Le Lingue Artificiali de Il Trono di Spade: Analisi
linguistica dell’Alto Valyriano e del Dothraki
Author: Alida Castronovo
MS Date: 02-14-2019
FL Date: 06-01-2019
FL Number: FL-00005D-00
Citation: Castronovo, Alida. 2019. “Le Lingue Artificiali de
Il Trono di Spade: Analisi linguistica dell’Alto
Valyriano e del Dothraki.” FL-00005D-00,
Fiat Lingua,
June 2019.
Copyright: © 2019 Alida Castronovo. This work is licensed
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SCUOLA DELLE SCIENZE UMANE E DEL PATRIMONIO CULTURALE
Corso di Laurea in Lingue e Letterature Moderne dell’Occidente e dell’Oriente
Dipartimento: Scienze Umanistiche
Le Lingue Artificiali de Il Trono di Spade
Analisi linguistica dell’Alto Valyriano e del Dothraki
TESI DI LAUREA DI
ALIDA CASTRONOVO
MATRICOLA 0657595
RELATRICE
PROF.SSA LUISA BRUCALE
ANNO ACCADEMICO 2017 – 2018
A Biagio e Paola, ovunque voi siate…
INDICE
Introduzione
Capitolo I – Le lingue artificiali
1.1 Che cos’è una lingua artificiale?
1.2 Classificazione tipologica delle lingue artificiali
1.2.1 L’invenzione nelle lingue naturali
1.2.2 L’invenzione nei linguaggi infantili
1.2.3 Le lingue inventate in stato di trance
1.2.4 L’invenzione linguistica artistica
1.3 Rimediare a Babele – Le Ragioni della Glossopoiesi
1.3.1 Le lingue filosofiche a priori del XVII e XVIII secolo
1.3.2 Le lingue internazionali ausiliarie
1.4 Obiezioni teoriche
Capitolo II – Le lingue artificiali nella letteratura e nella cinematografia
2.1 J.R.R. Tolkien e Il Signore degli Anelli
2.1.1 La lingua quenya
2.1.1.1 I suoni del quenya
2.1.1.2 Morfologia
2.1.1.3 Alfabeti Elfici
2.1.1.4 Conclusioni
2.2 Il na’vi di Paul Frommer
2.2.1 Fonetica e fonologia
2.2.2 Classi Lessicali e Morfologia
2.2.3 Sintassi
2.2.4 Conclusioni
I
IV
1
1
2
4
5
5
7
9
12
17
25
27
27
29
34
35
40
42
45
48
52
56
56
2.3 Il klingon di Mark Okrand
2.3.1 I suoni del klingon
2.3.2 Morfologia
2.3.3 Sintassi
2.3.4 Conclusioni
Capitolo III – Le Lingue di Game of Thrones
3.1 Struttura della saga
3.2 Sinossi dell’opera
3.3 Le conlangs di Game of Thrones – L’alto valyriano
3.3.1 Genealogia dell’alto valyriano
3.3.2 Genesi della lingua
3.3.3 Fonologia
3.3.4 Morfologia
3.3.5 Sintassi
3.3.6 Conclusioni
3.4 Le conlangs di Game of Thrones – Il dothraki
3.4.1 Genesi della lingua
3.4.2 Fonologia
3.4.3 Grammatica
3.4.3.1 Pronomi personali
3.4.3.2 Il sistema verbale
3.4.3.3 I nomi
3.4.3.4 I casi del dothraki
3.4.3.5 Gli aggettivi
3.4.3.6 Gli avverbi
3.4.3.7 I dimostrativi
3.4.3.8 Le adposizioni
3.4.4 Conclusioni
II
58
60
63
78
78
81
81
82
84
85
87
98
105
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133
135
136
137
139
139
139
145
146
149
152
153
155
156
Capitolo IV – La tipologia linguistica del dothraki e dell’alto valyriano 159
4.1 Classificazione tipologica
4.1.1 Tipologia dell’ordine dei costituenti nelle frasi dichiarative
4.2 Alto valyriano
4.3 Dothraki
4.4 Conclusioni
Conclusioni
BIBLIOGRAFIA
SITOGRAFIA
FILMOGRAFIA
IMMAGINI
160
161
164
171
175
177
179
181
182
183
III
INTRODUZIONE
Questa tesi nasce dalla combinazione di una delle mie più grandi passioni, ovvero
le serie tv, e di uno dei miei maggiori interessi, la linguistica. L’idea è scaturita in
seguito alla visione di un episodio in particolare della mia serie tv preferita, Game
of Thrones. L’espisodio in questione vede uno dei personaggi principali della serie,
Daenerys, interagire con uno schiavista, utilizzando una lingua artificiale, l’alto
valyriano. Nonostante questi suoni arrivassero alle mie orecchie come un insieme
di suoni indistinti e senza alcun significato, qualcosa deve aver catturato la mia
attenzione. Non so se si trattasse dell’interpretazione coinvolgente dell’attrice
Emilia Clarke o del pathos della scena in sé, oppure del mio interesse preesistente
verso la ricerca linguistica e l’uso che di questa si fa in contesti cinematografici, ma
sta di fatto che ho sentito la ‘necessità’ di scavare più a fondo nell’argomento.
Inutile dire che il risultato è stato sorprendente. La ricerca mi ha condotto in un
mondo che conoscevo soltanto superficialmente, fatto di siti, blog, forum, ancora
siti, libri, film, serie tv, i quali, click dopo click, hanno contribuito ad accrescere la
mia passione per le lingue. Pertanto, ho deciso di riportare in questa trattazione ciò
che è emerso nel mio viaggio all’interno della glossopoiesi.
Nel Capitolo I verrano affrontati i concetti di base riguardanti il mondo delle lingue
artificiali, indagandone origini, motivazioni e presentando alcuni tra gli esempi più
noti, come il volapük o l’esperanto.
Nel Capitolo II verranno presentati i grandi esempi di lingue artificiali create per la
letteratura o per la cinematografia, come la lingua elfica di Tolkien, il na’vi di Paul
Frommer e il klingon di Mark Okrand.
Il Capitolo III scenderà più a fondo nell’analisi delle lingue artificiali create da
David J. Peterson per la serie tv Game of Thrones, l’alto valyriano e il dothraki. In
IV
questo capitolo verranno analizzati tutti gli aspetti linguistici noti, correlati di
tabelle esplicative ed esempi chiarificatori.
Infine, nel Capitolo IV viene proposta un’analisi delle lingue di Game of Thrones
volta a valutarne l’adeguatezza linguistica da un punto di vista tipologico, facendo
riferimento alla classificazione tipologica delle lingue che vede come suo principale
teorico Joseph Greenberg. Le lingue in questione verranno, dunque, analizzate
attraverso il filtro delle implicazioni postulate negli universali linguistici
greenberghiani.
V
CAPITOLO I – Le Lingue Artificiali
1.1 Che cos’è una lingua artificiale?
La definizione precisa di una così complessa entità come la lingua risulta un lavoro
non poco arduo. Pertanto, è possibile tracciare un ritratto dai caratteri generali e non
precisamente delineati. Si definisce lingua un complesso sistema articolato su più
livelli (quello fonetico, quello morfo-sintattico e quello semantico) atto alla
trasmissione di messaggi, agli scambi comunicativi. (Cfr. Graffi-Scalise: 2002,
p.27)
Come poter definire diversamente un sistema di cui nemmeno coloro che ne
fanno utilizzo hanno una chiara visione? D’altro canto, a rifletterci bene, nessun
parlante nativo possiede un chiaro quadro sul funzionamento della propria lingua
madre. Qualsiasi madrelingua italiano sa bene che è sbagliato dire *sto stando, ma
solo chi ha avuto modo di confrontarsi con la linguistica potrebbe spiegare le cause
di questa impossibilità, le quali sono da rintracciare sull’aspetto verbale.
La spontaneità, la naturalezza e il non del tutto consapevole automatismo con
cui l’uomo apprende – e impara ad utilizzare – una lingua contribuiscono alla
delineazione di differenti definizioni di lingue, che portano gli studiosi della
linguistica a distinguere, in primo luogo, lingue naturali1 e lingue artificiali.
La definizione di lingua artificiale, se si dà per assodata la definizione di lingua,
non presenta troppe difficoltà. Si definisce, infatti, lingua artificiale una lingua
ideata da un singolo individuo o da un gruppo di individui, che ne sviluppano i tratti
caratteristici collegati ad ogni livello linguistico, sia esso fonetico, morfologico,
sintattico o semantico. La principale differenza tra le due categorie risiede nella
fonte d’origine dei due sistemi linguistici: mentre le lingue artificiali sono frutto di
una pianificazione ‘a tavolino’, le lingue naturali nascono spontaneamente e si
sviluppano progressivamente all’interno di una determinata cultura.
Le lingue artificiali sono state a lungo studiate, sia per indagarne i processi di
costruzione, sia per rintracciarne i motivi che porterebbero un individuo a creare un
1 Si tiene a precisare che la denominazione ‘lingua naturale’ verrà utilizzata in questa trattazione
solamente per distinguere le lingue storico-naturali da quelle create artificialmente.
1
nuovo sistema linguistico.
Si cercherà, prima di tutto, così come è stato fatto anche per le lingue naturali, di
tracciare, quanto più esaustivamente possibile, una chiara demarcazione di natura
tipologica delle lingue artificiali, basandosi sulla classificazione effettuata da
Alessandro Bausani, nonché di rintracciarne le spinte propulsive.
1.2 Classificazione tipologica delle Lingue Artificiali
Le lingue naturali vengono classificate secondo l’appartenenza a tipologie
linguistiche che presentano le medesime caratteristiche strutturali, come i processi
di derivazione delle parole, la disposizione sintattica degli elementi che
compongono la frase, e così via.
Allo stesso modo, Alessandro Bausani (1974, p.13) stila una classificazione
tipologica dell’inventività linguistica, partendo dalla distinzione dei gradi di ‘libertà
linguistica’ di Roman Jakobson:
«Una prima rozza tipologia potrebbe essere quella basata sulla polarità della lingua
come espressione e come relazione/comunicazione. Potrebbero cioè inventarsi
lingue puramente o soprattutto espressive, a scopi poetici ed esoterici, spesso
irregolari, difficili, ‘originali’ […] oppure lingue a scopi di più ampia
intercomprensione internazionale (l’esperanto e le sue congeneri)».
Ma queste creazioni non hanno limite fino a un certo punto: esistono confini
linguistici che non possono essere oltrepassati. A questo proposito si pronuncia
Roman Jakobson, il quale propone una scala di libertà nella creazione linguistica.
«Thus in the combination of linguistic units there is an ascending scale of freedom.
In the combination of distinctive features into phonemes, the freedom of the
individual speaker is zero; the code has already established all the possibilities
which may be utilized in the given language. Freedom to combine phonemes into
words is circumscribed, it is limited to the marginal situation of wordcoinage. In
the forming of sentences out of words the speaker is less constrained. And finally,
in the combination of sentences into utterances, the action of compulsory
syntactical rules ceases and the freedom of any individual speaker to create novel
contexts increases substantially, although again the numerous stereotyped
2
utterances are not to be overlooked.»2
Sulla base di questo intervento, Bausani ricostruisce schematicamente questa scala
di libertà creativa nella lingua, distinguendo:
Libertà di I grado (al livello ‘vitale’, preculturale, inconscio dei fonemi)
Libertà di II grado (al livello delle parole);
Libertà di III grado (al livello della frase);
Libertà di IV grado (al livello della espressione).
A seconda del grado di libertà, allora, Bausani, precisando che la libertà creativa di
IV grado può essere esercitata in qualsiasi lingua naturale, classifica ulteriormente
le lingue artificiali, suddividendole in quattro categorie:
1) Lingue che creano una sintassi speciale, non naturale, lasciando sostanzialmente
intatto il patrimonio morfologico e fonetico della lingua naturale dell’‘inventore’
(certi linguaggi poetici o cerimoniali);
2) Lingue che creano un nuovo lessico lasciando più o meno intatta la morfologia
del linguaggio naturale (è il caso dei ‘gerghi’);
3) Lingue che creano una nuova morfologia oltre al nuovo lessico, lasciando più o
meno intatto il patrimonio fonetico del linguaggio naturale dell’inventore (è il caso
di molte lingue inventate ‘universali’);
4) Lingue che tentano persino di mutare il patrimonio fonematico della lingua
naturale dell’inventore (caso abbastanza raro, ma esistente, sia in qualche lingua
inventata ‘universale’ sia in qualche lingua inventata infantile)».
