 «Conlanging is the creation of constructed languages or conlangs, such as Esperanto, Lojban, or
Klingon. A conlanger is someone who creates or constructs languages or conlangs.» (Cfr.
https://conlang.org/)
28 https://www.boxofficemojo.com/alltime/world/
29 Matteo Milani, Un’intervista con Paul Frommer, ideatore del linguaggio alieno per Avatar,

45

operandi per la realizzazione della lingua aliena che il regista James Cameron gli

aveva commissionato.

L’intervistatore, Matteo Milani, dopo aver chiesto a Frommer informazioni

riguardo al suo incontro con Cameron, e su come il regista si sia messo in contatto

con lui, si addentra all’interno dell’aspetto più squisitamente linguistico.

Frommer spiega, dunque, quali fossero inizialmente le richieste ‘linguistiche’

che Cameron aveva avanzato, dicendo che egli voleva «un linguaggio completo,

con un sistema sonoro (fonologia), delle regole nella costruzione delle parole

(morfologia) e regole nel mettere insieme parole nelle frasi (sintassi), più un

vocabolario (lessico) che fosse sufficiente per le esigenze del copione. Egli

desiderava anche che il linguaggio avesse un suono piacevole e gradevole per il

pubblico»30. Continua poi dicendo che l’unica vera restrizione nella creazione di

questa lingua aliena risiedeva nel fatto che a parlarla sarebbero stati attori umani.

Quindi i suoni, per quanto singolari, avrebbero dovuto essere pronunciabili da un

apparato fonatorio umano. Oltre a questa motivazione strettamente pratica, c’era

un’altra motivazione. La lingua, ai fini della trama, doveva in qualche modo essere

semplice da imparare per rendere realistico l’apprendimento del na’vi da parte dei

protagonisti della storia che si approcciano alla popolazione aliena, imparandone

lingua, usi e costumi.

Ma concentriamoci adesso sulle basi secondo cui Frommer ha costruito il suo

linguaggio a posteriori.

Prima di tutto, Frommer spiega che non ha ideato la lingua ex novo, ma egli è

partito da 30/40 parole che Cameron stesso aveva inventato per la sceneggiatura,

per lo più elementi linguistici legati all’onomastica o alla toponomastica, parole che

quindi non necessitavano di una vera e propria struttura linguistica che fosse

coerente. Si trattava quindi di nomi che potevano essere inventati anche da gente

non competente in materia linguistica, essendo questi semplici suoni inventati a

piacere, secondo la fantasia di Cameron.

«Rapporto Confidenziale», (2010), n.24, pp. 46-49 (https://www.rapportoconfidenziale.org/wp-
content/uploads/2010/04/Rapporto_Confidenziale-numero24-high.pdf)
30 Ivi p. 47

46

 na’vi ‘il popolo’
 Omaticaya (Omatikaya) ‘il

 mikyun ‘orecchio’
 nari ‘occhio’

nome del clan’

 Éytukan ‘leader del clan

ireiyo ‘grazie’

Omaticaya, padre di Neytíri’

 Mó’at ‘sciamana del clan

Omaticaya, madre di Neytíri’

 Neytíri ‘erede di Mo’at’
 Eywa ‘Gaia, la divinità del

pianeta Pandora’

Iknimaya ‘un rito di
passaggio’

sa’atenuk (sa’nok) ‘madre’
 Toruk ‘L’ultima Ombra, il

più grande e temuto predatore
dei cieli di Pandora’

 Tsu’téy ‘erede al trono di

 Vitraya Ramunong ‘Albero

Éytukan ’

 Silwanin ‘sorella di Neytíri’

delle anime’

 Toruk Macto (toruk makto)
‘colui che cavalca Toruk’

 ctsahik (tsáhìk) ‘sciamano’

 uniltaron ‘un rito di

 Neytiri te Ckaha Mo’at’ite,

Neytiri Mo’at’ite ‘Neytiri dei
Tskaha, figlia di Mo’at’

 atokirina’ ‘il seme

dell’Albero delle Anime’

teylu ‘larva’

ikran ‘banshee’


taronyu ‘cacciatore’
seyri ‘labbro’

shahaylu (tsaheylu) ‘legame
neuronale’

iniziazione’

 Tsu’tey te Rongloa Ateyitan
’Tsu’tey dei Rongloa, figlio
di Ateyo’

 utraya mokri (utral

aymokriyä) ‘L’Albero delle
Voci’

 Beyral (Peyral) ‘un nome

femminile’

 olo’eyctan (olo’eyktan)

‘leader del clan’

 ontu ‘naso’
 Ninat ‘un nome femminile’

Le parole riportate in tabella31 hanno, quindi, dato a Frommer una precisa

indicazione sul tipo di effetto acustico a partire dal quale Cameron avrebbe voluto

sviluppare la lingua na’vi.

Dal momento in cui non si trattava più solamente di designare nomi di

personaggi o di luoghi, serviva adesso che qualcuno, competente in materia,

inventasse un sistema linguisticamente coerente per esprimere tutte le combinazioni

comunicative, necessarie per la sceneggiatura. Ed è qui che entra in gioco il lavoro

31 Le parole riportate sono state estratte dal copione del film, riportato integralmente nel sito
http://ecrannoir.fr/docs/JamesCameronAVATAR.pdf

47

di Frommer.

Durante l’intervista, il linguista espone le varie fasi della creazione della lingua,

cominciando dalla fonologia, che, in genere, è il primo aspetto su cui viene posta

l’attenzione nella costruzione linguistica.

«Per creare un certo interesse,» spiega Frommer «ho incluso un gruppo di suoni

che non si trovano spesso nelle lingue occidentali – suoni “eiettivi”, sorta di

scoppiettii come kx, px e tx.»32

Consultando il blog Language Log33, Frommer stesso espone seppur in maniera non

troppo approfondita, le caratteristiche della sua lingua, che saranno qui di seguito

riportate.

2.2.1 Fonetica e Fonologia

La lingua na’vi presenta venti consonanti, sette vocali, quattro dittonghi e due di

quelle che Frommer definisce “pseudovocali”, vale a dire rr e ll.

 Le consonanti

Eiettive

Occlusive sorde

Affricate

Fricative sorde

Fricative sonore

Nasali

Liquide

Semivocali

Labiale

Alveolare

Palatale

Velare

Glottidale

px

p

f

v

m

w

tx

t

ts

s

z

n

r [ɾ], l

y [j]

kx

k

ng [ŋ]

’ [ʔ]

h

Frommer aggiunge in nota che le consonanti affricate e fricative sorde, cioè quelle

segnate in verde, possono presentarsi come primo elemento di un nesso

consonantico posto ad inizio sillaba, mentre le consonanti eiettive, occlusive sorde,

32 «Rapporto Confidenziale», (2010), n.24, p.47
33 http://languagelog.ldc.upenn.edu/nll/?p=1977

48

nasali e liquide, e cioè quelle segnate in rosso, possono figurare in posizione finale

di sillaba.

 Le vocali

Anteriori Centrali

Posteriori

i [i]

u [u] Chiuse

ì [I] u [ʊ]

Quasi chiuse

e [ɛ]

ä [æ]

a [a]

o [o] Semi chiuse

Semiaperte

Quasi aperte

Basse

Il trapezio sopra riportato illustra, dunque, la disposizione delle vocali del na’vi

all’interno del trapezio vocalico. Un appunto deve essere fatto sulla u, la quale ha

due differenti pronunce: essa viene, infatti pronunciata [u] quando la sillaba è

aperta, mentre può essere pronunciata sia come [u] sia come [ʊ] nelle sillabe chiuse.

Quindi, la pronuncia della parola tsun34 ‘saper fare, essere capace’ può essere sia

[tsun] che [tsʊn], mentre il verbo lu ‘essere’ può essere pronunciato solamente [lu]

e non [lʊ].

Per quanto riguarda i dittonghi: il na’vi presenta aw [aw], ew [εw], ay [aj], ey

[εj].

 Struttura sillabica e vincoli fonotattici

Ogni sillaba contiene al centro una vocale o un dittongo e ognuno di essi, all’interno

di una parola, costituisce una sillaba separata e può, da solo, costituire una sillaba a

sé stante.

Ad esempio:  tsmukan ‘fratello’ è scomponibile in due sillabe tsmu-kan

 a (un demarcatore di attribuzione del livello di una proposizione) è

una sillaba a sé stante.

Per quanto riguarda la caratterizzazione compositiva della sillaba, le vocali e i

34 Tutte le parole Na’vi utilizzate in questo paragrafo come esempi sono state estratte dal dizionario
Na’vi on-line, disponibile al sito https://learnnavi.org/navi-vocabulary/

49

dittonghi na’vi possono essere preceduti da una o due consonanti, mentre possono

essere seguiti da una sola consonante. Potremmo, in questo modo, riassumere la

struttura sillabica: (C) (C) (V) (C), riportando, al seguito, qualche esempio.

1. Costruzione CCVC: stum ‘quasi’

2. Costruzione CVC: sur ‘sapore, gusto’

3. Costruzione CV: kä ‘andare’

Esistono, tuttavia, delle restrizioni su quali consonanti e in quale posizione

possono presentarsi. Ad esempio, qualsiasi consonante può comparire a inizio

sillaba, mentre solo alcune possono comparire alla fine della sillaba, cioè:

Eiettive:
px
Occlusive: p
Nasali:
m
Liquide:

tx
t
n
r, l

kx
k
ng

Per quanto riguarda i nessi consonantici, essi possono verificarsi solo in

posizione iniziale della sillaba e possono contare solamente due consonanti e nelle

seguenti combinazioni

f, s, ts + {p, t, k, px, tx, kx, m, n, ng, r, l, w, y}

le quali sono tutte attestate nel lessico, per un totale di trentanove combinazioni:

vospxì ‘mese’, tskxe ‘pietra’, ftxìlor ‘delizioso’, tsngan ‘carne’, fngap ‘metallo’, ne

sono solo alcuni esempi.

Inoltre, una sequenza composta da una consonante occlusiva, seguita da una

consonante liquida, sebbene non possa verificarsi a inizio di sillaba, può essere

comunque ritrovata in posizione mediana. Ma, in questi casi, la sillabazione

provvede alla divisione del nesso consonantico, come segue nell’esempio

sottostante. La parola:

– kakrel ‘cieco’ viene sillabata in questo modo kak-rel e non *ka-krel

– mokri ‘voce’ viene sillabata in questo modo mok-ri e non *mo-kri

Per quanto riguarda le pseudovocali, nelle sillabe con costruzione CV, le

consonanti liquide l e r possono sostituire le vocali. Quando le liquide vengono

utilizzate come vocali, esse subiscono un processo di geminazione, reso

50

graficamente con ll e rr, il quale si traduce con un consequenziale cambiamento

fonetico. La r, infatti, viene pronunciata con una forte vibrazione e la l non si

velarizza mai e viene pronunciata come una clear l.35

Riguardo ai nessi vocalici, il na’vi permette molte possibilità di sequenze

vocaliche in una stessa parola, dove ogni singola vocale risulterà in una sillaba a sé

stante.

Es. meoauniaea ‘armonia (con la natura)’ > me-o-a-u-ni-a-e-a (8 sillabe)

 Accento

L’andamento prosodico del na’vi è molto particolare e imprevedibile. L’accento,

infatti, deve essere sempre specificato per ogni singola parola, poiché esso ha

carattere fonematico, un cambiamento d’accento, cioè, comporta un cambiamento

semantico.

Es. tute [ˈtu.tɛ] ‘persona’ ≠ tute [tu.ˈtɛ] ‘persona (femmina)’

 Lenizione

Alcuni processi grammaticali causano un cambiamento di natura lenitiva. Tuttavia,

solo otto consonanti subiscono la lenizione, come lo stesso Frommer riferisce

attraverso il seguente schema esplicativo.36

Consonante

Lenizione

Esempio

Significato

Px, tx, kx

P, t, k

Ts

P, t, k

F, s, h

s

Txep> mì tep

fuoco> sul fuoco

Kelku> ro helku

casa> a casa

Tsmukan> aysmukan

fratello> fratelli

´ (Glottal Stop)

scompare

´eylan> fpi eylan

amico> per il bene di un amico

35 La l non velarizzata, conosciuta anche come clear l o light l, è una particolare realizzazione del
grafema /l/, che si verifica quando essa si trova prima o in mezzo a vocali. Il suono è prodotto con
la punta della lingua nell’area alveolare (ad esempio nelle parole lingua, luce), e ad esso si
contrappone la dark l, la quale ricorre alla fine di una sillaba oppure prima di vocali posteriori ed è
prodotta con la lingua che si avvicina al velo palatino (ad esempio nelle parole pull, milk, full). Gli
esempi, in questo caso provengono da una lingua diversa dall’italiano, il quale non possiede nel suo
sistema questa realizzazione fonetica. Alcune lingue, infatti, hanno solamente la l non velarizzata,
come l’italiano o il tedesco, altre possono o non averla oppure averla solo davanti a vocali anteriori.
(Cfr. Teaching Pronunciation: A Reference for Teachers of English to Speakers of Other Languages,
di Marianne Celce-Murcia, Donna M. Brinton, Janet M. Goodwin p.68)
36 http://languagelog.ldc.upenn.edu/nll/?p=1977

51

2.2.2 Classi lessicali e Morfologia

Il passo successivo alla formulazione di un piano fonetico è stato quello di

progettare un sistema morfologico. Frommer spiega nella sua intervista che «Poiché

questa è una lingua aliena, parlata su un altro pianeta, ho voluto includervi strutture

e processi che fossero relativamente rari nel linguaggio umano, ma che avrebbero

potuto essere acquisiti facilmente, soprattutto perché nella trama del film alcuni

personaggi umani imparano a parlare na’vi.»

Ma andiamo ad analizzare, con sguardo approfondito, le classi lessicali con

relative regole di derivazione morfologica.

 Nomi

I nomi vengono declinati secondo caso e numero, e, solo raramente, secondo il

genere.

Per quanto riguarda il numero, la lingua na’vi prevede quattro casi (singolare,

duale, triale e plurale) che vengono espressi mediante l’utilizzo di prefissi, ognuno

dei quali innesca un fenomeno di lenizione.

Ad esempio, nel caso della parola tokx ‘corpo’, il prefisso utilizzato per formare il

plurale, ay-, giustapponendosi alla parola, innesca una lenizione, la quale risulta

nella seguente catena di mutamenti morfologici

(1) Tokx> (2) ay + tokx> (3) aytokx>(4) aysokx> (5) sokx

Tra il passaggio (3) e (4) entra in gioco, dunque, il fenomeno di lenizione, come

previsto dalla tabella riportata sulla pagina precedente (pag. 51); mentre, nel

passaggio da (4) a (5), una volta verificatosi il processo lenitivo, la presenza della

marca del plurale ay- risulta ridondante, poiché la lenizione di t in s risulta già di

per sé un segno evidente di connotazione numerica plurale, e, pertanto, può essere

eliminato dalla parola.

Per quanto riguarda il caso, nomi e pronomi possono essere declinati secondo sei

casi: Nominativo, Agentivo, Pazientivo, Genitivo, Dativo e ‘Tematico’ (Topical).

È necessario sottolineare che i nomi e i pronomi declinati al caso ‘Tematico’

52

stabiliscono una leggera connessione semantica con la proposizione e possiedono

una vasta gamma di possibilità di utilizzo. Essi possono essere tradotti come ‘per

quanto riguarda’ o ‘riguardo a’, e così via, ma possono anche comparire laddove

sarebbe previsto un caso genitivo o dativo.

Il sistema dei casi è di tipo tripartito, vale a dire che esso distingue il soggetto

intransitivo, il soggetto transitivo e l’oggetto. Trattandosi di una lingua aliena,

Frommer ha voluto attribuire ad essa, infatti, delle caratteristiche linguistiche

plausibili, da un punto di vista ‘umano’, ma piuttosto insolite. Lo conferma egli

stesso nell’intervista con Milani: «E i nomi hanno un sistema di marcatura, noto

come sistema tripartito, un sistema possibile, ma piuttosto raro nelle lingue parlate

dagli umani.»37

 Pronomi

Esattamente come per i nomi, i pronomi possono avere una forma al singolare,

duale, triale e plurale. La prima persona (duale, triale e plurale) possiede due forme:

una inclusiva e l’altra esclusiva.

 Verbi

Il verbo del na’vi viene coniugato secondo il tempo verbale, l’aspetto verbale, modo

e l’atteggiamento del parlante, ma non secondo persona o numero.

La particolarità morfologica del verbo consiste nell’apposizione di infissi. Frommer

stesso ci spiega, in un certo senso, il perché di questa scelta: «La morfologia

verbale, per esempio, viene ottenuta esclusivamente attraverso infissi, che sono

meno comuni di prefissi e suffissi.»38

Gli infissi verbali si distinguono in due tipologie: gli infissi di prima posizione <1>

e quelli di seconda posizione <2>. Gli infissi di prima posizione <1> sono designati

per tempo, aspetto o modo. Inoltre, in questa posizione si possono ritrovare infissi

con valore participiale o riflessivo. La seconda posizione <2> è riservata per gli

infissi che esprimono l’atteggiamento del parlante nei confronti di ciò che dice – se

37 «Rapporto Confidenziale», (2010), n.24, p.47
38 Ibidem.

53

ha, quindi, un atteggiamento positivo o negativo, oppure se vuole esprimere un

determinato livello di incertezza della sua conoscenza.

Con i verbi aventi radice monosillabica, gli infissi di prima posizione

semplicemente precedono quelli di seconda posizione, mentre, con radici

multisillabiche, gli infissi di prima posizione si presentano nella penultima sillaba

e quelli di seconda posizione nella sillaba finale.

Si potrebbero, quindi, semplificare i suddetti concetti come segue:

Si ponga il caso di un verbo come taron ‘cacciare’, dove gli infissi di tempo e di

aspetto verbale vengono così espressi

Solo Tempo verbale

Con il significato di

Infissi

tìmaron

tayaron

Just now hunted

Will hunt

Solo Aspetto verbale

teraron

tolaron

Be hunting

Have hunted

-ìm-

-ay-

-er-

-ol-

Naturalmente, è possibile trovare entrambe le tipologie di affissi nello stesso verbo,

le quali vengono rese attraverso combinazioni di infissi in forma contratta:

Sia Tempo che Aspetto verbale Con il significato di

Infisso

tìrmaron

Was just now hunting

ìm + er

Il modo, invece, può essere espresso mediante appositi infissi (che occupano

stavolta la seconda posizione <2>), i quali consentono all’ascoltatore di cogliere

l’atteggiamento, sia esso positivo o negativo, che il parlante vuole conferire al

verbo. Si prenda come esempio il verbo monosillabico hum ‘partire’ e, ancora una

volta, il verbo multisillabico taron.

54

Infisso atteggiamento positivo

Infisso atteggiamento negativo

Verbo Monosillabico

-ei-

Hum> heium

-äng-

Hum> hängum

Infisso atteggiamento positivo

Infisso atteggiamento negativo

Verbo Multisillabico

-ei-

-äng-

Taron> teiaron

taron > tängaron

Infine, sia il modo che il tempo verbale possono combinarsi in un’unica parola nel

seguente modo:

Verbo base Tempo

Atteggiamento Risultato

Significato

taron

-ìrm-

-ei- [positivo]

tìrmareion

Was just now hunting

taron

-ay-

-äng- [negativo]

tayarängon

Will hunt

(con accezione negativa)

(con accezione positiva)

 Aggettivi

Gli aggettivi rimangono invariati e non vengono declinati. Essi si formano mediante

un prefisso derivazionale a partire da altre parti del discorso, le-.

4. trr ‘giorno’ → letrr ‘giornaliero’
5. fpom ‘pace’ → lefpom ‘pacifico’

 Adposizioni

Il na’vi prevede sia preposizioni che posposizioni, o meglio, le adposizioni possono

sia precedere che seguire le parole, senza che questo comporti alcun tipo di

mutamento semantico. Tuttavia, qualora esse seguissero la parola, dovranno essere

legate al nome o al pronome. Ad esempio, l’espressione ‘con te’ può essere tradotto

sia con hu nga che con ngahu, ma, nel secondo caso, i due elementi compositivi del

sintagma devono essere univerbati.

55

2.2.3 Sintassi

L’aspetto peculiare della sintassi del na’vi è la libertà di disposizione degli elementi

all’interno della frase. Il sistema dei casi permette tutte e sei le combinazioni

previste per le lingue naturali (SVO, SOV, OSV, OVS, VOS, VSO).

Per quanto riguarda il legame nomi e aggettivi, essi sono legati dal morfema a,

il quale si attacca all’aggettivo e la sua posizione è condizionata da quella del nome

a cui si riferisce. Il morfema, infatti, deve trovarsi sempre in posizione adiacente al

nome, come nell’esempio sotto riportato.

ngim ‘lungo’, kilvan ‘fiume’ > ngima kilvan o kilvan angim ‘lungo fiume’

2.2.4 Conclusioni

La disamina sopra condotta, a tratti più approfondita a tratti più superficiale, non

può che essere considerata un breve accenno alla grammatica della lingua, poiché

un’analisi completa e minuziosa non avrebbe di certo occupato le pagine che le

sono state dedicate in questa trattazione.

Inoltre, trattandosi di un sistema linguistico creato ad hoc per una popolazione

aliena protagonista di un film, non ritroviamo molta letteratura riguardante il

momento glossopoietico, se non qualche sporadico accenno da parte di Frommer in

qualche intervista. In altre parole, non esistono manuali di lingua na’vi da cui poter

attingere per un’analisi che vada più a fondo. Infatti, tutti gli elementi riportati nel

paragrafo 2.2 partono dall’analisi sommaria che Frommer ha disseminato tra varie

interviste e siti web (forum, blog), la quale è stata integrata con materiali sparsi per

il Web, materiali che, nonostante siano ‘amatoriali’, analizzano la lingua seguendo

degli ottimi criteri linguistici, che io stessa ho analizzato e che mi sembrano

plausibili e coerenti.

A questo punto, si potrebbe azzardare una considerazione sull’efficacia del

sistema linguistico ideato da Frommer, caricato di pregnanza comunicativa grazie

alla padronanza linguistica che gli attori hanno ottenuto dietro l’onnipresente guida

di Frommer, come lui stesso riferisce nella sua intervista con Milani. Infatti, alla

domanda di Milani riguardante le difficoltà incontrate nel rendere realistici e

credibili i dialoghi, Frommer risponde spiegando quanto questo effettivamente sia

56

stata «una vera sfida. Hanno dovuto imparare le loro battute in una lingua che

nessuno aveva mai sentito prima. Hanno dovuto imparare combinazioni di suoni

inusuali e recitarli in maniera convincente! Questo ha comportato non solo la

memorizzazione di frasi, ma anche la padronanza di intonazione al fine di porre

l’enfasi giusta nel posto giusto. Non è stato facile, ma il risultato è notevole. Ho

incontrato fuori dal set tutti e sette gli attori che dovevano parlare na’vi prima che

le loro scene venissero girate, per aiutarli con la pronuncia. Ho anche fornito loro

alcune registrazioni in mp3 perché potessero ascoltare e assimilare il dialogo.» 39

In conclusione, l’intervistatore chiede al nostro linguista se, per creare la sua

lingua, si sia ispirato a qualche conlang già esistente. Frommer risponde che

sicuramente il klingon creato da Mark Okrand per la serie Star Trek (di cui si parlerà

in maniera più approfondita nel prossimo paragrafo) ha giocato il ruolo della musa

ispiratrice. Egli, infatti descrive la lingua come «un lavoro imponente, una lingua

dal suono rozzo con una fonologia ed una grammatica complessa. Ci sono club

klingon in tutto il mondo, esiste addirittura una traduzione dell’Amleto in klingon!

Se il na’vi generasse lo stesso tipo di interesse, ne sarei felicissimo!»40

39 «Rapporto Confidenziale», (2010), n.24, p.48
40 Ibidem.

57

2.3 Il klingon di Mark Okrand

Ai fini di questa trattazione, non ci si poteva esimere dall’analizzare la lingua

artificiale, ideata da Mark Okrand per i film fantascientifici e per la serie televisiva

di Star Trek, il klingon, la lingua ufficiale dell’Impero klingon.

Il media franchise Star Trek nasce inizialmente con la serie classica, uscita per la

prima volta nel 1966, sotto la direzione di Gene Roddenberry, alla quale seguono

cinquant’anni di una serie televisiva composta da sei stagioni e tredici film.41

La Lingua klingon

Come qualsiasi lingua, sia essa artificiale, sia essa naturale, anche il klingon è

strettamente legato alla dimensione culturale. Esistono moltissimi dialetti klingon;

questa molteplicità deriva dal cambio dell’imperatore che sale al potere e dalla

lingua che lui parla. Infatti, quando un imperatore klingon viene sostituito, qualsiasi

sia il motivo, viene sostituita anche la lingua corrente con quella parlata

dall’imperatore che gli succederà. L’utilizzo del dialetto ufficiale presenta una

connotazione diastratica; infatti, i klingoniani che non lo parlano sono considerati

o stupidi/ignoranti oppure sovversivi, e vengono affidati loro quei compiti ritenuti

disgustosi dalle caste più alte della società.

Per quanto riguarda il klingon, in generale, i klingoniani sono fieri della loro

41 Le serie tv:
1) Star Trek: La serie classica (1966-1969) di Gene Roddenberry
2) Star Trek: La serie animata (1973-1974) di Gene Roddenberry (realizzata dalla FILMATION)
3) Star Trek: The Next Generation (1987-1994) di Gene Roddenberry
4) Star Trek: Deep Space Nine (1993-1999) di Rick Bearman, Michael Piller
5) Star Trek: Voyager (1995-2001) di Rick Bearman, Michael Piller, Jeri Taylor
6) Star Trek: Enterprise (2001-2005) di Rick Bearman, Brannon Braga
7) Star Trek: Discovery (2017-in corso) di Bryan Fuller, Alex Kurtzman
I film:
1) Star Trek – The Motion Picture (1979) di Robert Wise
2) Star Trek II – L’ira di Khan (1982) di Nicholas Meyer
3) Star Trek III – Alla ricerca di Spock (1984) di Leonard Nimoy
4) Rotta verso la Terra (1986) di Leonard Nimoy
5) Star Trek V – L’ultima frontiera (1989) di William Shatner
6) Rotta verso l’ignoto (1991) di Nicholas Meyer
7) Generazioni (1994) di David Carson
8) Primo contatto (1996) di Jonathan Frakes
9) Star Trek – L’insurrezione(1998) di Jonathan Frakes
10) Star Trek – La nemesi (2002) di Stuard Baird
11) Star Trek (2009) di J. J. Abrams
12) Into Darkness – Star Trek (2013) di J.J. Abrams
13) Star Trek Beyond (2016) di Justin Lin

58

lingua e spesso si intrattengono in discussioni riguardanti l’espressività e la bellezza

che questa lingua possiede. Ma nonostante l’alta considerazione che essi hanno del

klingon, essi lo riconoscono come un sistema linguistico non particolarmente adatto

alla comunicazione all’esterno dell’impero klingon. Pertanto, il governo klingon –

insieme ad altri governi – ha accettato l’inglese come lingua franca per le

comunicazioni intra- ed extra-galattiche. Di conseguenza l’inglese assume una

duplice funzione nella società klingon: da una parte è indice di erudizione e di

appartenenza alle alte caste della società, dall’altra è utilizzato come mezzo di

esclusione nei confronti delle caste più basse. Un ufficiale comandante klingon

potrebbe utilizzare il klingon per dare ordini al suo equipaggio, ma potrebbe

scegliere di utilizzare l’inglese quando non vuole essere capito dall’equipaggio

durante una conversazione con i suoi ufficiali. Oppure, potrebbe verificarsi anche

la situazione opposta, e cioè che un ufficiale klingon potrebbe parlare klingon in

presenza di un non-klingon per impedirgli di capire cosa sta succedendo

(Okrand:1992, pp.11-12).

Lasciando indietro il rapporto diglottico con l’inglese, ritorniamo adesso al

klingon. Inizialmente – e quindi nelle serie tv precedenti – gli attori parlavano solo

in inglese fino al rilascio del primo film nel 1979 (Star Trek – The Motion Picture).

In questo film, infatti, gli attori si limitavano a recitare suoni senza significato, ai

quali ponevano la giusta enfasi, caricandoli di forza comunicativa. Era solamente

grazie ai sottotitoli che era possibile capire cosa stessero effettivamente dicendo.

Successivamente, si cominciò a sentire l’esigenza di un vero e proprio sistema

linguistico e, dunque, i produttori decisero di assumere il linguista Mark Okrand

Figura 6

59

per creare dei veri dialoghi per la popolazione klingon. Il suo compito era quello di

creare una lingua che fosse tanto aliena quanto il loro aspetto particolare (come si

vede dalla Figura 6, infatti, questi alieni antropomorfi presentano una caratteristica

fronte increspata). La lingua doveva essere ‘estranea’ ma, allo stesso tempo,

pronunciabile da attori umani (lo stesso criterio utilizzato da Frommer per la

creazione del na’vi. Cfr. Paragrafo 2.2) ed essere coerente e simile ai gridi di

battaglia dei primi film.

Okrand non basò la sua lingua su una lingua naturale in particolare, ma ha

utilizzato le sue conoscenze linguistiche per costruirne una completa ed efficace.

2.3.1 I suoni del klingon

Ciò che la Paramount richiedeva, da un punto di vista fonetico, era una lingua

che fosse gutturale e aspra. Pertanto, Okrand selezionò suoni, i quali sarebbero stati

parte di combinazioni consonantiche inusuali nelle lingue naturali, come, ad

esempio, la d retroflessa in combinazione con la dentale t.

La pronuncia del klingon doveva essere necessariamente ‘forte’. Come scrivono,

umoristicamente, gli autori del klingon Language Institute, di cui si parlerà in

seguito (da questo momento in poi indicato con la sigla KLI) «Some of the sounds

may make the person you’re talking to a little wet. This is correct and to be

expected.»42

Per quanto riguarda il sistema alfabetico del klingon, chiamato pIqaD, esso può

essere rappresentato

con

lo

schema

riportato qui accanto.

Nonostante

esista,

dunque, un alfabeto

creato ad hoc per la

lingua da Michael Okuda43, si preferisce sempre utilizzare il sistema di scrittura

42 Cfr. https://www.kli.org/about-klingon/sounds-of-klingon/
43 Non ci sono prove certe che Okuda sia effettivamente il creatore dell’alfabeto, poiché egli – il
grafico di tutta la saga – si limita solo ad usare questo sistema alfabetico, non è detto che sia stato
effettivamente lui l’ideatore. Cfr. https://www.kli.org/about-klingon/writing-klingon/

60

basato sull’alfabeto latino fornito da Okrand stesso, il quale, naturalmente, non

poteva che inserire ad un sistema così ‘tipico e normale’ qualche insolita

caratteristica.

La particolarità ortografica del sistema di Okrand consiste, infatti, nell’utilizzo

alternato di lettere maiuscole e minuscole, che differisce dal modo in cui

solitamente vengono utilizzate nelle lingue naturali (ma anche nelle lingue

artificiali, dove questo aspetto raramente – almeno per quanto riguarda le lingue

finora analizzate – sembra essere preso in considerazione). In generale, si può

affermare che le lettere maiuscole sono utilizzate come ‘promemoria’, infatti esse

segnalano una differenziazione di pronuncia di quel suono rispetto all’inglese. Ma

non è solo una questione di segnalazione di una diversa pronuncia: a volte, la lettera

maiuscola, segnala un vero e proprio cambiamento di suono. Ad esempio, q e Q,

non sono gli stessi suoni pronunciati in maniera differente, ma due suoni

completamente diversi. «Confusing them would be like confusing f and g in

English», spiega il KLI44, il quale scrive anche di non confondere la lettera ’ con un

apostrofo. Il simbolo ’ , infatti, nella lingua klingon rappresenta una lettera a tutti

gli effetti.

Se vogliamo analizzare più da vicino i singoli componenti, dobbiamo fare

innanzitutto una distinzione tra consonanti e vocali.

44 Cfr. https://www.kli.org/about-klingon/sounds-of-klingon/

61

 Le consonanti e le vocali del klingon

Lo schema sottostante indica i suoni delle consonanti del klingon; mentre per

quanto riguarda le vocali, il klingon ne possiede cinque: a, e, I, o, u.

i
l
a
t
t
o
l
G

i
r
a
l
u
v
U

i
r
a
l
e
V

i
r
a
l
o
e
v
l
a
t
s
o
P

i
l
a
t
a
l
a
P

/

e
s
s
e
l
f
o
r
t
e
R

i
l
a
i
b
a
L

i
l
a
r
e
t
a
L

i
l
a
r
t
n
e
C

i
r
a
l
o
e
v
l
a
/
i
l
a
t
n
e
D

ʔ

ʰ
q

χ

x

ɣ

ŋ

ʃ
t

͡

ʒ

ɖ

ʂ

ɬ
t

͡

ʰ
t

ʰ
p

e
d
r
o
S

e
v
i
s
u
l
c
c
O

b

e
r
o
n
o
S

n

v

m

i
l
a
s
a
N

i
t
n
a
r
b
i
V

e
d
r
o
S

e
r
o
n
o
S

e
d
r
o
S

e
r
o
n
o
S

e
v
i
t
a
c
i
r
F

e
t
a
c
i
r
f
f

A

62

 L’accento

Ogni parola del klingon composta da più di una sillaba contiene in genere una

sillaba tonica (e cioè accentata), la quale viene pronunciata con un leggero

innalzamento di tono e con forza lievemente maggiore rispetto alle sillabe atone.

Nei verbi, di solito, quando la radice verbale è accompagnata da un suffisso, la

sillaba accentata è il verbo stesso. Se si vuole dare particolare enfasi al suffisso – e

quindi all’accezione che al verbo conferisce, l’accento può spostarsi sulla sillaba

del suffisso.

Nei nomi la sillaba accentata è di solito la sillaba immediatamente precedente al

primo suffisso nominale, oppure, se non è presente alcun suffisso, l’accento cade

sull’ultima sillaba.

Infine, ci sono casi in cui l’accento di una parola cade su una sillaba, in certi

contesti, e su un’altra, in altri contesti.

2.3.2 Morfologia

Per quanto riguarda le categorie grammaticali, Okrand ne distingue tre: nomi, verbi

e, come li definisce lui nel suo The Klingon Dictionary, «everything else».45

 Nomi

Si suddividono in: nomi semplici, nomi complessi.

I nomi semplici sono semplici parole come ad esempio QIH ‘distruzione’,

oppure DoS ‘target’.

I nomi complessi sono composti da due o più parole e possono, a loro volta,

essere suddivisi a seconda del loro criterio composizionale. Si distinguono:

 Compound nouns: possono essere formati da due o più parole poste

semplicemente in sequenza.

Es. jol ‘transport beam’+pa’ ‘room’ = jolpa’ ‘transportroom’

 Verbo + -wI’: al verbo si aggiunge il suffisso d’agente –wI’, così come accade in

inglese con il suffisso –er (work/worker= lavorare/lavoratore).