Ma potrebbe operarsi una distinzione ancora più dettagliata. Lo stesso Bausani
costruisce uno schema riassuntivo esplicativo, che, qui, riporto fedelmente:
A (sacre)
B (laiche)
1. Lingua artificiale sacra vera e propria (es. il balaibalan)
2. Pseudolinguaggio sacro parziale (glossolalia; formule magiche)
1. Lingua artificiale ‘laica’ di puro gioco espressivo
(lingue inventate da ragazzi)
2. Lingua artificiale di comunicazione (es. l’Esperanto)
2 Cfr. Roman Jakobson, Aphasia as a Linguistic Problem, in R. Jakoboson e M. Halle,
Fundamentals of Language, ‘s-Gravenhage, 1965, p.60.
3
Continua Bausani (1974, p.15) «Nei casi A1 e B2 predominerebbe un elemento
sociale (tali lingue cioè, sacre o laiche che siano, servirebbero soprattutto a una
comunicazione), nei casi A2 e B1 predominerebbe l’elemento asociale, puramente
espressivo o di gioco.»
Un’altra distinzione può essere effettuata all’interno del campo delle lingue
artificiali, che si traduce in una dicotomica distinzione tipologica tra lingue a priori
e lingue a posteriori.
Si definiscono lingue a priori quei sistemi linguistici caratterizzati da strutture
linguistiche create ex novo, che non si basano, quindi, su nessun’altra lingua
esistente.
Le lingue a posteriori, invece, sono quelle lingue che vengono sviluppate a partire
da lingue naturali già esistenti: per la loro creazione vengono utilizzati, quindi,
materiali linguistici di altre lingue, più o meno deformati o mescolati in varie
combinazioni.
1.2.1 L’invenzione nelle lingue naturali
L’inventività linguistica non è solo da pensare come un artificio creativo troppo
lontano dalla realtà. Come anche Bausani fa notare, raccontando un aneddoto
riguardante la lingua australiana, l’invenzione o la sostituzione linguistica può
occorrere anche nel campo delle lingue naturali. Oltre a sottolineare come
l’invenzione linguistica possa nascere semplicemente per questioni tabuistiche
relative ad una comunità, Bausani ci racconta una storia esplicativa del fenomeno
sostitutivo. In Australia, tradizione vuole che, nel caso di morte di qualcuno che
avesse un nome collegato ad oggetti di uso comune o ad animali, quel nome venisse
cambiato. «Quando morì un tasmaniano che si chiamava Ramanalu (=piccolo
gabbiano) perché quando nacque volava un gabbiano – riferisce J. Fraser nella
introduzione alla Grammatica australiana del Threlkeld – non si poteva più usare
la parola rama per gabbiano e fu inventata un’altra parola da una radice che
significava ‘bianco’. Questo, data la frequenza di nomi propri significativi, crea
nelle lingue australiane un continuo fluttuare del lessico: e non sempre si tratta di
una voga provvisoria del nuovo vocabolo, bensì di vera e propria sostituzione
4
permanente.» (Bausani:1974, p. 17)
Il fenomeno di sostituzione linguistica è presente in qualsiasi sistema linguistico
però, nella maggior parte dei casi, si tratta di un fenomeno provvisorio che lascia il
tempo che trova, mentre in alcuni casi specifici di lingue primitive si tratta di
un’alterazione permanente, la quale, talvolta, conduce a «una differenziazione
linguistica notevole anche fra tribù vicine» (Bausani: 1974, p. 19).
Si potrebbe anche rintracciare inventività linguistica in quelle che Umberto Eco
chiama ‘lingue di bricolage’ (Eco: 1996, p.9), cioè i pidgin, codici linguistici di
contatto plurilingue caratterizzati da un’estrema semplicità strutturale e lessicale.
Nello specifico, l’alterazione a scopo semplificativo della lingua potrebbe essere
interpretata come una forma di inventività linguistica, dove, se in genere è il campo
lessicale quello a subire maggiormente alterazioni di tipo sostitutivo, questa volta,
non solo il lessico viene modificato, ma anche la struttura sintattica. In questa
circostanza Bausani ci offre un chiaro esempio, citando il caso di un «‘cicerone’
improvvisato italiano che mostrando in una chiesa un antico quadro allo straniero
gli dice: “Questo essere molto bello pittura Michelangelo”.», dove ad essere alterati
sono la morfologia e la costruzione sintattica, mentre il lessico non viene alterato.
1.2.2 L’invenzione nei linguaggi infantili
I casi più interessanti di creatività linguistica, però, non sono quelli che agiscono
all’interno di gradi di libertà relativamente ampi, quali il III o il IV grado, dove non
sorprende l’introduzione di nuovi o modificati elementi linguistici, piuttosto quelli
che raggiungono il II o addirittura il I grado. A tal proposito, Bausani (1974, p. 25)
cita un caso menzionato da Jespersen nel suo Language: «si tratta di alcuni bambini
islandesi che, vivendo in un casolare isolato nell’interno dell’Islanda, soli con la
propria madre, passavano lunghi periodi a giocare fra loro e, in tali giochi,
svilupparono, in modo sempre più complesso, una lingua inventata [chiamata
markuska] che finirono per parlare spessissimo. Jespersen riferisce che la madre,
data la loro ostinazione nel parlar tale lingua anche con lei, fu costretta a impararla!»
1.2.3 Le lingue inventate in stato di trance
L’invenzione linguistica non è una pratica che si attua solamente in stato cosciente.
5
Esistono, infatti, lingue che vengono elaborate durante uno stato di trance. Anche
in questo caso, Bausani ci fornisce svariati esempi, come quello del medico
cecoslovacco Jaroslav Stuchlík, che inventò circa sedici lingue a priori e con
sistema di scrittura anch’esso creato ex novo. Certamente, si tratta di un progetto
eccezionale, frutto, però, della mente di «un soggetto schizofrenico, paranoico e
megalomane.» (cfr. Bausani:1974, p. 34).
Ancora più interessante è la raccolta dello psichiatra Eugenio Tanzi, il quale
assembla, in una raccolta del 1889, 239 neologismi di soggetti alienati di alcuni
manicomi italiani. Come ci suggerisce lo stesso Bausani (1974, p.35), neologismi
con questa provenienza si differenziano dalla semplice inventività linguistica,
caratterizzati in genere da una componente sociale (chi inventa delle lingue,
qualsiasi sia lo scopo, sia esso avere un codice segreto, sia esso avvicinarsi a Dio e
così via, sottintende sempre la volontà di comunicare), esclusivamente per il loro
carattere asociale. «Il Tanzi afferma anzi che almeno il 30% dei paranoici sono
‘neologisti’. Quelli più interessanti sono le parole o espressioni completamente
senza senso apparente, fuori della forma comune del linguaggio. Secondo il Tanzi
questa ‘parola’ del tutto inventata … “rivela nella sua lingua origine grottesca e
senza esempi la propria origine incosciente degli strati più profondi e ignorati della
memoria organica. Avido di un simbolo verbale che appaghi la sua fede confusa e
pure intensissima verso qualche cosa di soprannaturale, il paranoico accetta la
prima combinazione fonetica che gli balena nella coscienza. […] L’origine per così
dire automatica e non logica del suo neologismo gli accresce anzi il convincimento
che esso provenga dal di fuori e sia il frutto di una intuizione superumana o d’una
ispirazione divina. […] Talora il significato del neologismo è troppo ‘denso’ per il
pazzo stesso, che non sa spiegarne con precisione il significato nella lingua
normale.”»
Dal momento in cui lo studio di Tanzi non è più accessibile, Bausani fornisce
qualche esempio dei neologismi:
«Sensine e sersini, specie di diavoletti di Cartesio, l’‘anima delle cose’ come li
definisce l’inventore dei loro nomi, un operaio fonditore pazzo, ma notevolmente
intelligente.
Alveatico, specie di nube rarefatta che, avvolgendo la testa del malato, lo trasforma
6
in un’altra persona, il che costituisce la conquitescenza mirtica dell’alveatico (sic!).
Pitroskoi marabiska patomba lemba zagamba strapùlika! È una specie di scongiuro
o formula che fu udita da un paranoico intelligentissimo.» (Bausani:1974, p. 36)
Chiaramente, proprio per il suddetto carattere asociale di queste verbigerazioni,
non possiamo definire tali atti come parte di una lingua ben definita, piuttosto
possiamo definirli come sporadici sproloqui di soggetti mentalmente instabili e
come tali trattarli.
1.2.4 L’invenzione linguistica artistica
Ritornando alla creazione linguistica cosciente, è opportuno soffermarsi sul
fenomeno inventivo artistico e, più specificatamente, poetico.
A ben rifletterci, già la parola ‘poesia’, nella sua etimologia, sottintende il concetto
di creazione. La parola, infatti, deriva dal greco poiesis (ποίησις) e porta proprio il
significato di ‘fare, creare’.
Ma ancora di più ci si rende conto di quanto il concetto di invenzione linguistica
sia vicino alla produzione poetica quando ci addentriamo nel mondo delle metafore
dirette, ovverosia quelle che non hanno un immediato termine di paragone.
L’esempio più evidente sono le kenningar del mondo germanico antico. Questo
metodo di composizione lessicale consiste nell’accostare due o più termini, la cui
somma darà un risultato dal riferimento metaforico, collegato all’entità per cui è
stato creato, per cui si avranno parole come quelle nella tabella che segue3:
Hwælweg
Sǣmearh
Merehræg
Lett. La via delle balene
Lett. Il cavallo del mare
Lett. Il vestito del mare
Il mare
La nave
La vela
In questi casi, la motivazione metaforica dei costrutti rimane circoscritta ad un
utilizzo creativo della lingua, motivo per cui spesso queste parole contano poche
occorrenze nei testi. Ciononostante, non si può negare a questo fenomeno creativo
l’appartenenza al campo dell’invenzione linguistica.
3 Le kenningar riportate sono state estratte da Helmut Gneuss, The Old English language, tratto da
Godden, Malcolm, The Cambridge companion to Old English literature, 1991 Cambridge University
Press, pp. 23-54.
7
Per non spostarci troppo dal contesto italiano, occorre citare il poeta
contemporaneo Fosco Maraini, al cui genio si deve la cosiddetta ‘poesia
metasemantica’. Il lavoro di Maraini si sviluppa, se così si può dire, in antitesi alla
semantica, cioè alla branca della linguistica che si occupa del significato delle
parole. L’autore fiorentino, nella sua raccolta di poesie ‘Gnòsi delle Fànfole’, opera
un’alterazione del sistema lessicale della lingua di riferimento, in questo caso
l’italiano, lasciando intatta la caratterizzazione morfo-sintattica. Ciò che Maraini
vuole dimostrare è che, utilizzando parole prive di significato ma che mantengono
strutture grammaticali e fonetiche della lingua di base, il lettore può riuscire a
comprenderne, se non esattamente il significato, quantomeno l’appartenenza del
lessico a determinate categorie grammaticali. In altre parole, il lettore riesce a capire
se una parola è un nome o un verbo o un aggettivo e così via. Per concretizzare gli
effetti suscitati da questo tipo di invenzione linguistica, viene qui riportato
l’esempio più celebre di poesia metasemantica scritta proprio da Maraini, ‘Il
Lonfo’:
Il Lonfo non vaterca né gluisce
e molto raramente barigatta,
ma quando soffia il bego a bisce bisce,
sdilenca un poco e gnagio s’archipatta.
È frusco il Lonfo! È pieno di lupigna
arrafferia malversa e sofolenta!
Se cionfi ti sbiduglia e ti arrupigna
se lugri ti botalla e ti criventa.