45 Cfr. Okrand:1985, p.19

63

Es. baH ‘sparare un siluro’ + -wI’ ‘colui che fa’ = baHwI’ ‘colui che spara un

siluro’

 Combinazione dei due metodi precedenti: poiché la costruzione verbo + -wI’

risulta un costrutto regolare a tutti gli effetti, essa può essere parte integrante di

un compound noun. Si prenda in considerazione la parola tIjwI’ghom ‘squadra

d’abbordaggio’, la cui composizione può essere ricostruita col seguente schema

tIjwI’ghom

tljwI’

ghom
group

tIj
board

-wI’

doer of an action

Esiste anche la possibilità che una parola abbia più di una sillaba, due o, più

raramente, tre sillabe, ma non viene considerato un nome complesso. Questi nomi

probabilmente si erano formati, in precedenza, combinando più nomi semplici, i

quali potrebbero non essere più in uso. Pertanto è impossibile risalire al significato

individuale dei suoi componenti.

L’esempio riportato da Okrand (1985, p. 21) permette di constatare una particolare

attenzione etimologica.

Si consideri la parola ‘ejDo’ (=navicella spaziale). La sillaba ‘ej ricorre anche nella

parola ‘ejyo’ (=flotta spaziale), quindi si presuppone una radice etimologica

collegata al concetto di ‘spazio’, ‘ej. Eppure non esiste nessuna parola del klingon

come ‘ej oppure Do. Dal momento che la parola per navicella dell’attuale klingon

è Duj, come se Do fosse la parola dell’Antico klingon usata per designare la

navicella, le cui tracce non sono pervenute se non nel nome ‘ejDo’. Naturalmente,

come afferma lo stesso Okrand (1985, p.21), seppur bisogna ammettere che

potrebbe esserci una parvenza di interesse etimologico, tutto questo ragionamento

rimane una mera congettura.

64

Suffissi Nominali

Tutti i nomi possono essere seguiti da uno o più suffissi, che possono o meno

ricorrere contemporaneamente. Esistono cinque tipi di suffissi, che verranno qui

analizzati più nel dettaglio. Se si verifica una compresenza, questi devono seguire

un preciso ordine, il quale può essere sintetizzato in questa sequenza

NOME — Tipo 1 — Tipo 2 — Tipo 3 — Tipo 4 — Tipo 5

Ogni tipologia di suffisso conta almeno due diversi suffissi, i quali non possono

ricorrere contemporaneamente nella stessa parola. Per cui, non si potranno avere

costruzioni lessicali *Nome + Suffisso X (Tipo 1) + Suffisso Y (Tipo 1).

Suffissi di Tipo 1:

Questo tipo di suffisso è quello che marca, in un certo senso, l’intensità del nome.

I suffissi di Tipo 1 si suddividono a loro volta in: augmentative, con il suffisso -’a’,

e diminutive, con il suffisso -Hom.

Per cui, si prenda in esempio la parola Sus ‘vento’.

Augmentative: -’a’ → Sus’a’ = forte vento

Diminutive: -Hom → SusHom = spiffero d’aria

Suffissi di Tipo 2:

I suffissi di Tipo 2 sono quelli destinati alla caratterizzazione quantitativa del nome.

In altre parole, sono quelle che portano informazioni riguardante il numero

(singolare/plurale).

Come in inglese, non esiste in klingon un suffisso specifico per la marca del

singolare (a differenza di quanto accade nell’italiano, dove abbiamo le desinenze –

o, -a, -e, che permettono di individuare, non solo il genere del nome, ma anche il

numero).

Dunque, come in inglese, in klingon un nome senza suffisso indicherebbe un nome

singolare. Eppure non è sempre così: la mancanza del suffisso indicante il plurale

65

non è da interpretare come la prova di un nome singolare. Un nome senza suffisso,

infatti, può riferirsi anche a più di un’entità, solo che, in questi casi, la pluralità

viene indicata o con un pronome (1), o con un prefisso verbale (2), o con una parola

piena (3), oppure la si deduce dal contesto.

Al fine di fare più chiarezza, è necessario riportare qualche esempio.

Si prenda il caso del nome yaS ‘ufficiale, ufficiali’. La parola può assumere sia il

significato singolare, che quello plurale, attraverso i sopracitati meccanismi

linguistici, i quali verranno adesso analizzati più nel dettaglio.

(1) Pronomi diversi

yaS jIH

(io) sono un ufficiale

yaS maH

(noi) siamo ufficiali

(2) Prefissi verbali

yaS vImojpu’

(io) sono diventato un ufficiale

yaS DImojpu’

(noi) siamo diventati ufficiali

(3) Parole piene
(grammaticalizzate)

tIjwI’ghom

‘squadra
d’abbordaggio’

tIjwI’ + ghom, dove ghom
significa di per sè ‘gruppo’

Nel caso (1), quello riguardante i pronomi, il numero del nome è deducibile

dall’accordo logico-grammaticale tra il nome e il pronome jIH ‘io’ oppure maH

‘noi’.

Nel caso (2), e quindi quello che concerne i prefissi verbali, considerando che moj

è il verbo ‘diventare’, si può notare che la marca del plurale è deducibile dai prefissi

vI- e DI-, che rappresentano sotto forma di enclitici rispettivamente i pronomi

personali ‘io’ e ‘noi’ (i prefissi verbali saranno approfonditi a pag. 73).

Nel caso

(3),

infine, si assiste ad un vero e proprio processo di

grammaticalizzazione, dove ghom è, in klingon, una parola ‘lessicale’, quindi

possiede un significato pieno, ovvero quello di ‘gruppo’. La parola, nell’esempio

riportato, si grammaticalizza e, quindi, si trasforma in parola grammaticale che

viene utilizzata per formare concetti che coinvolgono gruppi di persone. In altre

66

parole, diventa un suffisso per moltiplicare il numero di ciò che è espresso dal nome.

Si vedano altri esempi:

mang

mangghom

mu’

mu’ghom

Soldato

Esercito

Parola

Dizionario

Tuttavia, oltre ai casi particolari di cui sopra si è discusso, il klingon, in genere,

utilizza una formazione del plurale piuttosto regolare, con i suoi precisi suffissi:

⸭ -pu’ → è il suffisso utilizzato per gli esseri capaci di utilizzare un linguaggio.

Esso può essere usato per indicare un insieme di klingoniani, Romuliani,

Vulcaniani eccetera, ma non per animali, piante, oggetti, entità astratte, e così

via.

Es. Duy emissario > Duypu’ emissari

⸭ -Du’→ è il suffisso plurale delle parti del corpo appartenenti ad esseri capaci

di utilizzare un linguaggio, ma anche di animali.

Es. qam piede > qamDu’ piedi

tlhon narice > tlhonDu’ narici

⸭ -mey→ è il suffisso che viene utilizzato per formare il plurale di qualsiasi

nome, tranne che per le parti del corpo.

Es. yuQ pianeta > yuQmey pianeti

Quando –mey viene utilizzato per formare il plurale di nomi riferiti a esseri capaci

di usare un linguaggio, il suffisso conferisce un’idea di ‘sparso, sparpagliato

ovunque’. Si confronti:

puq bambino

puqpu’ bambini

puqmey bambini dappertutto

67

Infine, alcuni nomi in klingon sono sempre plurali nel significato, come accade

per i nomi collettivi nell’italiano, e non prendono mai il suffisso del plurale. In

altre parole, sono già nomi plurali e, inoltre, le loro corrispondenti forme singolari

sono parole totalmente diverse:

ray’ obiettivi

DoS obiettivo

cha siluri

peng siluro

chuyDaH propulsori

vIj propulsore

Suffissi di Tipo 3

Questo tipo di suffisso è di tipo ‘qualitativo’ e serve a indicare l’atteggiamento del

parlante nei confronti del nome che utilizza oppure a esprimere quanto egli è sicuro

dell’appropriatezza nel nome. Esistono tre suffissi appartenenti a questa categoria:

⸭ -qoq→ conferisce al nome una particolare sfumatura di significato. Si potrebbe

dire che è il suffisso utilizzato per sottintendere il concetto di ‘cosiddetto’.

Es. rojqoq ‘la cosiddetta pace’ → da roj (=pace) + -qoq

In questo caso, il parlante non crede davvero che la pace sia legittima oppure

che non durerà ancora per molto; in caso contrario avrebbe utilizzato

semplicemente la parola roj.

⸭ -Hey→ si potrebbe tradurre come ‘apparentemente’. Viene utilizzato quando il

parlante è quasi sicuro che il nome usato per designare l’oggetto sia preciso e

appropriato, ma nutre ancora qualche dubbio. Okrand (1985, p.25) riporta

l’esempio molto esaustivo di due ufficiali che guardano un radar e, al comparire

di un puntino sospetto, uno dei due chiede all’altro di cosa potrebbe trattarsi e

l’altro risponde DujHey ‘sembra essere una navicella’, invece di utilizzare

semplicemente il nome klingon per navicella, Duj. Questo esempio viene

portato avanti per spiegare meglio anche il prossimo e ultimo suffisso.

⸭ -na’→ indica che non c’è dubbio nel parlante sull’appropriatezza del termine

che utilizza. Continuando con l’esempio di prima, l’ufficiale a cui è stata posta

68

la domanda adesso guarda fuori dalla cabina di comando e avvista la navicella,

quindi adesso i suoi sospetti sono stati confermati. Allora si rivolge di nuovo

all’altro ufficiale e dice Dujna’, ‘decisamente/indubbiamente una navicella’.

Suffissi di Tipo 4

I suffissi di Tipo 4 fanno parte della categoria di suffissi più numerosa. Tra i

principali suffissi in questa categoria ritroviamo gli aggettivi possessivi e

dimostrativi.

Aggettivi Possessivi

Suffisso possessivo

Significato

Esempi con juH (=casa)

-wIj

-lIj

-Daj

-maj

-raj

-chaj

mio

tuo

suo

nostro

vostro

loro

juHwIj = casa mia

juHlIj = casa tua

juHDaj = casa sua

juHmaj = casa nostra

juHraj = casa vostra

juHchaj = casa loro

Per esprimere, invece, la costruzione ‘nome X possiede nome Y’ non viene

utilizzato nessun suffisso: la possessione è data dall’ordine sintattico dei costituenti,

il quale deve necessariamente seguire un ordine fisso

(1) POSSESSORE + (2) POSSEDUTO

jagh

(=nemico)

nuH

(=arma)

jaghnuH (=l’arma del nemico)

Aggettivi dimostrativi

Anche i dimostrativi vengono espressi tramite dei suffissi. Essi restano invariati

69

anche se riferiti ad un nome plurale. Si vedano i seguenti esempi con nuH ‘arma’ e

yuQ ‘pianeta’.

 -vam ‘questo’

 -vetlh ‘quello’

Es. nuHvam → quest’arma

Es. nuHvetlh → quell’arma

yuQvam → questo pianeta

yuQvetlh → quel pianeta

Suffissi di Tipo 5

Questo tipo di suffissi svolgono la funzione di marcatori sintattici. In altre parole

sono utilizzati per espletare la funzione del nome all’interno della frase.

Come in inglese (ma anche in italiano), il soggetto e il complemento oggetto

sono individuabili dalla posizione che occupano nella frase.

Julie loves Mark

Mark loves Julie

Anna saluta Claudia

Claudia saluta Anna

Allo stesso modo, anche il klingon utilizza l’ordine dei costituenti per determinare

la funzione del nome (cfr. par. 2.3.3), ma questa condizione vale solamente per la

determinazione del soggetto e del complemento oggetto. Per tutte le altre funzioni,

che in inglese e italiano vengono espresse attraverso preposizioni, in klingon

vengono espresse mediante suffissi.46

 -Daq→ il suffisso indica che qualcosa accade nel luogo in cui si trova il nome a

cui è attaccato. Esso corrisponde all’elemento che in inglese è introdotto dalla

preposizione to, in, at, on, e, in italiano, dalla preposizione in. In altre parole,

esprime lo stato in luogo.

Klingon

Inglese

Italiano

pa’Daq jIHtaH

I’m in the room

Sono nella stanza

46 Verranno riportati i suddetti suffissi del Klingon, i quali verranno messi a paragone con la lingua
inglese e con quella italiana.

70

 -vo’→ questo suffisso è simile al prefisso –Daq, ma viene utilizzato quando

un’azione si sposta via dal nome a cui è attaccato.

Klingon

Inglese

Italiano

pa’vo’ yIjaH

Leave the room!

Esci dalla stanza!

 -mo’→ esprime la causa dell’azione espressa.

Klingon

Inglese

Italiano

SuSmo’ joqtaH

It [the flag]is fluttering

La bandiera sventola a

because of the breeze

causa della brezza

 -vaD→ questo suffisso viene utilizzato per esprimere lo scopo dell’azione

oppure indica che il nome a cui esso è attaccato è il beneficiario dell’azione, la

persona o la cosa per cui l’azione si verifica.

Klingon

Inglese

Italiano

Qu’vaD lI’ De’vam

This

information

is

Questa informazione è

useful for the mission

utile per la missione

 -’e’ → questo suffisso viene utilizzato per enfatizzare che il nome a cui esso è

attaccato è il topic della frase. In inglese, questa funzione è svolta da accorgimenti

prosodici o da speciali costruzioni sintattiche. Si veda l’esempio riportato sotto.

Klingon

Inglese

Italiano

lujpu’ jIH’e’

I, and only I, have failed

Io, e solo io, ho fallito

It is I who has failed

Sono io che ho fallito.

Una volta presa visione dei suffissi e dei princìpi di composizione morfo-sintattici,

si può procedere a qualche esempio che riassuma i sopracitati processi e metta in

pratica la regola prescrittiva dell’ordine composizionale dei suffissi.

71

QaghHommeyHeylIjmo’

A causa dei tuoi piccoli errori

Qagh (nome)

-Hom (suff. Tipo 1)

-mey (suff. Tipo 2)

-Hey (suff. Tipo 3)

-lIj (suff. Tipo 4)

-mo’ (suff. Tipo 5)

pa’wIjDaq

pa’(nome)

-wIj (suff. Tipo 4)

-Daq (suff. Tipo 5)

Duypu’qoqchaj

Duy’(nome)

-pu’ (suff. Tipo 2)

-qoq (suff. Tipo 3)

-chaj (suff. Tipo 4)

rojHom’e’

roj’(nome)

-Hom’ (suff. Tipo 1)

-’e’ (suff. Tipo 5)

 I verbi

=errore

Suffisso Diminutivo

Suffisso Plurale

Suffisso ‘qualitativo’

=tuo, Suffisso Possessivo

Suffisso di Causalità

Nel mio ambiente

=ambiente

=mio, Suffisso Possessivo

Suffisso Locativo

I loro cosiddetti emissari

=emissario

Suffisso Plurale

Suffisso (=cosiddetto)

=loro, Suffisso Possessivo

La tregua

=pace

Suffisso Diminutivo

Suffisso ‘topic’

La maggior parte dei verbi del klingon consistono di forme monosillabiche, alle

quali possono essere aggiunti diversi affissi. A differenza dei nomi che ammettono

solamente l’aggiunzione di suffissi, i verbi ammettono anche i prefissi. Un’altra

cosa che i verbi hanno in comune con i nomi è che esistono diverse tipologie di

suffissi e che, anche in questo caso, devono seguire un ordine fisso. La struttura di

un verbo klingon può essere rappresentata con il seguente schema

PREFISSO – VERBO – SUFFISSI di TIPO: 1-2-3-4-5-6-7-8-9

72

Prefissi verbali pronominali

Qualsiasi verbo del klingon contiene un prefisso che indica chi o cosa compie

l’azione descritta dal verbo oppure chi o cosa subisce l’azione. Vale a dire che i

prefissi verbali indicano sia il soggetto che l’oggetto diretto della frase.

Una delle particolarità di questa lingua è che i prefissi verbali si fondono a

seconda della presenza dell’oggetto della frase, dando vita a nuovi prefissi. Se il

complemento oggetto è presente, la scelta del prefisso sarà determinata da

quest’ultimo. La tabella deve essere letta come una sorta di Quadrato di Punnett47,

dove, la colonna Nessuno (1) viene utilizzata quando nella frase non è previsto

l’oggetto diretto, per tutti gli altri casi, invece, si combinano le righe con le lettere

con le colonne numerate. I segni ‘–’ indicano che non è possibile creare una

combinazione e lo ‘0’ indica l’assenza del prefisso.

Oggetto

(1)

(2)

(3)

(4)

Soggetto Nessuno me

you

Him/her/it

(a)

(b)

I

You

(c) He/She/It

(d)

(e)

(f)

We

You

They

jI-

bI-

0

ma-

su-

0

qa-

cho-

mu- Du-

tu-

pI-

mu-

nI-

vI-

Da-

0

wI-

bo-

lu-

(5)

us

ju-

nu-

che-

nu-

(6)

(7)

you

them

Sa-

vI-

lI-

re-

lI-

Da-

0

DI-

bo-

0

Per maggiore chiarezza, è necessario riportare un paio di esempi, poiché si tratta

di un sistema di composizione atipico nelle lingue naturali. Si prenda in esame il

verbo ‘vedere’, legh:

6. ‘Io vedo’ → jIlegh→ si combinano gli elementi (a)+(1)

7. ‘Egli vede’→ legh→ si combinano gli elementi (c)+(1)

8. ‘Io vedo te’→ qalegh→ si combinano gli elementi (a)+(3)

9. ‘Noi vediamo loro’→ DIlegh→ si combinano gli elementi (d)+(7)

47 Il quadrato di Punnett è un diagramma ideato dal genetista Reginald Punnett e utilizzato in biologia
per determinare la probabilità con cui si manifestano i diversi fenotipi derivati dall’incrocio di diversi
genotipi. Il quadrato di Punnet è praticamente una matrice che combina, esattamente come nella
nostra tabella, i vari incroci genetici.

73

Suffissi Verbali

In klingon ci sono nove tipi di suffissi verbali. Così come accade per i nomi, essi

devono essere disposti secondo un ordine fisso e non possono comparire

contemporaneamente ad un altro suffisso appartenente alla stessa tipologia.

Poiché il numero dei suffissi è molto elevato, non potranno essere riportati tutti, ma

verranno presentati solo i principali.

Suffissi di Tipo 1

 -’egh→ (=se stesso) questo suffisso è usato quando l’azione descritta dal verbo

ricade sull’attante, il soggetto. Il tipo di prefisso da usare in questi casi (senza un

oggetto) è, dunque, quello della colonna Nessuno (1) della Tabella riportata nella

pagina precedente.

Es. jIqIp’egh ‘Mi colpisco (lett. io colpisco me stesso)’ [qIp=colpire]

bIqIp’egh ‘Ti colpisci (lett. tu colpisci te stesso)’

 -chuq→ (=l’un l’altro) questo suffisso viene usato solamente quando il soggetto

è plurale.

Es. maqIpchuq ‘Noi ci colpiamo (lett. noi ci colpiamo l’un l’altro)’

Suffissi di Tipo 2

I suffissi di questa categoria esprimono quanto il soggetto è predisposto a compiere

l’azione.

 nIS→ (=necessità) Es. qaleghnIs ‘Ho bisogno di vederti’

bISopnIS ‘Hai bisogno di mangiare’ [Sop= mangiare]

 -qang→ (=essere disposto a) Es. qaja’qang ‘Sono disposto a dirtelo’ [ja’=dire]

Heghqang ‘Egli è disposto a morire’ [Hegh=morire]

 -vIp→ (=paura) Es. choHoHvIp ‘Hai paura di uccidermi’ [HoH= uccidere]

muqIpvIp ‘Loro hanno paura di colpirci’ [qIp=colpire]

Suffissi di Tipo 3

Questi suffissi indicano che l’azione descritta dal verbo riguarda un cambiamento

di cose che si verifica prima che l’azione abbia luogo.

74

 -choH→ viene utilizzato per i cambiamenti di stato o di direzione.

Es. maDo’choH ‘stiamo diventando fortunati’ [Do’=essere fortunati]

Suffissi di Tipo 4

Questo tipo di suffissi indica che il soggetto sta innescando un cambiamento di una

condizione o generando una nuova condizione.

 -moH→ (=causa) Es. tIjwI’ghom vIchenmoH ‘Io formo una squadra di

abbordaggio’ [tIjwI’ghom= squadra di abbordaggio; chen=dare forma]

Suffissi di Tipo 5

Ci sono solo due suffissi in questa categoria:

 -lu’→ questo suffisso viene usato per indicare che il soggetto è sconosciuto.

Es. Soplu’ ‘Qualcuno lo mangia’ [Sop=mangiare]

 -laH→ questo suffisso viene utilizzato per esprimere la possibilità e l’abilità di

fare qualcosa. Corrisponde, in altre parole, al can/be able dell’inglese.

Es. jIQonglaH ‘Posso dormire’ [Qong= dormire]

choleghlaH ‘Puoi vedermi’ [legh= vedere]

nuQaw’laH ‘Egli/ella può distruggerci’ [Qaw’= distruggere]

Suffissi di Tipo 6

I suffissi che fanno parte di questa categoria sono quelli che mostrano quanto certo

è il parlante nei confronti di ciò che viene detto.

Se ne contano tre:

-chu’→ (=chiaramente, perfettamente)

Es. jIyajchu’ ‘Capisco perfettamente’ [yaj=capire]

 -bej→ (=certamente, indubbiamente)

Es. chImbej ‘è indubbiamente vuoto’ [chIm= essere vuoto]

75

 -law’→ (=apparentemente)

Es. chImlaw’ ‘sembra essere vuoto’

nuSeHlaw’ ‘sembra che [egli/ella] ci stia controllando’ [SeH=controllare]

Suffissi di Tipo 7

I Suffissi della categoria 7 sono quelli riguardanti l’aspetto del verbo. Il klingon non

esprime formalmente i tempi verbali, ma essi emergono dal contesto o da parole

della frase che specifichino la dimensione temporale in cui l’azione si svolge (ad

esempio avverbi di tempo, quali wa’leS ‘domani’).

Eppure, pur non avendo una marca dell’aspetto verbale, la lingua utilizza dei

mezzi per esprimere se un’azione è completa o non ancora, o se un’azione è un

evento unico o continuato.

Inoltre, l’assenza del suffisso di Tipo 7 indica che l’azione non è completa e non è

continua e i verbi senza questi suffissi vengono tradotti in inglese con il Present

Simple.

 -pu’→ questo suffisso indica che l’azione è completa, quindi riguarda la

perfettività del verbo.

Es. vIneHpu’ ‘Io li volevo’ [neh=volere]

 -taH→ il suffisso indica che un’azione è in corso.

Es. nughoStaH ‘Si sta avvicinando a noi’ [ghoS=avvicinarsi]

Suffissi di Tipo 8

C’è solo un suffisso in questa categoria e viene utilizzato per esprimere educazione

e deferenza. Esso viene utilizzato quando ci si rivolge ad un superiore, o qualcuno

appartenente ad un rango superiore nella scala sociale.

 -neS→ Es. qaleghneS ‘Io sono onorato di vederti’ [legh= vedere]

Suffissi di Tipo 9

La categoria 9 dei suffissi è simile a quella di Tipo 5 per i suffissi dei nomi. Questi

76

suffissi tracciano il ruolo del verbo all’interno della frase e verranno brevemente

schematizzati nella tabella riportata qui di seguito.

Suffisso

-DI’

-chugh

-pa’

Significato/Ruolo Esempio

Traduzione

‘Quando’

qara’DI’

‘Quando te lo

ordino’

‘Se’

choja’chugh

‘Se me lo dici’

‘Prima di..’

choja’pa’

‘Prima che tu mi

dica’

-vIS

‘Mentre’

bIQongtaHvIS

‘Mentre stai

dormendo’

-bogh

Frase relativa

qIppu’bogh yaS

‘L’ufficiale che

l’ha colpito’

-meH

‘Per’ (scopo)

jagh luHoHmeH

‘Cercano il nemico

lunejtaH

per ucciderlo’

Domanda si/no

cholegh’a’

‘Mi vedi?’

yaj’a’

‘Lui mi capisce?’

‘Colui che fa…’

joqwI’

‘Bandiera’

[joq=sventolare]

-’a’

-wI’

 Aggettivi

In klingon non esistono aggettivi, o meglio, essi non vengono distinti in una

categoria a parte. I significati portati dagli aggettivi vengono espressi in klingon

attraverso i verbi stessi. In klingon, infatti non esiste il concetto di ‘stanco’ come

mera qualificazione del nome, ma esso viene espresso tramite predicato nominale,

come l’esempio che segue:

‣ puq ‘bambino’; Doy’ ‘essere stanco’ → puq Doy’ = bambino stanco

‣ Dujmey ‘navi’; tIn ‘essere grande’→ Dujmey tIn = grandi navi

 Altri tipi di parole

Ciò che Okrand nel suo The Klingon Dictionary inserisce nella categoria

«everything else», sono tutti quegli elementi linguistici che non sono né nomi né

verbi. In sostanza, si parla di pronomi (questa volta però intesi come singole parole

77

indipendenti e non come suffissazioni pronominali che si attaccano ai verbi),

numeri, congiunzioni, avverbi, esclamazioni, nomi e appellativi. Queste parole non

verranno, però, analizzate, poiché non presentano caratteristiche particolari come

le costruzioni morfologiche riguardanti i nomi e i verbi. Per un approfondimento

esaustivo, si rimanda al libro di Okrand, The Klingon Dictionary.

2.3.3 Sintassi

La struttura fraseologica di base del klingon è

OGGETTO – VERBO – SOGGETTO

A differenza dell’inglese, che ha una struttura sintattica di tipo SVO (come anche

l’italiano), questo tipo di disposizione sintattica prevede il soggetto sulla destra e il

complemento oggetto sulla sinistra. L’importanza dell’ordine delle parole

all’interno di una frase può essere sottolineata dall’esempio che Okrand stesso

riporta nel suo libro. (Okrand:1985, p.60)

puq= bambino; legh= vedere; yaS= ufficiale

puq legh yaS→ l’ufficiale vede il bambino

yaS legh puq→ il bambino vede l’ufficiale

In entrambe le frasi non ci sono elementi che ci permettano di capire chi compie

l’azione e chi la subisce, l’unico modo di individuare il ruolo degli attanti è quello

di rintracciare la posizione che occupano all’interno della frase.

2.3.4 Conclusioni

Ci sarebbero troppe altre cosa da dire, da approfondire. Strutture degne di nota da

analizzare, eppure non basterebbe nemmeno tutta questa trattazione per indagare la

lingua nella sua interezza.

Ciononostante, era necessario inserirla (seppur a grandi linee) in questo lavoro sulle

conlangs, poiché il klingon è probabilmente la lingua artificiale che tra tutte ha

avuto maggior seguito nella storia. Tutte le altre lingue vengono sì studiate,

analizzate, ad esse vengono dedicati interi corsi nelle università più prestigiose che

78

si occupano di analizzarle e studiarle, ma il klingon occupa un posto privilegiato

nella scala d’importanza (se così si può definire) delle conlangs.

Prima di tutto, si deve riconoscere l’importanza di avere dietro di sé un’istituzione

linguistica creata con lo scopo di promuovere e supportare la lingua, nonché di

organizzare conferenze, riunendo così le varie comunità interessate ad essa. Si sta

certamente parlando del già citato Klingon Language Institute, il quale si descrive

in questo modo sul suo sito web, nella sezione About the KLI:

«In operation since 1992, the Klingon Language

Institute continues its mission of bringing together

individuals interested in the study of klingon

linguistics and culture, and providing a forum for

discussion and

the exchange of

ideas. Our

membership is diverse, including Star Trek fans

with curiosity and questions about klingon

Figura 7

language, RP gamers wishing to lend some authenticity to a klingon character, as

well as students and professionals in the fields of linguistics, philology, computer

science, and psychology who see the klingon language as a useful metaphor in the

classroom or simply wish to mix vocation with avocation. Though based in the USA,

the Institute is actually an international endeavor, presently reaching thirty

countries, and all seven continents.»48

In secondo luogo non si può non menzionare

l’iniziativa della piattaforma online per

l’apprendimento delle lingue, Duolingo49, la

quale ha inserito il klingon come protagonista

di un corso di lingua che conta ad oggi

Figura 8

424.000 apprendenti attivi. Il corso si deve al lavoro di Felix Malmenbeck, uno

svedese appassionato della saga che parla il klingon fluentemente e che ha proposto,

dunque, di costruire questo corso.50

48 https://www.kli.org/about-the-kli/
49 https://www.duolingo.com/course/tlh/en/Learn-Klingon-Online
50https://www.repubblica.it/tecnologia/mobile/2018/03/16/news/star_trek_adesso_puoi_imparare_i
l_klingon-191433847/

79

Infine, non è da sottovalutare l’importanza dell’inserimento del klingon in altre

serie tv di successo. Giusto per citarne una, la pluripremiata serie tv The Big Bang

Figura 9

Theory, che narra le vicende di un gruppo

di scienziati ‘nerd’ alle prese con le

relazioni sociali, con nuove scoperte

scientifiche, fumetti, serie tv e tutto

quello che fa parte del mondo ‘nerd’.

L’influenza che Star Trek ha avuto su uno

dei telefilm più seguiti al mondo è

evidente. Lo stesso Chuck Lorre, ideatore

della serie tv, dedica alla morte di

Leonard Nimoy, regista del terzo e del

quarto film della saga (vedi nota 41)

nonché attore che interpretò il vulcaniano Spock, una delle sue Vanity Card51.

Ma, ancora di più, il tributo più grande alla serie sono i molti dialoghi in lingua

klingon presenti nella serie tv. Il klingon viene utilizzato a volte come codice per

non

farsi comprendere52, per

apparire più minaccioso durante

un litigio con qualcuno53, oppure

semplicemente per giocare a

qualche gioco da tavola.54

Figura 10

Tirando le somme, il successo della lingua di Okrand si deve, prima di tutto,

senza dubbio all’accuratezza linguistica con cui egli ha creato questo sistema di

comunicazione, ma anche (e forse soprattutto) alla scelta appropriata del sistema

fonetico, il quale ha conferito a questa lingua aliena un tono di asprezza e crudezza

che si rispecchia perfettamente con l’aspetto esteriore, e non solo, dei suoi parlanti.

51 Le Vanity Cards sono delle schermate che appaiono alla fine dei titoli di coda di ogni telefilm
prodotto da Chuck Lorre in cui il regista scrive delle riflessioni riguardanti ogni aspetto della vita, o
della produzione della serie tv in questione. Si tratta, dunque, di una sorta di diario personale
raccolto, pagina per pagina, sul sito ufficiale di Lorre (cfr. http://www.chucklorre.com/)
52 The Big Bang Theory – Episodio 10×07 (https://www.youtube.com/watch?v=rfR03gibh6M)
53 The Big Bang Theory – Episodio 3×05 (https://www.youtube.com/watch?v=imkVsuB_vmg)
54 The Big Bang Theory – Episodio 2×07 (https://www.youtube.com/watch?v=xAG3gGzaVUo)

80

CAPITOLO III- Le Lingue di Game of Thrones

Si giunge, adesso, al fulcro dell’analisi: il proposito di questa trattazione è, infatti,

analizzare le lingue create per la serie tv Games of Thrones.

La serie firmata HBO55 trae spunto dalla saga fantasy, A Song of Ice and Fire, un

ciclo di romanzi ad opera dello scrittore George R.R. Martin.

3.1 Struttura della saga

La saga si compone di sette libri, ognuno dei quali è suddiviso in capitoli dedicati

ai singoli personaggi, provvedendo, così, ad un continuo mutamento della

prospettiva da cui il lettore si approccia alla storia.

Volume

Titolo

Anno di pubblicazione

1

2

3

4

5

6

7

A Games of Thrones

A Clash of Kings

A Storm of Swords

A Feast for Crows

A Dance with Dragons

The Winds of Winter

A Dream of Spring

1996

1999

2000

2005

2011

In produzione

In produzione

Come si può notare dalla tabella sopra riportata, la pubblicazione del primo libro

risale a più di vent’anni fa e tutt’ora la stesura della saga resta in corso d’opera.

Nonostante il lungo lasso di tempo in cui la saga si distende, l’opera di Martin vanta

di una delle fan base più numerose della storia: un séguito che ha attirato le

attenzioni dell’emittente HBO.

La serie, diretta da David Benioff e D.B. Weiss, sotto la supervisione dello stesso

Martin (egli è uno dei produttori esecutivi della serie), trasmette l’episodio pilota il

17 aprile 2011, appassionando i fan stagione dopo stagione, i quali fino ad oggi

attendono con ansia la messa in onda dell’ultima stagione prevista per l’aprile 2019.

55 HBO, acronimo di Home Box Service, è il nome di un’emittente televisiva statunitense.

81

3.2 Sinossi dell’opera

La storia è ambientata in un mondo immaginario, e si svolge tra i due continenti

principali, Westeros ed Essos, rispettivamente il continente occidentale e quello

orientale.

Figura 1

Valyria

Le vicende si svolgono all’interno di un’ambientazione di tipo medievale,

accompagnate da elementi fantastici e creature leggendarie, come draghi, giganti o

metalupi.

La trama prevede un intreccio di tre linee narrative differenti:

‣ Le contesa del Trono di Spade, sul

quale siederà il re dei Sette Regni, tra le

sette casate nobiliari principali di

Westeros.

Figura 2

‣ Il risveglio di creature mostruose e spietate al di là della Barriera al Nord. Nella

mappa, questa zona è contrassegnata dalla denominazione ‘Winter’. A questo

82

proposito, è necessario sottolineare come lo scorrere delle stagioni non corrisponde

Figura 3

a

quello

reale.

L’ultima estate, ad

esempio, è durata ben

nove anni e si prevede

un inverno altrettanto

lungo. L’inverno è

associato

ad

una

dimensione oscura e

funesta,

dove

l’avvento delle spietate creature al di là della Barriera, gli Estranei, rende frenetica

la preparazione dei Guardiani della Notte56 ad affrontare la minaccia che gli

Estranei, con il loro esercito di non non-morti, rappresentano.

‣ Le vicissitudini

dell’ultima legittima

erede

al

trono,

Daenerys Targaryen

(interpretata

da

Emilia

Clarke),

mandata in esilio nel

continente orientale,

Figura 4

che, passo dopo passo, conquista le terre dell’Essos, costruendo così il suo esercito,

con l’aiuto dei suoi fedeli servitori e dei suoi tre draghi. L’obiettivo che si pone

Daenerys, uno dei personaggi preferiti dai lettori, è quello di partire alla riconquista

del Trono di Spade, che le spetta di diritto, verso Westeros.

56 I Guardiani della Notte servono il regno vegliando alla Barriera e dedicando interamente la loro
vita alla protezione dei Sette Regni. Il giuramento rende esplicito il legame tra il singolo individuo
e la confraternita, tracciando linee nette sui ruoli che i Guardiani devono rivestire.
«Hear my words and bear witness to my vow. […] Night gathers, and now my watch begins. It shall
not end until my death. I shall take no wife, hold no lands, father no children. I shall wear no crowns
and win no glory. I shall live and die at my post. I am the sword in the darkness. I am the watcher
on the walls. I am the fire that burns against cold, the light that brings the dawn, the horn that wakes
the sleepers, the shield that guards the realms of men. I pledge my life and honor to the Night’s
Watch, for this night and all the nights to come.» (Martin G.R.R., A Game of Thrones, 2011, Bantam
Books, p.522).