Eppure il vecchio Lonfo ammargelluto
che bete e zugghia e fonca nei trombazzi
fa legica busia, fa gisbuto;
e quasi quasi in segno di sberdazzi
gli affarferesti un gniffo. Ma lui, zuto
t’ alloppa, ti sbernecchia; e tu l’accazzi.
In conclusione a questa breve disamina sulla distinzione tipologica delle lingue
inventate, mi sembra doveroso sottolineare ancora come il fenomeno d’invenzione
non è da pensare come raro e isolato, piuttosto esso è abbastanza frequente e non
poi così inusuale. Inoltre, vanno distinti i gradi di profondità dell’invenzione
linguistica, poiché ritroviamo sistemi linguistici naturali che integrano solamente
8
qualche sporadico elemento linguistico, che, a pensarci bene, altro non è che una
mera coniazione di neologismi (si pensi alla parola ‘petaloso’ coniata da un
bambino di terza elementare, o, ancora, alla parola ‘Brexit’, che vengono oggi
utilizzate correntemente) e interi sistemi linguistici, dove qualsiasi livello
linguistico viene coscientemente creato e concatenato all’altro.
Infine, come sottolinea anche Bausani (1974, p.49), alcuni casi estremi di
produzione linguistica artificiale, più che nel campo della linguistica, possono
riversarsi nell’ambito di competenza della psicologia, della sociologia,
dell’etnologia e dell’estetica.
1.3 Rimediare a Babele – Le ragioni della glossopoiesi
Nel suo La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, Umberto Eco stila
una macro-classificazione delle tipologie linguistiche che andrà a trattare. Pertanto,
prende in considerazione (Eco:1996, p.8):
a) Lingue storiche, ritenute originarie e perfette, come l’ebraico, l’egizio o il
cinese.
b) Lingue madri originarie da cu si pensa siano derivate gran parte delle lingue
naturali esistenti, come l’indo-europeo.
c) Lingue costruite artificialmente, che possono avere tre scopi principali:
1. Perfezionare la lingua per esprimere perfettamente le idee e scoprire
eventuali connessioni tra gli aspetti della realtà (ne sono un esempio le
lingue filosofiche a priori del XVII secolo).
2. Perfezionare la lingua per il raggiungimento di un’universalità (ne sono un
esempio le lingue internazionali a posteriori del XIX secolo).
3. Perfezionare la lingua per praticità (ne sono un esempio le poligrafie).
d) Lingue magiche, siano esse scoperte o create, che mirano ad una perfezione
mistica.
Ciò che Eco non tratta, invece, sono le lingue oniriche, ossia quelle lingue inventate
in stato di trance e quindi in stato non cosciente, le lingue bricolage, come i pidgin,
le lingue veicolari, lingue di ‘mediazione’ che sostituiscono le lingue naturali in
aree multilingui, come il francese o l’inglese, e le lingue romanzesche e poetiche,
9
cioè lingue fittizie ideate per popolazioni fantastiche, di cui io mi occuperò
approfonditamente in questa trattazione (vedi Capitoli II e III).
Ma da dove deriva la Grande Questione della Lingua? Quali sono le cause
scatenanti della diversità linguistica?
Bisogna prima di tutto risalire al passo 11 del libro della Genesi, il quale narra
della cupidigia e dell’insaziabilità dell’uomo che aspira sempre al raggiungimento
della divinità. Riporto qui fedelmente il passo:
1 Tutta la terra aveva un’unica lingua e uniche parole. 2 Emigrando dall’oriente, gli
uomini capitarono in una pianura nella regione di Sinar e vi si stabilirono. 3 Si dissero
l’un l’altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il mattone servì loro
da pietra e il bitume da malta. 4 Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una
torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la
terra». 5 Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano
costruendo. 6 Il Signore disse: «Ecco, essi sono un unico popolo e hanno tutti un’unica
lingua; questo è l’inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non
sarà loro impossibile. 7 Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non
comprendano più l’uno la lingua dell’altro». 8 Il Signore li disperse di là su tutta la
terra ed essi cessarono di costruire la città. 9 Per questo la si chiamò Babele, perché
là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la
terra.4
Questo passo, da solo, basterebbe ad aprire (o riaprire) eterni dibattiti, a cui le menti
più brillanti della storia dell’uomo hanno dato il loro contributo, come il chiedersi
in che lingua Dio parlasse ad Adamo, poiché è solo in un secondo momento che
Dio gli affiderà il compito di dare un nome alle cose e agli animali creati da Lui,
oppure il chiedersi su quali basi Adamo costruisce la sua nomenclatura.
Arbitrariamente oppure in qualche modo è legata alla natura dell’animale stesso?
Se decidessimo di pensare le sue scelte lessicali come arbitrarie, verremmo subito
contraddetti dal nome che Adamo scelse per sua moglie, così come testimoniato dal
verso della Genesi 3-20
4Cfr.http://www.bibbiaedu.it/testi/Bibbia_CEI_2008.Ricerca?Libro=Genesi&Capitolo=11&versett
o_finale=9&versetto_iniziale=9&tipo_ricerca=0&visintro=1&parola=babele#VER_7
10
20L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi.5
dove la non-arbitrarietà della scelta lessicale appare cristallina.
È in questo senso che si deve intendere l’‘eterno dibattito’, dove tutto viene
confermato e poi contraddetto, un cane che si morde la coda. Motivo per cui non ci
si può permettere un approfondimento sull’argomento, poiché si rischia di annegare
in un fiume di parole la cui riva è ben lontana dall’immaginario comune.
Il motivo per cui viene riportato qui il passo del mito babelico (Genesi 11) è
perché, proprio su questo, si può rintracciare l’unica grande e reale spinta propulsiva
che porterà alla ricerca ‘famelica’ di una lingua originaria, perfetta, quella con cui
Adamo (l’uomo) e Dio interloquivano e che, di conseguenza, porterà ad uno studio
intenso e ad una profonda riflessione sulla lingua. Non stupisce, dunque, né che il
mito babelico sia l’episodio su cui è stata posta maggiore attenzione all’interno
della tradizione della filosofia del linguaggio, né che la differenziazione linguistica
sia stata vista, almeno inizialmente, non come un evolversi naturale delle lingue,
bensì come una punizione divina, una maledizione, a cui poter porre rimedio
solamente mediante un ritorno alle origini, solamente attraverso la «restituzione
della lingua adamica.» (Eco:1996, p.16).
Da questo presupposto si sviluppano le corse alla ricerca della lingua originaria,
di cui non si potrà parlare approfonditamente, poiché si rischia di inerpicarsi nel
pericoloso vortice della linguistica storica, una branca che si è occupata e si occupa
della ricostruzione proto-linguistica di una lingua madre da cui sarebbero derivate
le lingue naturali attestate, mediante l’utilizzo del metodo comparativo. Il metodo
prevede il confronto tra lingue che si presumono imparentate e, attraverso la ricerca
di corrispondenze fonetiche, la ricostruzione sistematica di una plausibile lingua
antenata in comune che avrebbe generato le suddette lingue figlie. Il riferimento
alla linguistica storica è qui presente solamente per dare contezza di quei turbinosi
movimenti verso la linguistica, che ‘Babele’ ha incessantemente innescato – e che
continua ad innescare. Pertanto, non tratterò che marginalmente questo tipo di
5Cfr.http://www.bibbiaedu.it/testi/Bibbia_CEI_2008.Ricerca?Libro=Genesi&Capitolo=3&versetto
_finale=20&versetto_iniziale=20&tipo_ricerca=0&visintro=1&parola=chiam%F2+Eva#VER_18
11
‘invenzione linguistica’, dal momento in cui sarebbe più corretto, in questo caso,
parlare di ricostruzione di una lingua, piuttosto che di costruzione vera e propria.
Oltre a questa motivazione di ‘ritorno alla lingua perfetta’, parlata da Dio,
esistono altri motivi per l’invenzione linguistica, come d’altro canto Umberto Eco
aveva già sottolineato nella sua classificazione (vedi punto c)).
1.3.1 Le lingue filosofiche a priori del XVII e XVIII secolo
Le lingue costruite artificialmente che hanno il fine di «perfezionare la lingua
per esprimere perfettamente le idee e scoprire eventuali connessioni tra gli aspetti
della realtà» (Eco: 1996, p.8) trovano perfetto riscontro nelle lingue filosofiche a
priori del XVII e XVIII secolo. Per quanto riguarda la motivazione, le lingue
filosofiche a priori introducono un capovolgimento delle carte, poiché, laddove
prima la ricerca della lingua perfetta tesseva le sue trame in ambiti di tipo religioso,
adesso lo scopo dei filosofi è quello di raggiungere una lingua filosofica che possa
dipanare la matassa degli idola baconiani6 che hanno privato l’uomo e la sua mente
della ragione, escludendolo dal progresso scientifico.
Inoltre, non è un caso che la propensione al raggiungimento di una lingua
universale provenga principalmente dalle isole britanniche, dove non si tratta del
mero riflesso di un’eco coloniale, di cui l’Inghilterra si fa regina indiscussa, si tratta,
piuttosto, di motivazioni di tipo religioso, legate al rifiuto categorico del latino
come lingua scientifica veicolare, lingua imprescindibilmente legata alla Chiesa
Cattolica, senza contare le difficoltà pragmatiche che lo studioso inglese incontrava
nel confrontarsi con una lingua così divergente dalla propria.
Oltre a queste motivazioni viscerali, vi erano motivazioni più prettamente
pratiche, quali la facilitazione degli scambi commerciali e delle prassi didattiche o
l’esigenza di trovare nomenclature adatte a nuove scoperte in campo scientifico per
6“Uno dei cardini della filosofia baconiana è la distruzione degli idola, e cioè di quelle false idee
che ci provengono o dalla stessa nostra umana natura, specifica e individuale, o dai dogmi filosofici
tramandati dalla tradizione o ancora – e siamo agli idola fori che ci riguardano più da vicino – dal
modo in cui usiamo la lingua. […] Gli idola che si impongono per mezzo delle parole «o sono nomi
di cose che non esistono […] o sono nomi di cose che esistono, ma confusi, mal definiti ed estratti
dalle cose in modo affrettato e parziale»” (Eco: 1996, p. 227)
12
rimediare alle «vaghezze simbolico-allegoriche del
linguaggio alchemico
precedente.» (Eco: 1996, p. 227).
Naturalmente, il dibattito, per sua stessa definizione, presenta anche un rovescio
di medaglia rivestito di scetticismo. Ne sono la prova tangibile alcuni scritti firmati
da grandi nomi, tra cui figura quello di Cartesio.
Nel 1629 padre Marino Mersenne manda a Cartesio un progetto di ‘nouvelle
langue’ di un certo des Vallées, al quale risponde successivamente con una lettera,
nella quale illustra il suo pensiero nei confronti di una lingua creata artificialmente.