83

3.3 Le conlangs di Game of Thrones – L’alto valyriano

La storia che verrà seguita in questa trattazione è quella riguardante le vicende

legate al personaggio di Daenerys Targaryen – e tutte le persone con cui entra in

contatto. La legittima erede al Trono di Spade è il personaggio che più viene

coinvolto nei processi più prettamente linguistici – che sono quelli di cui si discuterà

in questo capitolo. In particolare le lingue che verranno prese in esame saranno

l’alto valyriano e il dothraki, le conlangs create per la serie tv dal linguista

americano David J. Peterson.

Prima di concentrarci sull’aspetto linguistico, è necessario fornire il contesto storico

a partire dal quale la storia di Daenerys si viene a delineare.

I Targaryen erano una delle antiche casate, chiamate anche Signori dei Draghi57,

che governavano sulla Fortezza di Valyria, un impero molto esteso nel continente

orientale. Sebbene i Targaryen fossero una delle

Figura 5

famiglie meno influenti tra i Signori dei Draghi,

furono gli unici a sfuggire, insieme ai loro draghi,

al Disastro di Valyria, un cataclisma che distrusse

la Fortezza.

Le conseguenze del Disastro portarono i figli di

Valyria a sparpagliarsi per il continente, nelle

Città Libere, come Bravos o Volantis, oppure

nella Baia degli Schiavisti, come Mereen o Astapor, mescolandosi ai popoli

autoctoni e modificando così alcuni usi, costumi e anche la loro lingua d’origine,

l’alto valyriano.

I Targaryen, insieme ad altri valyriani, si insediarono nel continente occidentale,

stanziandosi sulla costa orientale del continente di Westeros. Una volta stabiliti lì,

Aegon il Conquistatore unificò i Sette Regni, che allora erano separati, sotto

un’unica corona con capitale Approdo del Re, il luogo del primo insediamento.

Dopo questo breve accenno di contestualizzazione storica, si può avviare

l’analisi della lingua madre della casata Targaryen, ovverosia l’alto valyriano.

57 Vennero chiamati Signori dei Draghi perché riuscirono a domare i draghi, trasformandoli in
spietate macchine da guerra.

84

3.3.1 Genealogia dell’alto valyriano

L’apporto linguistico che Martin offre alla lingua è minimo ma essenziale. Martin

non è un linguista o un filologo. Lo confermano le sue parole rilasciate in

un’intervista58, in cui spiega «Tolkien was a philologist, and an Oxford don, and

could spend decades laboriously inventing Elvish in all its detail. I, alas, am only a

hardworking SF and fantasy novel, and I don’t have his gift for languages. That is

to say, I have not actually created a Valyrian language. The best I could do was try

to sketch in each of the chief tongues of my imaginary world in broad strokes, and

give them each their characteristic sounds and spellings.»

In sostanza, Martin offre a Peterson come punto di partenza un albero genealogico

e sei sole parole (oltre ai nomi propri di persona), di cui si discuterà nel prossimo

paragrafo.

La discendenza linguistica dell’alto valyriano può tradursi con la rappresentazione

del seguente albero genealogico.

Il metodo migliore per approcciarsi alle lingue valyriane è considerarle, non come

lingue differenti, ma come diversi dialetti che vanno sempre più risultando in una

lingua altra, proprio come conferma una frase pronunciata da uno dei personaggi

principali della saga, Tyrion Lannister (interpretato nello show da da Peter

58 http://www.westeros.org/Citadel/SSM/Entry/1250/

85

Dinklage), il quale, a proposito dell’alto valyriano, dice: «He had learned to read

High Valyrian […] well, it was not so much a dialect as nine dialects on the way to

becoming separate tongues.»59

Seguendo le diramazioni del nostro albero genealogico, possiamo tracciare una

linea sugli avvenimenti che causarono questa divisione. Circa cinquemila anni

prima delle vicende narrate nella storia, l’Impero Valyriano invase e devastò

l’Impero Ghiscari a Est, soppiantando, quindi, la lingua Ghiscari con l’alto

valyriano. Nel corso dei secoli, l’alto valyriano si suddivise in basso valyriano,

parlato all’interno dell’Impero di Valyria, e in alto valyriano dell’Impero Ghiscari,

il quale si mescolò con la lingua Ghiscari, risultando in una sorta di lingua creola

Basso Valyriano del Nord

avente l’alto valyriano come

lingua principale.

Il basso valyriano, invece, si

diffuse, a Nord e a Est, nelle

Città Libere, producendo altri

miscugli di lingue. Potremmo,

in un certo senso, paragonare

l’alto valyriano al latino, il quale

Basso Valyriano del Sud

conta, nelle sue discendenze, le

lingue romanze. Allo stesso

modo, l’alto valyriano si evolve

in lingue che da esso discendono, ma che risultano in lingue abbastanza diverse tra

loro.

Nonostante il processo di discendenza linguistica sia praticamente analogo a quello

del latino e delle sue lingue figlie, è indiscutibile come questa attenzione alle

famiglie linguistiche innalzi il valore ‘linguistico’ della saga, rispetto agli altri

esempi di lingue artificiali, i quali ‘si limitano’ alla mera creazione di una lingua,

senza preoccuparsi delle loro storie, fatta eccezione per Tolkien. Ma, a differenza

59 Martin G.R.R., A dance with dragon, Capitolo I, Tyrion (è stata consultata una versione ebook di
questo libro, per cui è stato possibile inserire le pagine precise, ma solo un riferimento al capitolo
da cui il passo riportato è stato estrapolato.)

86

del modus operandi di Tolkien, il quale in una sua lettera scrive «To me a name

come first and the story follows»60, Martin ritiene che la storia sia la base a cui,

successivamente, tutti gli altri elementi di contorno debbano piegarsi.

Pertanto, il motivo per cui Martin si preoccupa di regalare all’alto valyriano una

‘storia familiare’ è quello di «establish the authenticity of an otherwise fantastical

realm.»61

3.3.2 Genesi della lingua

Il processo di creazione dell’alto valyriano, come si è detto precedentemente, si

sviluppa a partire da alcune parole presenti nei romanzi, da cui Peterson

successivamente estrapola una grammatica. A differenza del processo per la

creazione del dothraki (di cui si parlerà nel paragrafo 3.4), la base lessicale da cui

parte Peterson è senza dubbio più scarna. Egli infatti disponeva di sole sei parole e

di un vasto numero di nomi propri.

Il nostro linguista stesso, durante un’intervista, spiega: «There were really only two

phrases. Valar Morghulis and Valar Dohaeris. Those were the only phrases. After

that, there was one or two words here and there, like ‘valonqar’, which we know

means ‘little brother’».62 Le due frasi in questione, tradotte come ‘Tutti gli uomini

devono morire’ e ‘Tutti gli uomini devono servire’, furono la vera ispirazione per

la creazione dell’alto valyriano. Il punto di partenza del momento glossopoietico fu

proprio l’analisi di queste due uniche frasi, Valar Morghulis e Valar Dohaeris. Nel

suo libro The Art of Language Invention, Peterson spiega che Martin, con queste

due frasi, ha fornito delle informazioni preziose.

Comparandole nella seguente tabella, emerge che,

Valar Morghulis

All men must die

Valar Dohaeris

All men must serve

Tutti gli uomini devono morire

Tutti gli uomini devono servire

in primo luogo, poiché l’unica parola che si ripeteva in entrambe le frasi era valar,

60 Cfr. Battis and Johnston: 2015, p.19
61 Ibidem
62 https://www.geek.com/tech/you-can-now-learn-high-valyrian-from-duolingo-1707761/

87

Peterson ipotizza che questa fosse la parola per ‘all men’, mentre attribuiva alla

parola morghulis il significato di ‘die’ e a dohaeris quello di ‘serve’.

Fin qui, l’attribuzione di significato sembrerebbe semplice ed immediata. Restava,

quindi, da capire in che modo venissero espressi i concetti di ‘tutti’ e ‘devono’.

Dal momento in cui il concetto di ‘tutti’ non viene reso con una parola a sé stante,

e che Peterson non aveva intenzione di costruire una lingua con aggettivi espressi

mediante suffissi, decide di agire all’interno della sfera riguardante l’espressione

del numero. Per cui, afferma: «If High Valyrian had not only a singular and plural

number but also a collective, that collective number could be interpreted as “all”

given in the right context. I decided, then, that valar would be the collective of a

singular vala.»63 Inoltre, per riequilibrare il sistema, aggiunge anche il paucale, e

cioè il ‘plurale di pochi’. Per cui, viene fuori uno schema come il seguente.

Numero Accordo Verbale

A chi si riferisce

Singolare

Uno

Singolare

Un attore

Plurale

Molti

Plurale

Collettivo

Tutti

Singolare

Paucale

Pochi

Plurale

Molti attori non trattati come

un’unica unità coesa

Molti attori trattati come un’unica

unità coesa

Piccola quantità di attori non

trattati come un’unica unità coesa

Valar, quindi, verrà trattato come una terza persona singolare e ‘tutti gli uomini’

come un’unità indivisibile.

Una volta stabilito questo parametro, Peterson sposta la sua attenzione sui verbi.

Le due forme verbali, offerte da Martin, presentano due suffissi identici per

esprimere due significati altrettanto identici. Vale a dire che sia morghulis che

dohaeris terminano con il suffisso –is. Ciò significa che il suffisso rappresenta il

concetto di ‘must’.

63 Peterson, The art of language invention, 2015, Chapter 3 – Case Study

88

La somiglianza storica tra l’Impero Valyriano e l’Impero Romano contribuì alla

creazione di un sistema linguistico che somigliasse, per certi aspetti al latino. Come

l’Impero Romano, l’Impero di Valyria si espanse e diffuse l’utilizzo del valyriano,

così come era accaduto con il latino. Dopo la caduta dei due Imperi, si avviò un

processo di trasformazione linguistica, il quale portò le due lingue alla

disgregazione, risultante nelle diverse lingue romanze, nel caso del latino, e nelle

lingue valyriane, nel caso dell’alto valyriano. Pertanto, notando le innegabili

somiglianze, Peterson decise che la sua lingua avrebbe dovuto ricordare il latino.

La somiglianza con il latino emerge soprattutto nel processo di creazione dei verbi,

non privo, questo, di complicazioni.

Per creare il sistema verbale, Peterson abbozzò una sorta di proto-valyriano allo

scopo di semplificare il suo lavoro. Il proto-valyriano servì come base d’appoggio

della quale poi ipotizzare l’andamento evoluzionistico che le lingue naturali sono

solite seguire.

Da questa proto-lingua ricava due radici verbali, una perfettiva e una imperfettiva,

da cui

fa derivare sette

tempi verbali: presente,

imperfetto, perfetto,

piuccheperfetto, futuro, passato abituale e aoristo. Su quest’ultimo, è necessario

soffermarsi per portare alla luce qualche esempio, poiché si tratta di un tempo

verbale particolare, nonché del tempo verbale in cui sono coniugate le frasi Valar

Morghulis e Valar Dohaeris. Inoltre, è necessario sottolineare come Peterson

attribuisca all’aoristo esattamente la stessa funzione che Tolkien attribuisce

all’aoristo nel quenya (vedi par. 2.1.1.2). Si vedano gli esempi proposti dallo stesso

Peterson:

Presente

Aoristo

Alto valyriano

Jaohossa rhovis

Jaohossa rhovisi

Inglese

Italiano

The dogs are barking

Dogs Bark

I cani stanno abbaiando

I cani abbaiano

Jaohossa rhovis indica che dei cani stanno abbaiando contemporaneamente al

momento dell’enunciazione. Jaohossa rhovisi, invece, si riferisce ad una

condizione generica, sempre vera. Dal momento in cui l’aoristo non è un tempo

89

presente né in italiano né in inglese, esso viene espresso in traduzione con il

presente semplice in entrambe le lingue.

Se si sostituisse il plurale jaohossa con la corrispondente forma collettiva jaohor e

si coniugasse il verbo al tempo aoristo, si avrebbe lo stesso esatto significato

espresso dalla frase Valar Morghulis/Dohaeris.

Ritornando alla costruzione del sistema verbale, il processo, nonostante venga

solitamente trattato in contesto moforlogico, verrà qui anticipato, perché, come si è

detto precedentemente, è proprio dall’invenzione dei verbi che Peterson sviluppa

l’intera lingua.

 I verbi

Come avviene in tutte le lingue naturali, anche nell’alto valyriano si distinguono

verbi regolari e verbi irregolari, da cui derivano differenti processi di coniugazione.

Per quanto riguarda i verbi regolari, si distinguono:

 Verbi con radice che termina per consonante;

 Verbi con radice che termina per vocale.

Ognuno di essi si suddivide in diverse sottocategorie, delle quali si discuterà

dettagliatamente nelle descrizioni dei singoli tempi verbali.

I verbi dell’alto valyriano vengono inquadrati secondo una triplice visione

prospettica. In altre parole, essi vengono suddivisi a seconda di tre diversi criteri:

tempo/aspetto, modo e diatesi.

Tempo e Aspetto Verbale

I tempi verbali dell’alto valyriano sembrano seguire un modello predefinito che

potrebbe essere inteso come una combinazione di tempo e aspetto.

Aspetto di base Aspetto Imperfettivo Aspetto perfettivo

Tempo Presente Presente

Futuro

Perfetto

Tempo Passato

Imperfetto

Piuccheperfetto

Senza Tempo

Aoristo

Passato Abituale

90

Per quanto riguarda il Presente, esso viene utilizzato per situazioni che si stanno

verificando al momento in cui si parla. A differenza dell’inglese, dove il tempo

presente viene utilizzato per azioni abituali, dunque, atemporali (I speak Valyrian),

o verità assolute (One plus one is two), l’alto valyriano esprime questi significati

attraverso il tempo aoristo.

Poiché abbiamo già chiarito i criteri di utilizzo dell’aoristo, si può procedere

all’analisi dell’Imperfetto. L’imperfetto viene utilizzato per indicare un’azione in

corso, specialmente se essa introduce un’azione più vicina temporalmente al

momento dell’enunciazione. Esso può essere tradotto con il Past Continous

dell’inglese (was/were {verb}ing). A differenza di molte lingue, incluso l’italiano,

l’imperfetto dell’alto valyriano non può essere utilizzato per l’espressioni di azioni

abituali che si svolgevano in un tempo antecedente al momento dell’enunziazione.

Questa funzione è svolta dal Passato Abituale, di cui si parlerà successivamente.

Per quanto riguarda il tempo Perfetto, esso viene utilizzato per indicare

un’azione considerata nella sua completezza, la quale si è svolta nel passato; mentre

il Piuccheperfetto viene usato per indicare la compiutezza o l’anteriorità temporale

di un evento rispetto ad un momento passato. Il Passato Abituale, invece, viene

utilizzato per esprimere azioni che erano abituali nel passato e che ora non lo sono

più; esso corrisponde all’inglese used to, mentre non troviamo corrispondenza con

l’italiano, poiché questa funzione nella nostra lingua è svolta dall’Imperfetto.

Il Futuro, infine, viene utilizzato per esprimere situazioni ed eventi – in un certo

senso – approssimativi, incerti. Si tratta di eventi che devono ancora verificarsi.

Modo Verbale

Il sistema verbale dell’alto valyriano prevede cinque modi:

‣ Indicativo, vale a dire il modo della certezza, il quale possiede tutti e sette i tempi

verbali previsti dalla lingua.

‣ Congiuntivo, e cioè il modo che serve ad esprimere un evento soggettivo, irreale,

91

non sicuro o non rilevante, presenta anch’esso tutti e sette i tempi verbali.

‣ Imperativo, utilizzato per esprimere esortazioni, divieti, preghiere, consigli in

maniera più o meno perentoria. Esso comprende solamente due tempi verbali

(Presente e Futuro).

‣ Infinito, il quale è destinato all’espressione di concetti generici e indeterminati.

Anche in questo caso, i tempi verbali previsti sono solamente due (Presente e

Futuro).

‣ Participio, il quale rappresenta l’elemento che partecipa alle funzioni del nome e

del verbo, il quale possiede cinque dei tempi verbali (Presente, Futuro, Perfetto,

Passato Abituale e Aoristo).

Diatesi

Le forme della diatesi previste per l’alto valyriano sono due: attiva e passiva.

Chiaramente, entrambe le forme prevedono un sistema di coniugazione tutto

proprio.

È necessario sottolineare la complessità del sistema verbale, poiché, è vero che la

distinzione tipologica delle coniugazioni verbali si riduce a due categorie (verbi la

cui radice termina in consonante e verbi la cui radice termina in vocale), ma a loro

volta, ognuna di queste categorie si suddivide in sottocategorie che presentano

coniugazioni proprie. Potremmo, a questo punto, stilare un elenco correlato di

sottocategorie:

 Verbi la cui radice termina per consonante:

‣ Laterale e Vibrante→ l, r

‣ Occlusiva sonora→ b, g, d

‣ Occlusiva sorda→ p, t, k, q

‣ Fricativa→ h, s, z, gh, v, j

‣ Nasale→ n, m

‣ Palatale resonante→ lj, ñ

 Verbi la cui radice termina per vocale: radice in a, e, i, o, u.

Risulta evidente quanto sia complesso contemplare tutte le possibilità di

coniugazione, motivo per il quale verrà riportata solo la tabella di coniugazione di

un verbo con radice terminante per consonante liquida (attivo) e di un verbo con

radice terminante per consonante occlusiva sonora (passivo). Per ulteriori

approfondimenti cfr. https://wiki.dothraki.org/High_Valyrian_Verb_Tables.

92

SCHEDA VERBALE RIEPILOGATIVA

 Verbo con radice terminante per consonante liquida: jaelagon ‘volere’

 Diatesi: Attiva

Indicativo

Presente Aoristo

Imperfetto Perfetto Piucch. Pas.Ab. Futuro

1 p.s.

jaelan

jaelin

jaelien

jēldan

jēlden

jēldin

jaelinna

2 p.s.

jaelā

jaelia

jaelilē

jēldā

jēldē

jēldia

jaelilā

3 p.s.

jaelza

jaelis

jaeliles

jēldas

jēldes

jēldis

jaelilza

1p.pl.

jaeli

jaelī

jaelilin

jēldi

jēldin

jēldi

jaelili

2p.pl.

jaelat

jaeliat

jaelilēt

jēldāt

jēldēt

jeldiat

jaelilāt

3p.pl.

jaelzi

jaelisi

jaelilis

jēldis

jēldis

jēldisi

jaelilzi

Congiuntivo

Presente Aoristo

Imperfetto Perfetto Piucch. Pas.Ab. Futuro

1 p.s.

jaelon

jaelun

jaelilon

jēldon

jēldan

jēldun

jaelilun

2 p.s.

jaelō

jaelua

jaelilō

jēldā

jēldo

jēldua

jaelilū

3 p.s.

jaelos

jaelus

jaelilos

jēldos

jēldos

jēldus

jaelilus

1p.pl.

jaeloty

jaeluty

jaeliloty

jēldoty

jēldoty

jēlduty

jaeluty

2p.pl.

jaelōt

jaeluat

jaelilōt

jēldōt

jeldōt

jēlduat

jaelilūt

3p.pl.

jaelosy

jaelusy

jaelilosy

jēldosy

jēldosy

jēldusy

jaelilusy

Imperativo

Presente

Aoristo

Futuro

Singolare

jaelās

jaeliās

jaelilās

Plurale

jaelātās

jaeliātās

jaelilātās

93

Presente

Futuro

Perfetto

Pass Ab

Aoristo

jaelare

jaelilare

jaelarior

jaelilarior

jēlda

jēldys

jēldan

jēldor

* jēldre

jaelire

jaelirior

Perfetto

jēldagon

Aoristo

jaeligon

Participio

Lunare

Solare

Terrestre

Acquatico

Infinito

Presente

jaelagon

Nota:

La desinenza è contrassegnata dal grassetto. Inoltre, si noti come nel dittongo

presente nella radice, per tutte le forme del perfetto, la prima vocale si innalza da

un punto di vista qualitativo, trasformandosi in e. Per cui, risultando in ee, viene

reso graficamente con ē.

Infine, le forme verbali con il simbolo (*) sono forme ricostruite in questa

trattazione, poiché si disponeva solamente della desinenza e quindi si è cercato di

ricostruire la parola, che, per l’appunto, non ha alcuna attestazione verificata.

Per cui, in questo caso, ritroviamo (*) solamente al Participio-Passato Abituale,

dove ritroviamo la forma * jēldre. L’unica informazione pervenuta in merito a

questa forma verbale riguardava il fatto che il participio passato abituale venisse

formato con il suffisso –tre; inoltre il sito forniva degli esempi dei verbi derēbagon

‘raggruppare’ e verdagon ‘organizzare’ e cioè, rispettivamente derēptre e vettre. Per

la formazione del participio passato abituale del verbo jaelagon, ho applicato quindi

un processo di ricostruzione per analogia.

Considerando i seguenti passaggi, mi sono concentrata sul verbo verdagon:

Infinito: Presente → Indicativo: Perfetto → Indicativo: Passato abituale

(1) verdagon → (2) *verdtan> vettan → (3) vettin

(4) jaelagon → (5) *jēltan> jēldan → (6) jēldin

94

Ho ipotizzato, quindi, che l’indicativo passato abituale si formasse a partire dalla

radice del perfetto e cioè, rispettivamente vet- e jēld-; ipotesi che è stata confermata

dalla fonte di informazioni (si vedano gli esempi (3) e (6)).

Ora, visto che il participio passato abituale del verbo verdagon è vettre, il quale

prende la radice dalla forma coniugata al perfetto (2), ho ipotizzato lo stesso

percorso per il verbo jaelagon. Per cui:

Infinito presente Indicativo perfetto Participio passato abituale

verdagon

jaelagon

vettan

jēldan

vettre

* jēldre

Diversamente da come accade per il verbo verdagon, dove il nesso rd viene

assimilato totalmente dalla t della desinenza, nel passaggio dall’infinito presente

jaelagon all’indicativo perfetto jēldan sembra che, stavolta, sia stata la desinenza

ad essere influenzata dalla consonante laterale l della radice, la quale innesca un

fenomeno di lenizione. La lenizione del perfetto si tramette, dunque, anche alla

formazione del participio passato abituale, risultando possibilmente nella forma

*jēldre. Per cui, riassumento cronologicamente i vari passaggi di mutamenti

fonetici possiamo riassumere il processo di ricostruzione nel seguente modo:

Infinito
presente

Passaggio al
perfetto

Indicativo
perfetto

jaelagon

*jēltan

jēldan

Passaggio al
passato
abituale
*jēltre

Participio
passato
abituale
jēldre

Così come lt tramite un
processo di lenizione diventa
ld…

…anche in questo passaggio lt
subisce una lenizione e diventa
ld

95

SCHEDA VERBALE RIEPILOGATIVA

 Verbo con radice terminante per consonante occlusiva sonora: verdagon

‘organizzare’

 Diatesi: Passiva

Indicativo

Presente Aoristo

Imperfetto Perfetto Piucch. Pass.Ab. Futuro

1 p.s. verdaks

verduks verdileks

vettaks

vetteks vettiks

verdilaks

2 p.s. verdāks

verdiaks verdilēks

vettāks

vettēks vettiaks verdilāks

3 p.s. verdaks

verduks verdileks

vettaks

vetteks vettiks

verdilaks

1p.pl. verdaksi verdiksi verdiliks

vettaksi vettiks vettiksi verdiliks

2p.pl. verdāks

verdiaks verdilēks

vettāks

vettēks vettiaks verdilāks

3p.pl. verdaksi vediksi

verdiliks

vettaksi vettiks vettiksi verdiliks

Congiuntivo

Presente Aoristo

Imperfetto Perfetto Piucch.

Pass.Ab. Futuro

1 p.s.

2 p.s.

3 p.s.

verdoks

verduks

verdiloks

vettoks

vettoks

vettuks

verdiluks

verdōks

verduoks verdilōks

vettōks

vettōks

vettuaks verdilūks

verdoks

verduks

verdiloks

vettoks

vettoks

vettuks

verdiluks

1p.pl. verdoski verduski

verdilosky vettosky vettoksy vettuksy verdilusky

2p.pl. verdōks

verduaks verdilōks

vettōks

vettōks

vettuaks verdilūks

3p.pl. verdoski verduski

verdilosky vettosky vettoksy vettuksy verdilusky

96

Participio

Lunare

Solare

Terrestre

Acquatico

Infinito

Presente

verdakson

Aoristo

Futuro

Perfetto

Pass Ab

vetiarza

verdilaksa

Vetta

Vettys

Vetton

vettor

vettiarza

Aoristo

verdiakson

Perfetto

vettakson

97

3.3.3 Fonologia

Il sistema alfabetico dell’alto valyriano include venti consonanti (incluse le due che

compaiono solamente nei prestiti linguistici), sei vocali (che possono essere sia

lunghe che brevi) e due semivocali (come quelle dell’italiano [j] [w]) che

compaiono solamente nei dittonghi, ma che vengono riportate graficamente in

tabella con un sistema differente da quello normalmente adattato.

 Le consonanti

Labiale Dentale Alveolare

Nasale

m [m]

Plosiva

Sorda

p [p]

Sonora

b [b]

n [n]

t [t]

d [d]

Fricativa

Sorda

th [θ]

s [s]

Sonora

v [v

z [z]

Approssimante

~ w]

Laterale

Rotica

Sorda

Sonora

l [l]

rh [r̥ ]

r [r ~ ɾ]

Palatale Velare Uvulare Glottidale

Nasale

ñ [ɲ]

(n [ŋ ~ ɴ])

Sorda

k [k]

q [q]

Plosiva

Fricativa

Sonora

g [g]

Sorda

j [d͡ ʒ ~

kh [x ~ χ]

h [h]

Sonora

ʒ ~ j]

gh [ɣ ~ ʁ]

Approssimante

Laterale

lj [ʎ]

Rotica

Sorda

Sonora

98

Le consonanti presentano, però, delle peculiarità:

 Per quanto riguarda la pronuncia della v, essa è pronunciata oggi (e per ‘oggi’ si

intende l’attuale presente nello show televisivo) come una [v] inglese, ma prima

veniva pronunciata [v] se precedeva le vocali anteriori – e quindi i ed e; veniva

pronunciata [w] se precedeva le vocali posteriori – e quindi o e u. Mentre, per la

vocale centrale – e quindi a – la pronuncia è incerta: non si trattava probabilmente

di [v] o di [w], piuttosto forse veniva pronunciata come approssimante labiodentale

[ʋ]. La pronuncia della v non ha mantenuto uno statuto fisso con lo scorrere del

tempo e con il conseguente susseguirsi di generazioni. Pertanto, è molto difficile

essere precisi riguardo alla corretta pronuncia.64

 [ŋ ~ ɴ] non sono fonemi, ma allofoni di /n/. Il fonema /n/ subisce un fenomeno di

assimilazione progressiva quando è seguito da una consonante velare o uvulare,

come nell’esempio ēngos /ˈeːngos/ ‘lingua’ che viene pronunciato [ˈeːŋgos], oppure

valonqar /vaˈlonqar/ ‘fratello minore’ pronunciato [vaˈloɴqar].

 [θ] and [x ~ χ] sono presenti solamente in parole di origine straniera. In quanto

suoni estranei alla lingua, non vengono sempre pronunciati come idealmente

andrebbero pronunciati. Ad esempio, alcuni parlanti potrebbero pronunciare Thoros

sia come [‘θoros], ma anche [‘toros] o addirittura [‘soros].

 Per quanto riguarda /r/, essa è in genere una vibrante ([r]), ma viene pronunciata

come una monovibrante ([ɾ]) quando segue una vocale.

 Le vocali

L’alto valyriano dispone di sei vocali, ognuna delle quali possiede una controparte

identica qualitativamente ma diversa dal punto di vista quantitativo. Esistono,

dunque, sei vocali brevi e sei vocali lunghe.

64 https://dedalvs.tumblr.com/post/141916578563/high-valyrian-v-can-be-pronounced-either-v-or

99

Vocali Brevi

Anteriori

Non arrotondate Arrotondate

Posteriori

Chiuse

Medie

Aperte

i [i]

e [e]

a [a]

y [y]

u [u]

o [o]

Vocali Lunghe

Anteriori

Non arrotondate Arrotondate

Posteriori

ȳ [yː]

ū [uː]

ō [oː]

Chiuse

Medie

Aperte

ī [iː]

ē [eː]

ā [aː]

 Dittonghi

I dittonghi dell’alto valyriano si suddividono in due categorie:

 Dittonghi discendenti: terminano in e oppure in o. I dittonghi che appartengono a

questa categoria vengono considerati come delle vocali lunghe.

 Dittonghi ascendenti: terminano in i oppure in u. Essi possono essere considerati

sia brevi che lunghi a seconda della durata dell’ultima vocale che lo compone.

I dittonghi possono essere così schematizzati:

Coda

-a

-e

-o

ae [ae̯ ]

ao [ao̯ ]

āe [aːe̯ ]
ie [i͡ e]

āo [aːo̯ ]
io [i͡ o]

ia [i͡ a]

iō [i͡ oː]
i-
u- ua [u͡ a] uā [u͡ aː] ue [u͡ e] uē [u͡ eː] uo [u͡ o] uō [u͡ oː]

iē [i͡ eː]

iā [i͡ aː]

Discendenti

a-

ā-

Ascendenti

 Iato

Nell’alto valyriano capita che due vocali si presentino di seguito senza formare un

dittongo. In questo caso esse devono essere pronunciate separatamente. Gli iati più

100

comuni sono āe [a.e:] e aō [a.o:]. È anche possibile, seppur più sporadicamente, che

due vocali, che in genere formano un dittongo, vengano pronunciate come due

vocali separate. L’unico esempio di questo fenomeno pervenuto è costituito dalla

parola daor, che corrisponde al not inglese – quindi è l’elemento linguistico che

viene utilizzato per creare frasi negative, il quale può essere pronunciato sia come

una sillaba sola [dao̯ r] (quindi la sequenza vocalica si dittonga) oppure come due

sillabe separate [da.ˈor] (e quindi la sequenza vocalica non viene dittongata).

 Prosodia e Accento

Per analizzare il sistema prosodico, è necessario fornire prima qualche

informazione riguardante la struttura sillabica dell’alto valyriano.

La lingua presenta due diversi tipi di sillaba:

‣ Sillabe leggere: sono quelle sillabe che possiedono come coda una vocale breve

(ad esempio, vă-). Questo parametro include i casi in cui si tratti di dittonghi

ascendenti che terminano con una vocale breve (ad esempio, luĕ-).

‣ Sillabe pesanti: possono essere quelle composte da una vocale lunga (ad

esempio, zō-), quelle che contengono un dittongo discendente (ad esempio,

glae-, rāe-), quelle che terminano per consonante (ad esempio, lok-) e infine

quelle che contengono un dittongo ascendente che presenti all’ultimo posto una

vocale lunga (ad esempio, jiō-).

Una volta reso chiaro il concetto di sillabe leggere e pesanti, si può affermare che

la posizione dell’accento dipende dal ‘peso’ della penultima e della terzultima

sillaba. Quindi possono verificarsi tre combinazioni differenti:

 Se entrambe le sillabe (penultima e terzultima) sono leggere, l’accento cade sulla

penultima sillaba.

Es. valaro = va. lá. Ro

 Se la penultima sillaba è pesante, allora l’accento cade sulla penultima sillaba.

Es. valarra = va. lár. Ra

 Se la penultima sillaba è leggera e la terzultima è pesante, l’accendo cade sulla

terzultima.

Es. valzyro = vál. zi. ro

101

Per quanto riguarda i prestiti linguistici, essi mantengono il loro accento originale,

qualsiasi desinenza essi posseggano.

Es. arákh (un tipo di spada) – prestito dal dothraki

buzdári ‘schiavo’ – prestito dal Valyriano Ghiscari di Astapor.65

 Fonotassi

La struttura sillabica dell’alto valyriano può raggiungere un massimo di tre

consonanti in sequenza, seguendo uno schema così rappresentabile

CCCV.CC

L’attacco sillabico può essere costituito da una singola consonante o da un nesso

consonantico permesso, il quale può trattarsi di una consonante occlusiva seguita

da una consonante liquida o una sibilante.

65 A proposito di questa parola, Peterson, durante la conferenza di presentazione del suo libro,
(https://www.youtube.com/watch?v=yjAVGMq8P6U), spiega al pubblico come questa parola
compare nello show, mostrando la scena in cui essa viene pronunciata. Si tratta del quarto episodio
della terza stagione, in cui Daenerys scambia uno dei suoi draghi per un esercito di mercenari, gli
Immacolati. Daenerys si serve di una traduttrice, Missandei – che è anche la sua dama di compagnia
– la quale traduce ogni frase che il padrone degli schiavi, Kraznys, pronuncia. Convinto di non essere
compreso da Daenerys, Kraznys si lascia andare a volgari osservazioni e a rozzi modi di esprimersi,
che educatamente, Missandei, evita di tradurre. Una volta raggiunto l’accordo, Daenerys, in modo
plateale rivela la sua vera identità al rozzo schiavista, e lo fa per mezzo dell’alto valyriano, lasciando
di sasso il padrone, che viene, alla fine della scena, cruentemente bruciato vivo dal soffio infuocato
del drago. Lo scambio di battute è il seguente:

Kraznys

Ivetrá j’aspo, zya dyni do majis.

“Tell the bitch her beast won’t come.”

Valyriano

Inglese

Daenerys

Zaldrīzes buzdari iksos daor.

“A dragon is not a slave.”

Kraznys

Ydra ji Valyre?

“You speak Valyrian?”

Daenerys

Nyke Daenerys Jelmāzmo hen Targārio
Lentrot, hen Valyrio Uēpo ānogār iksan.
Valyrio muño ēngos ñuhys issa.

“I am Daenerys Stormborn of the House
Targaryen, of the blood of Old Valyria.
Valyrian is my mother tongue.”

Per quanto riguarda la parola segnata in grassetto, Peterson ci fa notare che questa è la parola del
valyriano di Astapor per schiavo. Nonostante Daenerys stia parlando in alto valyriano, decide
appositamente di non utilizzare la parola per schiavo – e cioè dohaeriros – ma utilizza la parola
buzdari, che è, invece, la parola per schiavo in valyriano di Astapori. Utilizzando questa parola,
Daenerys non solo dimostra di saper parlare il valyriano, che è, appunto, la sua lingua madre, ma
prova a Kraznys di saper parlare anche la variante del valyriano, l’Astapori, lingua madre dello
schiavista, quasi come a voler riportare alla luce le vicende storiche che vedono i ghiscariani
sottomessi alla potenza dei valyriani, non solo militarmente ma anche linguisticamente.

102

Il nucleo sillabico, invece, può essere composto da una vocale breve o da una vocale

lunga, così come da un dittongo consentito.66

Per quanto riguarda la coda della sillaba, essa può contenere qualsiasi consonante,

geminata o no, tranne le consonanti palatali – e cioè ñ, j e lj.