Si riporta qui di seguito la lettera:
“Per il resto, trovo che si potrebbe aggiungere a ciò un’invenzione, sia per
comporre le parole primitive di questa lingua, sia per i loro caratteri; di modo
che essa potrebbe essere insegnata in pochissimi termini, e cioè per mezzo
dell’ordine, ossia, stabilendo un ordine fra tutti pensieri che possono entrare nella
mente umana, allo stesso modo in cui ve n’è uno naturale fra i numeri; e come si
può apprendere in un giorno a nominare tutti i numeri fino all’infinito, e scriverli
in una lingua sconosciuta, il che comporta pur sempre un’infinità di parole
differenti, così si dovrebbe poter fare lo stesso con tutte le altre parole necessarie
ad esprimere tutte le altre cose che vengono in mente agli uomini. Se una cosa
simile fosse trovata, io non dubiterei minimamente che questa lingua sarebbe ben
presto corrente in tutto il mondo; perché vi sono moltissime persone che
impiegherebbero volentieri cinque o sei giorni di tempo per potersi far capire da
tutti gli uomini. Ma io non credo che il Vostro autore ci abbia pensato, sia perché
nelle sue proposizioni non v’è nulla che lo testimoni, sia perché l’invenzione di
questa lingua dipende dalla vera Filosofia; perché altrimenti è impossibile
elencare tutti i pensieri degli uomini, e metterli in ordine, e nemmeno distinguerli
in modo che essi siano chiari e semplici, che, a mio avviso, è il più grande segreto
che si possa avere per acquisire la buona scienza. E se qualcuno avesse spiegato
bene quali sono le idee semplici che sono nell’immaginazione degli uomini, e di
cui è composto tutto ciò che pensano, e se ciò fosse recepito da tutti, io oserei
sperare, di lì a poco, in una lingua universale facilissima da imparare, da
pronunciare e da scrivere, e, ciò che più conta, [una lingua] che aiuterebbe nel
giudizio, presentandogli tutte le cose così distintamente, che gli sarebbe quasi
impossibile sbagliarsi; invece, al contrario, le parole che abbiamo hanno quasi
esclusivamente significati confusi, ai quali la mente degli uomini si è abituata da
lungo tempo, di modo che essa non capisce quasi nulla perfettamente. Ora io
ritengo che questa lingua sia possibile, e che si possa trovare la scienza dalla
13
quale essa dipende, per mezzo della quale i villici potrebbero giudicare la verità
delle cose meglio di quanto adesso non facciano i filosofi. Ma non sperate di
vederla mai in uso; ciò presuppone grandi cambiamenti nell’ordine delle cose, e
bisognerebbe che tutto il mondo non fosse che un paradiso terrestre, il che non è
concepibile se non nel paese dei romanzi.”7
Come questa lettera del 1629 dimostra, lo scetticismo e la riluttanza che
accompagna da sempre il mondo delle creazioni linguistiche trae le sue origini in
tempi ben più antichi di quanto comunemente si pensi. E non c’è, dunque, da
stupirsi se la catena di diffidenza si sia protratta, all’interno delle cerchie di linguisti,
fino ai giorni nostri, fatto questo non privo di fondamento. Infatti, se si analizzano
i tentativi di creazione di una lingua a priori da un punto di vista logico-linguistico,
ne risultano per lo più insoddisfacenti tentativi di sistematizzazione di cose e
nozioni elaborate all’interno del pensiero umano, le quali risultano potenzialmente
infinite. A questo proposito, sono state avanzate diverse proposte, di cui verranno
di seguito riportate le più importanti.
L’Ars Signorum di G. Dalgarno
Il maestro scozzese Dalgarno rintraccia due principi cardine nella creazione di una
lingua: una classificazione contenutistica del sapere, che viene stilata dal filosofo,
e una grammatica che organizzi sistematicamente, sul piano espressivo, le suddette
categorie del sapere.
Pertanto, Dalgarno opera un’oculata assegnazione fonetica per ogni parola del
suo sistema linguistico, individuando i suoni che più gli sembrano adeguati e più
facilmente riproducibili dall’apparato fonatorio umano. Passa, successivamente, al
problema dei primitivi, scegliendo di classificare non solo i generi naturali, ma
anche artefatti e accidenti, adottando un ardito criterio di composizionalità, secondo
la quale ogni sostanza non è che un insieme di accidenti. Cercando di
ridimensionare il numero di primitivi, Dalgarno costruisce delle tavole organizzate
7 Per il testo originale, si rimanda a Renato Cartesio, Isaac Beeckman, Marin Mersenne, Lettere
(1619-1648). Testo francese e latino a fronte, 2015, Bompiani sotto la direzione di G. Belgioioso,
J. Armogathe, pp. 190-192
14
secondo una gerarchizzazione che vede al vertice i generi fondamentali, seguiti dai
generi intermedi e infine dalle specie, assegnando ad ogni categoria una lettera, sia
essa maiuscola, sia minuscola. Si tratta, dunque, di un sistema linguistico che si
avvale di lettere corrispondenti a cose e/o a concetti, racchiusi in categorie
sistematizzate, all’interno di una sorta di albero ‘genealogico’, calcato sull’albero
di Porfirio.8
Fermo restano che la lingua, così come lui l’aveva pensata, presentava molte
difficoltà nella composizione, nonché nella memorizzazione dei termini, il motivo
principale per cui il sistema non avrebbe potuto funzionare è che una classificazione
così scevra di sfumature, per quanto potesse costituire il fondamento per una
possibile lingua universale, ne avrebbe ridotto l’espressività e il sistema sarebbe
risultato, quindi, limitato e costretto a composizioni espressive troppo vincolanti,
che avrebbero significato una costrizione della libertà e della profondità
dell’espressione umana.
L’Essay toward a real character, and a philosophical language di J. Wilkins
Il sistema di Wilkins, seppur più o meno simile a quello di Dalgarno9, risulta il più
completo tra gli altri sistemi proposti in questo secolo. Ciò che Wilkins critica delle
precedenti proposte è la stretta dipendenza dei sistemi linguistici dal lessico di una
determinata lingua, qualsiasi essa fosse. Pertanto, propone come fondamento della
sua lingua un riferimento alla natura delle cose e alle nozioni comuni su cui tutta
l’umanità potesse trovare un punto di contatto. In altre parole, deve basarsi su
concetti comprensibili per tutti gli uomini e, quindi, presenti in ogni cultura. È
chiaro che questo ragionamento di base presuppone un colossale progetto di
descrizione del sapere, che includa qualsiasi nozione elementare che sia condivisa
da ogni essere razionale.
8 L’albero di Porfirio è una tavola della coordinazione e della subordinazione dei generi e delle
specie, le cui classificazioni seguono un ordine decrescente, dal più generico al più specifico,
secondo il processo della dicotomia (ad es., l’entità si distingue in ‘astratto’ e ‘concreto’, quello
concreto a sua volta si distingue in ‘meno perfetto’ e in ‘più perfetto’, il ‘meno perfetto’ a sua volta
si distingue in ‘spirituale’ e in ‘corporeo’, e così via.)
9 Tanto che costò a Wilkins un’accusa di plagio da parte di Dalgarno, accusa ingiusta, a detta di Eco,
«perché Wilkins ha di fatto realizzato quello che Dalgarno aveva solo promesso, e d’altra parte il
progetto di Dalgarno era stato anticipato in vari modi negli anni precedenti» (Eco:1996, p. 246).
15
La falla di sistema del suo progetto consisteva nella delimitazione areale di quelli
che lui definiva saperi ‘universali’, che di fatto erano circoscritti al contesto inglese
– o al massimo europeo – e di conseguenza veniva ignorata la possibilità che popoli
di cultura diversa avessero potuto organizzare l’universo in maniera diametralmente
opposta alle sue concezioni ‘comuni a tutti gli uomini’.
La Lingua Generalis di G. Leibniz
Anche il grande studioso Leibniz fornisce il suo contributo alla storia
dell’invenzione linguistica, con la sua Lingua Generalis, nel 1678. Il suo sistema
linguistico prevedeva la trascrizione di corrispondenze numeri-consonanti e unità
decimali-vocali, secondo questo schema:
1
b
Unità
a
2
c
3
d
4
f
5
g
6
h
Decine
e
Centinaia
i
Migliaia
o
7
l
8
9
m
n
Decine di migliaia
u
La lingua proposta da Leibniz, che, non a caso, egli chiamò lingua Adamica,
aveva come punto d’origine la sua idea di Characteristica Universalis. Fondamento
della sua idea era la concezione che tutte le idee complesse fossero il risultato della
somma di idee semplici, così come tutti i numeri non primi sono nient’altro che i
risultati di combinazioni dei numeri primi. Pertanto, se si volessero creare idee
complesse basterebbe operare una moltiplicazione aritmetica, o, viceversa, se si
volesse risalire ad un’idea semplice basterebbe operare una scomposizione in
numeri primi. Ogni ragionamento altro non è che una vera e propria operazione
matematica.
Dunque, seguendo lo schema sopra riportato, ad un numero come 74.982
corrisponderà la parola lufonimeca. Dove:
-7 decine di migliaia= lu;
– 4 migliaia= fo;
– 9 centinaia= ni;
– 8 decine= me;
– 2 unità= ca.
Una volta stabilito il criterio di composizionalità, e ferme restando le idee
16
concettuali da cui Leibniz partiva, bisognava, adesso formare un vocabolario,
analizzando tutte le idee dello spirito umano, scomporle, riducendole in idee
semplici, e inventariarle. Non risulta difficile da credere che Leibniz cominciò il
lavoro ma non lo portò mai a termine, lasciando nient’altro che un abbozzo.
Pertanto, nell’attesa (o, forse sarebbe meglio dire, speranza) che questo dizionario
delle idee potesse essere inventato, si accontentò di proporre una grammatica per
scopi pratici che avesse una sola coniugazione e una sola declinazione, che fosse
priva di morfemi derivazionali di genere e numero. Inoltre, ritenendo ridondante
l’utilizzo di flessioni sia sintetiche che analitiche, propone di usare, nel nome,
solamente il caso nominativo preceduto da diverse preposizioni e, nel verbo, solo
l’indicativo preceduto da diverse congiunzioni. Resta però importante la distinzione
del tempo, tanto che propone di estenderla anche per nomi e aggettivi, cosi che
amavitio e amaturitio significheranno il fatto di aver amato o di dover amare.
Se le motivazioni che spinsero Leibniz verso la creazione di questo sistema di
semplificazione del latino restavano circoscritte a fini pratici, altrove vanno
rintracciate le motivazioni che lo spinsero all’invenzione di una lingua filosofica a
priori, o «l’algebra delle idee», così come la chiama Bausani (1974, p.112).
All’interno di un contesto storico in cui i suoi corrispondenti inglesi puntavano
ad una sorta di lingua veicolare che sarebbe servita al miglioramento degli scambi
commerciali, nonché alla facilitazione dello scambio scientifico, si ritrova in
Leibniz una spinta di tipo religioso, assente persino in Wilkins, il vescovo di
Chester. Ciò a cui Leibniz ambiva era la riunificazione delle chiese, ritenuta l’unica
chiave per realizzare il prospetto irenistico di un cristianesimo universale che lo
aveva spinto e convinto a inventare una nuova lingua.
Da qui si andavano delineando altri tipi di motivazione dell’inventiva linguistica
che porteranno successivamente alla creazione di sistemi linguistici internazionali
ausiliari.
1.3.2 Le lingue internazionali ausiliarie
A cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, nonostante si continuino a costruire lingue a
priori, più o meno filosofiche, come il Solresol10, cominciano ad emergere lingue
10 Il Solresol è una lingua artificiale a priori, inventata intorno il 1817 da Jean-François Sudre, un
17
internazionali ausiliarie.
La ragione è da individuare nella sempre più facile possibilità di scambi e
relazioni internazionali, logica conseguenza dello sviluppo delle comunicazioni e
dei trasporti. Il mercato europeo si estende su tutto il mondo, l’impalcatura
coloniale estendeva i suoi ponteggi da un capo all’altro del mondo, trasportando
con sé le politiche europee dall’India alla Nigeria al Canada. Si concretizza, quindi,
l’esigenza da parte delle nazioni di unirsi e di collaborare per risolvere innumerevoli
problemi.
Ne consegue che la produzione scientifica che viene a prodursi in un ambiente
così ‘mondializzato’ ma così diverso al suo interno, debba far convergere tutte le
sue differenze quantomeno in un sistema linguistico comune. Ancora una volta si
presenta, dunque, la necessità di una lingua universale.
A questo proposito, Louis Couturat e Léopold Leau fondano nel 1901 la
Delegazione per l’adozione di una lingua ausiliaria internazionale, la quale si
proponeva di risolvere i problemi di comunicazione esistenti tra le varie nazioni del
pianeta. Elessero, pertanto, un Comitato internazionale di linguisti e di scienziati di
fama internazionale (tra cui Jespersen, Baudoin e Meillet), il quale aveva il compito
di esaminare ogni progetto di lingua universale proposto (compito, questo, non
semplice, dal momento in cui nel corso del XIX secolo, tra lingue a posteriori e
sistemi misti, si contano più di 38 proposte) per poi scegliere il sistema linguistico
più ‘adatto’.
Ma quali erano i criteri secondo cui definire una lingua più ‘adatta’ di un’altra?