In merito alle parole, sono anche presenti dei vincoli fonotattici. Infatti, una

parola può cominciare per vocale, per consonante – anche quelle occlusive seguite

da liquide oppure quelle precedute da una sibilante. Vale a dire che una parola può

cominciare con un nesso consonantico contenente fino a tre consonanti in sequenza,

come riportato nello schema sottostante.

Prima consonante Seconda consonante Terza consonante

s

z

p

t

k

q

b

d

g

r

l

Infine una parola può terminare con una vocale e con le consonanti s, n, t, z o r.

Mentre, l’unico nesso consonantico possibile è ks.

Per quanto riguarda, invece, le regole fonotattiche delle singole consonanti si

riporta solamente una peculirità delle consonanti palatali sonore, ñ e lj, le quali non

possono ricorrere nella loro forma geminata e si depalatalizzano se precedono una

i o qualsiasi consonante che non sia j. Pertanto, lj[ʎ] si trasforma in l [l]; mentre, ñ

[ɲ] si trasforma in [n].

66 Per i dittonghi consentiti, si rimanda alla tabella di pag. 100.

103

Per quanto concerne

i nessi consonantici, esistono delle

restrizioni

nell’occorrenza. Si registrano, infatti, i seguenti nessi impossibili:

– *ññ;

– *ljlj;

– *jj;

– *ln, il quale subisce un processo di assimilazione regressiva, trasformandosi,

dunque in nn (ad esempio *qrin.rhol.no.r > qrīdronnor ‘caos’). Allo stesso modo,

nel caso opposto, cioè quando il nesso è *nl, si verifica un’assimilazione regressiva,

trasformandosi in ll.

In quanto ai nessi consonantici costruiti con la r, essi sono di particolare

importanza per la declinazione di nomi acquatici (per il nome e il suo genere, si

rimanda al paragrafo 3.3.4) e aggettivi. In particolare:

‣ hr diventa rh [r̥ ], ad esempio nell’aggettivo possessivo *ñuhro > ñurho ‘mio’;

‣ zr si trasforma in j, ad esempio nel verbo *ozrughagon > ojughagon ‘perdere’;

‣ sr diventa j, ma non sempre, infatti entrambe le forme sono ugualmente

accettabili. Ad esempio, il pronome dimostrativo ‘questo’, kesrio può anche

ricorrere come kejio ed essere linguisticamente accettato.

Per le consonanti nasali si verificano altrettanti cambiamenti fonetici, siano esse

entità prese singolarmente, sia quando ricorrono in nessi consonantici:

‣ nr o ñr si trasformano in dr con allungamento della vocale che precede il nesso.

Ad esempio, *qrin·rughagon > qrīdrughagon ‘rinunciare, scartare’. Il processo

funziona anche a ritroso – e cioè, laddove ricorre il nesso consonantico dr, esso si

trasforma in nr e la vocale che lo precede viene abbreviata. Ad esempio come nella

posposizione *hēnrȳ > hēdrȳ ‘tra’;

‣ mr diventa br, mediante un processo analogo a quello precedente, il quale

probabilmente include anche l’allungamento della vocale che precede il nesso, ma

non possiamo averne la certezza, poiché finora in tutte le parole in cui figura il

nesso, la vocale che lo precede è già lunga di per sé. Ad esempio come nella parola

sūmar > pl. sūbri ‘tè’;

‣ Un simile fenomeno si verifica quando n oppure m (e probabilmente anche ñ)

104

ricorrono prima della s: la consonante nasale subisce un fenomeno di sincope e

viene, dunque, eliminata, la vocale precedente viene allungata e la s si sonorizza

diventando z. Il processo si verifica anche nella posposizione *hensīr > hēzir ‘da

adesso in poi’. Si prenda, inoltre, in esempio la terza persona del verbo emagon

‘avere’ – *ēmza > ēza ‘egli ha’. Questo è, in generale, il processo regolare di

derivazione verbale per i verbi le cui radici terminano con una consonante nasale.

3.3.4 Morfologia

Avendo già parlato del sistema verbale, in quanto proprio da esso Peterson sviluppa

l’intera lingua, si cercherà, in questo paragrafo, di dare contezza del complesso

sistema di declinazione nominale, così come di tutti gli altri elementi che

compongono in genere una lingua, pronomi, aggettivi, avverbi, e così via.

 I nomi

Si è già discusso della declinazione di numero dei nomi (vedi par. 3.3.2), ma una

delle cose che rende davvero particolare la lingua è il criterio di distinzione del

genere del nome.

Il nome dell’alto valyriano può avere quattro differenti generi:

I. Lunare (hūrenkon qogror)

II. Solare (vēzenkon qogror)

III. Terrestre (tegōñor qogror)

IV. Acquatico (embōñor qogror)

Come principio generale, la maggior parte dei nomi lunari termina con una vocale,

la maggior parte dei nomi solari termina in –s, la maggior parte di quelli terrestri

termina in –n e, infine, la maggior parte di quelli acquatici termina in –r. Ma ci sono

delle eccezioni: ad esempio, tutti i paucali terminano in –n, e tutti i nomi collettivi

in –r, a prescindere dalla categoria di genere di cui fanno parte.

Non esistono delle categorie semantiche dai confini netti all’interno delle quali

ascrivere ogni nome, ma si possono tracciare delle tendenze generali.

105

Per maggiore chiarezza, è necessario riportare una tabella quadripartita suddivisa

per generi accompagnati da esempi.

Lunare

Solare

-Esseri umani

-Esseri umani

vala ‘uomo’, abra ‘donna’,

quptys ‘selvaggio’, zentys ‘ospite’,

muña ‘madre’, āeksio ‘padrone’

dohaeriros ‘schiavo’

-Animali notturni

-Animali diurni

gryves ‘orso’, zaldrīzes ‘drago’,

zokla ‘lupo’, atroksia ‘gufo’,

hobres ‘capra’, ñombes ‘elefante’

kēli ‘gatto’

-Equipaggiamenti militari

-Mestieri

gelte ‘elmo’, korze ‘spada lunga’,

azantys ‘soldato’, dārys ‘re’,

azandy ‘spada corta’

voktys ‘prete’, loktys ‘marinaio’

-Parti del corpo

deks ‘piede’, kris ‘gamba’, relgos

‘bocca’, pungos ‘naso’, naejos ‘seno’

Terrestre

Acquatico

-Alimenti e Piante

-Liquidi e corpi composti da liquidi

havon ‘pane’, parklon ‘carne’

iēdar ‘acqua’, ānogar ‘sangue’, embar

-Metalli

‘mare’, qelbar ‘fiume’, nāvar ‘lago’

āeksion ‘oro’, gēlion ‘argento’

brāedion ‘rame’, korzion ‘ferro’

Chiaramente, come accade anche nelle lingue naturali, esistono delle eccezioni,

riconducibili naturalmente a diversi generi. Si pensi, ad esempio, alla parola per

‘verme’, turgon, che, nonostante si riferisca ad un animale, non è ascrivibile al

genere lunare o solare, ma invece a quello terrestre. La motivazione potrebbe

risiedere nel fatto che il verme vive sotto terra e, per quanto ‘banale’ possa essere

considerata, è comunque una motivazione semantica che risulta logica e sensata.

Un’altra eccezione è la parola brāedāzma ‘bronzo’, la quale non appartiene come

dovrebbe alla categoria di genere terrestre, in quanto metallo, bensì al genere lunare,

stavolta a causa del suffisso –āzma.

106

I casi dei nomi

L’alto valyriano possiede diversi casi che vengono utilizzati per la declinazione dei

nomi e degli aggettivi (vedi paragrafo riguardante gli aggettivi, pag.115), i quali

prendono forme diverse a seconda del ruolo che ricoprono all’interno della frase.

La lingua si serve di otto casi:

‣ Nominativo: è il caso che viene utilizzato quando il nome corrisponde al soggetto

della frase (Āeksio yne ilīritas. — Il padrone mi ha sorriso.), oppure quando esso,

all’interno di un predicato nominale, ricopre il ruolo del nome del predicato

(Zaldrīzes buzdari iksos daor. — Un drago non è uno schiavo.).

‣ Accusativo: è il caso dell’oggetto diretto del verbo (Dovaogēdys! Āeksia

ossēnātās, menti ossēnātās! — Immacolati! Uccidete i padroni, uccidete i soldati!).

‣ Genitivo: è il caso della dipendenza nominale che si usa anche per esprimere il

concetto di possessione (Va oktio remȳti vale jikās. — Mandate un uomo ai cancelli

della città; Daenerys Targarien, Jelmazmo, Dorzalty, Dāria Sikudo Dārȳti Vestero,

Muña Zaldrizoti. —Daenerys della Tempesta [lett. nata dalla Tempesta], la Non-

bruciata, Regina dei Sette Regni di Westeros, Madre dei Draghi).

Inoltre, il genitivo viene utilizzato per esprimere la materia di cui si compone un

determinato referente (Āeksio ondos — Hand of gold).

‣ Dativo: questo caso viene utilizzato per esprimere l’oggetto indiretto (Voktys Eglie

aōt gaomilaksir teptas. — Il Gran Sacerdote ti ha dato una missione.).

‣ Locativo: è il caso utilizzato per riferirsi allo stato in luogo (Olvī voktī Rulloro

Qelbriā ūndessun daor. — Non vedo molte sacerdotesse di R’hllor nelle Terre del

Fiume.) e, talvolta, può essere utilizzato per riferirsi a distinzioni di tipo temporale

(Kesy tubi jemot dāervi tepan. — Quest’oggi ti do la libertà.)

‣ Strumentale: viene utilizzato per indicare lo strumento per mezzo del quale si

compie l’azione (Quptenkos Ēngoso ȳdrassis? — Parli la Lingua Comune?

107

[Letteralmente ‘per mezzo della Lingua Comune’]). Inoltre viene utilizzato con gli

aggettivi comparativi per introdurre il secondo termine di paragone (Davido

zaldrīzes aōhos zaldrīzose rovyktys issa. — Il drago di David è più grande del tuo

drago.)

‣ Comitativo: viene utilizzato per esprimere la nozione di compagnia. I nomi

declinati al caso comitativo possono essere tradotti con la preposizione ‘con’. (Riña

raqiroso pikīptas. — La ragazza legge con un’amica.).

‣ Vocativo: viene utilizzato per designare l’invocazione del nome declinato secondo

questo caso (Dovaogēdys! Naejot memēbātās! — Immacolati! In marcia!).

Le declinazioni dei nomi

Una volta preso atto dei casi presenti nella lingua, è necessario operare una

distinzione tipologica dei nomi, i quali si suddividono in sei differenti classi di

declinazioni come segue.

Nomi di Prima Declinazione

Questi nomi presentano una a come vocale tematica. Esistono due tipi di nomi

appartenenti a questa declinazione:

 I nomi che terminano in –a (come ad esempio vala ‘uomo’), che sono per lo più

di genere lunare.

‣ Essi possono avere anche una sottocategoria con nomi che terminano in –ia

(come ad esempio dāria ‘regina’), i quali presentano le stesse desinenze della

declinazione dei nomi in –a.

 I nomi che terminano in –ar (come ad esempio embar ‘acqua’).

Verranno riportati di seguito le tabelle di declinazione per ogni tipologia di nome.

108

⸎Tipologia Lunare (vala)

Sottocategoria Lunare (dāria)

Sing.

vala

vale

valo

valot

valā

Pl.

vali

valī

valoti

valoti

valoti

Pauc.

valun

Col.

valar

valuni

valari

valuno

valaro

valunta

valarta

valunna

valarra

Nom.

Acc.

Gen.

Dat.

Loc.

Sing.

dāria

dārie

dārio

dāriot

Pl.

dārī

dārī

dārȳti

dārȳti

Pauc.

dārȳn

Col.

dāriar

dārȳni

dāriari

dārȳno

dāriaro

dārȳnta

dāriarta

dāriā

dārȳti

dārȳnna

dāriarra

Nom.

Acc.

Gen.

Dat.

Loc.

Strum.

valosa

valossi

valussa

valarza

Strum.

dārȳsa

dārȳssi

dārȳssa

dāriarza

Com.

valoma

valommi

valumma

valarma

Com.

dārȳma

dārȳmmi

dārȳmma

dāriarma

Voc.

valus

valis

valussa

valarza

Voc.

dārȳs

dārīs

dārȳssa

dāriarza

Per fare chiarezza, appare necessario elaborare qualche esempio esplicativo:

 Āeksio Oño valari raqsa – Il Signore della Luce ama tutti gli uomini

 Nyke zaldrīzeri raqan. – Io amo tutti i draghi.

Per quanto riguarda i nomi la cui radice termina in –ar, è possibile schematizzare

la declinazione con la seguente tabella:

⸎Tipologia Solare (embar)

Singolare Plurale

Paucale Collettivo

Nominativo

embar

Accusativo

embri

embri

embrī

embrun

embrar

embruni

embrari

Genitivo

embro

embroti

embruno

embraro

Dativo

embrot

embroti

embrunta

embrarta

Locativo

embar

embroti

embrunna

embrarra

Strumentale

embrosa

embrossi

embrussa

embrarza

Comitativo

embroma embrommi embrumma embrarma

Vocativo

embus

embis

embrussa

embrarza

Nomi di Seconda Declinazione

I nomi appartenenti a questa classe di declinazione presentano y come vocale

tematica. Di questa categoria fanno parte:

 I nomi che terminano in –y (come ad esempio trēsy ‘figlio’), i quali sono

maggiormente di genere lunare.

 I nomi che terminano in –ys (come ad esempio loktys ‘veliero’), i quali

appartengono alla categoria di genere solare.

109

⸎Tipologia Lunare (trēsy)

⸎Tipologia Solare (loktys)

Sing.

Pl.

Pauc.

Col.

Sing.

Pl.

Pauc.

Col.

trēsy

trēsi

trēsyn

trēsyr

Nom.

loktys

loktyssy

loktyn

loktyr

trēsi

trēsī

trēsyni

trēsyri

Acc.

lokti

loktī

loktyni

loktyri

trēso

trēsoti

trēsyno

trēsyro

Gen.

lokto

loktoti

loktyno

lokyyro

trēsot

trēsoti

trēsynty

trēsyrty

Dat.

loktot

loktoti

loktynty

loktyrty

trēsy

trēsī

trēsynny

trēsyrry

Loc.

loktȳ

loktī

loktynny

loktyrry

trēsomy

trēsommi

trēsyssy

trēsyrzy

Strum.

loktomy

loktommi

loktyssy

loktyrzy

trēsomy

trēsommi

trēsymmy

trēsyrmy

Com.

loktomy

loktommi

loktymmy

loktyrmy

trēsys

trēsys

trēsyssy

trēsyrzy

Voc.

loktys

loktssys

lokyyssy

loktyrzy

Nom.

Acc.

Gen.

Dat.

Loc.

Strum.

Com.

Voc.

Nomi di Terza Declinazione

Questi nomi presentano una o come vocale tematica. Questa è la declinazione più

diversificata, poiché essa include nomi appartenenti a tutti e quattro i generi e

diverse sottocategorie. Si distinguono, dunque:

 I nomi che terminano in –o (come ad esempio pēko ‘oliva’), per lo più appartenenti

alla categoria lunare.

‣ Essi presentano anche una sottocategoria di nomi terminanti in –io (come ad

esempio āeksio ‘signore/padrone’).

 I nomi che terminano in –os (come ad esempio ēngos ‘lingua’), i quali fanno parte

della categoria di genere solare.

‣ Esistono almeno tre sottocategorie che comprendono parole come rūs ‘bambino’

deks ‘piede’ e ȳs ‘arte’.

 I nomi terminanti in –on (come ad esempio belmon ‘catena’), che appartengono

maggiormente alla categoria di genere terrestre.

‣ Essi comprendono i nomi sottocategoria che terminano in –ion (come ad

esempio dārion ‘regno’).

 I nomi terminanti in –or (come ad esempio lentor ‘casa’), i quali appartengono

per lo più alla categoria acquatica.

‣ Esiste una sottocategoria che include parole come Mȳr, un nome proprio, e altre

parole che possano essere accomunate ad essa.

110

⸎Tipologia Lunare (pēko)

Sottocategoria lunare (āeksio)

Sing.

Pl.

Pauc.

Col.

Sing.

Pl.

Pauc.

Col.

pēko

pēka

pēkun

pēkor

Nom.

āeksio

āeksia

āeksȳn

āeksior

pēko

pēka

pēkuni

pēkori

Acc.

āeksio

āeksia

āeksȳni

āeksȳri

pēkō

pēkoti

pēkuno

pēkoro

Gen.

āeksiō

āeksȳti

āeksȳno

āeksȳro

pēkot

pēkoti

pēkunto

pēkorto

Dat.

āeksiot

āeksȳti

āeksȳnto

āeksȳrto

pēkot

pēkoti

pēkunno

pēkorro

Loc.

āeksiot

āeksȳti

āeksȳnno

āeksȳrro

pēkoso

pēkossi

pēkusso

pēkorzo

Strum.

āeksȳso

āeksȳssi

āeksȳsso

āeksȳrzo

pēkoso

pēkossi

pēkummo

pēkormo

Com.

āeksȳso

āeksȳssi

āeksȳmmo

āeksȳrmo

pēkos

pēkas

pēkusso

pēkorzo

Voc.

āeksios

āeksīs

āeksȳsso

āeksȳrzo

Nom.

Acc.

Gen.

Dat.

Loc.

Strum.

Com.

Voc.

⸎Tipologia Solare (ēngos) Sottocategoria solare (rūs)

Sing.

Pl.

Pauc.

Col.

Sing.

Pl.

Pauc.

Col.

ēngos

ēngossa

ēngun

ēngor

Nom.

rūs

rūhossa

rūhun

rūhor

ēngos

ēngossa

ēnguni

ēngori

Acc.

rūs

rūhossa

rūhuni

rūhori

ēngo

ēngoti

ēnguno

ēngoro

Gen.

rūho

rūhoti

rūhuno

rūhoro

ēngot

ēngoti

ēngunto

ēngorto

Dat.

rūhot

rūhoti

rūhunto

rūhorto

ēngot

ēngoti

ēngunno

ēngorro

Loc.

rūhot

rūhoti

rūhunno

rūhorro

ēngoso

ēngossi

ēngusso

ēngorzo

Strum.

rūso

rūhossi

rūhusso

rūhorzo

ēngoso

ēngossi

ēngummo

ēngormo

Com.

rūso

rūhossi

rūhummo

rūhormo

ēngos

ēngossas

ēngusso

ēngorzo

Voc.

rūs

rūhossas

rūhusso

rūhorzo

Nom.

Acc.

Gen.

Dat.

Loc.

Strum.

Com.

Voc.

Sottocategoria solare (deks) Sottocategoria solare (ȳs)

Sing.

Pl.

Pauc.

Col.

Sing.

Pl.

Pauc.

Col.

deks

dekossa

dekun

dekor

Nom.

deks

dekossa

dekuni

dekori

Acc.

ȳs

ȳs

yvossa

yvun

yvor

yvossa

yvuni

yvori

deko

dekoti

dekuno

dekoro

Gen.

yvo

yvoti

yvuno

yvoro

dekot

dekoti

dekunto

dekorto

Dat.

yvot

yvoti

yvunto

yvorto

dekot

dekoti

dekunno

dekorro

Loc.

yvot

yvoti

yvunno

yvorro

dekso

dekossi

dekusso

dekorzo

Strum.

ȳso

yvossi

yvusso

yvorzo

dekso

dekossi

dekummo

dekormo

Com.

ȳso

yvossi

yvummo

yvormo

deks

dekossas

dekusso

dekorzo

Voc.

ȳs

yvossas

yvusso

yvorzo

Nom.

Acc.

Gen.

Dat.

Loc.

Strum.

Com.

Voc.

111

⸎Tipologia Terrestre (belmon) Sottocategoria Terrestre (dārion)

Sing.

Pl.

Pauc.

Col.

Sing.

Pl.

Pauc.

Col.

belmon

belma

belmun

belmor

Nom.

dārion

dāria

dārȳn

dārior

belmon

belma

belmuni

belmondi

Acc.

dārion

dāria

dārȳni

dārȳndi

belmo

belmoti

belmuno

belmondo

Gen.

dārio

dārȳti

dārȳno

dārȳndo

belmot

belmoti

belmunto

belmondo

Dat.

dāriot

dārȳti

dārȳnto

dārȳndo

belmot

belmoti

belmunno

belmorro

Loc.

dāriot

dārȳti

dārȳnno

dārȳrro

belmoso

belmoti

belmusso

belmorzo

Strum.

dārȳso

dārȳssi

dārȳsso

dārȳrzo

belmoso

belmossi

belmunno

belmormo

Com.

dārȳso

dārȳssi

dārȳmmo

dārȳrmo

belmos

belmas

belmusso

belmorzo

Voc.

dārios

dārīs

dārȳsso

dārȳrzo

Nom.

Acc.

Gen.

Dat.

Loc.

Strum.

Com.

Voc.

⸎Tipologia Acquatica (lentor) Sottocategoria Acquatica (Mȳr)

Sing.

Pl.

Pauc.

Col.

Sing.

Pl.

Pauc.

Col.

lentor

lentra

lentrun

lentror

Nom.

Mȳr

Mȳra

Mȳryn

Mȳror

lentor

lentra

lentruni

lentrori

Acc.

Mȳr

Mȳra

Mȳryni

Mȳrori

lentro

lentroti

lentruno

lentroro

Gen.

Mȳro

Mȳroti

Mȳryno

Mȳroro

lentrot

lentroti

lentrunto

lentrorto

Dat.

Mȳrot

Mȳroti

Mȳrynto

Mȳrorto

lentrot

lentroti

lentrunno

lentrorro

Loc.

Mȳrot

Mȳroti Mȳrynno Mȳrorro

lentroso

lentrossi

lentrusso

lentrorzo

Strum. Mȳroso Mȳrossi Mȳrysso

Mȳrorzo

lentroso

lentrossi

lentrummo

lentrormo

Com.

Mȳroso Mȳrossi Mȳrymmo Mȳrormo

lentos

lentas

lentrusso

lentrorzo

Voc.

Mȳs

Mȳras

Mȳrysso

Mȳrorzo

Nom.

Acc.

Gen.

Dat.

Loc.

Strum.

Com.

Voc.

Nomi di Quarta Declinazione

I nomi facenti parte di questa tipologia di declinazione sono quelli che posseggono

una e come vocale tematica. Ne esistono di tre tipi, una categoria per ogni genere,

eccetto che per quelli di genere acquatico. Non esistono infatti nomi acquatici che

seguano la quarta declinazione.

 I nomi che terminano in –e (come ad esempio gelte ‘elmo’), che appartengono per

lo più al genere lunare.

 I nomi che terminano in –es (come ad esempio zaldrīzes ‘drago’), per lo più di

genere solare.

 I nomi che finiscono in –en (come ad esempio il cognome Targārien), i quali

112

appartengono maggiormente alla categoria terrestre.67

⸎Tipologia Lunare (gelte) ⸎Tipologia Terrestre (Targārien)

Sing.

Pl.

Pauc.

Col.

Sing.

Pl.

Pauc.

Col.

gelte

gelti

geltin

gelter

Nom.

Targārien

Targārī

Targārȳn

Targārior

geltī

geltī

geltini

gelteri

Acc.

Targārī

Targārȳti

Targārȳni

Targārȳnndi

gelto

geltoti

geltino

geltero

Gen.

Targārio

Targārȳti

Targārȳno

Targārȳndo

geltot

geltoti

geltinte

gelterte

Dat.

Targāriot

Targārȳti

Targārȳnte

Targārȳnde

geltē

geltoti

geltinne

gelterre

Loc.

Targāriēn

Targārȳti

Targārȳnne

Targārȳrre

geltose

geltossi

geltisse

gelterze

Strum.

Targārȳse

Targārȳssi

Targārȳsse

Targārȳrze

geltome

geltommi

geltimme

gelterme

Com.

Targārȳme

Targārȳmmi

Targārȳmme

Targārȳrme

geltys

geltis

geltisse

gelterze

Voc.

Targāries

Targārīs

Targārȳsse

Targārȳrze

Nom.

Acc.

Gen.

Dat.

Loc.

Strum.

Com.

Voc.

⸎Tipologia Solare (zaldrīzes)

Sing.

Pl.

Pauc.

Col.

zaldrīzes

zaldrīzesse

zaldrīzin

zaldrīzer

zaldrīzī

zaldrīzī

zaldrīzini

zaldrīzeri

zaldrīzo

zaldrīzoti

zaldrīzino

zaldrīzero

zaldrīzot

zaldrīzoti

zaldrīzinte

zaldrīzerte

zaldrīzē

zaldrīzoti

zaldrīzinne

zaldrīzerre

zaldrīzose

zaldrīzossi

zaldrīzisse

zaldrīzerze

zaldrīzome

zaldrīzommi

zaldrīzimme

zaldrīzerme

zaldrīzys

zaldrīzesses

zaldrīzisse

zaldrīzerze

Nom.

Acc.

Gen.

Dat.

Loc.

Strum.

Com.

Voc.

Nomi di Quinta Declinazione

Questi nomi hanno una i come vocale tematica e appartengono anche questi a tutti

i generi, stavolta eccetto i nomi di genere terrestre. Di questa declinazione fanno

parte:

 I nomi che terminano in –i (come ad esempio brōzi ‘nome’), la cui maggioranza

appartiene al genere lunare.

 I nomi che finiscono in –is (come ad esempio tubis ‘giorno’), per lo più della

categoria solare.

67 Si noti che la parola Targārien si tratta di una sottocategoria riservata principalmente a nomi
molto antichi e, pertanto, molto rari.

113

 I nomi che terminano con –ir (come rōbir ‘fico’), che appartengono in genere alla

categoria di genere acquatica.

⸎Tipologia Lunare (brōzi) ⸎Tipologia Solare (tubis)

Sing.

Pl.

Pauc.

Col.

Sing.

Pl.

Pauc.

brōzi

brōza

brōza

brōzir

Nom.

tubis

tubissa

tubin

Col.

tubir

brōzi

brōza

brōzini

brōziri

Acc.

tubis

tubissa

tubini

tubiri

brōzio

brōzȳti

brōzino

brōziro

Gen.

tubio

tubȳti

tubino

tubiro

brōziot

brōzȳti

brōzinti

brōzirti

Dat.

tubiot

tubȳti

tubinti

tubirti

brōzī

brōzȳti

brōzinni

brōzirri

Loc.

tubī

tubȳti

tubinni

tubirri

brōzȳsi

brōzȳssi

brōzissi

brōzirzi

Strum.

tubȳ

tubȳssi

tubissi

tubirzi

brōzȳmi

brōzȳmmi

brōzȳmmi

brōzirmi

Com.

tubȳmi

tubȳmmi

tubimmi

tubirmi

brōzys

brōzas

brōzissi

brōzirzi

Voc.

tubys

tubissas

tubissi

tubirzi

Nom.

Acc.

Gen.

Dat.

Loc.

Strum.

Com.

Voc.

⸎Tipologia Acquatica (rōbir)

Sing.

Pl.

Pauc.

Col.

rōbir

rōbra

rōbrin

rōbrir

rōbir

rōbra

rōbrini

rōbriri

rōbrio

rōbrȳti

rōbrino

rōbriro

rōbriot

rōbrȳti

rōbrinti

rōbrirti

rōbīr

rōbrȳti

rōbrinni

rōbrirri

rōbrȳsi

rōbrȳssi

rōbrissi

rōbrirzi

rōbrȳmi

rōbrȳmmi

rōbrimmi

rōbrirmi

rōbys

rōbas

rōbrissi

rōbrirzi

Nom.

Acc.

Gen.

Dat.

Loc.

Strum.

Com.

Voc.

Nomi di Sesta Declinazione

La sesta – e ultima – declinazione viene utilizzata per diverse tipologie di nomi, i

quali possono essere suddivisi in due categorie:

 Paucali e Collettivi reinterpretati: Talvolta un paucale acquisisce un significato

così specifico che comincia ad essere concepito come una parola separata (si pensi

alla parola tīkun ‘ala’, la quale era originariamente la forma paucale di tīkun

‘piuma’, oppure alla parola azantyr ‘esercito’ che originariamente era la forma

114

collettiva di azantys ‘soldato’). Una volta reinterpretata la parola, quindi una volta

che essa è diventata una parola a sé stante, essa necessita di una sua forma plurale.

I paucali reinterpretati mantengono il genere della parola originale e possono

quindi appartenere a qualsiasi categoria di genere. Tutto ciò che si conosce

riguardo alla declinazione dei paucali reinterpretati è che il singolare mantiene la

sua declinazione paucale.

 Parole straniere: fanno parte di questa categoria tutti i termini importati da altre

lingue o dalle varianti dell’alto valyriano, come ad esempio la parola già citata

buzdari ‘schiavo’ in valyriano di Astapor. La parola in questione viene accordata

secondo la seguente declinazione.

Sing.

Pl.

Pauc.

Col.

Nom.

buzdar(i)

buzdari

buzdarin

buzdarir

Acc.

Gen.

Dat.

Loc.

buzdari

buzdarī

buzdarini

buzdariri

buzdaro

buzdaroti

buzdarino

buzdariro

buzdarot

buzdaroti

buzdarinti

buzdarirti

buzdarī

buzdaroti

buzdarinni

buzdarirri

Strum. buzdarisi

buzdarissi

buzdarissi

buzdarirzi

Com.

buzdarimi buzdarimmi buzdarimmi buzdarirmi

Voc.

buzdaris

buzdarissis

buzdarissi

buzdarirzi

 Gli Aggettivi

Nell’alto valyriano gli aggettivi si accordano secondo genere, caso e numero – solo

singolare e plurale (essi non possiedono, infatti, forme paucali o collettive) –al

nome che modificano. La declinazione è simile a quella utilizzata per i nomi, ma

presenta alcune differenze e criteri diversi di classificazione di genere. Per questo

motivo, essi non vengono suddivisi per ‘declinazioni’, piuttosto vengono distinti in

‘classi’, che verranno esaminate singolarmente più avanti.

115

Gli aggettivi possono precedere o seguire un nome, eccetto che per qualche

determinante o dimostrativo, i quali in genere precedono sempre l’aggettivo. Se un

aggettivo di questo tipo segue il nome, esso assume una connotazione semantica di

‘ufficialità’ oppure conferisce alla frase una particolare enfasi.

Quando un aggettivo si dispone nella frase come elemento pospositivo – e cioè

segue il nome che modifica – allora esso prevede il set completo di desinenze,

mentre quando esso è prepositivo – e quindi precede il nome cui si riferisce – le

desinenze sono abbreviate e più inclini a cadere.

Per quanto riguarda i gradi di comparazione, la regola generale è l’aggiunzione

della desinenza –pa per formare i comparativi di uguaglianza, -kta per i comparativi

di maggioranza e –je per i superlativi. Inoltre, è necessario notare come, nonostante

la classe cui appartiene il nome, i comparativi di maggioranza e di uguaglianza

seguiranno sempre la declinazione degli aggettivi di prima classe, mentre i

superlativi quella di seconda. Infine, come accade nella maggior parte delle lingue

naturali, alcuni comparativi hanno forme irregolari (come l’italiano bene>meglio).

L’unico aggettivo dell’alto valyriano ad avere processo irregolare è litse ‘carino’, il

quale presenta la forma līspa al comparativo di uguaglianza, līsta al comparativo di

maggioranza e līje al superlativo.

Aggettivi – Classe I

Gli aggettivi appartenenti a questa classe presentano in genere radici di ogni tipo,

seppur rimangano vincolate dall’accettabilità fonotattica dei nessi consonantici.

Poiché, come si è detto, gli aggettivi possono figurare in posizione precedente o

seguente rispetto al nome che modificano, si possono avere diverse combinazioni

di desinenze, come riportato nella seguente tabella, la quale prende in esame

l’aggettivo kasta ‘blu, verde’.

116

Posizione prepositiva

Singolare

Plurale

Lun.

Sol.

Terr. Acq.

Lun.

Sol.

Terr. Acq.

kaston

kastys

kaston

kastor

kasti

kastys,-yz

kasta

kastra

kaste

kasti

kaston

kastor

kastī

kastī

kasta

kastra

kasto

kasto

kasto

kastro

kasto(t)

kasto

kasto

kastro

kasto(t) kasto(t) kasto(t) kastro(t) kasto

kasto

kasto

kastro

kastā

kastȳ

kasto(t) kastro

kasto

kastī

kasto

kastro

kastos

kastos

kastos

kastros

kastos

kastos

kastros kastros

kaston,

kaston,

kaston,

kastron,

kaston,-

kaston,

kaston,

kastron,

-om

-om

-om

-rom

om

-om

-om

-rom

kastus

kastys

kastos

kastos

kastis

kastys,-yz

kastas

kastas

Nom.

Acc.

Gen.

Dat.

Loc.

Strum.

Com.

Voc.

– Si precisa che la forma con desinenza in –yz al caso nominativo, plurale solare,

ricorre prima di una vocale, della consonante h e prima di una consonante sonora.

– La (t) che ricorre al genitivo, al dativo e al locativo, viene omessa prima di una

consonante, ma viene mantenuta prima di una vocale. Quindi, nell’esempio in

tabella la desinenza –t è presente.

– Per quanto riguarda il caso comitativo, la forma terminante in –m ricorre solo

prima di una vocale o una consonante labiale, mentre resta –n in tutti gli altri casi.

Posizione pospositiva

Singolare

Plurale

Lun.

Sol.

Terr. Acq.

Lun.

Sol.

Terr. Acq.

kasta

kastys

kaston

kastor

kasti

kastyzy

kasta

kastra

kaste

kasti

kaston

kastor

kastī

kastī

kasta

kastra

kasto

kasto

kasto

kastro

kastoti

kastoti

kastoti

kastroti

kastot

kastot

kastot

kastrot

kastoti

kastoti

kastoti

kastroti

kastā

kastȳ

kastot

kastrot

kastoti

kastī

kastoti

kastroti

kastosa

kastosy

kastoso

kastroso

kastossi kastossi

kastossi kastrossi

kastoma

kastomy

kastomo

kastromo

kastommi

kastommi

kastommi

kastrommi

kastus

kastys

kastos

kastos

kastis

kastyzys kastas

kastas

Nom.

Acc.

Gen.

Dat.

Loc.

Strum.

Com.

Voc.

117

Gradi di comparazione

 Uguaglianza: kastāpa ‘quanto il blu’

 Maggioranza: kastykta ‘più blu’

 Superlativo: kastāje ‘il più blu’

Aggettivi – Classe II

La maggior parte degli aggettivi appartenenti a questa classe presentano una radice

terminante in j, l, n, ñ oppure r, sia singole sia geminate (come nel caso di mirre

‘ogni’). Si prenda come esempio l’aggettivo kirine ‘felice’:

Posizione prepositiva

Singolare

Plurale

Lun. Sol. Terr. Acq. Lun. Sol. Terr. Acq.

kirine

kirine

kirino

kirinior

kirinior

kirinȳr

kirino(t)

kirinȳr

kirinē

kirinos

kirinȳr

kirinȳs

kirini

kirini

kirino

kirino

kirino

kiriniar

kiriniar

kirinȳ

kirinȳ

kirinȳ

kirinos

kirinȳs

kirinon,-om

kirinȳn, -ȳm

kirinion,-om

kirinȳn, ȳm

kirines

kirinios

kirinis

kirinīs

Nom.