Couturat e Leau considerano utopistico sia adottare come lingua internazionale una
delle lingue già esistenti, sia ritornare ad una lingua neutrale, ma ormai morta, come
il latino. Pertanto, l’unica soluzione sembrerebbe un sistema linguistico artificiale,
che sia parimenti degno rispetto alle lingue naturali già esistenti, ma che possa al
tempo stesso essere percepito dai parlanti come neutro.
I criteri scelti per questa
lingua neutra sono
la semplificazione,
la
razionalizzazione della grammatica, pur restando ancorata ai modelli grammatici
professore francese delle scuole medie, che scelse come elementi di una lingua universale, non suoni
già esistenti in altre lingue, ma le sette note musicali, segni uniformi, invariabili e davvero universali.
In questo sistema le parole potevano combinarsi attraverso diverse sequenze sillabiche, cioè le note
musicali. Si tratta di una lingua a priori non filosofica, dal momento in cui il lessico non si basa su
una classificazione filosofica delle idee, bensì su una scelta del tutto arbitraria.
18
delle lingue naturali, e la produzione di un lessico quanto più rievocativo possibile,
che possa essere, in qualche modo, riconducibile ai termini già presenti nelle lingue
naturali. In altre parole, si può definire la Lingua Internazionale Ausiliaria come un
sistema linguistico a posteriori, poiché la sua creazione presuppone una
combinazione sincretica delle lingue naturali esistenti.
Nonostante Couturat e Leau abbiano chiare le caratteristiche che una Lingua
Internazionale Ausiliaria dovrebbe possedere, restano abbastanza realisti da
accettare l’inesistenza di un criterio scientifico che sia in grado di determinare
oggettivamente quale sistema linguistico a posteriori sia più accettabile, più
‘appropriato’ di un altro. Dunque, la promozione da lingua artificiale a Lingua
Ausiliaria, non dipenderebbe che da una vera e propria scelta politica arbitraria,
stabilita convenzionalmente a tavolino e senza la possibilità di utilizzare criteri
‘meritocratici’.
Ma la realtà a cui si affaccia il loro progetto ‘mondiale’ è, come la definisce Eco
(1996, p. 343), «una nuova Babele di lingue internazionali», di cui si riporteranno,
in questa trattazione, gli esempi più noti e più accreditati.
I sistemi misti – Il volapük
Il volapük è stato il primo sistema linguistico ausiliario a raggiungere fama
internazionale. Questa lingua, opera del prelato cattolico tedesco Johann Martin
Schleyer, fu inventata intorno al 1879 con lo scopo di riunire i popoli e promuovere
tra essi un armonioso sentimento di fraternità. Il progetto, non appena venne
pubblicato, si diffuse prima in Germania e in Francia e, nella decade successiva,
anche nel resto del mondo. Nel 1889 si contano più di 283 club di volapükisti. Una
volta che il volapük diventa di ‘dominio pubblico’, incorre in una naturale e
inarrestabile ‘babelizzazione’, dove la lingua, diventando di proprietà dei parlanti,
comincia a subire cambiamenti che risultarono in svariate diramazioni di varianti
di volapük, le quali andarono poi a risultare in nuove lingue vere e proprie (la
Langue Universelle di Menet, 1886, lo Spelin di Bauer, 1886, il Balta di Dormoy,
1893, ecc).
Il volapük è una lingua artificiale di tipo misto, che si trova, cioè, tra l’a priori e l’a
19
posteriori. Ciò significa che il sistema linguistico di Schleyer mutua da lingue
naturali esistenti, e più specificatamente dall’inglese (in quanto lingua più diffusa),
i suoi radicali, anche se piuttosto deformati, e introduce elementi della declinazione,
congiunzioni, molte particelle, pronomi ecc., in modo del tutto arbitrario.
Questo sistema linguistico si avvale di 28 lettere, ognuna con il proprio suono, e
l’accento cade sempre sull’ultima sillaba. Inoltre, Schleyer decide di eliminare la
lettera r, ritenuta, a suo giudizio, impronunciabile dai parlanti cinesi (supposizione
errata, dal momento in cui i cinesi non hanno difficoltà a pronunciarla, piuttosto
non riescono a distinguerla dalla lettera l).
Sulla base dei radicali scelti, Schleyer sviluppa un sistema di derivazione di tipo
flessivo, regolare e a priori. Per cui, gli aggettivi hanno tutti il suffisso –ik (gud =
‘bontà’> gudik = ‘buono’), il suffisso –av indica sempre una scienza (stel = ‘stella’>
stelav = ‘astronomia’), e così via.
Ma, ovviamente, un così regolare sistema di derivazione porta inevitabilmente a
scelte arbitrarie: nell’esempio proposto da Eco (1996, p. 345), ci si chiede, dal
momento in cui il prefisso lu-, che designa l’inferiorità, e vat, che è la parola per
‘acqua’, perché luvat significherebbe ‘urina’ e non ‘acqua sporca’? O, ancora,
perché la parola flitaf (animale che vola) significa ‘mosca’, come se fosse l’unico
animale volante? A questo proposito Couturat e Leau, analizzando il volapük,
osservano che questa lingua, pur non essendo una lingua filosofica, sistematizza le
nozioni secondo un metodo filosofico, acquisendone i difetti senza alcun vantaggio
logico. Anzi, forse questo tipo di assetto potrebbe generare ancora più confusione,
dal momento in cui, non solo la sistematizzazione di stampo filosofico delle idee è
limitata e vincolante per l’espressività umana, ma in più Schleyer sottomette i
radicali ad uno stravolgimento fonetico e formale aprioristico (sia a causa delle sue
preoccupazioni fonetiche, sia a causa della necessità che ogni radice cominciasse e
terminasse per consonante), rendendo, in questo modo, impossibile ricondurre le
parole del volapük a parole esistenti nelle lingue naturali. Così vol = ‘mondo’ (da
world) e pük = ‘lingua’ (da speak) genererebbero, mediante l’aggiunta della
desinenza –a del genitivo, la parola volapük che vuol dire, appunto, ‘lingua del
mondo’.
Nonostante il successo mondiale, dopo il 1890, il volapük comincia il suo rovinoso
20
declino. Le motivazioni sono da rintracciare nei contrasti tra Schleyer e molti dei
volapükisti, dove il primo asseriva di aver dotato la sua lingua di qualsiasi mezzo
per esprimere qualsiasi sfumatura di significato, dalla più semplice alla più sottile,
mentre i volapükisti, che la consideravano una lingua ausiliaria come tante altre che
serviva come lingua veicolare all’interno del panorama europeo, la ritenevano
troppo strana, non familiare ed esageratamente complicata per il ruolo di
mediazione che avrebbe dovuto rivestire.
L’esperanto
È con la scomparsa del volapük che si afferma internazionalmente l’esperanto.
L’esperanto nasce nel 1887, proprio quando si assisteva al trionfo indiscusso del
volapük a livello mondiale, ad opera del medico oculista Ludwick Lejzer
Zamenhof.
Il successo di questa nuova lingua si deve, certamente, alle origini del suo inventore
e alla personalità che questi ha sviluppato all’interno del contesto culturale in cui è
cresciuto. Già durante l’adolescenza, Zamenhof aveva cominciato a elaborare dei
timidi prototipi di lingua internazionale, motivato dalla convivenza inconciliabile
di razze e di lingue. Egli, infatti, era cresciuto a Bialystok, una cittadina a nord-est
della Polonia divisa in quattro quartieri popolati da gente che parlava quattro lingue
differenti: polacco, russo, tedesco ed ebraico (yiddish). Si trattava, dunque, di una
convergenza di diverse culture animate da spinte nazionalistiche e da onde
incessanti di antisemitismo (cavalcate anche dal governo zarista nei confronti degli
intellettuali, specialmente di quelli ebrei), le quali portarono Zamenhof a credere
che una lingua universale, comune a tutti, potesse essere la soluzione ai conflitti tra
le varie comunità, auspicando, dunque, di raggiungere una condizione di pace tra i
popoli. Essa è la stessa motivazione che lo portò a darsi come pseudonimo ‘Doktor
esperanto’, il Dottore Speranzoso (cfr. Bausani:1974, p. 121). Durante i suoi studi
a Varsavia, Zamenhof si rese conto della difficoltà della grammatica delle lingue
naturali. Pertanto, si preoccupò di creare un sistema linguistico che avesse una
grammatica molto semplice.
L’ alfabeto dell’esperanto conta 28 lettere, ognuna rispondente ad un solo suono,
21
e l’accento tonico cade sempre sulla penultima sillaba. Esiste un solo articolo, la.
Per il lessico, Zamenhof identifica tutti i termini con radice comune che possano
essere compresi da tutti, come lingwe, lingua, langue, language, lengua; rosa, roza,
rose ecc. Per tutti quei termini per cui non riesce a trovare una radice comune, crea
il termine ex novo, utilizzando un criterio distributivo, gerarchizzando le sue
preferenze. Si baserà, quindi, per prima sulle lingue neolatine, seguite da quelle
germaniche e poi da quelle slave. Dunque, come suggerisce Eco, «il parlante di
qualsiasi lingua europea troverà:
a) Molti termini riconoscibili perché identici o affini ai propri;
b) Altri [termini], stranieri, che in qualche modo già conosce;
c) Alcuni termini a prima vista ostici ma che, una volta appreso il significato,
risultano riconoscibili;
d) Un numero ragionevolmente ridotto di termini ignoti da apprende ex novo.»
Per quanto riguarda i nomi composti, Zamenhof ne fa largo uso, poiché,
sfruttando la composizionalità della lingua, si riduce notevolmente la necessità di
più radici. Oltre ad apportare vantaggi di economicità linguistica, la composizione
di termini permetterebbe la creazione di neologismi che possano essere facilmente
riconoscibili tra i parlanti stessi.
Zamenhof si preoccupa anche di semplificare la morfologia derivazionale,
sopprimendo le difformità tra lemmi che designano lo stesso contenuto (come
padre, madre, genitori). Pertanto, utilizza una modalità di derivazione del
femminile che avviene mediante suffissazione: alla parola neutra, terminante in –o,
verrà aggiunta la marca del femminile, attraverso il suffisso –in. Per cui: patro>
patr+in-o = padre> madre. E ancora, la marca di numero, singolare o plurale, viene
espressa secondo lo stesso procedimento: alla base neutra si aggiunge la desinenza
–j.
22
Singolare
Plurale
Terminazione: -o/-in
Terminazione: -j
Maschile/Forma base
Terminazione: -o
Femminile
Patr+o
Patro> padre
Patr+in+o
Patr+o+j
Patroj>padri
Patr+in+o+j
Terminazione: -in
Patrino>madre
Patrinoj>madri
Per quanto riguarda la formazione degli aggettivi, si formano anch’essi mediante
suffissazione. Infatti, per formarli, basta aggiungere il suffisso –a alla radice: si avrà
quindi patr + a = patra ‘paterno’ che concorda con il nome. Si avranno, dunque,
frasi come: la bonaj patroj ‘i buoni padri’.
Il sistema di Zamenhof, naturalmente, non fu esente da critiche. Ciò che più gli
venne criticato, fu il mantenimento del caso accusativo, visto quasi come una spia
del ‘favoreggiamento’ dell’autore nei confronti delle lingue slave e germaniche (le
lingue delle sue origini, insomma). A questo proposito si pronuncia A. Meillet,
scrivendo: «È un errore imperdonabile istituire, come fa l’esperanto, una distinzione
tra accusativo e nominativo, distinzione di cui beneficeranno tutti gli uomini di
lingua romanza e inglese e che sarà inutile per tutti gli altri.»11 Ma la ragione per
cui Zamenhof mantiene la distinzione non è di certo un nostalgico abbandono ai
sentimentalismi, bensì cela alle sue basi una motivazione prettamente linguistica.
L’accusativo, infatti, nelle lingue non flessive è l’unico caso che non viene
introdotto da preposizioni ed è quindi necessario segnalarlo adeguatamente. D’altro
canto, come Eco sottolinea, «le lingue che hanno abolito l’accusativo per i nomi lo
conservano nei pronomi (IO amo ME stesso).»