Acc.

Gen.

Dat.

Loc.

Strum.

Com.

Voc.

Posizione pospositiva

Singolare

Plurale

Lun. Sol. Terr. Acq. Lun. Sol. Terr. Acq.

kirine

kirine

kirino

kirinot

kirinē

kirinior

kirinior

kirinȳro

kirinȳro

kirinȳro

kirini

kirini

kirinoti

kirinoti

kirinoti

kiriniar

kiriniar

kirinȳti

kirinȳti

kirinȳti

kirinose

kirinȳso

kirinossi

kirinȳssi

kirinome

kirinȳmo

kiriniommi

kirinȳmmi

kirines

kirinios

kirinis

kirinīs

Nom.

Acc.

Gen.

Dat.

Loc.

Strum.

Com.

Voc.

118

Gradi di comparazione

 Uguaglianza: kirimpa ‘felice come’

 Maggioranza: kirinta ‘più felice’

 Superlativo: kirinjie ‘il più felice’

Aggettivi – Classe III

Gli aggettivi di questa classe terminano di solito – ma non sempre – con nessi

consonantici. La maggior parte delle radici di questi terminano in l, n, r oppure v.

Si prenda in esame l’aggettivo ‘alto’, eglie.

Posizione prepositiva

Singolare

Plurale

Lun. Sol. Terr. Acq. Lun. Sol. Terr. Acq.

Nom.

eglie

Acc.

Gen.

Dat.

Loc.

eglie

eglio

eglio(t)

egliē

Strum. eglios

Com.

eglion

Voc.

eglies

eglior

eglior

eglȳr

eglȳr

eglȳr

eglȳs

eglȳn

eglios

Posizione pospositiva

eglī

eglī

eglio

eglio

eglio

eglios

eglion

eglīs

egliar

egliar

eglȳ

eglȳ

eglȳ

eglȳs

eglȳn

eglīs

Singolare

Plurale

Lun. Sol. Terr. Acq. Lun. Sol. Terr. Acq.

Nom.

eglie

Acc.

Gen.

Dat.

Loc.

eglie

eglio

egliot

egliē

Strum. eglȳse

Com.

eglyme

Voc.

eglies

eglior

eglior

eglȳro

eglȳrot

eglȳrot

eglȳso

eglī

eglī

eglȳti

eglȳti

eglȳti

egliar

egliar

eglȳti

eglȳti

eglȳti

eglȳssi

eglȳssi

eglȳmo

eglȳmmi

eglȳmmi

eglios

eglīs

eglīs

119

Gradi di comparazione

 Ugualianza: eglipa ‘alto come’

 Maggioranza: eglikta ‘più alto’

 Superlativo: eglije ‘il più alto’

 I pronomi

Naturalmente anche i pronomi seguono la declinazione a seconda del caso e, poiché

essi corrispondono esattamente ai nomi, ci limitiamo a riportarne la completa

declinazione in tabella.

Singolare

Plurale

3° pers

pers

pers

Sol./ Lun.

Terr./Acq.

pers

pers

pers

Nom.

nyke

ao

Acc.

Gen.

yne

yno

Dat.

ynot

Loc.

nykē

avy

aōt

Strum.

Com.

ynoma aōma

ziry

ziry

zijo

zijot

zirȳ

zijosy

ūja

ūī

ūō

ūjōt

ūjā

josa

zijomy

joma

īlon

īlōn

īlo

īlot

īlō

jeme

pōnta

jemī

pōnte

jemo

pōnto

jemot

pōntot

jemē

pōntā

īloma

jemme

pōntosa

pōntoma

Voc.

nykys

aōs

zirys

Rifles. nykēla aōla

zirȳla

ūjus

jāla

īlos

jemys

pōntus

īlōnda

jemēla pōntāla

Per quanto riguarda i pronomi possessivi, essi possono essere così schematizzati:

1° persona

2° persona

3° persona

Singolare

Plurale

ñuhon ‘mio’

īlvon ‘nostro’

aōhon ‘tuo’

jevon ‘vostro’

Sol./Lun.

zȳhon ‘suo’

Terr./Acq.

jāhon ‘suo’

pōjon ‘loro’

A differenza degli aggettivi possessivi, che modificano sempre il nome (ad esempio,

120

Āeksiot zȳhon vaoreznon jepin ‘Chiedo al Signore il suo favore’), i pronomi

possessivi vengono utilizzati da soli (come nel caso Kesy zȳhon issa ‘Questo è suo’),

oppure in funzione di soggetto del predicato (ad esempio, Zȳhon suvio perzō vāedar

issa ‘La canzone del ghiaccio e del fuoco è la sua’).

Pronomi dimostrativi e interrogativi

Questi pronomi, in alto valyriano, formano un’unica categoria. A differenza dei

pronomi personali, essi si declinano per lo più in modo regolare e si comportano

grosso modo come gli aggettivi. Questa categoria di pronomi si divide in tre

sottocategorie:

 Prossimali: utilizzati per riferirsi a entità vicine al parlante. Corrisponde al this

dell’inglese o al questo dell’italiano.

 Distali: utilizzati per riferirsi a qualcosa che si trova lontano rispetto al parlante.

Corrisponde al that inglese e al quello italiano.

 Interrogativi: sono

i pronomi utilizzati per formulare domande. Essi

corrispondono all’inglese what/which e all’italiano quale.

Per ognuna di queste sottocategorie esistono due radici, una per referenti animati e

l’altra per quelli inanimati. Si può, dunque, riassumere così la suddetta distinzione:

Animato Inanimato

Prossimale

bisa

Distale

bona

kesa

kona

Interrogativo spare

skore

È necessario, inoltre, sottolineare che i pronomi dimostrativi appartengono sempre

alla Classe I degli aggettivi, mentre gli interrogativi alla Classe II.

Questi pronomi si comportano esattamente come gli aggettivi: hanno una forma

prepositiva e pospositiva, anche se quest’ultima è molto rara poiché i dimostrativi

precedono quasi sempre il nome cui si riferiscono.

121

A seconda del genere del nome a cui si riferiscono, anche i pronomi seguono una

precisa declinazione che, insieme alla distinzione tra animato e inanimato, danno

vita e diverse forme, le quali possono essere sintetizzate schematicamente come

segue:

Lunare

Solare

Terrestre

Prossimale

bisa muña

‘questa madre’

bysys zaldrīzes

‘questo drago’

bison turgon

‘questo verme’

Acquatico

bisor hāedar

‘questa sorella minore’

Animato

Distale

bona muña

Interrogativo

spare muña

‘quella madre’

‘quale madre?’

bonys zaldrīzes

spare zaldrīzes

‘quel drago’

bonon turgon

‘quel verme’

bonor hāedar

‘quale drago?’

sparior turgon

‘quale verme?’

sparior hāedar

‘quella sorella minore’

‘quale sorella

minore?’

Nome

bisy/bisir

bony/boniy

sparos/sparior

‘questo qui/questa persona’

‘quello lì/quella persona’

‘chi?’

Prossimale

kesa brōzi

‘questo nome’

kesys biarves

Inanimato

Distale

kona brōzi

‘quel nome’

Interrogativo

skore brōzi

‘quale nome?’

konys biarves

skore biarves

‘questa celebrazione’

‘quella celebrazione’

‘quale celebrazione?’

keson glaeson

konon glaeson

skorior glaeson

‘questa vita’

kesor qelbar

‘questo fiume’

kesy/kesir

‘quella vita’

konor qelbar

‘quel fiume’

kony/konir

‘quale vita?’

skorior qelbar

‘quale fiume?

skoros/skorion

‘questo qui/questa cosa’

‘quella lì/quella cosa’

‘cosa?/quale cosa?

Lunare

Solare

Terrestre

Acquatico

Nome

122

Pronomi relativi

A differenza dell’inglese e della maggior parte delle lingue europee, i pronomi

relativi dell’alto valyriano non hanno una forma propria, vale a dire che essi si

declinano secondo il caso del nome cui si riferiscono. Quindi, ad esempio, la frase

l’uomo che ha incoraggiato la donna, viene resa con Ābre kustittas lue vale (lett.

Donna incoraggiato che uomo). La struttura fraseologica, come si può notare, segue

la direzione opposta alla struttura dell’italiano e, più in generale, delle lingue

europee. Pertanto, l’alto valyriano non presenta un’unica forma, ma segue – più o

meno – la declinazione degli aggettivi di Classe I, presentando alcune irregolarità,

le quali saranno segnate in grassetto nella tabella seguente.

Singolare

Plurale

Lun.

Sol.

Terr. Acq.

Lun.

Sol.

Terr. Acq.

lua

lue

luo

lȳs

luo

luon

luor

luon

luor

lȳs, – ȳz

lua

lua

lura

lura

luo

luro

luo(t)

luo(t)

luo(t)

luro(t)

luo(t)

luo(t)

luo(t)

luro(t)

luo(t)

luo(t)

luo(t)

luro(t)

luā

luo(t)

luro(t)

luo(t)

luo(t)

luro(t)

Nom.

Acc.

Gen.

Dat.

Loc.

Strum.

luos

luos

luos

luros

luos

luos

luos

luros

Com.

luon, -om

luon, -om

luon, -om

luron, -om

luon, -om

luon, -om

luon, -om

luron, -om

Voc.

lūs

lȳs

luos

luos

lis

lȳs, – ȳz

luas

luas

 Affissi derivazionali

Gli affissi derivazionali consistono in prefissi e suffissi che vengono utilizzati per

creare una nuova parola a partire da parole già esistenti. Esistono, come in italiano,

dunque particolari affissi che determinano la formazione di specifiche categorie

grammaticali. Ad esempio, in italiano, sappiamo che il suffisso –mente, forma

avverbi a partire da aggettivi (lento> lentamente), oppure –tore crea nomi a partire

da verbi (inventare> inventore), e così via.

Allo stesso modo, l’alto valyriano prevede determinati affissi per la formazione di

specifiche categorie grammaticali, le quali verranno elencate qui di seguito.

123

 Affissi che formano Aggettivi

Affisso

do-, dor- (pref.)

Esempio

Dor-zalty

Significato

Non-Bruciata

Creano forme negative

Do-vaogēdy

Immacolati

(lett. non

-enka (suff.)

Vaog-enka

Creano aggettivi di Classe I

nēd-enka

macchiati)

Sporco

Coraggioso

nā- (pref.)

nā-morghūlilare

Immortale

(lett.

non

Crea forme negative

-ōñe (suff.)

emb-ōñe

Crea aggettivi di Classe II

teg-ōñe

mortale)

acquatico

terrestre

-oqitta (suff.)

Laehurl-oqitta

Senza faccia

Privativo,

indica

la

mancanza la mancanza di

qualcosa

ñōgh-oqitta

Senza braccia

-sīha, -īha (suff.)

*vestero-sīha

Westerosi (abitanti di

Suffisso gentilici

Westeros)

Valyr-īha

Valyriani (abitanti di

 Affissi che formano Avverbi

Affisso

-ī (suff.)

Esempio

ader-ī

Crea avverbi da aggettivi di

arl-ī

Valyria)

Significato

presto

di nuovo

Classe II e III

-irī (suff.)

nedenk-irī

coraggiosamente

Crea avverbi da aggettivi di

trūmrī

profondamente

Classe I

-kydoso (suff.)

skor-kydoso?

kes-kydoso

124

come?

così

 Affissi che formano Nomi

Affisso

-io (suff.)

Accrescitivo

Esempio

Kel-io

Ōdr-io

Significato

Leone (lett. grande gatto)

Ferita

(lett.

grande

danno)

-io (suff.)

mīs-io

Protettore (lett. colui che

Creano nomina agentis

protegge)

Kaerīn-io

Salvatore (lett. colui che

salva)

-ītsos (suff.)

Riñ-ītsos

Ragazzina (lett. piccola

Creano diminutivi

ragazza)

Zokl-ītsos

Lupetto

(lett. piccolo

-non (suff)

Ērin-non

Creano nomi deverbali

Raq-non

lupo)

Vittoria

Amore

-tys/rys, dopo vocale (suff.)

Vok-tys

Sacerdote

Crea nomi di professioni

Men-tys

-ves (suff.)

Crea nomi astratti da

Dāer-ves

Kirim-ves

aggettivi

Soldato

Libertà

Felicità

 Affissi per creare Verbi

Affisso

Esempio

-ēbagon, -ībagon, -ūbagon

Mem-ēbagon

Significato

Avanzare

Vengono

utilizzati

per

creare verbi,

la vocale

iniziale del suffisso sembra

sytil-ībagon

Appartenere

dipendere

dall’ultima

Dekur-ūbagon

Camminare

vocale della radice verbale

-ikagon, -kagon (suff.)

Hos-kagon

Rendere orgoglioso

Forma i verbi causativi

jor-, jol-, jo- (pref.)

Jo-mōzugon

Continuare a ubriacarsi

125

Crea verbi continuativi

-ligon (suff.)

Verd-ligon

Ricreare

Crea verbi reiterativi

-ūljagon (suff.)

Morgh-ūljagon

Morire

Crea verbi incoativi

Questi sono solamente alcuni dei prefissi che la lingua utilizza per trasmettere

specifici significati.68

3.3.5 Sintassi

Come è facilmente deducibile dagli esempi riportati nel paragrafo precedente, l’alto

valyriano segue un ordine di tipo SOV. (Soggetto-Oggetto-Verbo), per cui il verbo,

all’interno della frase, occupa la posizione finale.

Iōnos ñuha ñābranna issa. — Jon è mio cugino.

Mentre, per quanto riguarda la posizione della testa, l’alto valyriano è una lingua

con testa a destra, vale a dire che in un sintagma nominale, ad esempio, la testa –

che è il nome- viene posto alla fine del sintagma.

Ad esempio, nella lingua giapponese, la quale segue anche l’ordine SOV,

ritroviamo i seguenti esempi, riportati da Givon (2001, Vol.I p.242):

a) ooki hito-wa (Adj-N)
big man-top
‘the big man’

b) sono onna-wa (Dem-N)
that woman-top
‘that woman’

c) san-satsu-no hon-o (Num-N)
three-cl-gen book-obj
‘three books’

d) watashi-no hon-o (Poss-N)
I-gen book-obj
‘my book’

Allo stesso modo, si può confrontare questo tipo di costruzione fraseologica con

68 Per la lista completa, si rimanda alla consultazione del sito
https://wiki.dothraki.org/High_Valyrian_Derivational_Affixes#cite_ref-2

126

quella dell’alto valyriano. Si prenda in esempio la frase Yn dāeri vali sīr issi, la

quale può essere tradotta come ‘Ma voi siete uomini liberi adesso’.

Yn dāeri

vali

sīr

issi.

Ma

liberi uomini adesso siete.

Sotto questo punto di vista, l’alto valyriano è più simile all’inglese che all’italiano,

poiché notiamo come il nome è preceduto, come in inglese, dall’aggettivo che si

riferisce ad esso. Mentre, in italiano, l’aggettivo segue il nome.

 Adposizioni

Trattandosi di una lingua che segue l’ordine SOV, si suppone una forte tendenza

all’utilizzo prevalente di posposizioni piuttosto che di preposizioni. Ed

effettivamente questa predilezione è verificata.

L’alto valyriano presenta infatti solamente tre preposizioni, mentre il numero delle

posposizioni è superiore.

Preposizioni

Come si è detto sopra, l’alto valyriano contempla solo tre preposizioni:

‣ hae: assume un valore semantico di tipo comparativo, essa infatti presenta in tutte

le sue occorrenze una sorta di paragone tra due termini. Inoltre, ricorre solamente

prima di nomi al caso locativo.

1) Yne sytivīlībilāt? Hae dāero valoti?

2) Hae jemē istin.

‘Combatterete per me? Come

uomini liberi?’

‘Una volta io ero come voi

adesso.’69

3)

Lodaor hēnkos vējose hae Astaprot

Altrimenti, Yunkai subirà lo stesso

Yunkai botilza.

destino come Astapor.

4) Tubī hae kesīr sittāks.*

‘Sei nato in un giorno come

questo qui.’

69 Si noti, appunto, che valoti e jemē sono le forme declinate al caso locativo rispettivamente di vala
e del pronome personale della seconda persona plurale.

127

*Si noti come, in questo caso, la particella prepositiva si comporti come una

posposizione. Poiché non esistono altri esempi simili per ricondurre il fenomeno

ad una regola precisa, possiamo limitarci ad immaginare un’eccezione dovuta,

forse, all’assenza di un secondo termine di comparazione sotto forma nominale.

Infatti la ‘comparazione’ avviene tra tubis (=giorno, declinato al caso locativo) e

un pronome dimostrativo, il quale, sottointendendo il riferimento a tubis, trasmette

ad esso il caso locativo. Mentre, in tutti gli altri i casi, i termini paragonati sono

ben distinti (1) voi – come uomini liberi; 2) io – come voi; 3) Yukai – come

Astapor).

Inoltre, questa preposizione può formare composti, insieme ad alcuni avverbi:

– hegnīr (hae + konir ‘lì’)→ ‘così, in quel modo’

Es. Issa, drīvose hegnīr ēdrus. ‘Si, lei sta davvero dormendo in quel modo lì.’

– heksīr (hae + kesir ‘qui’)→ ‘così, in questo modo’

Es. Issa, heksīr ipradan. ‘Si, sto mangiando in questo modo qui.’

‣ hen: a seconda del caso in cui è declinato il nome che segue la preposizione

assume un valore semantico differente. Se ricorre prima di un nome al caso

locativo assume un significato correlato al concetto di provenienza, come

dimostrano le seguenti frasi (con il verde è contrassegnato il nome al caso

locativo):

Es. Hen perzȳ vȳs amazverdagon asittaks. ‘È rinata dal fuoco per ricostruire il

mondo.’

Es. Nyke Daenerys hen Targārio Lentrot. ‘Io sono Daenerys dalla casata dei

Targaryen.’

Es. Hen sȳndrorro, ōños. Hen ñuqīr, perzys. Hen morghot, glaeson.

‘Dall’oscurità, la luce. Dalla cenere, il fuoco. Dalla morte, la vita.’

Se la preposizione ricorrre prima di un nome declinato al caso dativo assume una

connotazione di causalità come nella seguente espressione (il caso dativo è

contrassegnato dal colore rosso):

Es. …se hen pōjo qringaomnoti Āeksia īlinurtas. ‘e lei ha crocifisso i padroni per

128

i loro peccati.’

Inoltre, questa preposizione può formare composti insieme a preposizioni o

avverbi, come nei seguenti esempi:

– hēdrȳ (hen + rȳ ‘tra’)→ ‘tra’70

Es. Jenti jevi jemēle iderēbilātās, qogrondo jevo hēdrȳ. ‘Sceglierai un leader tra

persone del tuo stesso grado.’

– hezīr (hen + sīr ‘adesso’)→ ‘da adesso’

Es. Hēzīr, brōza jevi jemēle iderēbilātās. ‘Da adesso, sceglierete i vostri nomi.’

‣ va: anche questa preposizione assume diverse accezioni a seconda del caso cui è

declinato il nome che la segue. Per cui, se essa si trova prima di un nome declinato

al caso locativo, essa assumerà un’accezione che interessa la direzionalità del

movimento, come dimostra la seguente frase (in verde è segnato il nome al caso

locativo):

Es. Va oktio remȳti vale jikās. ‘Manda un uomo ai cancelli della città.’

Se, invece, la preposizione precede un nome declinato al caso dativo, essa

assumerà il significato di delimitazione del punto di arrivo. In altre parole, essa

può essere tradotta come ‘fino a’, come mostrano gli esempi seguenti (il nome

declinato al caso dativo verrà contrassegnato con il colore rosso):

Es. Pyryrzy napasirossa vokemilzi, va daorunta ñelli qringaomnā pōjo zālari.

‘Essi purificheranno centinaia di miscredenti, bruciando i loro peccati e la loro

carne, fino a ridurli a niente.’

Inoltre, la delimitazione va anche intesa da un punto di vista temporale. Si noti

l’espressione va moriot. Essa è una locuzione idiomatica che include la

preposizione va ‘fino a’, seguita dal nome mōris ‘fine’, declinato al caso dativo.

Per cui, l’espressione, nel suo complesso, letteralmente significa ‘fino alla fine’,

quindi assume il significato di ‘sempre’. Lo possiamo notare nel seguente

70 L’esatto corrispettivo sarebbe l’inglese from amongst, che nella traduzione italiana perde l’accento
sulla composizionalità dell’espressione. Infatti dovrebbe essere tradotta con l’espressione letterale
*da tra.

129

esempio:

Es. Lannister va moriot zȳha gēlȳnī addemmis. ‘Un Lannister paga sempre i suoi

debiti.’

Posposizioni

Tutte le posposizioni vengono utilizzate nel caso in cui il nome che le precede sia

declinato al caso genitivo. Tra le posposizioni distinguiamo:

‣ bē: corrisponde alla preposizione italiana ‘su’. La posposizione assume sia un

significato letterale (come nell’espressione: perzo bē ȳgha, il cui significato

letterale è ‘sicuro sul fuoco’. Da qui, l’espressione viene resa con la traduzione

non perifrastica, ‘ignifugo’), sia nella sua accezione argomentativa in frasi come:

Es. Kostilus jevi āeksia yno bē pirtra jemot vestretis. ‘I suoi padroni ti avranno

mentito su di me.’

‣ gō: è una posposizione che assume sia un valore spaziale sia un valore di

anteriorità temporale. Essa può esprimere un valore spaziale di inferiorità quando

viene aggiunta ad un verbo, in veste di prefisso:

Es. gōvilagon→ ‘trovarsi al di sotto’

Es. gōvilemagon→ ‘mettere sotto’

Oppure, lo stesso valore spaziale può essere espresso da gō posposto al nome cui

si riferisce, come nell’esempio:

Es. ēbrio gō (ebrion=cielo notturno) ‘Sotto il cielo notturno’

Per quanto riguarda l’unica occorrenza in cui la posposizione assume

una’accezione di anteriorità temporale, riportiamo l’avverbio sīrgō, formato

dall’unione di sīr ‘adesso’ + gō, il quale assume il significato letterale di ‘prima

di adesso’. Questo significato è confermato dall’unica frase presente nel corpus:

Es. Sīrgō parklon iprattā? ‘Hai mai mangiato carne prima d’ora?’

‣ iemnȳ: questa posposizione, la quale può essere tradotta con l’italiano ‘dentro,

130

all’interno’, viene utilizzata per conferire più enfasi di un semplice locativo.71 La

posposizione, metaforicamente filiata dalla parola iemny ‘stomaco’, corrisponde

alla parola ‘stomaco’ declinata al caso locativo.72

Es. Jēdar yno toliot. Tegon yno gō. Perzys yno iemnȳ. ‘Il cielo su di me. La terra

sotto di me. Il fuoco dentro di me.’

‣ naejot73: la posposizione naejot corrisponde al nome naejon ‘davanti, lato

anteriore’ declinato al caso locativo o al caso dativo. Essa corrisponde, quindi, alla

locuzione prepositiva ‘di fronte a/ davanti a’ e, se accompagnata da un verbo,

71 A proposito di questa posposizione, Peterson scrive «I used the “inside” postposition that’s used
for emphatic “inside”-ness because ordinarily you’d just use the locative. I also thought of using
‘hen’, but that’s a preposition and would break up the symmetry. This translation preserves the
symmetry.» (http://www.dothraki.com/2011/09/the-header-script/#comment-93965)
72 La connessione metaforica tra ‘stomaco’ e ‘dentro’ non sorprende, poiché esso rappresenta, infatti,
un esempio canonico di grammaticalizzazione a partire dal nome di una parte del corpo. Il
collegamento tra i due termini è testimoniato da altri casi di grammaticalizzazione della parola
‘stomaco’ in alcune lingue come la lingua swahili, hausa, morè e altre lingue africane. (Cfr. Heine e
Kuteva: 2002, pp.53-54).
73 Peterson ci racconta, nel suo The Art of Language Invention (2015, Cap II), di un ‘imprevisto’
linguistico. La produzione gli aveva mandato un’email in cui gli si chiedeva di tradurre la frase:
“You stand before Daenerys Stormborn, the Unburnt, Queen of Meereen, Queen of The Andals and
the Rhoynar and the First Men…”. Peterson si mise subito all’opera e notò che, all’interno della
frase ‘Daenerys Stormborn’ era l’oggetto della frase, dice «she is the one stood before; she’s
not the one doing the standing». In inglese, dunque, il nome Daenerys avrebbe seguito la parola
‘before’ e, insieme ad essa, avrebbe seguito il verbo. «Not so in High Valyrian», precisa Peterson.
La frase in alto valyriano avrebbe dovuto essere tradotta come “Daenero Jelmāzmo naejot iōrā…”
Il nostro linguista spiega, quindi, che la parola Daenerys rappresentava l’oggetto della posposizione
naejot. Di conseguenza, la desinenza –ys, avrebbe dovuto essere cambiata in –o, secondo le regole
di declinazione nominale. Una volta tradotta la frase, la manda alla produzione che però la rifiuta,
spiegando che il nome Daenerys doveva rimanere invariato, cosicché i fan lo avrebbero
riconosciuto. A quel punto Peterson cercò di arrivare ad un compromesso. Se la battuta fosse stata
cambiata da “You stand before Daenerys” in “Daenerys sits before you”, in quel caso, Peterson
avrebbe potuto mantenere la desinenza del nominativo singolare –ys, soddisfacendo in quel modo i
requisiti richiesti dalla produzione. Inizialmente, egli ricevette una risposta positiva, e quindi cambiò
la frase in “Daenerys Jelmāzmo aō naejot dēmas…”, ma gli attori si lamentarono poiché la
traduzione non coincideva con la battuta del copione. I produttori avevano mantenuto, infatti, la
battuta iniziale “You stand before Daenerys Stormborn”, spiegando che la traduzione andava bene,
ma la battuta sarebbe dovuta rimanere invariata. Quindi Peterson, alla fine, si rassegna e aggiunge
che per i produttori – e, in generale, per i parlanti nativi inglesi – è normale che l’inflessione
nominale sia una caratteristica linguistica che non viene tenuta granché in considerazione, poiché
l’inglese non presenta praticamente nessuna flessione per i nomi, se non quella riguardante la
formazione del plurale, che però non ha nulla a che vedere con la flessione derivata dal caso.
Infine, vorrei aggiungere che condivido la scelta degli autori della serie, poiché si tratta, a mio
avviso, di una strategia che avvicina lo spettatore allo show, in quanto sentire e riconoscere parole
di una lingua totalmente sconosciuta che ricorrono diverse volte, rende più concreta, più reale la
lingua. E, trattandosi di una lingua inventata, non esiste alcuna situazione che sia più auspicabile di
ricordare o dare l’impressione di trattarsi di una lingua naturale. Pertanto, paradossalmente
snaturando i principi di una lingua reale, avente le sue ‘regole’, si è ottenuto il risultato opposto e
cioè: rendendo ‘non-realistica’ una lingua, la si è resa più reale.

131

assume il ruolo grammaticale di avverbio, come nel caso proposto come esempio:

Es. Dovaogēdys! Naejot memēbātās! ‘Immacolati! Avanzate! (lett. marciate

avanti)

‣ ondoso: la posposizione in questione deriva dal nome ondos ‘mano’ declinato al

caso stumentale, e potrebbe essere letteralmente tradotto come ‘per mano di/a

causa di’. La posposizione ondoso viene utilizzata con i verbi passivi per marcare

l’agente dell’azione.

Es. Valo ondoso Aerys iderēbaks74. ‘Aerys è stato scelto per mano di

quell’uomo.’

‣ rȳ: questa posposizione viene utilizzata per esprimere un valore di permanenza,

di un qualcosa che si protrae. Poiché il corpus contiene solamente un’occorrenza,

non si può esprimere la certezza che questa posposizione possa avere

un’accezione, oltre che temporale, anche spaziale.75

Es. Jevo glaesoti rȳ buzdari istiat. ‘Siete stati schiavi per tutta la vostra vita.’

 syt: storicamente, essa potrebbe corrispondere al caso locativo o dativo di un nome

sconosciuto o andato perduto, probabilmente qualche parola collegata

all’aggettivo sȳz ‘bene, buono’, che possa in qualche modo rientrare nella sfera

semantica del beneficiario. La posposizione, dunque, riguarda l’espressione del

beneficiario di un’azione, come confermerebbero le seguenti frasi:

Es. Vala Aero syt rōbra derēbza. ‘L’uomo raccoglie fichi per Aerys.’

Es. Se dāeri vali pōntalo syt gaomoti iderēbzi. ‘E gli uomini liberi compiono scelte

per se stessi.’

74 Si sottolinea la forma passiva del verbo iderēbagon> iderēbaks (cfr. p.96 di questa trattazione).
75 Il dubbio che la posposizione possa avere anche un valore spaziale sorge spontaneo per via del
modo in cui la nostra fonte di informazioni (https://wiki.dothraki.org/High_Valyrian_Vocabulary)
traduce il significato di essa. La traduzione fornita dalla nostra fonte, infatti, è throughout, il quale
possiede svariati significati che non vengono circorscitti soltanto alla dimensione temporale, ma
anche a quella spaziale. Riportiamo i principali significati del temine secondo il Cambridge
Dictionary: «Throughout→ in every part, or during the whole period of time» (Cfr.
https://dictionary.cambridge.org/dictionary/english/throughout).

132

Infine, questa posposizione viene molto utilizzata per creare espressioni causali,

quali:

Espressione

Esempio

Skorio syt? ‘Perché?’

Skorio syt kesī krēga bāngā?

‘Perché inforni quelle barbabietole?’

Kesrio syt ‘perché, poichè’ Kesrio syt bantis zōbrie issa se ossȳngnoti lēdys.

‘Poiché la notte è oscura e piena di terrore.’

‣ toliot: la posposizione toliot, quasi certamente derivata dall’avverbio tolī ‘sopra,

dopo’, possiede, dunque, valore locativo di superiorità fisica – traducibile con

‘sopra’ – e valore temporale di posteriorità – traducibile con ‘dopo’.76

Es. Jēdar yno toliot. ‘Il cielo su di me.’ [Valore locativo]

3.3.6 Conclusioni

L’analisi delle lingue de Il Trono di Spade e, nello specifico, dell’alto valyriano,

non è stato un lavoro semplice. Non essendo stato pubblicato alcun manuale

ufficiale – o anche non ufficiale – è stato davvero difficile riuscire ad organizzare

un discorso organico e che coinvolgesse i molteplici livelli linguistici in cui l’alto

valyriano si stratifica.

L’analisi linguistica presente in questo paragrafo è il risultato di un assemblaggio

di informazioni estrapolate da svariati siti online, e di preciso il sito

https://wiki.dothraki.org/Learning_High_Valyrian#Grammar,

giudicato

linguisticamente attendibile da Peterson stesso, con il quale ho avuto l’onore di

parlare personalmente (Vedi e-mail 15/01/2019 23:29 in appendice, p.181).

Per molte delle informazioni, si è dovuto procedere ad una ricostruzione, poiché sul

sito erano presenti solamente delle regole generali che però non venivano applicate

76 Per quando riguarda Il caso in cui la posposizione assume valore temporale di posteriorità il corpus
non offre nessuna conferma del fenomeno. La caratteristica è stata riportata fedelmente dalla fonte
(https://wiki.dothraki.org/High_Valyrian_Vocabulary),
della
quale,
posposizione, scrive: «toliot [‘toli͡ ot] – post.→gen. above, over; after»

definizione

nella

la

133

con esempi concreti. Per cui, era impossibile verificarne l’effettiva esistenza: tutte

le parole in questione sono state contrassegnate, infatti, da un asterisco.

Infine, in quanto a tutti quegli aspetti linguistici non trattati, la loro assenza non è

stata una scelta volontaria, bensì obbligata dall’assenza di fonti che trattassero altri

aspetti della lingua in maniera ragionata, chiara, coerente e linguisticamente

appropriata.

134

3.4 Le conlangs di Game of Thrones – Il dothraki

La storia di Daenerys non rimane vincolata alle sue origini – e di conseguenza alla

lingua valyriana. Il personaggio di Daenerys è forse quello più dinamico sotto il

punto di vista spaziale. La legittima erede al trono, viaggia, si sposta, conquista

regioni, libera gli schiavi dagli oppressori. Nel suo cammino verso la riconquista

Figura 6

del trono, viene

venduta

dal

fratello al capo

della tribù dei

dothraki,

una

popolazione di

guerrieri

che,

sui loro cavalli,

solcano

le

steppe del continente di Essos, vivendo come semi-nomadi, conducendo uno

sfrenato stile di vita, senza inibizioni e pietà. Il fratello di Daenerys la cede, dunque,

al khal (il capo della tribù), Drogo, nella speranza che la loro unione portasse dalla

parte dei Targaryen un esercito di guerrieri senza pietà, pronti ad accompagnarli a

Westeros per la riconquista del trono. Inizialmente Daenerys è spaesata, prima di

tutto per lo stile di vita selvaggio che i dothraki conducevano e, in secondo luogo,

per la barriera linguistica che si interponeva tra lei e il popolo di cui era diventata

regina. Pertanto, si

Figura 7

affida ad una ‘dama’,

Irri (interpretata da

Amrita Acharia), che

la inizia ai costumi

dothraki

e

che,

soprattutto, le insegna

la lingua. Una volta

abbattuta la barriera linguistica, Daenerys riesce ad ambientarsi e a diventare a

pieno titolo la khaleesi di quel popolo che tanto le appariva violento e burbero.

135

3.4.1 Genesi della lingua

Il processo che Peterson utilizzò per la creazione della lingua divergeva dai metodi

che usualmente utilizzava per creare le sue lingue (non si consideri la creazione

dell’alto valyriano, che è avvenuta successivamente alla creazione del dothraki).

Nel suo The Art of Language Invention, Peterson spiega che il suo punto di

partenza fu una lista di cinquantasei parole, ventisei delle quali erano nomi propri.

khal

khaleesi

khalasar

dosh

rhae

Iggo

Ogo

khaleen

arakh

khas

hramma

mhar

Zollo

Temmo

rakh

haj

rhaesh

andahli

rhaggat

Bharbo

ko

dothrae

mr’anha

khalakka

vaes

dothrak

Pono

Rhogoro

dothraki

hrakkar

Drogo

Haggo

Cohollo

maegi

qiya

Qotho

Jhogo

Quaro

Rhaego

Rakharo

qoy

shierak

Fogo

Jommo

tolorro

jaqqa

Irri

rhan

Jhiqui

haesh

rakhi

Moro

Mago

Aggo

Jhaqo

ai

Dall’analisi di queste parole, Peterson ha estrapolato una grammatica.

Naturalmente, in un processo creativo così complicato, l’errore resta sempre dietro

l’angolo. Ad esempio, Peterson racconta di un errore di base che si è portato sin

dall’inizio: notando che in quasi tutte le parole non comparivano mai le lettere p e

b, decide di eliminarle completamente dal sistema alfabetico, non notando che in

realtà esse erano presenti nei nomi propri Bharbo e Pono.

Dunque, preso atto di tutte le considerazioni linguistiche che saltavano fuori da

quell’elenco di parole – stavolta più cospicuo di quello dell’alto valyriano –

cominciò a creare la sua lingua, cercando di mantenere inalterato il set lessicale che

Martin aveva fornito all’interno dei suoi libri.

La prima frase che Peterson analizza è: “Rakh! Rakh! Rakh haj!” they
proclaimed. A boy, a boy, a strong boy.” (AGoT: 1996, Cap. 46). Per cui, deduce
che Rakh è la parola per ‘boy’, poiché è l’unica che ricorre tre volte, e che haj è la

parola per ‘strong’. Quindi, già questa piccola frase offre le informazioni necessarie

a capire che si tratta di una lingua con testa a sinistra, poiché l’aggettivo segue il

nome a cui si riferisce.

136

La seconda frase che Peterson analizza è: “Khalakka dothrae mr’anha!” she

proclaimed in her best dothraki. A prince rides inside me!” (AGoT: 1996, Cap. 46).

Postulando che Khalakka sia la parola per ‘principe’77, Peterson si concentra sulla

seconda parola. Essa è evidentemente derivata dalla parola che designa il popolo,

dothraki, parola che letteralmente significa ‘riders’. Per cui, quello doveva essere

certamente il verbo, e mr’anha doveva corrispondere necessariamente a ‘inside

me’. Considerando i processi di costruzione preposizionale nelle lingue naturali,

dove è molto probabile che una preposizione, incontrando un pronome, si fonda con

esso (cfr. francese de elle>d’elle o inglese with them>with’em), Peterson ritiene

possibile che la preposizione sia espressa con la parola mra che, a contatto con il

pronome anha, subisce un’elisione. Il caso contrario – e cioè se anha fosse stata la

preposizione e mra il pronome – sarebbe stato possibile, ma Peterson ha ritenuto

improbabile che una costruzione del genere fosse stata nelle intenzioni di Martin,

trattandosi egli di un nativo anglofono che difficilmente possiede familiarità con

questa tipologia linguistica (tipica, ad esempio, del giapponese).

Da queste deduzioni linguistiche, Peterson traccia le linee base della lingua: si tratta

di una lingua flessiva, con testa a sinistra, che presenta l’ordine sintattico SVO

(Soggetto-Verbo-Oggetto).

3.4.2 Fonologia

La lingua dothraki prevede ventidue consonanti e quattro vocali.

Consonante

ch

d

f

g

h

n

IPA Esempio
t͡ ʃ

m’ach! ‘ciao!’

Consonante

j

IPA Esempio
d͡ ʒ

haj ‘forte’

f

g

h

dothralat ‘cavalcare’ k

darif ‘sella’

khogar ‘vestiti’

haj ‘forte’

zheanak ‘bello’

kh

l

m

th

k

x

m

θ

akat ‘due’

rikh ‘marcio’

lajak ‘guerriero’

mem ‘suono’

athrokar ‘paura’

77 Peterson sa che khal è la parola che designa il leader del clan e che khalasar è il nome delle genti
dothraki. Pertanto, intuisce che aggiungendo dei suffissi alla parola khal è possibile creare una rete
lessicale semanticamente collegata alla parola khal.

137

Consonante

IPA Esempio

Consonante

IPA Esempio

q

r

s

sh

t

q

fasqoyi ‘destino’

ɾ, r

mori ‘essi’

s

ʃ

vaes ‘città’

shierak ‘stella’

astat ‘dire’

v

w

y

z

zh

v

w

j

z

ʒ

vov ‘arma’

zoqwat ‘baciare’

yer ‘tu’

ziso ‘ferita’

rizh ‘figlio’

– Per quanto riguarda la consonante r, essa viene pronunciata come una polivibrante

([r]) a inizio parola, se seguita da vocale, se geminata o a fine parola. Mentre, viene

pronunciata come una monovibrante ([ɾ]) in tutti gli altri casi.

Per quanto riguarda le vocali, il dothraki ha quattro vocali, che non si presentano

mai sottoforma di vocali lunghe e che non si dittongano mai.

Anteriore Posteriore

Chiusa i [i]

Media e [e]

o [o]

Aperta a [a]

Sia le consonanti che le vocali possono essere raddoppiate e ogni segmento viene

pronunciato come entità a sé stante.

Infine, quando le consonanti come ch, kh, sh, th e zh vengono raddoppiate,

diventano rispettivamente cch, kkh, ssh, tth e zzh.

 Prosodia

Per quanto riguarda la prosodia del dothraki, essa segue le seguenti regole:

‣ Quando una parola finisce per vocale, l’accento cade sulla prima sillaba.

Es. ataki, havzi

‣ Quando una parola finisce per consonante, l’accento cade sulla sillaba finale.

Es. lajak, m’athchomaroon

‣ Quando la penultima sillaba è pesante e la parola finisce per vocale, l’accento cade

sulla penultima sillaba.

Es. zhavorsa, vosecchi

138

3.4.3 Grammatica

La struttura di analisi che verrà adoperata per il dothraki, non seguirà il modello che

finora è stato utilizzato, ma seguirà la struttura e l’ordine del manuale di Peterson,

Living Language Dothraki78, per ricostruire la stessa struttura logico-sistematica

che lo stesso inventore della lingua segue.

3.4.3.1 Pronomi Personali

Prima di introdurre i pronomi, Peterson spiega che la lingua dothraki viene declinata

con i casi. Per cui, presenta, in primo luogo, i pronomi personali al caso nominativo.

Prima Persona

Singolare

anha ‘io’

Plurale

kisha ‘noi’

Seconda Persona79

yer ‘tu (informale)’

yeri ‘voi (informale)’

Terza persona

me ‘egli, ella, esso’

mori ‘essi’

shafka ‘tu/voi (formale plurale e singolare)

3.4.3.2 Il Sistema Verbale

A differenza del complesso sistema verbale dell’alto valyriano, i verbi in dothraki

presentano una costruzione di gran lunga più semplice. Infatti, essi vengono

coniugati a seconda della persona e del numero e si coniugano al modo indicativo

(presente, passato e futuro) e al modo imperativo. Esistono due tipologie verbali

che si differenziano per via della loro desinenza: ritroviamo, dunque, verbi con

terminazione in –lat, e verbi che terminano con la desinenza –at, i quali vengono

coniugati diversamente a seconda del tempo verbale.

Si proceda ad un’analisi approfondita dei tempi verbali dell’indicativo.

78 Peterson D.J., Living language Dothraki, 2015
79 Peterson precisa che l’utilizzo del pronome di seconda persona dipende dal numero e dalla
formalità. Se si parla con una persona verrà utilizzato yer; mentre se si parla con più di una persona,
verrà usato il pronome yeri. In situazioni più formali, invece, viene utilizzato il pronome shafka,
indipendentemente dal numero di persone a cui ci si riferisce.

139

 PRESENTE: Verbi -lat

Le desinenze che si aggiungono alla radice del verbo sono:

1° pers. sing. → -k

2° pers. sing. → -e

3° pers. sing. → -e

1° pers. pl. → -ki

2° pers. pl. → -e

3° pers. pl. → -e

Si prenda come esempio uno dei verbi -lat più utilizzati in dothraki: dothralat

‘cavalcare’. Una volta rimossa la desinenza dell’infinito, resta la radice verbale

(dothra-), la quale verrà coniugata come segue:

Singolare Plurale

Per cui, è possibile adesso ricollegare

Prima Persona

dothrak

dothraki

Seconda Persona dothrae

dothrae

Terza Persona

dothrae

dothrae

alla frase che Peterson analizza

quando comincia a lavorare sulla

creazione della lingua: “Khalakka

dothrae mr’anha!” she proclaimed in

her best dothraki. A prince rides inside me!” (vedi pag. 136).

Per quanto riguarda, invece, l’accordo tra il pronome shakfa e il verbo, esso

concorda con la terza persona plurale.

Per quanto riguarda la negazione dei verbi –lat, il verbo necessita di altre desinenze

e di un elemento lessicale: vo (davanti a verbi che cominciano per consonante)

oppure vos (davanti a verbi che cominciano per vocale). Le desinenze devono essere

aggiunte subito dopo la radice verbale privata della sua ultima vocale. Possiamo

riassumere questo processo con il seguente schema:

Singolare Plurale

Per cui avremmo frasi come:

Prima Persona

-ok

Seconda Persona -o

Terza Persona

-o

-oki

-o

-o

– Anha vo dothrok ‘Io non cavalco’

– Kisha vos indoki ‘Noi non beviamo’

(indoki = da indelat ‘bere’).

140

 PRESENTE: Verbi –at

Le desinenze che si aggiungono alla radice del verbo sono:

1° pers. sing. → -ak

2° pers. sing. → -i

3° pers. sing. → -a

1° pers. pl. → -aki

2° pers. pl. → -i

3° pers. pl. → -i

Allo stesso modo dei verbi –lat, si aggiungono le sopraindicate desinenze, come è

possibile notare nella seguente tabella, che prende in esame il verbo astat ‘dire’.

Singolare Plurale

Prima Persona

astak

astaki

Seconda Persona asti

Terza Persona

asta

asti

asti

Per quanto riguarda la negazione dei verbi –at, anche in questo caso il verbo

necessita di specifiche desinenze e deve essere accompagnato da vo oppure da vos,

a seconda della prima lettera che compone la parola.

Singolare Plurale

Per cui avremmo frasi come:

Prima Persona

-ok

-oki

– Anha vos astok ‘Io non dico’

Seconda Persona -i

Terza Persona

-o

-i

-i

– Mori vos asti ‘Essi non dicono’

 PASSATO: Verbi –lat

Formare i verbi al passato è molto semplice, poichè il verbo, in questo caso, seppur

debba sempre concordare con il numero, non ha bisogno di accordarsi con la

persona. Per creare i verbi al passato, non si aggiunge alcuna desinenza con i

soggetti al singolare, mentre si aggiunge –sh ai verbi con soggetto al plurale, come

riportato sotto.

141

Singolare Plurale Es. Singolare Es. Plurale

Prima Persona

Seconda Persona –

Terza Persona

-sh

-sh

-sh

Anha dothra

Kisha dothrash

Yer dothra

Yeri dothrash

Me dothra

Mori dothrash

Per quanto riguarda la negazione, basta cambiare la vocale tematica in o e

aggiungere alla radice del verbo le desinenze del passato, non dimenticando di

preporre al verbo la negazione vo/vos.

Si avranno, dunque, frasi come: Anha vo dothro ‘Io non cavalcavo’

Mori vos indosh ‘Essi non bevevano’.

 PASSATO: Verbi –at

Esattamente come accade per i verbi –lat, i verbi –at al passato si formano con

l’aggiunta di una desinenza, stavolta –ish, per i soggetti al plurale e sono marcati

dall’assenza di desinenza per i soggetti al singolare.

Singolare Plurale Es. Singolare Es. Plurale

Prima Persona

Seconda Persona –

Terza Persona

-ish

-ish

-ish

Anha ast

Kisha astish

Yer ast

Me ast

Yeri astish

Mori astish

La negazione al passato dei verbi in –at, prevede la particellla di negazione vo/vos

e l’aggiunta del suffisso –o per i soggetti singolari e un mutamento vocalico che

coinvolge la i presente nella desinenza –ish, la quale viene sostituita da una o.

Si avranno, dunque, frasi come: Kisha vos astosh ‘Noi non dicevamo’

Yeri vo charo ‘Voi non sentivate’

(charo= da charat ‘sentire’)

 FUTURO

La formazione del futuro non tiene conto della distinzione tipologica tra verbi –lat

e verbi –at. Per formare il futuro dei verbi che cominciano per vocale basta partire

dalla coniugazione del verbo al presente (che puà essere di grado positivo o di grado

negativo, a seconda se la frase al futuro è positiva o negativa) e aggiungere il

142

prefisso v- al verbo. Per i verbi che cominciano per consonante si aggiungono il

prefisso a-, se sono di grado affermativo, o- se sono di grado negativo.

Verbi che… Affermativa

Negativa

iniziano per

Presente> anha ifak

Presente Neg.> anha ifok

vocale

‘io cammino’

‘io non cammino’

Futuro> anha vifak

Futuro> anha vo vifok

‘io camminerò’

‘io non camminerò’

iniziano per

Presente> anha dothrak

Presente> anha dothrak

consonante

‘io cavalco’

‘io cavalco’

Futuro> anha adothrak

Futuro> anha vos odothrak

‘io cavalcherò’

‘io non cavalcherò’

Infine, si vuole porre l’attenzione sull’espressione dei verbi ausiliari essere e avere.

A differenza dell’inglese o dell’italiano, il dothraki non utilizza il verbo essere per

collegare un nome ad un altro nome o ad un aggettivo. Si possono esprimere i

predicati nominali semplicemente giustapponendo i due costituenti.

Si veda l’esempio:

mahrazh ‘uomo’ + lajak ‘guerriero’

Mahrazh lajak ‘L’uomo è un guerriero’

Per esprimere la forma negativa del verbo essere in questo contesto basta

aggiungere la particella negativa vos tra i due nomi. In questo caso la particella

rimane invariata, vale a dire che non cambia se davanti a consonante o a vocale. Si

avranno, quindi, frasi come: Mahrazh vos lajak ‘L’uomo non è un guerriero’.

Per collegare, invece, un nome a un aggettivo, è necessario trasformare l’aggettivo

in un verbo stativo, aggiungendo la desinenza –(l)at. Si avranno, dunque, frasi

come: Anha zheanak ‘Io sono bello’ (zheanak = da zheanalat ‘essere bello’),

oppure Shafka vos naqiso ‘Voi non eravate piccoli’ (naqiso = da naqisat ‘essere

piccolo’), o ancora Mori ahaji ‘Essi saranno forti’ (ahaji = da hajat ‘essere forte’).

Per quanto concerne l’espressione del verbo avere, il dothraki prevede l’utilizzo

143

dell’espressione idiomatica mra qora, che letteralmente significa ‘in mano’.

Quando l’espressione viene utilizzata constestualmente ad un nome declinato al

caso nominativo, essa assume il significato pieno di ‘avere’, dove il nome che

precede mra qora designerà l’oggetto che si possiede. Si avranno, dunque, frasi

come Arakh mra qora. ‘Io/tu/egli/noi ho/hai/ha/abbiamo un arakh (=una spada

ricurva) ’. L’espressione letteralmente significa ‘un arakh è in mano (di qualcuno)’

e il possessore dell’oggetto verrà determinato dal contesto in cui la frase si sviluppa.

Infine, il modo imperativo in dothraki viene utilizzato per comandi o richieste ed

esistono due modi per esprimerlo: l’imperativo informale viene utilizzato per le

richieste, mentre l’imperativo formale viene utilizzato per i comandi.

‣ L’imperativo informale, nelle frasi affermative, viene espresso mediante

l’aggiunta della desinenza –as, per le radici verbali terminanti per consonante, e

della desinenza –s, per le radici verbali terminanti per vocale.

Es. Lekhis jin lamekh (lekhis = da lekhilat ‘assaggiare’)

‘Assaggia questo latte di giumenta’

Mentre, per le frasi negative, basta rimuovere dalla radice verbale la vocale tematica

e aggiungere la desinenza –os, e aggiungere prima del verbo la particella negativa

vo/vos.

Es. Vo liwos haz hrazef (liwos = da liwalat ‘legare’)

‘Non legare quel cavallo’

‣ Per esprimere ordini o comandi, viene utilizzato l’imperativo formale: si aggiunge

una –i ai verbi la cui radice termina per consonante (e quindi tuttu i verbi -at) e si

utilizza la sola radice verbale per i verbi terminanti per vocale (e quindi tutti i verbi

in -lat).

Es. Inde! ‘Bevi!’ (=da indelat ‘bere’)

Loji! ‘Corri!’ (=da lojat ‘correre’)

Per le frasi negative è necessario cambiare la –i o la vocale tematica in o e

aggiungere la particella negativa vo/vos.

144

Es. Vo rhelo! ‘Non aiutare!’ (=da rhelalat ‘aiutare’)

Vo lojo! ‘Non correre!’ (=da lojat ‘correre’)

3.4.3.3 I Nomi

La peculiarità dei nomi dothraki risiede nella salienza del tratto di animatezza:

esistono, infatti, nomi animati e nomi inanimati, la cui natura determina una

specifica desinenza. Questa distinzione non è estranea alle lingue naturali: si prenda

il caso dell’inglese. Anche l’inglese distingue nomi animati e inanimati quando si

tratta di scegliere il pronome della terza persona singolare. Per cui, si utilizzerà la

frase It is on the sofa se ci si vuole riferire ad un soggetto inanimato (utilizzando il

pronome personale inanimato, it), mentre si utilizzerà la frase She is on the sofa se

ci si vuole riferire ad un soggetto animato di genere femminile (utilizzando il

pronome personale animato femminile, she).

In dothraki, però, la distinzione non è cristallina come in inglese. Gli esseri viventi

sono considerati soggetti animati in entrambe le lingue – l’inglese e il dothraki –

d’altro canto, in genere, questa categoria di soggetti non rappresenta mai un

problema.80 Ciò che però diverge è che in dothraki vengono considerati soggetti

animati anche entità che non verrebbero considerate tali in inglese (ad esempio

feshith ‘albero’, hoyalasar ‘musica’, hake ‘fiore’, considerati tutti nomi animati,

mentre non lo sono in inglese). Viceversa, alcune cose che in inglese verrebbero

considerate soggetti animati non lo sono in dothraki (ad esempio yalli ‘bambino’ o

zafra ‘schiavo’, considerati inanimati mentre lo sono in inglese).

Per quanto riguarda la declinazione del nome secondo il numero, essa dipende

dall’animatezza del nome. Infatti, solamente i nomi animati possegono la forma

plurale: essi aggiungono una –i se terminano per consonante, -si se terminano per

vocale.

80 Si pensi, ad esempio, all’attribuzione del genere nelle Tedesco: i nomi animati non presentano
connotazioni di genere arbitrarie. Vale a dire che a un soggetto di sesso femminile verrà attribuito
un genere linguistico femminile, idem per la controparte maschile. Mentre, per i soggetti inanimati
l’attribuzione di un genere è del tutto arbitrario e non è deducibile dalla natura dell’oggetto di
riferimento. Chi vuole imparare il genere dei nomi tedeschi, infatti, si ritrova ad affrontare un lavoro
di tipo mnemonico decisamente non privo di difficoltà, poiché è costretto ad imparare il genere di
ogni singolo nome, senza possibilità di ricondurlo ad una logica precisa.

145

Es. rizh ‘figlio’> rizhi ‘figli’

lajak ‘guerriero’> lajaki ‘guerrieri’

Invece, per i nomi inanimati non è prevista una forma plurale. È, infatti, il contesto

a stabilire se il nome in questione è singolare oppure plurale.

Infine, la parte del sintagma nominale che viene declinata è la testa, ovvero il primo

nome in un composto o in un sintagma. Di conseguenza, quando all’interno di un

sintagma è presente un nome animato, verrà considerato animato tutto il sintagma.

Facciamo un esempio: dosh khaleen designa il ‘concilio delle anziane’ che si occupa

di consigliare i dothraki in materia spirituale e sociale. Dosh, che è la parola per

‘consiglio’, è un nome inanimato; mentre, khaleen, che è la parola per ‘anziane’, è

un nome animato. Tutto il composto (nel nostro caso: dosh khaleen) prende

l’animatezza o l’inanimatezza dalla parola che sta a sinistra – poiché quella è la

testa del sintagma. Ad esempio, una frase come ‘il consiglio del dosh khaleen’

verrebbe tradotta come ‘fonnoya doshi khaleen’, dove il suffisso del genitivo –i

viene aggiunto alla parola dosh, in quanto testa del sintagma, e non alla seconda

parola del sintagma, khaleen.

3.4.3.4 I casi del dothraki

La lingua dothraki prevede cinque casi: Nominativo, Accusativo, Genitivo, Allativo

e Ablativo.

‣ Caso Nominativo: i nomi declinati secondo questo caso sono alla loro ‘forma base’

e sono quelli che designano il soggetto della frase.

Nominativo

arakh ‘spada/e’

rizh ‘figlio’

ashefa ‘fiume’

jano ‘cane/i’

rizhi ‘figli’

ashefasi ‘fiumi’

‣ Caso Accusativo: questo caso viene utilizzato quando un nome svolge la funzione

di oggetto diretto all’interno della frase. Così come in inglese, ma anche in italiano,

il pronome al caso accusativo cambia (cfr. I see him – Io lo vedo, dove I e Io sono

146

al caso nominativo e him/lo sono al caso accusativo) e allo stesso modo cambiano

i nomi.

Per formare l’accusativo dei nomi inanimati che terminano per consonante basta

usare la forma base della parola, cioè il nome al caso nominativo. In altre parole, il

nome rimane invariato dal caso nominativo. Mentre, per i nomi inanimati che

terminano per vocale basta rimuovere la vocale finale. Per cui, riprendendo gli

esempi di prima, si avranno:

Nominativo

arakh ‘spada/e’

jano ‘cane/i’

Accusativo

arakh ‘spada/e’ (ogg.)

jan ‘cane/i’ (ogg.)

Es. Anha tihak jan ‘Io vedo il cane/i cani’

Kisha zigereki arakh ‘Ci serve una spada/Ci servono delle spade’

Alcuni nomi inanimati prendono una –e se la loro radice termina per g, w, q o nesso

consonantico.

Per quanto riguarda i nomi animati, essi aggiungono la desinenza –es alla radice, se

si tratta di nomi al singolare. Al plurale, invece, prendono la desinenza –is, se la

radice termina per consonante, -es se la radice termina per vocale.

Nominativo

Caratteristiche del Nome→ Desinenza

Accusativo

rizh ‘figlio’

Animato, Singolare→ -es

rizhes

rizhi ‘figli’

Animato, Plurale, Termina per consonante→ -is rizhis

ashefa ‘fiume’ Animato, singolare →-es

ashefaes

Ashefasi ‘fiumi’ Animato, Plurale, Termina per vocale → -es

ashefaes

‣ Caso Genitivo: il caso genitivo è quello utilizzato per esprimere il possesso. Per i

nomi inanimati, il genitivo si forma aggiungendo una –i alla radice nominale:

 Jano ‘cane/i’ + eve ‘coda/e’→ ‘jani eve’la coda del cane/ le code dei cani’

Per i nomi animati, il genitivo si forma aggiungendo la desinenza –(s)i alla radice

del nome, indipendentemente dal fatto che esso sia singolare o plulare:

 Rizh ‘figlio’ + hrazef ‘cavallo’→ rizhi hrazef ‘il cavallo del figlio’

 Ashefasi ‘fiumi’ + eveth ‘acqua’→ ashefasi eveth ‘l’acqua dei fiumi’

147

‣ Caso Ablativo: questo caso rappresenta il caso locativo, il quale indica, in genere,

il concetto di moto da luogo. Inoltre, esso viene utilizzato per esprimere il possesso

inalienabile.81

Per declinare un nome inanimato al caso ablativo è necessario aggiungere la

desinenza –oon alla radice nominale.

 Jano ‘cane/cani’→janoon ‘dal cane/dai cani’

 Athevar ‘inizio’→athevaroon ‘dall’inizio’

Per i nomi animati, invece, si aggiunge la desinenza –(s)oon ai nomi singolari e –

(s)oa ai nomi plurali.

 Ashefa ‘fiume’→ ashefasoon ‘dal fiume’

 Ashefasi ‘fiumi’→ ashefasoa ‘dai fiumi’

‣ Caso Allativo: anche questo è un caso locativo e indica il movimento verso un

nome. Inoltre, in presenza di determinati verbi, indica l’oggetto indiretto, il

ricevente dell’azione. In altre parole, occasionalmente si sostituisce al caso dativo,

assente nel dothraki.

Per declinare un nome inanimato al caso ablativo si aggiunge la desinenza –aan alla

radice.

 Jano ‘cane/cani’→ janaan ‘al cane/ai cani’

Per i nomi inanimati, invece, si aggiunge la desinenza –(s)aan ai nomi singolari, e

la desinenza –(s)ea ai nomi plurali.

 Rizhi ‘figli’→ rizhea ‘ai figli’

 Ashefa ‘fiume’ → ashefasaan ‘al fiume’

81 Per possesso inalienabile si intende il possesso di qualcosa che non può essere rimosso dal suo
possessore, come le parti del corpo, i rami di un albero, il tetto di una casa, l’elsa di una spada. (cfr
Peterson:2014, p.60)

148

 I pronomi declinati secondo i casi

Anche i pronomi in dothraki vengono declinati secondo i casi, come ad esempio

accadeva nel latino, poiché essi sostituiscono i nomi e come tali si comportano. Si

riporta una tabella riassuntiva di tutti i pronomi declinati secondo tutti e cinque i

casi.

Nominativo Accusativo Genenitivo Ablativo Allativo

1° pers. sing.

anha

2° pers. sing.

yer

anna

yera

anni

yeri

anhoon

anhaan

yeroon

yeraan

2° p.s. formale shafka

shafka

shafki

shafkoa

shafkea

3° pers. sing. me

1° pers. plur.

kisha

2° pers. plur.

yeri

3° pers. plur. mori

mae

kisha

yeri

mora

mae

kishi

yeri

mori

moon

maan

kishoon

kishaan

yeroa

yerea

moroa

morea

 Esprimere la possessione

In dothraki si può esprimere il possesso sia mediante la declinazione al genitivo e

all’ablativo (per il possesso inalienabile, di cui si è discusso sopra, pag. 148), sia

attraverso l’utilizzo di modificatori con la marca del possessivo. Considerando che

in dothraki il modificatore possessivo segue il nome, si riportano i seguenti esempi:

a) Okeo anni (gen.) ‘il mio amico’;

b) Qora anhoon (abl.) ‘la mia mano’

c) Okre yeri (gen.) ‘la tua/vostra tenda’

d) Noreth moon (abl.) ‘i suoi capelli’82

3.4.3.5 Gli Aggettivi

Trattandosi di una lingua con testa a sinistra, gli aggettivi seguono il nome a cui si

riferiscono. Quindi si avranno espressioni come:

hrazefk dik ‘un cavallo veloce’

lajak haj ‘un guerriero forte’

Ricordiamo che gli aggettivi legati ai nomi possono figurare sia sottoforma di

82 Negli esempi b) e d) si utilizza l’ablativo poiché si tratta di un possesso inalienabile: nel primo
caso la mano, nel secondo caso i capelli.

149

aggettivi qualificativi sia sottoforma di verbi stativi. Confrontiamo le seguenti frasi:

a) khaleesi zheana ‘la bella khaleesi’

b) Khaleesi zheanae. ‘La khaleesi è bella’

c) Khaleesi zheana afisha. ‘La bella khaleesi sentirà freddo’

Nella frase a) la qualità ‘bella’ viene espressa semplicemente giustapponendo

l’aggettivo al nome; mentre nelle frasi b) e c) l’aggettivo costituisce il determinante

del sintagma nominale che accompagna la testa, ovvero il nome khaleesi.

Gli aggettivi si accordano secondo il numero con i nomi animati plurali, com’è

possibile notare nelle frasi come:

Lajak haj, lajak haji ‘Un guerriero forte, guerrieri forti’

 Lajaki haji.

 Lajaki haji dikish.

‘I guerrieri sono forti’

‘I guerrieri forti erano veloci’

Inoltre, gli aggettivi vengono declinati anche secondo il caso, ove possibile. Gli

aggettivi al singolare che terminano per consonante prendono il suffisso –a per

indicare che essi modificano un nome attribuendogli un caso diverso dal nominativo

(vedi frase 1)). In altre parole, segnalano che il nome cui si riferiscono non è al caso

nominativo. Mentre, quando il nome a cui si riferiscono è plurale, l’aggettivo

prende la desinenza –i, indipendentemente dal caso del nome (vedi frase 2))

1) Qorasi khaleesioon haja fishish.

2) Jahaki lajakoa haji neakish.

‘Il forte braccio della khaleesi era

‘Le trecce dei guerrieri forti erano

freddo’

lunghe’

Infine, quando vengono utilizzati sia aggettivi qualificativi sia quelli che marcano

il possesso, l’aggettivo occuperà la posizione di mezzo tra il nome e il possessivo.

Arakh davra mae has.

Hrazef davra khali adiki.

‘La sua spada buona era affilata’

‘I cavalli buoni del khal saranno veloci’

150

Aggettivi Comparativi

Nella lingua dothraki esistono quattro livelli di comparazione, non considerando il

grado dell’aggettivo neutrale. Si potrebbe schematizzare la progressione dei gradi

con il seguente grafico:

Il meno X

Meno X

Aggettivo
X

Più X

Il più X

Ciascun grado di comparazione viene espresso mediante l’aggiunzione di

circonfissi83, i quali possono essere applicati non solo agli aggettivi, ma anche ai

verbi stativi.

Partendo dall’aggettivo di forma neutrale X, si hanno i seguenti circonfissi:

– Più X→ a- X –an

– Meno X→ o- X –an

– Il più X→ a- X –anaz

– Il meno X→ a- X -anoz

Si propone un esempio per maggiore chiarezza.

Ahajano
Il meno forte

Ohajn
Meno forte

Aggettivo
haj
‘forte’

Ahajan
Più forte

Ahajanaz
Il più forte

83 «I circonfissi sono morfi discontinui costituiti da un prefisso e un suffisso che stanno
obbligatoriamente insieme. Si tratta di una struttura piuttosto rara nelle lingue e instabile nel tempo.
In italiano, come nelle altre lingue romanze, essa è impiegata per la derivazione di verbi a partire da
nomi (per es., abbottonare, imbrigliare) o da aggettivi (addolcire, indebolire). La particolarità di
questa costruzione sta nel fatto che nella lingua non appaiono come parole né la forma solo prefissata
(* abbottone, * addolce) né quella solo suffissata (* bottonare, * dolcire). I circonfissi possono essere
chiamati anche ambifissi; il fenomeno di circonfissazione è chiamato anche parasintesi.»
(Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/affissi_%28Enciclopedia-dell%27italiano%29/)

151

Scendendo più sul dettaglio, noteremo come questo processo parasintetico funzioni

all’interno di una frase. Si verrano a costruire espressioni di questo tipo:

Mahrazh haj ‘uomo forte’ → aggettivo neutrale;

1. Mahrazh ahajan ‘uomo più forte’ → comparativo di maggioranza

Es. Mahrazh ahajana yeroon. ‘L’uomo è più forte di te’;

2. Mahrazh ahajanaz ‘il più forte’→ superlativo relativo

Es. Mahrazh ahajanaza. ‘L’uomo è il più forte’;

3. Mahrazh ohajan ‘uomo meno forte’→ comparativo di minoranza

Es. Mahrazh ohajana yeroon. ‘L’uomo è meno forte di te’;

4. Mahrazh ahajanoz ‘il meno forte’→ sublativo84

Es. Mahrazh ahajanoza. ‘L’uomo è il meno forte’.

Per quanto riguarda il secondo termine di paragone, esso viene espresso attraverso

la sua declinazione al caso ablativo, come possiamo notare dagli esempi 1 e 3, dove

il pronome che ricopre la funzione di secondo termine di paragone viene declinato

al caso ablativo (yeroon).

3.4.3.6 Gli avverbi

Come sappiamo, gli avverbi sono parole che descrivono come, dove o quando si

verifica l’azione espressa dal verbo. In dothraki esistono cinque tipologie

avverbiali, di cui si riporta solo un esempio. Per una lista più completa, si rimanda

a Peterson:2014, Pag. 77.

1. Avverbi di modo, come norethaan ‘completamente’

2. Avverbi di tempo, come save ‘di nuovo’

3. Avverbi di luogo, come hezhah ‘lontano’

4. Avverbi di frequenza, come ayyey ‘sempre’

84 Il termine sublativo, qui, viene usato da Peterson (2014: p.76) con l’accezione di ‘non-
superlativo’. Tuttavia, in linguistica, il suddetto termine viene utilizzato per indicare un caso di
declinazione presente nel Finlandese e nell’Ungherese, il quale viene utilizzato per esprimere il
movimento verso l’esterno (cfr. http://users.jyu.fi/~pamakine/kieli/suomi/sijat/sijatadverbien.html,
per il Finlandese, e Carol Rounds 2001: p.101, per l’Ungherese).

152

5. Avverbi di quantità, come zolle ‘un po’, una piccola quantità’

In dothraki, gli avverbi possono anche essere formati a partire da aggettivi o da

nomi. In quest’ultimo caso si aggiunge la preposizione ki (con) al nome declinato

al caso genitivo, come nell’esempio riportato.

athhajar

forza

athjilar

correttezza

k’athhajari

fortemente (lett. con forza)

k’athjilari

correttamente (lett. con correttezza)

Per quanto riguarda la posizione che l’avverbio occupa all’interno della frase, esso

tende ad essere utilizzato alla fine della frase, ad eccezione degli avverbi di tempo

e di luogo, però, i quali possono trovarsi all’inizio della frase, qualora si volesse

porre l’enfasi su di essi.

3.4.3.7 I Dimostrativi

Nella lingua dothraki, i dimostrativi fungono sia da aggettivi che da pronomi.

‣ Aggettivi Dimostrativi: marcano la distanza dal parlante o dall’ascoltatore. A

differenza degli aggettivi qualificativi, i pronomi dimostrativi precedono il nome,

seguendo il tipo italiano ‘quest’uomo, quel cavallo’. Essi si possono riassumere nel

seguente schema:

jin

haz

rek

questo/questi

quello/quelli

quello/quelli lì

(vicino il parlante)

(vicino all’ascoltatore)

(lontano da entrambi)

jin ifak/ifaki

haz ifak/ifaki

rek ifak/ifaki

questo straniero/questi

quello straniero/ quegli

quello straniero lì/

stranieri

jin hrazef

stranieri

haz hrazef

quegli stranieri lì

rek hrazef

questo cavallo/questi

quel cavallo/quei cavalli

quel cavallo lì/ quei

cavalli

cavalli lì

153

Infine, si ponga l’attenzione sulla possibilità di formare avverbi di luogo dagli

aggettivi dimostrativi, processo che avviene mediante la duplicazione della

consonante finale della radice e l’aggiunzione del suffisso –e, come dimostrano gli

esempi riportanti nella seguente tabella.

jinne

qui

hazze

rekke

laggiù

(vicino al parlante)

(vicino all’ascoltatore)

(lontano da entrambi)

Ifak kovara jinne

Ifak kovara hazze.

Ifak kovara rekke.

C’è uno straniero qui.

C’è uno straniero lì.

C’è uno straniero laggiù.

‣ Pronomi Dimostrativi: a differenza degli aggettivi dimostrativi, i pronomi

dimostrativi vengono modificati in base all’animatezza e al numero del nome.

Nel caso dei nomi animati, i pronomi aggiungono alla base (la quale è costituita

dall’aggettivo dimostrativo) la desinenza –ak, al singolare, e la desinenza –aki, al

plurale.