L’insistenza per il mantenimento dell’accusativo viene dall’ambiguità che può
sorgere nelle lingue non flessive. Ne è la dimostrazione la frase in lingua francese
che lo stesso Eco riporta come esempio: je l’écoute mieux que vous che potrebbe
sia significare (i) io do ascolto a qualcuno meglio di quanto non faccia la persona
con cui parlo oppure (ii) io do ascolto a qualcuno più di quanto non dia ascolto alla
11 «C’est une impardonnable erreur d’instituer, comme le fait l’esperanto, une distinction de
l’accusatif et du nominatif, distinction qui embrassera tous les hommes de langue romane et anglaise
et qui est inutile aux autres.» (Bausani:1974, p. 124). Mia la traduzione.
23
persona con cui parlo. L’esperanto, nel caso (i) direbbe: mi aŭskultas lin pli bone
ol vi e, nel caso (ii), mi aŭskultas lin pli bone ol vin.
L’ido
Così come era accaduto per il volapük, anche l’esperanto vive il sue decennio di
irruenti battaglie di ‘riforma’ del lessico e della grammatica.
Quando il Comitato della Delegazione per l’adozione di una lingua ausiliaria
internazionale (vedi par. 1.4.2) si ritrovò a stabilire quale tra le LIA fosse la più
‘adatta’, scelse l’esperanto con riserva. Vale a dire che si sceglieva l’esperanto nella
speranza che si attuassero le riforme che venivano proposte dal sistema ‘ido’.
Questa deliberazione portò all’inevitabile scisma tra i conservatori esperantisti e i
sostenitori della riforma linguistica dell’esperanto.
La lingua, per così dire, riformata mutua la sua denominazione dall’esperanto
stesso. Venne chiamata ido, a partire dal suffisso –id ‘figlio’, ‘discendente’, con
l’aggiunta del suffisso –o, che serviva alla formazione dei nomi, attribuendo,
quindi, alla parola ido il significato di ‘lingua figlia’.
Il progetto ido suscitò un grande scalpore, dal momento che fu presentato alla
Delegazione dal marchese di Beaufront, uno dei più energici sostenitori
dell’esperanto in Francia – atto che fu considerato un vero e proprio tradimento.
L’ido si proponeva di sopprimere quelli che venivano considerati i difetti
principali dell’esperanto, quali l’utilizzo delle lettere accentate, l’accordo
dell’aggettivo in numero e caso, il sopracitato ‘problema’ dell’accusativo e, inoltre,
per quanto riguarda il lessico, preferiva parole internazionali alle forme agglutinate
dell’esperanto.
Come afferma Bausani (1974, p. 129), l’ido, «indubbiamente, è una delle lingue
artificiali più intelligentemente composte […] Tuttavia l’ido non poté resistere alla
potente organizzazione dell’esperanto, malgrado che esso venga considerato tuttora
in ambienti interlinguistici una delle cinque lingue internazionali ausiliari più serie
e diffuse.»
24
1.4 Obiezioni teoriche
Il problema di fondo delle lingue a posteriori è che questa tipologia linguistica non
si pone come obiettivo la creazione di una lingua che sia adatta all’espressione di
un contenuto (e uno solo) che sia universale. Piuttosto, l’obiettivo-motore della
creazione di una lingua a posteriori, si muoveva verso l’individuazione di un
sistema abbastanza flessibile, che potesse andare bene per esprimere i contenuti (al
plurale) delle varie culture. In altre parole, si trattava di trovare una sorta di minimo
comune multiplo, che avrebbe reso, quindi, intercomprensibili e interscambiabili i
contenuti diversi per ogni cultura.
Diversamente dalle lingue filosofiche a priori, in cui ci si chiedeva quali fossero
i concetti e le idee dell’uomo che fossero comuni a tutto il mondo, nel caso delle
lingue a posteriori si prova a trovare un codice linguistico che sia in grado di
‘riassumere’ in un’unica lingua tutti gli ‘universi’ di ogni cultura.
Dunque, nessuno tra i propugnatori di una lingua internazionale ausiliaria si è mai
posto il problema del relativismo linguistico12 o ha mai spostato la sua attenzione
sul fatto che lingue diverse organizzano il contenuto in modi altrettanto diversi. Per
cui, risultano fine a se stessi i tentativi di dimostrare come persino le opere letterarie
possano essere tradotte in queste lingue artificiali, come l’esperanto, come se questo
potesse essere la prova della loro ‘versatilità’. ‘Fine a se stessi’, perché si
presuppone, in questo modo, che esistano da lingua a lingua espressioni e modi di
percepire l’universo che siano comuni a tutte le culture.
Un’altra obiezione nei confronti della lingua artificiale, in generale, è stata mossa
da Destutt de Tracy, il quale riteneva impossibile la creazione di una lingua
universale che potesse rimanere invariata nel tempo e nello spazio. Pertanto
afferma: «Quand’anche tutti gli uomini della terra si accordassero oggi per parlare
12 Il concetto di relativismo linguistico venne elaborato da Edward Sapir e Benjamin Lee Whorf, nel
1956, dando vita alla cosiddetta Ipotesi di Sapir-Whorf. L’ipotesi afferma che la struttura di ogni
lingua sottintende una propria struttura dell’universo, una struttura che Whorf definisce
“metafisica”, le cui differenze interculturali si manifestano in modo evidente quando si esaminano
lingue e culture molto diverse tra di loro. In altre parole, il modo in cui l’uomo elabora
concettualmente l’idea di universo è imprescindibilmente influenzato dalla lingua usata per farlo.
Questa ipotesi suggerisce, quindi, che la nostra idea di universo dipenda dalla lingua che usiamo.
Perciò, a lingue diverse corrispondono diversi modi di percepire il mondo.
25
la stessa lingua, ben presto, per l’influenza stessa dell’uso, essa si altererebbe e
modificherebbe in mille modi diversi nei diversi paesi, e darebbe nascita ad
altrettanti
idiomi distinti, che si allontanerebbero progressivamente
l’uno
dall’altro» (Eco: 1996, p. 357).
Dunque, è inevitabile che una lingua ausiliaria, usata in tutto il mondo, possa
incorrere ad alterazioni così significative da impedire la comunicazione. Pertanto, i
mass media potrebbero rivelarsi l’unica soluzione per la diffusione di modelli
globali di comportamento linguistico, per cui una LIA potrebbe facilmente
diffondersi e mantenersi più o meno integra.
26
CAPITOLO II – Le Lingue Artificiali nella Letteratura e nella
Cinematografia
Dopo una breve descrizione dei caratteri generali delle lingue artificiali, intento di
questa trattazione è quello di specializzare l’indagine, restringendo il campo di
analisi a quelle che Umberto Eco definisce Lingue romanzesche e poetiche (vedi
paragrafo 1.3).
Si cercherà di proporre, quindi, una panoramica generale dei più grandi esempi
di lingue artificiali creati per opere letterarie o cinematografiche. Non si potrà,
dunque, scavare nelle pieghe più profonde delle singole entità glossopoietiche, in
quanto ad ognuna di esse, prese singolarmente, dovrebbero essere destinati interi
volumi a sé stanti.
2.1 J.R.R. Tolkien e Il Signore degli Anelli
È a John Ronald Reuel Tolkien che corrisponde il nome del genio per eccellenza
della glossopoiesi. Genio che non conosce – e che non ha conosciuto – limiti di
tempo e di spazio. Con il suo immenso amore per le lingue, ha indubbiamente
pavimentato il sentiero della glossopoiesi, spianando la strada a chi, dopo di lui, si
sia voluto inerpicare nel lungo e tortuoso cammino verso la creazione di una lingua
artificiale.
Tolkien dimostra, già in tenera età, la sua particolare propensione per le lingue,
manifestando le sue spiccate capacità linguistiche che diedero alla madre l’input
necessario per metterlo in contatto con la lingua latina e quella francese (cfr.
Danesi:2006, p.13).
I primi esperimenti linguistici risalgono alla sua adolescenza. Egli entra in contatto,
infatti, con l’animalese, una lingua che sente parlare ad alcuni ragazzi, fatto questo
che lo stupisce non poco, poiché ha sempre immaginato il momento di creazione
come un momento individuale e privato. Pertanto, il vederlo usato da più di una
persona, e con lo scopo di comunicare, lo sorprese non poco (Tolkien:1931, p. 287).
L’aspetto sorprendente dell’animalese, secondo Tolkien, come lui stesso afferma
nel suo saggio Un vizio segreto, è che la lingua non si proponeva come scopo la
27
segretezza, né aveva lo scopo di ingannare gli adulti. Per cui, si chiedeva da cosa
derivasse
la spinta propulsiva, e dice
infatti: «Il divertimento doveva
necessariamente risiedere in qualcosa di diverso dalla qualità iniziatica o dalla
pretesa di appartenere a una società segreta. […] Mi viene da pensare che risiedesse
nell’uso della facoltà linguistica […] per puro divertimento e piacere personale.»
(Tolkien: 1931, p.288)
Tolkien definisce l’attività di creazione linguistica come un’arte individuale,
«un’arte per la quale non basta addirittura un’intera vita» (Tolkien:1931, p.289),
qualsiasi sia lo scopo della creazione. Pertanto, i creatori di lingue artificiali
vengono definiti dei veri e propri artisti, «e come tali incompleti in mancanza di
pubblico». (Tolkien:1931, p.289)
Ciò che Tolkien tiene a sottolineare è che, nonostante l’invenzione linguistica sia
presente anche nelle lingue naturali, essa resta vincolata dalla tradizione e
sottomessa a costrizioni fonemiche esistenti. Perciò, si chiede da dove provenga
questa ispirazione che dà luogo a creazioni così diverse dalle lingue naturali, come
il Nevbosh.13
Per fortuna, la risposta non tarda ad arrivare, e viene proprio dallo stesso Tolkien:
«L’istinto all’invenzione linguistica, l’adeguare un concetto a simbolo fonetico, e
soprattutto il piacere insito nel contemplare il nuovo rapporto che si viene a creare,
sono del tutto ragioni, non perversioni. […] Sicuramente la fonte principale di
piacere è la contemplazione del rapporto tra concetto e suono.» (Tolkien:1931,
p.295). Questo fenomeno di ‘compiacimento’ spiegherebbe il motivo per cui gli
studenti riescano ad apprezzare dei testi poetici in una lingua straniera, pur non
padroneggiandola ancora.
Una volta individuata la motivazione glossopoietica, Tolkien si sofferma sulle
13 La lingua Nevbosh (o «Nuovo Nonsense», secondo Tolkien) fu inventata dagli stessi creatori
dell’animalico. Stavolta, però, collaborarono con lo stesso Tolkien, al fine di creare una lingua che
avesse, diversamente dall’animalico, «velleità di segretezza». (Tolkien:1931, p.290) Volevano
creare, dunque, una lingua comprensibile solo a loro. Questa lingua si componeva di vocaboli
inglesi, francesi, latini, che venivano storpiati o invertiti. Tuttavia, col passare del tempo, il sistema
linguistico in questione, non bastò più ai suoi ideatori, che cominciarono ad introdurre nuovi termini,
come lint (= ‘veloce’) a cui poi vennero anteposti dei prefissi, che ne variarono di poco il significato
– così come accade nelle lingue naturali – dando vita a parole come catlint (get + lint= diventare
lint> col significato di ‘imparare’), o faclint (facere + lint= rendere lint> col significato di
‘insegnare’).
28
difficoltà che un’arte come questa si ritrova ad incontrare.
Una di queste difficoltà è da rintracciare nella sempre più dirompente incapacità di
lasciarsi andare dell’uomo, costantemente vittima di un’automazione emotiva, il
quale ritiene questo passatempo una perdita di tempo. O, addirittura, arriva a
pensare di scegliersi un altro hobby, svilendo ancora di più il ruolo artistico
dell’invenzione. Tuttavia, questo concetto non impedisce all’uomo di praticare
questo passatempo, seppur non senza remore. Il glottoteta, infatti, continua la sua
attività di ‘inventore’ ma lo tiene nascosto, considerando il suo ‘vizio’ una sorta di
attività ridicola di cui vergognarsi, di cui fare incetta e dopo nasconderne le prove
nei fondi di un cassetto. Un vizio da tenere segreto, insomma.