Animato

Singolare

Plurale

jinak ‘questo’

hazak ‘quello’

rekak ‘quello lì’

jinaki ‘questi’

hazaki ‘quelli’

rekaki ‘quelli lì’

Mentre, per i pronomi che si riferiscono a nomi inanimati – poiché questi ultimi

non fanno distinzione formale tra singolare e plurale – non tengono conto del

numero e si formano semplicemente aggiungendo una –i alla forma base (quella

dell’aggettivo dimostrativo).

Inanimato

jini

hazi

reki

Questo/questi

Quello/quelli

Quello/quelli lì

Infine, poiché i pronomi sostituiscono il nome, e il nome viene declinato secondo

i casi, i pronomi verranno anch’essi declinati secondo tutti i casi, come dimostrato

dalle seguenti tabelle riepilogative.

154

Questo/questi Nominativo Accusativo Genitivo Ablativo Allativo

Sing. Anim.

jinak

Plur. Anim.

jinaki

Inanim.

jini

jinakes

jinakis

jin

jinaki

jinaki

jini

jinakoon

jinakaan

jinakoa

jinakea

jinoon

jinaan

Quello/quelli Nominativo Accusativo Genitivo Ablativo Allativo

Sing. Anim.

hazak

hazakes

hazaki

hazakoon

hazakaan

Plur. Anim.

hazaki

hazakis

hazaki

hazakoa

hazakea

Inanim.

hazi

haz

hazi

hazoon

hazaan

Quello/quelli lì Nominativo Accusativo Genitivo Ablativo Allativo

Sing. Anim.

rekak

Plur. Anim.

rekaki

rekakes

rekakis

Inanim.

reki

rek

rekaki

rekaki

reki

rekakoon

rekakaan

rekakoa

rekakea

rekoon

rekaan

Si riportano alcuni frasi esemplificative del fenomeno mostrato nelle tabelle
soprastanti:

– Arakh jinaki hasa. → ‘L’arakh di questo qui è affilato.’

– Jahak hazakoon neaka. → ‘La treccia di quello è lunga.’

– Vovi rekaki meshish. → ‘Le armi che appartengono a quelle persone lì erano

nuove.’

3.4.3.8 Le Adposizioni

Il dothraki presenta esclusivamente preposizioni, le quali determinano il caso della

parola che segue, e il loro significato dipende dal caso ad esse assegnato. Si propone

qui di seguito la lista delle preposizioni con annessi differenti significati a seconda

del caso, riportata fedelmente dal sito wiki.dothraki.org/Prepositions.

155

ha

haji

hatif

irge

ki

ma

mra

oleth

oma

qisi

she*

torga

vi

Nominativo Acc. Genitivo

Allativo

Ablativo

for

from

because of

facing, opposite

to front of, to

from front of,

to, before

before

from before

after

to behind

from behind

by, because of

within

into

over, above

with

out of

without

about,

concerning

on, upon, in

onto

off of

under

through,

along

yomme across

in spite of

*Per quanto riguarda la preposizione she, essa assumerà il significato di ‘in’ al caso

nominativo (come nella frase Dalen rhaggat eveth ma ale vekhi she Vaes Seris. —

‘There are thousands of ships in the free cities.’), mentre assumerà il significato di

‘onto’ se declinato al caso allativo (come nella frase Eyel varthasoe she ilekaan

rikhoya. — The rain will fall on your rotting skin.)

3.4.4 Conclusioni

Il manuale di lingua dothraki offertoci da Peterson non presenta solamente

informazioni circoscritte alla dimensione linguistica. Poiché una lingua, in genere,

non può prescindere dalle dimensioni extralinguistiche che contribuiscono

all’evoluzione della lingua stessa, Peterson presenta molti spaccati culturali utili a

comprendere le dinamiche più prettamente linguistiche che il dothraki segue. Per

156

dare contezza a questa dimensione culturale, Peterson inserisce delle Cultural

Notes, che aiutano a comprendere meglio certi meccanismi linguistici che

dipendono dagli usi e dalla caratterizzazione interiore della tribù dei dothraki. Ad

esempio, nella Cultural Note riguardante il saluto dothraki, Peterson spiega che i

dothraki sono un popolo diffidente, per cui essi utilizzano diversi saluti a seconda

che il loro interlocutore sia un dothraki o uno straniero, chiamati in modo

dispregiativo ifaki. Nel primo caso utilizzeranno M’athchomaroon, il quale

significa letteralmente ‘rispetto’; nel secondo caso verrà utilizzata l’espressione

Athchomar chomakaan/chomakea, la quale significa letteralmente ‘Rispetto per

colui che rispetta’. Questo saluto serve ad avvertire gli stranieri: è come se dicessero

«respect us, and you will be treated with respect. Otherwise, watch out.»85

Un’altra nota ancora approfondisce i rapporti tra il popolo dothraki e la battaglia.

Trattandosi di un popolo di guerrieri, i dothraki hanno diversi motivi per uccidere,

motivo per il quale la lingua possiede differenti termini per esprimere il concetto

‘uccidere’: le forme più comuni sono addrivat, drozhat e ogat, le quali assumono

differenti sfumature semantiche, come si può notare dallo schema sottostante:

e Addrivat
r
e
d
i
c
c
U

Drozhat

Ogat

Usato quando l’assassino è un
essere senziente

Lett. rendere qualcosa
morto

Usato quando l’assassino è un
animale o un oggetto inanimato

Usato per riferirsi all’atto di
uccidere animali

Lett. massacrare/
macellare

Degna di nota è la Cultural Note inerente ai modi di esprimere i ringraziamenti.

Peterson spiega che non esiste alcuna parola per esprimere ‘grazie’. Esistono molti

modi di manifestare rispetto, ai quali potremmo pensare come una sorta di

ringraziamento, ma si tratta per lo più di espressioni che riflettono il desiderio di

onorare l’ascoltatore, come l’espressione San athchomari yeraan! la quale può

tradursi con ‘Molto rispetto!’ (lett. ‘Molto onore per te’).

85 Peterson:2014, p.26

157

Infine, non si poteva escludere dall’analisi la Cultural Note sull’importanza dei

cavalli. Peterson sottilinea come i dothraki facciano costante riferimento ai cavalli.

Persino la divinità idolatrata dai dothraki è un cavallo chiamato il Grande Stallone

(Vezhof). O, ancora, quando un khal non può più cavalcare il suo cavallo, smette

automaticamente di essere il leader del suo khalasar. L’importanza che questo

animale ha nella cultura dothraki si riflette all’interno di espressioni idiomatiche,

ma anche in espressioni basilari come quella per chiedere ‘Come stai?’. Si noti, a

questo proposito il verbo utilizzato per questa espressione:

‣ Hash yer dothrae chek? → ‘Come stai?’ (lett. Tu cavalchi bene?)

Anha dothrak chek. → ‘Bene.’ (lett. Io cavalco bene.)

‣ Anha dothrak she vaesoon. → ‘Provengo dalla città’ (lett. Io cavalco dalla città.)

‣ Anha dothrak adakhataan. → ‘Sto per mangiare’ (lett. Sto cavalcando per

mangiare.)

158

CAPITOLO IV – La tipologia linguistica del dothraki e dell’alto valyriano

Questo capitolo si pone il proposito di ascrivere le lingue de Il Trono di Spade, il

dothraki e l’alto valyriano, all’interno di una tipologia linguistica nonché di

valutarne l’adeguatezza tipologica, seguendo i parametri che il linguista Joseph

Greenberg ci offre con i suoi Universals of Language.

Al fine di giungere al nostro obiettivo, è necessario fare un passo indietro,

ritornando ai tempi in cui la classificazione tipologica delle lingue muoveva i suoi

primi passi.

Il bisogno di categorizzazione insita nell’uomo non poteva che colpire anche

una sfera così variegata come la linguistica. Si è sempre più sentita l’esigenza di

attribuire una specifica appartenenza alle tantissime lingue parlate nel mondo,

inserendole all’interno di una classificazione la quale prende ora una prospettiva

ora un’altra. Per cui, le lingue cominciano ad essere classificate già a partire dagli

inizi dell’Ottocento secondo diversi punti di vista (cfr Graffi-Scalise: 2002, p. 63).

Secondo Graffi-Scalise (2002, pp.51-68), le lingue vengono dunque categorizzate

secondo una:

‣ Prospettiva genealogica: attraverso la quale le lingue vengono classificate a partire

dalla famiglia linguistica di appartenenza. Si avranno in questa classificazione

diciture come: lingue indoeuropee, lingue uraliche, lingue sino-tibetane, e così

via. Nel caso delle lingue di cui si è discusso nel capitolo III, siamo riusciti a

delineare una stentata descrizione genealogica dell’alto valyriano, fornitoci

direttamente dall’autore stesso di A Song of Ice and Fire, Martin (vedi par. 3.3.1),

senza però poterle contestualizzare all’interno di una prospettiva più ampia che

comprendesse anche le altre lingue parlate nei continenti di Westeros ed Essos.

‣ Prospettiva areale: classifica le lingue che non sono genealogicamente legate ma

che hanno sviluppato caratteristiche strutturali comuni a causa del contatto

linguistico risultante da una vicinanza geografica (si pensi al Cinese e al

giapponese, le quali pur non essendo minimamente imparentate, hanno comunque

159

sviluppate caratteristiche comuni). Nel caso del dothraki, non è stato possibile

lasciarsi andare a considerazioni in quest’ottica, poiché non sappiamo di contatti

di questa tribù con altri popoli. Mentre, per l’alto valyriano, tutto ciò che sappiamo

è che, in seguito al disastro di Valyria, i valyriani si sparpagliarono per il

continente, nelle Città Libere, mescolando con le popolazioni autoctone i loro

costumi e anche la loro lingua. Nonostante non ci siano evidenze che testimonino

il mescolamento linguistico, si ha ragione di credere che, in qualche modo, così

come avviene nel contatto tra lingue naturali, le lingue si siano mescolate e/o

influenzate.

‣ Prospettiva tipologica: è quella che ci interessa più da vicino e che verrà adesso

approfondita. Le lingue considerate appartenenti alla stessa tipologia devono

presentare caratteristiche strutturali comuni, indipendentemente da un loro

eventuale legame genealogico. I linguisti che si sono occupati di classificare le

lingue da un punto di vista tipologico hanno ricercato queste caratteristiche

comuni all’interno delle sfere sintattiche e morfologiche (possibilmente perché

esse sono quelle meno inclini al cambiamento – si pensi alla dinamicità del lessico

e alla relatività della fonetica).

Non verrà proposta, in questa trattazione, un’analisi approfondita delle diverse

tipologie linguistiche, ma verranno analizzate nel dettaglio solamente le categorie

di cui fanno parte le lingue de Il Trono di Spade.

4.1 Classificazione Tipologica

Nel tentativo di classificare le lingue a partire da caratteristiche comuni, Joseph

Greenberg, uno dei massimi esponenti degli studi riguardanti la tipologia

linguistica, si concentra sulla struttura delle parole (morfologia) e su quella dei

gruppi di parole (sintassi). «The reason for this choice was that previous experience

suggested a considerable measure of orderliness in this particular aspect of

grammar» (Greenberg:1966, p.73).

Greenberg, attraverso la comparazione sistematica di circa trenta lingue, riesce a

160

tracciare una serie di comportamenti che si verificano in precise circostanze. Riesce

così a stilare una lista di queste tendenze, che chiamerà universali linguistici.

Questi universali linguistici sono per lo più implicazionali e, cioè, «they take the

form, “given x in a particular language, we always find y.»

In altre parole, si ipotizzano dei comportamenti linguistici generali a partire

dall’occorrenza di questi fenomeni nelle lingue campione. Naturalmente, gli

universali linguistici non vanno intesi come linee guida dogmatiche, ma essi

cercano di accomunare quante più lingue possibili sotto la stessa categoria. Infatti,

difficilmente un universale linguistico si lascia andare a enunciazioni del tipo ‘Tutte

le lingue X, possiedono Y’, se non in casi dove la totalità delle lingue esaminate

non permetta di esprimere considerazioni indiscutibilmente vere, come nel caso di

quelli che Greenberg, Osgood e Jenkins chiamano «unrestricted universal»

(Greenberg:1966, p.XIX), ovvero quegli universali che fanno riferimento a

caratteristiche possedute da tutte le lingue. Sotto questa dicitura rientrano non solo

gli universali più ovvi, come ad esempio il fatto che tutte le lingue hanno le vocali,

ma anche considerazioni di tipo numerico, come ad esempio il fatto che tutte le

lingue possiedono un minimo di 10 fonemi e un massimo di 70 fonemi oppure il

fatto che ogni lingua possiede almeno due vocali. Questo tipo di considerazioni non

verranno discusse in questa trattazione, poiché – Ferguson fornisce questa stessa

motivazione86– questi universali possono essere considerati «definitional»87, vale a

dire che sono impliciti nel concetto di lingua del linguista.

Verrà, dunque, posta attenzione solamente sugli universali implicazionali.

4.1.1 Tipologia dell’ordine dei costituenti nelle frasi dichiarative

Come Greenberg stesso scrive (Greenberg:1966, p.76), i linguisti hanno

consapevolezza della tendenza che le lingue hanno nell’inserire modificatori o

elementi che restringono il significato prima dell’elemento che modificano o di cui

restringono il significato. Di contro, sa che ne esistono molte altre che fanno

l’opposto. Il turco, ad esempio, prevede l’aggettivo preposto al nome che modifica,

posiziona l’oggetto del verbo prima del verbo, colloca il genitivo prima dell’oggetto

86 Cfr. Greenberg:1966, p. 53
87 Ibidem

161

posseduto, gli avverbi prima degli aggettivi che modificano, predilige l’utilizzo di

posposizioni, e così via. Una lingua di tipo opposto è la lingua italiana, nella quale

l’aggettivo segue il nome, l’oggetto segue il verbo, il genitivo segue l’oggetto

posseduto e vengono predilette le preposizioni. Si potrebbe a questo punto tracciare

una linea di confine, ma la comparazione tra la maggior parte delle lingue non

produrrebbe gli stessi risultati che le lingue portate come esempio hanno offerto.

Nella stragrande maggioranza delle lingue, tra cui figura emblematicamente una

lingua ‘importante’ come l’inglese, il confine non è mai così netto, per cui la

classificazione tipologica comincia a farsi più intricata. In inglese, come nella

lingua italiana, ci sono le preposizioni (come nell’esempio (1)) e l’oggetto della

frase segue il verbo (come nell’esempio (2)):

(1) The book is on-Pr. the shelf.

(2) I am reading-V. a book-Ogg.

Al tempo stesso, sempre in inglese, così come nel turco, l’aggettivo precede il nome

(come nell’esempio (3)):

(3) An unexpected-Agg. surprise-Nom.

Inoltre, l’inglese presenta una costruzione del genitivo che segue entrambi gli ordini

dei costituenti di entrambe le lingue che si stanno confrontando. Per cui, in inglese

si possono avere le seguenti espressioni:

(4) John’s-Gen. House-Nom.

(5) the house-Nom. of John-Gen.

Per cui, in che categoria dovremmo inserire la lingua inglese? Per ovviare a questo

tipo di problema, Greenberg decide di stabilire prima di tutto una tipologia che

tenga conto dell’ordine dei costituenti e, per farlo, segue tre criteri:

1) La presenza, in una data lingua, di preposizioni (Pr) o di posposizioni (Po), che

162

influenza l’ordine in cui figurano insieme il genitivo (G) e il nome (N) che esso

modifica. (Cfr. Greenberg:1966, p. 78)

2) La posizione del verbo (V) rispetto al soggetto (S) e all’oggetto (O) nella frase

dichiarativa. A questo proposito, è necessario sottolineare che la maggior parte

delle lingue possiede diverse impostazioni sintattiche utilizzate per scopi specifici

– fare domande, porre enfasi su un determinato costituente – ma possiede un solo

ordine standard. Esistono sei ordini possibili, alcuni dei quali sono già stati

menzionati in questa trattazione: SVO, SOV, VSO, VOS, OSV e OVS. Di questi

sei, solo i primi tre ricorrono come ordine standard. Gli ultimi tre non ricorrono

mai, se non con qualche rarissima eccezione.

3) La posizione dell’aggettivo qualificativo (A) rispetto al nome (N) che esso

modifica. Riguardo agli aggettivi dimostrativi, numerali, e indefiniti, essi si

comportano diversamente dagli aggettivi qualificativi.

Basando la sua ricerca sui suddetti criteri, Greenberg procede alla stesura dei primi

universali linguistici, i quali riassumono le caratteristiche sintattiche che ricorrono

contestualmente nelle lingue campione nel seguente modo (Graffi-Scalise:2002,

p.66):

Table 188 I – VSO II – SVO III – SOV

Da cui si deducono le seguenti

Po-AN

Po-NA

Pr-AN

Pr-NA

0

0

0

6

1

2

4

6

6

5

0

0

combinazioni:

a) VSO/Pr/NG/NA

b) SVO/Pr/NG/NA

c) SOV/Po/GN/AN

d) SOV/Po/GN/NA

Trascurando a), poiché nessuna tra le due lingue che verranno qui poste in esame

presenta l’ordine VSO, si può cominciare a ragionare sull’adeguatezza tipologica

di entrambi gli idiomi artificiali.

88 La tabella tetracorica di Greenberg è strutturata così che i tipi opposti figurino agli estremi della
tabella. (Cfr. Greenberg:1966, p.77)

163

4.2 ALTO VALYRIANO

Come si è già detto, l’alto valyriano presenta l’ordine sintattico di tipo III, vale a

dire un ordine di tipo SVO. Le lingue di questo tipo possono essere considerate «the

polar opposite of type I.»89 Il motivo è da ricercarsi nell’assenza di lingue

posposizionali all’interno della tipologia VSO; di conseguenza, ci aspetteremmo

che non ci siano lingue preposizionali all’interno della tipologia SOV. «This is

overwhelmingly true, but I am aware of several exception.»90 Poiché, come si è

detto sopra, la posizione del genitivo è fortemente influenzata dalla presenza di

Preposizioni o di Posposizioni, ci aspetteremmo che le lingue SOV presentino un

ordine di tipo GN. Ma «To this there are some few exceptions.»91 Infine, c’è da

considerare che, nel caso in cui l’ordine del genitivo dovesse cambiare, esso

comporterebbe lo stesso cambiamento nella posizione dell’aggettivo (A) rispetto al

nome (N).

Per cui la nostra lingua dovrebbe avere le caratteristiche: SOV – Po – GN – AN.

Assodato che l’alto valyriano sia una lingua che presenta l’ordine SOV, c’è da

verificare se si tratti di una lingua che presenta o no l’ordine ridigo di cui parla

Greenberg (1966, p.79). Poiché gli ordini di cui abbiamo discusso (VSO, SVO,

SOV), sono ordini standard, non si esclude – come si è già detto – che essi possano

essere alterati per precisi scopi. Se in questi casi, e cioè quando si vuole alterare

l’ordine, ad esempio per fare una domanda, il verbo resta comunque alla fine, allora

si tratta di un sottotipo rigido di lingua SOV.

A questo punto, esaminiamo alcune frasi interrogative dell’alto valyriano:

(6) Qaedar klios issa? Daor! ‘Is a whale a fish? No!’

(7) Skorio syt kesī krēga bāngā? ‘Perché cuoci queste barbabietole?’

(8) Sparos kesīr botas? ‘Chi sta lavorando qui?

(9) Rhaella aohor ñamar issa? ‘Is Rhaella your aunt?’

(10) Jemelo kaerinnon ivilibilat, lo sir Daria Daenerys jemi ivilibagon kesir ilos

daor? ‘Combatterete per la vostra salvezza, adesso che la Regina Daenerys non è

89 Cfr. Greenberg:1966, p. 78
90 Ibidem
91 Op. cit., p.79

164

qui a combattere per voi?

Come risulta evidente, in quasi tutte le frasi interrogative proposte, il verbo ricorre

sempre in posizione finale, siano esse domande polari siano esse domande costruite

con pronomi interrogativi. Potremmo, dunque, ipotizzare che si tratti di una

sottocategoria rigida del tipo III. Eppure, analizzando l’esempio (10), è possibile

notare l’eccezione. Infatti, il verbo non ricorre all’ultima posizione, bensì precede

– slittando in questo modo al penultimo posto – la particella negativa daor. Ma

l’esempio risulta da un’unica eccezione estrapolata dall’intero corpus, per cui

potremmo attribuire l’insolita posizione del verbo alla natura della frase.

Considerando che la negazione, in frasi dichiarative affermative, ricorre sempre in

posizione di posteriorità verbale (come nella frase Zaldrīzes buzdari iksos daor. —

Un drago non è uno schiavo. O, ancora Zaldrīzesse biādroti elēnȳti zūgusy daor. —

I draghi non temono le opinioni della pecora.) e che, quindi, la sua posizione non ci

stupisce, potremmo anche immaginare che essa – la posizione – derivi dal fatto che

si tratti di una frase subordinata dipendente dalla frase principale. Pertanto,

solamente osservando il comportamento della particella negativa, non si può

affermare con assoluta certezza se l’alto valyriano appartenga o meno allla tipologia

rigida individuata da Greenberg. Poiché le occorrenze che confuterebbero questa

classificazione sono in numero troppe esigue, saremmo più portati ad ascrivere

l’alto valyriano al sottotipo rigido.

Per quanto riguarda l’universale 4 di Greenberg, quello secondo cui una lingua

SOV⸧Posposizioni (dove ⸧ sta per “implica”), la lingua rimane coerente al

principio postulato da Greenberg, poiché esso non esclude categoricamente

l’eventualità che possano apparire contestualmente entrambe le opzioni, e quindi

posposizioni e preposizioni compresenti. Greenberg si riserva, infatti, un margine

di imprevedibilità, nel caso in cui una lingua dovesse non seguire questo principio,

affermando «With overwhelmingly greater than chance frequency, languages with

normal SOV order are pospositional.»92

L’alto valyriano, seppur sembri non conformarsi all’universale con la presenza di

92 Universale 4, in Greenberg:1966, p.79.

165

preposizioni, in un certo senso lo conferma con la preponderanza di posposizioni

contrapposte alle tre sole occorrenze preposizionali, le quali, tra l’altro, vengono

utilizzate solamente in specifici contesti. Si tratterebbe, dunque, della proverbiale

eccezione che conferma la regola.

Per quanto concerne la posizione del genitivo rispetto al nome che esso modifica,

essendo questa caratteristica strettamente legata alla presenza di una specifica

categoria adposizionale, dovrebbe seguire –

trattandosi di una

lingua

‘prevalentemente’ posposizionale – l’ordine genitivo-nome. Inoltre, la posizione

del genitivo influenza anche la disposizione dell’aggettivo in relazione con il nome.

«[S]e una lingua presenta l’ordine SOV, allora essa è posposizionale, e, se colloca

l’aggettivo prima del nome, allora colloca il genitivo prima del nome. Infatti non

sono attestati casi di lingue che presentino contemporaneamente l’ordine AN e

l’ordine NG. […] L’implicazione complessa che abbiamo riportato dice che AN

richiede GN, ma non dice che NA richiede GN. Quindi possono benissimo esistere

lingue che hanno l’aggettivo dopo il nome e il genitivo prima.»93

Per cui, schematizzando l’affermazione appena riportata, dovremmo avere la

seguenti implicazione:

Aggettivo-Nome ⸧ Genitivo-Nome

Poiché l’implicazione non può essere letta nel senso opposto – è cioè dove

Genitivo-Nome ⸧ Aggettivo-Nome – potremmo trovare anche lingue che

presentino un ordine dei determinanti nominali del tipo: NA-GN.

A questo punto, verifichiamo se l’alto valyriano segue strettamente il principio

universale o se la lingua va a collocarsi in quello scarto linguistico non contemplato

dall’universale greenberghiano. Si considerino le seguenti espressioni:

(11) Va oktio remyti→ ‘Mandate un uomo ai cancelli della città’

(12) Muña zaldrizoti. → ‘La madre dei draghi.’

93 Cfr. Graffi-Scalise:2002, p.68

166

(13) Lo jention mirre nūmāzme ēza, iderenna qopsa verdagon issa. → ‘Se la

leadership si occupa di qualcosa, sarebbe senza dubbio fare scelte difficili’

(11) Va oktio remyti→ ‘Mandate un uomo ai cancelli della città’

Va

oktio

remȳti

vale

jikās

‘Verso, a’

della città

cancelli

un uomo

mandate

Preposizione

Genitivo di
oktion (Nome
Ter., 3° Decl.)

Plurale di
remio (Nome
Lun., 3° Decl.)

Accusativo
Sing. di vala
(Nome Lun.,
1° Decl.)

Imperativo
presente di
jikagon

In questa frase ritroviamo, prima di tutto, la preposizione va ‘verso, a’ che precede

il genitivo oktio preposto al nome che modifica, remȳti. Quindi potremmo

ipotizzare un ordine dei costituienti che segue uno schema di tipo NG, che

sembrerebbe confermata anche dall’espressione (12):

(12) Muña zaldrizoti. → ‘La madre dei draghi.’

Muña

zaldrizoti

Madre

dei draghi

Nome

Genitivo

167

Ma poniamo l’attenzione sulla frase (13) Lo jention mirre nūmāzme ēza, iderenna

qopsa verdagon issa. → ‘Se la leadership si occupa di qualcosa, sarebbe senza

dubbio fare scelte difficili’

Lo

jention

mirre

nūmāzme

ēza,

Se

leadership

alcun

significato

ha

iderenna

qopsa

verdagon

issa.

scelte

difficili

fare

è

Nome

Aggettivo

Verbo

Verbo

Come possiamo notare, in questo caso, l’aggettivo segue il nome (NA),

contraddicendo, in un certo senso, l’universale lingusitico. Ma, poiché si tratta

dell’unica attestazione che presenti quest’ordine, potremmo attribuire al fenomeno

le stesse cause dell’insolito posizionamento del verbo in presenza di una negazione,

il quale perde la sua solita posizione finale. La causa potrebbe essere, dunque,

rintracciata nella tipologia di frase: infatti, si tratta di una frase subordinata

dipendente dalla frase principale. È come se, in un certo senso, l’alto valyriano

avesse la propensione ad invertire il normale ordine dei costituenti nelle frasi

subordinate.

Per essere più precisi, è necessario porre l’attenzione sul comportamento degli

aggettivi all’interno della frase. Come si è già detto – e come facilmente prevedile

– l’aggettivo precede il nome. Ora, secondo l’universale 18, quando un aggettivo

descrittivo precede il nome, gli aggettivi dimostrativi e numerali seguono la stessa

168

tendenza94, tendenza confermata anche nell’alto valyriano. Si consideri la seguente

frase:

(14) Bony timpys hontes gevie issa. → ‘Quell’uccello bianco è bello.’

Bony

timpys

hontes

gevie

issa.

Quel

bianco

uccello

bello

è.

Come possiamo notare, infatti, l’aggettivo dimostrativo, bony ‘quel’, precede

l’aggettivo descrittivo e il nome. Ciò ci porta dritto all’universale 20: «When any

or all of the items (demonstrative, numeral, and descriptive adjective) precede the

noun, they are always found in that order. If they follow, the order is either the same

or its exact opposite.» Quindi, la costruzione dell’alto valyriano, sembra

confermare l’implicazione dell’universale, supportato anche dall’occorrenza di

altre costruzioni identiche, come le seguenti (si precisa che l’aggettivo dimostrativo

verrà contrassegnato dal colore verde, mentre il nome dal colore rosso):

(15) Kesa gelte byka issa. → ‘Questo elmo è piccolo.’

(16) Bone vale idakōs! → ‘Attacca quell’uomo!’

(17) Kesys ondor avy sytilībus daor. → ‘Non dovresti avere questi poteri.’

Una volta analizzata la lingua da una prospettiva sintattica, possiamo procedere alla

classificazione di essa da un punto di vista morfologico.

Confermando le intenzioni di Peterson di voler avvicinare l’alto valyriano al latino,

la lingua valyriana può essere inclusa all’interno del tipo linguistico fusivo-flessivo.

L’alto valyriano esprime, infatti, le diverse relazioni grammaticali mediante

l’utilizzo di un unico suffisso:

94 «Universal 18. When the descriptive adjective precedes the noun, the demonstrative and the
numeral, with overwhelming more than chance frequency, do likewise.» (Greenberg:1996, p.86).

169

Parola

Significato

Informazioni Grammaticali

vala

‘Uomo’

Nominativo, Singolare

valommi

‘Con gli uomini’

Comitativo, Paucale

jaelagon

‘Volere’

Infinito, Presente

jaelan

‘Io voglio’

Indicativo, Presente, Prima Persona Singolare

jaelinna

‘Io vorrò’

Indicativo, Futuro, Prima Persona Singolare

Inoltre, un’altra caratteristica delle lingue flessive è quella di poter indicare le

diverse funzioni grammaticali attraverso la variazione della vocale radicale della

parola. Si tratta di una variazione libera, non condizionata dall’ambiente

fonologico,

indicante diverse funzioni grammaticali o sintattiche, come

nell’italiano faccio rispetto a feci, esco rispetto a uscì, e così via. Questo fenomeno

di flessione interna è presente anche nell’alto valyriano. Si vedano le schede verbali

riepilogative di pp. 93-97, in cui appaiono evidenti le variazioni vocaliche.

Un altro criterio utile alla classificazione riguarda l’analisi delle strategie

morfologiche che la lingua utilizza per codificare le relazioni di dipendenza

attraverso il ricorso ad affissi. A seconda del metodo prediletto dalla lingua,

distinguiamo: lingue che marcano la dipendenza sulla testa, altre che marcano la

dipendenza sugli elementi dipendenti, altre ancora che marcano la dipendenza sia

sulla testa che sugli elementi dipendenti (cfr. Grandi:2003, p.45). L’alto valyriano

rientra, certamente, nella seconda categoria linguistica – e cioè quella che presenta

marcatura sulla dipendenza. Ancora una volta l’alto valyriano si conferma molto

simile al latino. Tra gli esempi riportati da Grandi (2003, p. 46), possiamo scorgere

le uguaglianze con la nostra lingua:

Latino

Alto valyriano

filius Ascani-i

muña zaldriz-oti

figlio Ascanio-GEN

Madre draghi-GEN

(Testa) (Modificatore)

(Testa) (Modificatore)

‘il figlio di Ascanio ’

‘madre dei draghi’

170

Nei nostri esempi, il possesso viene, dunque, espresso dalla desinenza del genitivo

singolare, nel caso del latino, e del genitivo plurale, nel caso dell’alto valyriano, la

quale viene unita al modificatore della testa; di conseguenza la testa del sintagma

resta priva di marche volte all’espressione della dipendenza.

Quindi, in linea definitiva, possiamo affermare che l’alto valyriano si dimostra

tipologicamente adeguato, poiché non presenta forti discordanze con gli universali

postulati da Greenberg per la categoria tipologica a cui esso appartiene. Per quelle

piccole deviazioni discordanti con le implicazioni ipotizzate, si è cercato di dare

una spiegazione plausibile, rintracciando motivazioni che sembrano più che

accettabili.

4.3 DOTHRAKI

Dal punto di vista dell’ordine dei costituenti, il dothraki presenta un ordine di tipo

II in termini greenberghiani, vale a dire di tipo SVO. Pertanto si provvederà ad

un’analisi volta a valutare l’adeguatezza tipologica, seguendo le caratteristiche

implicate da questa tipologia di lingua.

Innanzitutto, le lingue SVO, secondo la tabella tetracorica di Greenberg (vedi

p.163), sono l’unico tipo linguistico che presenta tutte le combinazioni di

occorrenze. Esse possono, cioè, avere le seguenti caratteristiche:

– Posposizioni + AN

– Posposizioni + NA

– Preposizioni + AN

– Preposizioni + NA

GN

NG

171

Inoltre, l’universale 2 di Greenberg afferma che, nelle lingue con preposizioni, il

genitivo, di norma, segue il nome. Quindi, in sostanza, la nostra lingua, tirando le

somme, presenterebbe un ordine SVO – Pr – NA – NG. Questa caratteristiche

sembrerebbero confermate dalle seguenti espressioni e, in generale, dalla

costruzione fraseologica non marcata della frase dichiarativa:

(18) Anha ezok lekhes dothraki. → ‘Sto imparando la lingua dothraki.’ – SVO

(19) Nevakhi vekha ha maan. → ‘C’è un posto per te.’ – Preposizioni

(20) hrazef dik → ‘un cavallo veloce’ – NA

(21) Anha adakh zhores vezhoon. → ‘Ho mangiato il cuore di uno stallone’ – NG

Se si considerano le implicazioni sottese alla tipologia sintattica delle lingue SVO,

la lingua appare coerentemente costruita. Essa infatti presenta, a differenza dell’alto

valyriano, esclusivamente preposizioni; è una lingua con testa a sinistra, infatti i

sintagmi nominali presentano sempre l’ordine testa-modificatore (come mostrano

gli esempi (20) e (21)), per cui il nome viene sempre preposto all’elemento che lo

modifica.

Restando in tema di modificatori nominali, si sposti l’attenzione sugli aggettivi e,

più specificatamente, nella modalità di espressione del grado comparativo. Secondo

l’universale 22 «If in comparisons of superiority the only order or one of the

alternative orders,

is standard-marker-adjective,

then

the

language

is

postpositional. With overwhelmingly more than chance frequency is the only order

is adjective-marker-standard, the language is prepositional.»95

Quindi, ciò che l’universale implica è che la lingua è posposizionale, se il paragone

viene espresso con una costruzione di questo tipo

Secondo termine di

Marcatore del

paragone

di Anna

than Anna

paragone

più

-er

Aggettivo

Primo termine di

paragone

intelligente

Tu (sei)

smart

You (are)

95 Greenberg:1966, p. 89.

172

Mentre se la costruzione segue l’ordine opposto, allora la lingua è preposizionale,

come mostrato nella tabella sottostante.

Primo termine di

paragone

Aggettivo

Tu (sei)

intelligente

You (are)

smart

Marcatore del

Secondo termine di

paragone

più

-er

paragone

di Anna

Than Anna

Dunque, considerando che, senza alcun dubbio, il dothraki sia una lingua

preposizionale, dovrebbe presentare quest’ultima sequenza. Verifichiamo, adesso,

l’effettivo mantenimento del principio. Si analizzi la seguente espressione:

Lessico: mahrazh ‘uomo’; chiori ‘donna’; haj ‘forte’

Mahrazhi

ahajan

chiorisoa

Nome-PLUR PREFISSO-aggettivo-SUFFISSO

Nome-ABLATIVO

Gli uomini

più forti

delle donne

La comparazione in dothraki si costruisce, dunque, mediante l’utilizzo di

circonfissi, i quali vengono aggiunti all’aggettivo, e mediante la declinazione del

secondo termine di paragone al caso ablativo. Tralasciando la sovrabbondanza di

marcature della comparazione (a significare lo scopo comparativo dell’espressione

ci sono, infatti, sia i circonfissi nell’aggettivo, sia il caso ablativo del secondo

termine di paragone), è possibile definirla relativamente coerente rispetto

all’implicazione dell’universale. Infatti, nonostante ci sia un prefisso ‘di troppo’,

troviamo comunque una marca di comparazione che si trova esattamentre tra

l’aggettivo e il secondo termine di paragone.