Naturalmente, come d’altro canto accade per la maggior parte delle forme d’arte,
il problema principale è di tipo economico. La glossopoiesi è un passatempo non
redditizio: «non permette di vincere premi o concorsi (almeno finora), non lo si può
regalare alla zia per il suo compleanno (in generale), non assicura borse di studio,
titoli accademici e neppure seguaci.» (Tolkien:1931, p.296)
Questi, dunque, sono i motivi per cui la maggior parte delle lingue inventate
restano incompiute.
2.1.1 La lingua quenya
Dal 1912 fino al suo decesso, Tolkien lavora a quella che sarà la principale lingua
elfica, il quenya.
Per la creazione della sua lingua, il nostro filologo stila una lista di radici
etimologiche da cui, successivamente, farà derivare, mediante determinate regole
di derivazione, le parole. Tra l’altro, questa sorta di dizionario etimologico, il
Qenyaqetsa, dimostra come l’intento di Tolkien fosse quello di lavorare alla lingua
seguendo un’impronta di stampo storico-filologico. In questo senso, avrebbe potuto
stilare un semplice glossario contenenti
le parole, ma egli,
interessato
particolarmente agli studi di indoeuropeistica, volle dare alla sua lingua un carattere
di verosimiglianza che potesse offrire a chiunque si approcciasse a questo nuovo
sistema linguistico l’impressione che si trattasse di una lingua davvero esistente, un
sistema che avrebbe potuto persino ricostruire dei termini elfici non attestati,
proprio come l’indoeuropeo.
29
Il Ruolo della Mitopoiesi nelle Lingue de Il Signore degli Anelli
Seguendo la scia delle sue intenzioni metodologiche, l’autore comincia a chiedersi
chi parlasse il quenya e a quale dimensione storica esso appartenesse. Aveva dunque
centrato appieno la questione della contestualizzazione della lingua. Le lingue,
infatti, non sono entità avulse dalla realtà, bensì elementi imprescindibilmente
legati ad un preciso momento storico. A questo proposito, il nostro autore sottolinea
come «per la costruzione di una lingua artistica veramente perfetta sia necessario
elaborare, quantomeno a grandi linee, una mitologia ad essa concomitante. Non
solo perché certi frammenti poetici finiranno inevitabilmente per far parte della sua
struttura, […] ma anche perché creazione della lingua e creazione della mitologia
sono funzioni correlate; per conferire un determinato gusto estetico alla lingua
creata dall’individuo è necessario che in quella lingua siano presenti le tracce di una
mitologia individuale», pertanto, «la costruzione di un linguaggio genererà di per
sé una mitologia» (Tolkien:1931, pp.300-301).
La straordinarietà del lavoro di Tolkien è da ricercare nella motivazione che lo
ha portato a scrivere Il Signore degli Anelli, uno dei più grandi capolavori fantasy
della storia. L’idea genitrice, infatti, non si manifesta solamente come un mero
sprazzo di creatività letteraria, ma si tratta di un vero e proprio dono che il nostro
glottoteta ha voluto offrire alla sua lingua, regalandole un popolo, e una dimensione
realistica (e non reale), in cui essa potesse essere una lingua ‘naturale’, viva e vera.
Seppur si tratti di un vero e proprio altro mondo, difficile da riassumere
analizzando tutte le sfaccettature di cui si compone, è necessario almeno accennare
a questa mitologia fantastica, un teatro creato ad hoc per permettere alla lingue di
Tolkien di prendere ‘corpo’.
La peculiarità della mitologia tolkeniana consiste nell’aver ambientato la
narrazione, diversamente da come accade in genere per le altre saghe fantasy (dove
la storia, di solito, si svolge in un universo ‘alternativo’), sul nostro pianeta. Il nostro
Autore ha concepito la storia della Terra di Mezzo come antecedente alla nostra
storia, quella del pianeta Terra, e colloca, infatti, la fine della Terza Era, l’era in cui
30
si svolgono le vicende narrate ne Il Signore degli Anelli, circa 6.000 anni prima dei
giorni nostri. (Danese:2006, pp. 28-29)
La storia dell’universo tolkeniano, chiamato Eä14, affonda le sue radici nella
Creazione. Così come nella cosmogonia cristiana, anche l’Eä viene creato da un
essere supremo, Eru Ilúvatar, la cui figura richiama indubbiamente la figura del
Dio cristiano, ipotesi che viene, in un certo senso, confermata dagli appellativi con
cui viene designato (Eru significa, infatti, in tutte le principali lingue elfiche, ‘uno,
l’unico’ e Ilúvatar, in quenya, significa ‘Padre del Tutto’)15. Inoltre, è possibile
ravvisare dei collegamenti con la mitologia finnica, di cui Tolkien era profondo
conoscitore: il nome Ilúvatar, infatti, ricorda quello di Ilmatar16, lo spirito che
generò il Mondo secondo la cosmogonia finnica narrata nel Kelevala.17
14 Eä è una parola del quenya che significa letteralmente ‘Sia!’ Già dalle origini viene rappresentato,
dunque, il potere della parola, dove è questa a dare forma al mondo. La leggenda narra, infatti, che
Eru, creò il Mondo pronunciando questa parola. (Danese:2006, p.21)
15 Cfr. Ambar Eldaron, Elvish Dictionary quenya-English English-quenya, 2015
16 Ilmatar (=lett. ‘figlia dell’Aria’), secondo la cosmogonia finnica, la genitrice il Mondo. La storia
narra la vita di questa fanciulla che, vivendo da sola nei recinti dell’aria, cominciò ad annoiarsi.
Perciò, discese verso il basso immergendosi su un mare infinito. A quel punto il vento alzò una
tempesta, facendo infrangere le onde su Ilmatar, che fu, così, fecondata dal vento e dal mare. «There
was a virgin, maiden of the air, lovely woman, a spirit of nature. Long she kept her purity, ever her
virginity in the spacious farmyards, on the smooth fields of the air. In time she got bored, her life
seemed strange in always being alone, living as a virgin in the spacious farmyards, in the vast wastes
of the air. Now indeed she comes lower down, settled down on the billows, on the broad expanse of
the sea, on the wide open sea. There came a great blast of wind, severe weather from the east; it
raised the sea up into foam, splashed it into billows.
The wind kept rocking the girl, a wave kept driving the virgin around about on the blue sea, on the
whitecapped billows. The wind blew her pregnant, the sea made her thick through. She carried a
hard womb, a stiff bellyful for seven hundred years, for nine ages of man. Nothing is bom, the self-
begotten fetus does not come free.
As mother of the water the virgin went hither and yon. She swims east, swims west, swims northwest,
south, swims along the whole horizon in the agonies of her burning gestation, with severe labor
pains. Nothing is bom, the self-begotten fetus does not come free..» (cfr. Harvard University Press;
F edition (March 15, 1985) The Kalevala: Or Poems of the Kaleva District Elias Lonnrot Jr. Francis
Peabody Magoun pp.4-5 )
17Il Kelevala (= lett. ‘Terra di Kaleva’, Kaleva era il padre della stirpe finlandese) è uno dei testi più
importanti della letteratura europea. Si tratta di una raccolta di canti popolari mitologici della cultura
finlandese, messi insieme dal medico, filologo finlandese Elias Lönrot. (Cfr. Treccani- Lönrot)
31
Tornando al nostro mito, Eru crea gli Ainur, spiriti generati dalla sua mente, e,
insieme a loro, comincia ad intonare un canto, la Musica degli Ainur (in quenya
Ainulindalë), a partire da cui si creerà Arda, la Terra. Non è che un abbozzo, il quale
non prenderà vita fin quando Eru non pronuncerà la
parola Eä. Dal coro si distacca un solo Ainur,
Melko, il quale, accecato da smanie di predominio
su Arda, trascina con sé altri Ainur, che si
accordarono con lui. Le cacofonie generate dalle
dissonanze di Melko furono le basi per la genesi
delle molteplici forme del Male.18
A questo punto, Ilúvatar creò Eä, il Mondo sferico in
mezzo al Vuoto, nel quale discesero alcuni degli
Figura 1
Ainur, e si impegnarono a portare a termine le opere di cui avevano avuto visione
nella musica, fino alla creazione di Arda, la futura
dimora dei Figli di Ilúvatar, ossia gli Elfi e gli
Uomini. Alla loro discesa segue una progressiva
diramazione dinastica (vedi Tabella 1), che diede
vita a miscugli di razze e popoli, con annesse
mutazioni della lingua che questi popoli parlavano.
Questo periodo comprende quattro ere, ricche di
Figura 2
avvenimenti e intrecci, guerre e battaglie, dove
l’eterna lotta tra il bene e il male resta sempre la protagonista indiscussa.
Non è possibile, qui, scavare approfonditamente tra le trame dell’intreccio, ma
18 «But now Ilúvatar sat and hearkened, and for a great while it seemed goog to him, for in the music
there were no flaws. But as the theme progressed, it came into the heart of Melkor to interweave
matters of his own imagining that were not in accord with the theme of Ilúvatar; for the sought
therein to increase the power and glory of the part assigned to himself. To Melkor among the Ainur
had been given the greatest gifts of power and knowledge, and he had a share in all the gifts of his
brethen. He had gone often alone into the void places seeking the Imperishable Flame; for desire
grew hot within him to bring into Being things of his own, and it seemed to him that Ilúvatar tookno
thought for the Void, and he was impatient of its emptiness. Yet he found not the Fire, for it is with
Ilúvatar. But being alone he had begun to conceive thoughts of his own unlike those of his brethen.»
(Tolkien J.R.R., The Silmarillion, Houghton Mifflin Harcourt, Cap. Ainulindalë; si precisa che è
stata consultata la versione ebook, pertanto, non potendo fornire indicazioni precise sulla pagine, ho
inserito il nome del capitolo nel quale trovare il passo citato).
32
questo breve accenno di mitologia tolkeniana basta a dare contezza della
complessità delle interconnessioni che il suo inventore ha sviluppato per creare un
mondo che fosse coerentemente ramificato tanto quanto le lingue che egli ha
inventato.
Tabella 1
Popolo: Quendi
Lingua: Quendiano o Elfico
Primitivo
Popolo: Eldar
Lingua: Eldarin
Popolo: Avari
Lingua: Quenya
Lingua: Telerin
Popolo: Vanyar
Lingua: Vanyarin
Popolo: Ñoldor
Lingua: Ñoldorin
Popolo: Falathrim
Lingua: Falathrin
Popolo: Sindar
Lingua: Sindarin
Popolo: Nandor
Lingua: Nandorin
Com’è possibile notare da questo albero genealogico19, gli intrecci e le diramazioni
che segnano i confini tra i diversi popoli corrispondono naturalmente a
diversificazioni linguistiche.
Le caratteristiche linguistiche della lingua quenya
Tolkien non si ispirò alla cultura finnica solamente per la tradizione mitologica, ma
anche per la creazione della lingua quenya. Moltissime somiglianze, infatti, sono
riscontrabili ad ogni livello linguistico (dalla fonetica alla morfologia e al lessico).
Le somiglianze sono talmente tante, e talvolta così evidenti, da spingere molto
studiosi delle lingue tolkeniane alla ricerca delle fonti ‘ispiratrici’ di Tolkien.
Naturalmente, non si dovrebbero interpretare tali somiglianze come una sorta di
plagio, piuttosto bisogna riconoscere come sia inevitabile il trasferimento di
elementi linguistici propri delle lingue che lo hanno maggiormente interessato; il
finnico era senza dubbio uno di quelle.
19 L’albero è stato ricostruito da me, seguendo le indicazioni riportate in Danese:2006 pp. 21-29. È
stato davvero difficile ricostruire l’albero, poiché la storia delle lingue tolkeniane è così legata agli
avvenimenti storici, agli spostamenti dei popoli, che molto spesso i confini tra l’una o l’altra lingua
sono davvero poco nitidi.