Primo

termine di

paragone

Marcatore

del paragone

Aggettivo

Marcatore

del paragone

Secondo

termine di

paragone

Marcatore

del paragone

Mahrazhi

a-

haj

-an

chiori

-soa

I riquadri segnati in rosso seguono l’ordine implicato dall’universale: è possibile,

173

dunque, affermare la coerenza del sistema rispetto ad esso.

Un tratto che, invece, presenta qualche incongruenza è l’espressione degli

appellativi. L’universale 23 afferma che «If in apposition the proper noun usually

precedes the common noun, then the language is one in which the governing noun

precedes its dependent genitive. With much better than chance frequency, if the

common noun usually precedes the proper noun, the dependent genitive precedes

its governing noun.»96 Pertanto, se lo dovessimo sintetizzare schematicamente,

potremmo riassumere l’universale dicendo che:

Nome-Appellativo ⸧ NG quindi ‘Smith Mr.’ ⸧ ‘the house of John’

Appellativo-Nome ⸧ GN quindi ‘Mr. Smith’ ⸧ John’s house

In dothraki, l’appellativo occupa la posizione immediatamente precedente al nome,

com’è possibile vedere in espressioni come:

(21) Khal Drogo – ‘Re’ Drogo

(22) Khal Fogo97 – ‘Re’ Fogo

Pertanto, considerando che l’ordine sintattico per l’espressione del genitivo

appartiene alla tipologia NG, troviamo qui una discrepanza tra l’implicazione

dell’universale e la reale attuazione dell’espressione di possesso, la cui causa

potrebbe risiedere nell’influenza della lingua madre del creatore della lingua. Non

si dimentichi che si tratta pur sempre di una lingua creata da un uomo, per cui

eccezioni a tendenze universali, potrebbero dipendere da una svista, o da un

deliberato disinteresse per questo tipo di implicazioni. Inoltre, non dimentichiamo

che anche le lingue naturali possiedono zone in cui si rivelano meno coerenti

rispetto al tipo cui appartengono. Si pensi, ad esempio, all’italiano dove,

esattamente come accade nel dothraki, l’appellativo precede il nome proprio

(Signor Rossi, Signora Bianchi), ma il possessore segue il nome dell’oggetto

posseduto (Il libro di Marco; La madre di Lucia).

96 Greenberg:1966, p. 89.
97 La seguente espressione è stata riportata in Peterson:2014, p. 108.

174

Per quanto riguarda l’altro campo d’indagine per la classificazione della lingua, si

vuole adesso provare ad inquadrare tipologicamente la lingua da un punto di vista

morfologico. Anche il dothraki, così come l’alto valyriano, è una lingua fusivo-

flessiva, per cui più significati grammaticali vengono espressi da una desinenza

sola, come si può notare dai seguenti esempi:

Nominativo

Desinenza

Relazioni Grammaticale

rizh ‘figlio’

rizhoon

Singolare+ ablativo

rizhi ‘figli’

rizhoa

Plurale+ ablativo

ashefa

ashefasaan

Singolare+ allativo

ashefasi

ashefasea

Plurale+ allativo

Infine, si sottolinea che, come anche l’alto valyriano, il dothraki marca la relazione

di dipendenza sul modificatore e non sulla testa. Per cui, comparandolo all’esempio

del Latino riportato da Grandi (2003, p. 46), il dothraki presenta la seguente

struttura:

Latino

Dothraki

filius Ascani-i

zhor vezh-oon

figlio Ascanio-GEN

cuore stallone-GEN

(Testa) (Modificatore)

(Testa) (Modificatore)

‘il figlio di Ascanio ’

‘il cuore di uno stallone’

Tirando le somme, sul piano della sintassi la lingua non presenta eccezioni. Mentre,

per quanto riguarda i risultati d’indagine morfologica, abbiamo riscontrato qualche

eccezione. Per cui, possiamo affermare che la lingua rispetta in linea di massima

quasi tutte le implicazioni postulate da Greenberg che sono state prese in esame in

questa trattazione.

4.4 Conclusioni

Trattandosi, la ricerca sulla tipologia linguistica, di un campo d’investigazione volto

a trovare dei punti di contatto reali tra lingue, essa si ‘limita’ a constatare i

comportamenti linguistici delle lingue storico-naturali, le quali altro non sono che

il risultato di un susseguirsi di evoluzioni, dovute a fattori storico-sociali, a

influenza con altri popoli. Per cui, adoperare un’analisi di questo genere su delle

175

lingue frutto di uno studio a tavolino – seppur rese anche piuttosto realistiche –

sembrerebbe insensato. Tra l’altro, come afferma Nicola Grandi «una ricerca

tipologica ha la sua ragion d’essere nella comparazione interlinguistica. Ne

consegue dunque che non ha senso realizzare un’indagine tipologica basata su una

sola lingua. Ciò non significa tuttavia che non sia possibile tracciare il ritratto

tipologico di una singola lingua. Ma un approccio di questo tipo diviene plausibile

solo se prevede il ricorso a termini di raffronto esterni alla lingua in questione. Se,

ad esempio, volessimo descrivere la configurazione tipologica dell’italiano rispetto

a determinati parametri, potremmo farlo solo dopo aver chiarito quali siano e come

funzionino […] le principali tendenze tipologiche relative ai parametri selezionati

per l’indagine.»98

Pertanto lo scopo di quest’analisi risiede nel verificare se l’andamento delle lingue

de Il Trono di Spade segua di pari passo quello di una lingua naturale. In altre parole,

lo scopo è quello verificare se il creatore di queste due lingue, Peterson, nella

costruzione delle sue lingue, abbia tenuto presenti le considerazioni tipologiche di

Greenberg.

Si è provato quindi ad analizzare l’alto valyriano e il dothraki, cercando di

verificarne l’adeguatezza tipologica con gli stessi criteri utilizzati per le lingue

naturali, e cercando, quindi, di valutare se Peterson avesse effettivamente riproposto

nei suoi sistemi linguistici le tendenze generali delle lingue naturali.

È chiaro che le motivazioni di eventuali divergenze dagli universali non possano

avere la stessa consistenza di quelle delle lingue naturali. Trattandosi queste di

lingue artificiali, mi sono dovuta limitare a delle considerazioni tipologiche,

trattando ‘illegittimamente’ le lingue de Il Trono di Spade come lingue naturali,

dimenticando volutamente che si tratta di lingue che non seguono un percorso

evoluzionistico reale, per quanto il loro autore, consciamente o no, si sia sforzato

di regalare loro delle parvenze di ‘naturalità’, obiettivo che, come emerge

dall’analisi, è stato raggiunto a pieno titolo.

98 Grandi continua, scrivendo «Il fatto che condurre un’analisi tipologica basandosi su una sola
lingua rappresenti di fatto un controsenso consente di evidenziare un ultimo aspetto di grande
rilevanza teorica: la tipologia linguistica non può e non vuole essere una teoria generale del
linguaggio, ma evidentemente può contribuire in modo decisivo – e di fatto contribuisce – alla
formulazione di una teoria linguistica generale.» (Cfr. Grandi:2003, p.59).

176

CONCLUSIONI

Inizialmente, l’obiettivo che mi ero posta era quello di rispondere ad una domanda

che ricorreva costantemente tra i miei pensieri ogni qualvolta che mi imbattevo in

una lingua artificiale, e cioè “Perché inventare una lingua?”

Pertanto, ho cominciato a fare ricerche al riguardo, cercando di indagare più

approfonditamente sulle ragioni che spingono l’uomo a creare dei sistemi

linguistici. Che scopo può avere la creazione di una lingua? Inutile dire che, non

appena ho cliccato sul tasto di ricerca, un nuovo mondo si è materializzato davanti

ai miei occhi. Profondamente affascinata da questa – a mio avviso – forma d’arte,

ho deciso di farmi bastare come risposta alla mia domanda iniziale un frettoloso

“Sicuramente per dare più enfasi e credibilità allo show” e ho deciso di tuffarmi nel

mare che questo tipo di ‘attività’ rappresenta. Un mare forse troppo inesplorato e

tutto da sondare. E allora le domande si sono triplicate. Come si crea una lingua?

Si costruisce con coerenza? Si prende un manuale di linguistica e si ripropongono

parti di lingue diverse, mescolate in una lingua nuova? Per fortuna sono riuscita a

rispondere a tutte le nuove domande, sorprendendomi sempre di più, lingua dopo

lingua. Mi sono ritrovata catapultata in un mondo di artisti, o forse dovrei chiamarli

più appropriatamente linguisti-artisti. Infatti, tutti i creatori di lingue artificiali,

siano esse destinate alla letteratura siano esse destinate alla cinematografia o alla

televisione, hanno varcato oltremodo le mie aspettative. La profonda conoscenza

linguistica necessaria per portare al termine un lavoro così mastodontico è quasi

disarmante. Per poter creare dei capolavori linguistici come i sistemi di cui si è

177

discusso in questa trattazione è necessaria, infatti, una padronanza linguistica

considerevole che non si limita alla mera consapevolezza del funzionamento delle

lingue. Si parla più che altro di una consapevolezza che non cessa mai di crescere,

trattandosi, le lingue, di sistemi dinamici. Per cui, la consapevolezza del processo

di creazione degli avverbi a partire da aggettivi, giusto per fare un esempio, non

può mai dirsi conclusa, poiché oggi una lingua si comporta in un modo, ma, in

futuro, la stessa lingua avrà plausibilmente cambiato il processo di derivazione.

In conclusione, la domanda a cui questa trattazione ha voluto rispondere più di ogni

altra domanda è, senza dubbio, quella in cui ci si chiede se una lingua si costruisca

con coerenza, se un glottoteta nel processo linguistico creativo tenga conto delle

tendenze universali che le lingue naturali seguono. Naturalmente, non possiamo

azzardare una risposta per quelle lingue che, in questa tesi, sono state trattate per

grandi linee, ma possiamo certamente affermare che, nel caso delle lingue su cui ci

siamo soffermati in particolar modo (l’alto valyriano e il dothraki), il quesito abbia

avuto esito positivo.

178

15/2/2019

Gmail – Thesis about High Valyrian and Dothraki

Alida Castronovo

Thesis about High Valyrian and Dothraki
18 messaggi

Alida Castronovo
A:

14 gennaio 2019 14:33

M’athchomaroon Mr Peterson! My name is Alida and I’m a student of foreign languages
in an Italian university and I’m writing my thesis about the languages you created for
game of thrones, that is high valyrian and dothraki. So, I have few question that no one
but you could answer! Could you help me? Thanks a lot in advance!!

David J. Peterson
A: Alida Castronovo

14 gennaio 2019 20:02

Feel free to email me questions. 🙂

-David

Sent from my iPhone
[Testo tra virgolette nascosto]

Alida Castronovo
A: “David J. Peterson”

14 gennaio 2019 21:54

Dear Mr. Peterson,
First of all, thanks for answering me! It is a great honour for me to have the
opportunity to talk with you! Well… I’m reading and re-reading your books over and
over again, and as far as Dothraki language is concerned, i have no problem,
because your book “Living Language Dothraki” is a perfect guide! So, even if i’m not
working on that language at the moment, i think i won’t have any problem with it,
because in the book there’s everything I need. The real problem for me is
understanding High Valyrian from a linguistic point of view. Since there isn’t any
official guide available… I get lost sometimes! I apologize in advance, because, since
I don’t know if this is the only chance I have to talk with you, i will ask you “a couple”
of question

I understood how you figured out a way to match Valar Morghulis/Dohaeris with

1)
‘All men must die/serve’ (withmodality expressed by the suffix -is and Valar resulting
from a collective form for nouns). So, correct me if i did not understand the proper
meaning: the MUST of ‘all men must die’ is a general condition, a sort of prerequisite,
which is simply conveyed by the suffix -is? So that: if you are a man –> then you must
die/serve, like= if you are alive–> it means you breathe. Is it correct?

2)
This question is the most important, because I didn’t really understand the rules
by which you created stems andtenses. Where did you get the suffix -tet? Is it part of

179

15/2/2019

Gmail – Thesis about High Valyrian and Dothraki

that proto-Valyrian you outlined? Is that draft a “secret document”?
Because i’m
sure it would be easier for me to understand if i had more information about it. (So, I
wonder if i could have a look to some document/draft in which the language is

)

described..
Finally, in you book ‘The art of language invention’ you wrote in the Case Study: High
Valyrian Verbs “In the first stage, there were two sets – regular and gnomic – which
looked like this (and then there is the scheme)” But what do you mean by “there
were”? Aren’t they part of the language anymore? Did they evolve? I’m very

confused about this topic in particular.

There are other thing I would like to ask (actually i would like to have a sort of

linguistic report of high valyrian, because it is veeery complex!!!
) but i don’t know
if you can follow me in this path! I suppose you are very busy, but, at the same time, i
hope that you can find the time to help this confused semi-linguist with her work,
which could change her life.
In any case, I must really thank you for answering me and for showing youself
surprisingly gentle and willing. Thanks Again.
One of your fans,
Alida Castronovo
[Testo tra virgolette nascosto]

David Peterson
A: Alida Castronovo

14 gennaio 2019 23:50

(1) Is mostly correct. The “must” is an interpretation based on the construction. That
is, it is a given that all men die,so if you use the gnomic, then the interpretation is
that all men *must* die, otherwise why would you say it?

(2) The formulation of the perfect is, indeed, a part of proto-Valyrian.

(3) In English, when you say “there were”, it doesn’t imply that they’re no longer

present. So, I said there were *just*the two; now there are more than just those
two.

Does that all make sense? Feel free to send more questions! I’ll get to them as I can.

-David
[Testo tra virgolette nascosto]

Alida Castronovo
A: “David J. Peterson”

15 gennaio 2019 17:16

Ok, but I still don’t get the process of creation of verbs. I added a picture with a scheme
in order to clarify the point in which I get stucked.

Moreover, I have to ask you something about a website. I found this website
http://wiki.dothraki.org/
Category:High_Valyrian where there is a deep analysis of High Valyrian language. Can
i consider it linguistically reliable?
Thank you again!
Alida

180

15/2/2019

Gmail – Thesis about High Valyrian and Dothraki

20190115_170224 .jpg
7478 K

David Peterson < [email protected] >

15 gennaio 2019 23:29

A: Alida Castronovo

If you’re asking a synchronic question, some of these suffixes have no meaning:
They’re just there. The wiki at dothraki.org is good. When it comes to learning a verb,
you have to learn the perfect stem to be able to conjugate the verb correctly. The
perfect stem is mostly but not completely predictable. Sometimes you just have to
memorize it.

Remember that just because something is an affix doesn’t mean it has to have a
specific meaning. That’s not how language works.

-David
[Testo tra virgolette nascosto]

Alida Castronovo
A: “David J. Peterson”

16 gennaio 2019 16:36

Ohh, maybe I got it. I’m going to send you a picture with a scheme. I’m a schematic
person as you can see ahahhaha Anyway in the scheme there are 3 questions about
the time those endings represent. Would you say the scheme is correct?

Moreover, I want to ask you the permission to add these e-mails on the appendix of my
thesis because I’m veeery proud of that.
Thank you, always Alida
[Testo tra virgolette nascosto]

181

15/2/2019

Gmail – Thesis about High Valyrian and Dothraki

20190116_162636 .jpg
8352 K

David Peterson < [email protected] >

17 gennaio 2019 10:49

A: Alida Castronovo

You’re missing the imperfect /-il/ forms (future and imperfect), and also that’s not
actually the way those forms looked back when those categories were relevant. There
were sound changes. Something like:

*dohaern
*dohaerā *dohaers
*dohaeri
*dohaerāt
*dohaersi

I’m still not sure what your aim is. Are you trying to model the development of verbs
historically, or show how they work now? If it’s the latter, you don’t need to worry
about the historical stuff. If it’s the former, I’m not sure you have enough information
to be able to demonstrate how everything developed for certain.

Yes, you can feel free to quote the emails. That’s fine.

-David
[Testo tra virgolette nascosto]

Alida Castronovo
A: “David J. Peterson”

17 gennaio 2019 11:08

First of all, thank you for the permission! Secondly, You’re right I didn’t present

properly my work!
what I’m trying to do is -in general- speaking about conlangs
for movies/tv series or literary works, specifically for Game of Thrones (so Dothraki
and high valyrian). So I need to write everything about the language in a schematic
way. So, there is no need to go so deep the language (going back to proto-valyrian) I
just need to understand how verbs work now (I mean, how many modes and tenses
are there?) because I’m confused about that and i thought that going back to
protovalyrian was the only way to understand it. What I’m trying to do is to create
something that looks like a sort of grammar book, something like “I could really learn

to speak high valyrian from that thesis”. I don’t know if I made my point

[Testo tra virgolette nascosto]

182

15/2/2019

Gmail – Thesis about High Valyrian and Dothraki

David J. Peterson
A: Alida Castronovo

17 gennaio 2019 11:26

Why not just copy out the tables here?

https://wiki.dothraki.org/High_Valyrian_Verb_Tables

Sent from my iPhone
[Testo tra virgolette nascosto]

Alida Castronovo
A: “David J. Peterson” [email protected]

17 gennaio 2019 11:45

Oh wow I missed out this page, thank you! I have no more doubts now. But I’ve got the

feeling I will come back for more questions.
again? Sorry for bothering you and Thank you a lot for your patience!
Alida

If I’m in need, can I write to you

David J. Peterson
A: Alida Castronovo

17 gennaio 2019 13:15

Any time!

Sent from my iPhone

Alida Castronovo
A: “David J. Peterson”

31 gennaio 2019 15:21

Dear Mr. Peterson,
I’m the girl who is writing a thesis about High Valyrian and Dothraki. As

you can see… I’m back!
new question arose. So, here are the points:

I finished the analysis of both languages and

1) In Dothraki, when we talk about making comparisons, how is the

second term of the comparisonexpressed? Does it always go in the
ablative case? For instance, I created two examples:

1. Anha ahajan rizhoon → I am stronger than the son.
2. Hrazef azhokwaaz janoon → The horse is bigger than the dog.
3. Mahrazh ahajan chorisisoa → Men are stronger than women.

Morover, as far as the third example is concerned: is it chorisisoa or
chorisoa? Should I add the suffix (s)oa to the stem or to the plural word?

2) Can I describe High Valyrian verbs in this way:
High Valyrian verb are seen from three different perspectives. In other
words, they are analysed with three different criteria:

183

15/2/2019

Gmail – Thesis about High Valyrian and Dothraki

1. Mood → Thas it to say: whether they are conjugated at Indicative, Subjunctive,

Imperative, Participle, Imperative mood;

2. Tense+aspect → That is to say: whether they unfold in a Present time, in a Past
time or in an timeless dimension, and the tense combines itself with the aspect
of the verb, so whether the verb has an imperfective or a perfective aspect;
3. Diathesis → That is to say: whether a verb has an active or a passive form.

Is it correct?

3) Since ‘natural languages’ follow some specific rules depending on their typology –
I mean, for example, SOVlanguages have the tendency to use postpositions
rather than prepositions, or to use adjective before the noun, or to put the
possessor before the possessed, while SVO languages prefer prepositions to
postpositions, possessor after the thing possessed, and so on… – when you
created Dothraki and High Valyrian, did you follow every Greenberg’s linguistic
universals (concerning syntax, morphology) or you just created them according to
your personal taste, without caring too much about matching all the universals? I
mean, were these universals the basis from which you started creating the
languages? I do not know if what i want to say is clear. What i want to say is:
When you created the languages – you had 56 words in Dothraki as a starting
point – did you tell yourself: Well, khal → khal-eesi, this is a language with
inflection. Then you thought: Greenberg’s universal number 29 says: “If a
language has inflection, it always has derivation.” and so you added the
derivation process to Dothraki language. Is this the process you followed?

I don’t know if I made myself
clearer, but I hope so.

Thank you in advance for you
patience and your kindness. Alida

David Peterson
A: Alida Castronovo

31 gennaio 2019 21:44

Hi Alida,

Here are some answers:

(1) Yes, the comparand is expressed with the ablative. The ablative plural of chiori is

chiorisoa.

(2) I’m not sure I’d call the imperative or participles a mood, but that’s more or less

correct. In English, we call whatyou’ve written as diathesis “voice”.

(3) Joseph Greenberg isn’t really regarded as accurate anymore. That said, this should
be a question you couldanswer by analyzing the language. In effect, the placement
of elements is done in precisely the same way it’s done in natural languages:
Elements evolve from older elements and are in the same place they were in the
older state. For example, High Valyrian has a postposition bē, which means “on top
of”. It is a postposition because it derives from an older noun. baes, which means
“top”. In the oldest form of the language, you’d say lento baes, “the house’s top”.
Lenton was put in the genitive because it was the possessor of baes. Later sound
changes happened, and it became lento bē. Its placement was determined by its

184

15/2/2019

Gmail – Thesis about High Valyrian and Dothraki

history. The same is true of all elements of Dothraki and High Valyrian (and also
natural languages).

Hope that helps!

-David
[Testo tra virgolette nascosto]

Alida Castronovo
A: David Peterson

2 febbraio 2019 18:02

Perfect! This is very helpful! Thank you so much!! As I said before, I will probably

write to you again.
[Testo tra virgolette nascosto]

Thank you again. Alida

Alida Castronovo
A: “David J. Peterson”

14 febbraio 2019 20:07

Dear Mr. Peterson,
I am glad to tell you that I concluded my thesis! Therefore, I wanted to thank you for
helping me, from the bottom of my heart! It was a pleasure for me to talk with one of
the most incredible conlanger ever! It would be amazing for me having the honour to
work with you one day. So, if you are searching for an apprentice, you know where to
find me!

Just daydreaming… but who knows? Never say never!
Thanks again for your kindness and for your
exemplary knowledge and dedication. Yours
sincerely, Alida Castronovo
[Testo tra virgolette nascosto]

David J. Peterson
A: Alida Castronovo< [email protected]>

14 febbraio 2019 21:36

Congratulations! When you’d can, I’d love a copy of your thesis to post on Fiat Lingua,
if you’d allow me to. Have a wonderful day!

-David

Sent from my iPhone
[Testo tra virgolette nascosto]

Alida Castronovo
A: “David J. Peterson”

14 febbraio 2019 21:47

Sure!!! It is such an honour for me! Once I finish with all the little details I promise I will
send it to you! Thank you again!!
[Testo tra virgolette nascosto]

185

BIBLIOGRAFIA

 Ambar Eldaron, Elvis Dictionary. Quenya-English English-Quenya,

CreateSpace Independent Publishing Platform, 2015

 Battis J. & Johnston S., Mastering the Game of Thrones – Essay on George R.R.

Martin’s A Song of Ice and Fire, McFarland&Company, Inc., Publishers, 2015

 Bausani A., Le Lingue Inventate, Ubaldini Editore –Roma, 1974

 Cartesio, Beeckmann, Mersenne, Lettere (1619-1648). Testo francese e latino a

fronte, a cura di Belgioioso G. e Armogathe J., Bompiani Editore, 2015

 Celce-Murcia, Brinton, Goodwin, Teaching Pronunciation: A Reference for

Teachers of English to Speakers of Other Languages, Cambridge University

Press, 1996

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Sapienza di Roma, 2005

 Eco U., La Ricerca della Lingua Perfetta, Editori Laterza, 1996

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Publishing Company, 2001

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Cambridge University Press, 1991

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Il Mulino, 2002

 Grandi N., Fondamenti di Tipologia Linguistica, Carocci Editore, 2003

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Press, 2002

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Press, 1985

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 Martin G. R. R., A Dance with Dragons, Bantam Books, 2013

 Martin G. R. R., A Feast for Crows, Bantam Books, 2009

 Martin G. R. R., A Game of Thrones, Bantam Books, 1996 [indicato nella

trattazione con l’acronimo AGoT]

 Martin G. R. R., A Storm of Swords, Bantam Books, 2006

 Okrand M., The klingon Dictionary: English/klingon, klingon/English, Pocket

Books, 1985

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fantastico, Luni Editrice, 2000

 Tolkien J.R.R., The Fellowship of the Ring, HarperCollins, 1991

 Tolkien J.R.R., The Return of the King, HarperCollins, 2001

 Tolkien J.R.R., The Silmarillion, Mariner Books – Reissue edizione, 2014

 Tolkien J.R.R., The Two Towers, HarperCollins, 1991

187

SITOGRAFIA (15/02/2019, ore 17.30)

 https://wiki.dothraki.org

 http://www.bibbiaedu.it

 http://www.jrrtolkien.it/jrr-tolkien/tolkien-in-italia/associazioni-tolkieniane/

 http://www.jrrtolkien.it/jrr-tolkien/tolkien-in-italia/associazioni-tolkieniane/

 http://awardsdatabase.oscars.org/Search/Nominations?filmId=3986&view=2-

Film%20Title-Alpha

 Cfr.http://awardsdatabase.oscars.org/Search/Nominations?filmId=3593&view=

2-Film%20Title-Alpha)

 http://awardsdatabase.oscars.org/Search/Nominations?filmId=4237&view=2-

Film%20Title-Alpha

 https://web.archive.org/web/20070221080323/

 http://www.ls.wisc.edu/ArtesLibv7n1.pdf

 https://conlang.org/

 https://www.boxofficemojo.com/alltime/world/

 https://www.rapportoconfidenziale.org/wp-

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 http://ecrannoir.fr/docs/JamesCameronAVATAR.pdf

 http://languagelog.ldc.upenn.edu/nll/?p=1977

 https://learnnavi.org/navi-vocabulary/

 https://www.kli.org

 https://www.duolingo.com/course/tlh/en/Learn-Klingon-Online

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_puoi_imparare_il_klingon-191433847/

 cfr. http://www.chucklorre.com/)

 https://www.youtube.com/watch?v=rfR03gibh6M

 https://www.youtube.com/watch?v=imkVsuB_vmg

 https://www.youtube.com/watch?v=xAG3gGzaVUo

 http://www.westeros.org/Citadel/SSM/Entry/1250/

 https://www.geek.com/tech/you-can-now-learn-high-valyrian-from-duolingo-

1707761/

 https://dedalvs.tumblr.com/post/141916578563/high-valyrian-v-can-be-

188

pronounced-either-v-or

 https://www.youtube.com/watch?v=yjAVGMq8P6U

 http://www.dothraki.com

 https://dictionary.cambridge.org/dictionary/english/throughout

 http://www.treccani.it/enciclopedia/affissi_%28Enciclopedia-

dell%27italiano%29/

 http://users.jyu.fi/~pamakine/kieli/suomi/sijat/sijatadverbien.html

FILMOGRAFIA

Cinema

 Il Signore degli Anelli

La Compagnia dell’Anello, regia di Peter Jackson (2001)

Le Due Torri, regia di Peter Jackson (2002)

Il Ritorno del Re, regia di Peter Jackson (2003)

 Avatar, regia di James Cameron (2009)

 Star Trek

Star Trek – The Motion Picture (1979) di Robert Wise

Star Trek II – L’ira di Khan (1982) di Nicholas Meyer

Star Trek III – Alla ricerca di Spock (1984) di Leonard Nimoy

Rotta verso la Terra (1986) di Leonard Nimoy

Star Trek V – L’ultima frontiera (1989) di William Shatner

Rotta verso l’ignoto (1991) di Nicholas Meyer

Generazioni (1994) di David Carson

Primo contatto (1996) di Jonathan Frakes

Star Trek – L’insurrezione(1998) di Jonathan Frakes

Star Trek – La nemesi (2002) di Stuard Baird

Star Trek (2009) di J. J. Abrams

Into Darkness – Star Trek (2013) di J.J. Abrams

Star Trek Beyond (2016) di Justin Lin

189

Televisione

 Star Trek

Star Trek: La serie classica (1966-1969) di Gene Roddenberry

Star Trek: La serie animata (1973-1974) di Gene Roddenberry (realizzata

dalla FILMATION)

Star Trek: The Next Generation (1987-1994) di Gene Roddenberry

Star Trek: Deep Space Nine (1993-1999) di Rick Bearman, Michael Piller

Star Trek: Voyager (1995-2001) di Rick Bearman, Michael Piller, Jeri Taylor

Star Trek: Enterprise (2001-2005) di Rick Bearman, Brannon Braga

Star Trek: Discovery (2017-in corso) di Bryan Fuller, Alex Kurtzman

 The Big Bang Theory, (2007-in corso) ideato da Chuck Lorre e Bill Prady

 Game of Thrones

Ideatori: David Benioff e D.B. Weiss

Produttore esecutivo: David Benioff e D.B. Weiss

Co-produttore esecutivo: George R.R. Martin

Emittente: HBO

Anno: 2011-2019

IMMAGINI

Figura in copertina

https://www.pinterest.at/pin/787426316076413073/

Capitolo II:

Figura 1

https://lotr.fandom.com/it/wiki/Musica_degli_Ainur?file=Musica_degli_Ainur_by_Denis_Gordee

v.jpg

Figura 2

http://www.fmboschetto.it/didattica/Tolkien/universo_numenoreano.gif

Figura 3

http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/signore-degli-anelli-stagione-sar-incentrata-sul-giovane-

1533497.html

190

Figura 4

https://www.imdb.com/title/tt0499549/mediaviewer/rm2861991168

Figura 5

https://www.imdb.com/title/tt0499549/mediaviewer/rm4271211776

Figura 6

https://it.ubergizmo.com/2015/04/15/i-corsi-per-imparare-il-klingon-2.html

Figura 7

https://www.kli.org/

Figura 8

https://www.repubblica.it/tecnologia/mobile/2018/03/16/news/star_trek_adesso_puoi_imparare_il

_klingon-191433847/

Figura 9

http://www.chucklorre.com/index.php?p=493

Figura 10

https://www.televisionando.it/gallery/the-big-bang-theory-il-cast-della-comedy-cbs/215349/21/

Capitolo III

Figura 1

https://i.pinimg.com/originals/17/57/f2/1757f2473da78e52ecb1ae7c243a85c1.jpg

Figura 2

https://calciatoribrutti.com/application/files/6114/8822/9627/tum10563.jpg

Figura 3

https://nst.sky.it/content/dam/static/contentimages/original/sezioni/skyatlantic/news/2017/07/27/ki

ng.jpg/jcr:content/renditions/cq5dam.web.738.462.jpeg

Figura 4

https://www.vanityfair.it/show/tv/2017/07/17/game-of-thrones-7-settima-stagione-sky-serie-

episodi

Figura 5

https://it.wikipedia.org/wiki/Aerys_II_Targaryen

Figura 6

https://www.scpr.org/programs/take-two/2014/10/28/40040/game-of-thrones-withdrawals-learn-

to-speak-dothrak/

Figura 7

https://www.euronics.it/tecnologiafacile/h-g-i/novita/Il-Trono-di-Spade-Sesta-Stagione/1852/

191

RINGRAZIAMENTI

Non sono solita ai sentimentalismi, ma stavolta devo ammettere che c’è voluta una squadra di

supporto alle mie spalle. Per cui, non posso che fermarmi a ringraziare tutte le persone che,

direttamente o no, hanno contribuito alla stesura di questo lavoro.

Vorrei ringraziare, in primo luogo, la mia relatrice Luisa Brucale, che ogni giorno di più si è

rivelata il tipo d’insegnante che vorrei diventare, con la sua ineccepibile professionalità e con la

sua incommensurabile disponibilità. Ma sopra ogni altra cosa, tenevo a ringraziarla per il suo non

avere mai trasmesso ansia e preoccupazioni per scadenze imminenti, senza porre mai limiti alle mie

scelte, seppur sempre sotto la sua vigile sorveglianza che, però, risultava sempre caratterizzata

dalla calma e dalla gentilezza che la contraddistinguono.

Vorrei ringraziare i miei genitori, che mi hanno sempre sostenuto in tutte le mie scelte, sia

psicologicamente che economicamente. Ma vorrei ringraziarli soprattutto per non avermi mai

caricato di ulteriori pressioni durante tutta la mia carriera universitaria (che di pressioni ne aveva

già tante di per sé), e per avermi incoraggiato a non cadere nello sconforto. Un ringraziamento

speciale va a mio fratello, Mattia, che, nonostante i chilometri di distanza che ci dividono, trova

sempre il modo di farsi sentire vicino a me. Grazie, perché mi dimostrate ogni giorno quanto siete

fieri di me: con questo lavoro spero di poter essere io, stavolta, a trasmettervi quanto sia fiera di

voi.

Vorrei ringraziare i miei migliori amici, Gaetano e Roberta, che non hanno mai smesso di credere

in me, prendendomi in giro ad ogni mio ‘Non ce la farò’. Siete la mia forza, la mia famiglia e per

questo, credo, non smetterò mai di ringraziarvi.

E vorrei, inoltre, ringraziare Giuseppe Sc. perché, nonostante il suo modo di fare, ho sempre saputo

che, in qualsiasi momento, lui era lì per me.

Non possono mancare i ringraziamenti alle mie due fedeli compagne di viaggio, le mie colleghe

Graziella e Francesca. Insieme abbiamo creato una squadra infallibile, una macchina ‘macina-

esami’, nonché un’amicizia sincera e pura. Grazie al reciproco supporto, abbiamo cominciato

insieme e abbiamo finito insieme.

Vorrei ringraziare tutti i miei amici dell’Auletta in cui ho trascorso ogni giorno degli ultimi due

anni, la quale è diventata, di fatto, la mia seconda casa. In particolare, ringrazierò Elena per aver

sopportato per due mesi interi i miei sproloqui in tedesco. Grazie per aver fatto finta di capire quello

che stavo dicendo. E grazie per i momenti che hai speso ad aiutarmi con la tesi, tabella dopo tabella,

schema dopo schema. Non posso inserirvi tutti perché siete davvero tanti, per cui ringrazierò, a

nome di tutti gli altri, solo quelli che mi hanno aiutato materialmente a scrivere questa tesi,

aiutandomi nei modi più disparati: con imminenti corse in auto verso biblioteche o all’inseguimento

del postino (Grazie Laura!), con acquisto di libri online all’ultimo secondo nonché onnipresente

consulenza per Word Office (Grazie Peppe!); grazie a Vito per essere stato il mio fornitore ufficiale

di qualsiasi cosa riguardasse Game of Thrones (la HBO dovrebbe pagarti!); grazie ad Emanuele

per aver impiegato ore a dettare parole per lui senza senso da inserire in tabelle infinite; grazie a

Roberta per averci ospitato per un numero inquantificabile di giorni e di notti, trascorsi a studiare,

piangere, ridere, studiare, piangere, e così via.

E infine, devo ringraziare l’unica persona che non ha mai vacillato, nemmeno quando è stato

davvero difficile starmi accanto. L’unica persona che è stata in grado di gestire la bomba ad

orologeria che ero diventata. La persona che ogni secondo in cui ne avevo bisogno, mollava tutto

e veniva a darmi un abbraccio. La persona che mi ha asciugato lacrime dalle guance e che ha riso

insieme a me quando ne avevo bisogno. La persona che mi ascoltato ripetere centinaia e centinaia

di pagine, senza mai stancarsi. La persona con la quale voglio condividere l’obiettivo ultimo di

questo mio traguardo. Giuseppe, questa tesi è per te e per il nostro futuro insieme.Le Lingue Artificiali de Il Trono di Spade: Analisi image
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