33
2.1.1.1 I suoni del quenya
Successivamente alla lettura di una traduzione del Kalevala, Tolkien si procurò
un’edizione originale della raccolta di canti popolari finnici, scontrandosi così, per
la prima volta, con i suoni di questa lingua: «Era come se scoprissi una cantina
piena di bottiglie di un vino squisito, di un tipo e con un sapore che non avevo mai
gustato prima. Mi inebriò davvero.» (Kloczko:2004, p. 163).
La lettura del Kalevala si rivelò una scoperta formidabile per Tolkien. L’interesse
verso ‘i suoni della lingua finnica’ era suscitato probabilmente dall’effetto acustico
che il susseguirsi di «trilli fonetici» generava.20
Questa sensazione di bellezza fonetica potrebbe provenire dalla sonorità del
finnico, cioè dalla percentuale di sillabe aperte, sillabe che terminano con una
vocale. È chiaro come, per un parlante anglofono, questa tipologia acustica sia
considerata qualcosa di insolito – visto che l’inglese conta per lo più sillabe chiuse.
Si potrebbe dire, dunque, che fu proprio questo aspetto del finnico a influenzare il
sistema fonetico del quenya. (Cfr. Danese:2006, p.34)
Per quanto riguarda l’accento, il quenya non devia dalle comuni regole osservate
dalle lingue naturali. Dunque, si ritrovano:
a) Parole di due sillabe, dove l’accento cade sulla prima sillaba e non viene indicato
graficamente (lasse);
b) Parole di tre o più sillabe, dove, se la penultima sillaba è lunga, riceve un accento
acuto, indicato graficamente (andúne, ‘ovest’), se, invece, la penultima sillaba è
breve, l’accento si sposta sulla terzultima (éleni, ‘stelle’) (cfr.Danese:2006,
p.72).
20 «Per noi sono ormai lontani i tempi meno smaliziati in cui perfino Omero poteva permettersi di
distorcere una parola in modo da adattarla a esigenze melodiche, o in cui erano concesse libertà
spensierate come nel Kalevala, in cui i versi possono adornarsi di trilli fonetici, come per esempio
in Enkä lähe Inkerelle, Penkerelle, pänkerelle (Kal.XI,55), oppure Ihveniä ahvenia, tuimenia,
taimenia (Kal.XLVIII,100), dove pänkerelle, ihveniä, taimenia sono «non significanti», puri e
semplici abbellimenti della melodia fonetica studiati per armonizzarsi a penkerelle, o tuimenia, che
invece «significano».» (Cfr. Tolkien:1931, p.311)
34
2.1.1.2 Morfologia
Il quenya è una lingua flessiva-sintetica, flessiva in quanto le diverse relazioni
grammaticali vengono espresse mediante l’aggiunta di un suffisso, sintetica in
quanto le varie funzioni grammaticali non vengono espresse da suffissi separati
(ciascuno per ogni funzione diversa), bensì attraverso un unico suffisso che
racchiude in sé le diverse funzioni (Cfr. Graffi-Scalise:2002 p.65).
Per quanto riguarda la flessione del nome, il quenya possiede quattro numeri: il
singolare, il duale, il plurale e il ‘plurale generale’ (Danese:2006, p.73).
La presenza del duale conferisce alla lingua le sembianze di una lingua arcaica. Il
duale era presente nell’indoeuropeo e, di conseguenza, fu trasmesso alle lingue
antiche, come il greco, il sanscrito, il gotico e il latino (dove però ha finito per
confluire in un unico ‘plurale’).
Il plurale si forma aggiungendo una –i ai nomi che terminano con una
consonante, oppure una –r quando terminano con una vocale.
Es. elen ‘stella’> eleni ‘stelle’
Ainu > pl. Ainur (Cfr. Danese:2006, p.74)
In riferimento agli aggettivi, il quenya possiede quattro desinenze: esistono
aggettivi in –a/-ya (unqua ‘vuoto’), –e (more ‘nero’), –ea (illomea ‘ombreggiato’)
e in –in (alcarin ‘radioso’).
Il grado dell’aggettivo, contrariamente al modo in cui si forma nella maggior
parte delle lingue europee, si forma non con suffissi, bensì con prefissi.
Il grado superlativo si esprime anch’esso mediante prefissi: «Aiya Earendil
Elenion Ancalima», cioè ‘Salve Earendil, il più brillante tra gli astri’. Da questa
frase si desume che li superlativo venga espresso attravero il prefisso an-, preceduto
dall’oggetto della comparazione al caso genitivo partitivo, con desinenza –o/-on
(elenion). (Danese:2006, p. 76)
Per quanto riguarda il grado comparativo, esso si forma mediante il prefisso
intensivo li-/lin-, seguito dal termine di comparazione al caso genitivo partitivo. Per
fare un esempio, la frase ‘il sole è più luminoso della luna’ verrà tradotto con
35
‘anar isilo lincalima’. Dove:
Anar = sole
Isil+o =luna+ marca del genitivo partitivo
lin+calima = prefisso di comparazione accrescitivo (più) + ‘luminoso’.
La posizione dell’aggettivo è abbastanza flessibile, anche se, di norma, precede
il nome al caso nominativo e lo segue, invece, in tutti gli altri casi.
L’aggettivo possessivo viene espresso anch’esso mediante un suffisso da
aggiungere al nome a cui è riferito. Il possessivo si declina allo stesso modo dei
nomi. Facciamo un esempio: il suffisso per la terza persona singolare maschile è –
rya. Esso è declinabile al genitivo e risulta in –ryo (= ‘del suo’) oppure all’ablativo
plurale –ryallor. Quindi, per formare una frase ‘sulle vostre torri’, si avrà un’unica
parola, ossia mindolyannar, dove:
mindo è il nome (caso nominativo);
-lya è il suffisso designato per la seconda persona plurale;
-nna è la desinenza dell’allativo;
-r è la marca del plurale.
I pronomi personali sono espressi attraverso due forme: una forma isolata e la
forma-suffisso da aggiungere al verbo. A scopo di chiarezza, si riporta, qui,
fedelmente, lo schema di Danesi (2006, p.78), dove viene specificato che le forme
asteriscate sono forme ricostruite.
Pron. Possessivo
Pron. Personale Isolato
Pron.Pers. Suffisso
I sing
II sing familiare
(i)nya
(e)lda, *-(e)lla
II sing cortese
III sing
III sing neutro
I plur. Esclus.
I plur. Inclus.
II plur familiare
-(e)rya
*-(i)sta
-lma, *-mma
-lva, *-ngwa
-lya
II plur cortesia
-lya
Inye
*etye, *-ecce
elye, *-elle
E
*elme, *(em)me
*elve, *engwe
*etye, *ecce
elye, *elle
-nye/-n
-tye/ -t,
-lle, -lye /-l
-ro/s(m)-re/s(f)
-lme, -mme
-lve, *ngwe
-tye/-t
-lle/ lye/-l
III plur
*-(i)nta
*elto (m)*elte (f).
-nte
36
Per quanto riguarda gli avverbi, quelli del quenya non possiedono particolari
caratteristiche morfologiche che permettano di distinguerli dalle altre parti del
discorso. La posizione dell’avverbio non è fissa, esso può trovarsi infatti all’inizio
o alla fine della frase. Inoltre, come la frase “Háya, vaháya sín Atalante”, cioè
‘Lontano, molto lontano è Atalante’, l’avverbio possiede diversi gradi. Infatti,
l’avverbio háya ‘lontano’ è preceduto dal prefisso va- che intensifica il significato
della parola cui si unisce.
Alla fine di questa sommaria analisi morfologica, non si possono lasciare inespresse
alcune considerazioni sul verbo. In quenya, dalla forma del verbo è possibile
riconoscere numero, tempo, voce e aspetto.
In quenya si distinguono sei tempi verbali: presente aoristo, imperfetto, passato,
futuro, futuro perfetto e ottativo.
Per quanto riguarda il modo verbale, la lingua presenta tre modi: indicativo,
ottativo e imperativo. L’ottativo e l’imperativo non hanno una coniugazione
propria, ma occorrono insieme ai verbi ausiliari o a particelle:
Es. machta = ‘combattere’
á machta! = ‘combatti!’
Imperativo
ava machta! = ‘non combattere!’
Es. nai matchalye = ‘Possa tu combattere’ Ottativo
Per quanto riguarda il modo indicativo, Tolkien, come accade per i verbi germanici,
suddivise i verbi in due macro-categorie: ‘classe forte’ e ‘classe debole’. I verbi forti
in quenya sono caratterizzati dal cambiamento della vocale radicale nella forma al
passato, ma, a differenza di quanto accade nell’anglosassone, non si tratta di un
cambiamento qualitativo, bensì di un cambiamento nella struttura consonantica
della radice.
Avendo già parlato del modo ottativo e dell’imperativo, si mostrerà, con una
tabella riassuntiva, il funzionamento del modo indicativo, con i relativi tempi a esso
connessi:
37
MODO INDICATIVO21
Tempi verbali:
PRESENTE
Come si forma:
Si allunga la vocale radicale e si aggiunge la desinenza –a.
Es. verbo debole = ulya ‘versare’> úlya
verbo forte = mel ‘amare’> méla
PERFETTO
Si assiste ad un aumento-raddoppiamento con l’aggiunta della
desinenza –ie.
Es. Utúvienyes ‘l’ho trovato’, dove:
u- = rappresenta il raddoppiamento della vocale radicale;
tuv- = verbo ‘trovare’ alla forma base;
-ie= suffisso che indica il tempo perfetto;
-nye= suffisso per il pronome personale;
-s= suffisso che indica il pronome personale oggetto (3°
pers. sing.).
PASSATO
Quando il verbo è debole, si forma mediante l’aggiunta del
Usato per eventi accaduti in un
suffisso –ne.
passato molto lontano.
Es. lanta ‘cadere’> lantane
Quando il verbo è forte, si esprime con lo stesso suffisso che,
però, si nasalizza nella radice stessa del verbo.
Es. mat ‘mangiare’> mante
FUTURO
Per i verbi deboli, si forma eliminando la vocale finale della
forma base del verbo e si aggiunge la desinenza –uva.
Es. lant ‘cadere’>lántuva (con accento sulla radice)
Per i verbi forti, la desinenza –uva si aggiunge alla forma base
del verbo.
Es. rer ‘seminare’22>réruva
AORISTO
In Eldarin comune, si forma con il suffisso –i che,
Usato per descrivere eventi che
successivamente in quenya classico si è trasformato in –e, ma
si verificano a prescindere dal
torna –i quando viene aggiunto un pronome personale.
tempo che passa.
Es. cari ‘costruire/fare’> care> 1° pers. sing. carinye
INFINITO
Per i verbi forti, si forma allo stesso modo dell’aoristo, ma nel
caso si debba aggiungere una desinenza che designi la persona
si deve inserire il suffisso –ta.
Es. caritas ‘farlo’.
Per i verbi deboli, si forma aggiungendo il suffisso –ie.
21 Cfr. Danese:2006, pp. 80-85
22 Cfr. Ambar Eldaron, Elvish Dictionary quenya-English English-quenya, 2015
38
PARTICIPIO
Anche in quenya abbiamo due forme di participio: una forma
Es. lanta ‘cadere’> lantie ‘caduto’
presente e una passata.
La forma presente si forma mediante l’aggiunzione del
suffisso –la.
Es. lanta ‘cadere’> lantala ‘cadente’
La forma passata, invece, si forma con il suffisso –na,
preceduto da una vocale che in genere è -i-.
Es. rer> *rer-i-na>*rerna (la i cade per sincope)
not ‘contare’> nótina
GERUNDIO
Viene anch’esso espresso con il suffisso –ie, come accade per
l’infinto, solo che, in questo caso, la suffissazione coinvolge
anche i verbi forti.
Es. enyal ‘commemorare’> enyalie ‘commemorando’
Infine, prima di accennare al sistema alfabetico elfico, una breve considerazione
sulla formazione delle parole.
Il quenya presenta molti composti, la cui formazione era uno degli esercizi
linguistici più importanti nel mondo ‘elfico’. La creatività linguistica (lámatyáve,
in quenya) era uno degli aspetti più importanti per un elfo; esisteva persino una
cerimonia, l’essecilme, in cui un elfo poteva comporre il suo stesso nome.
I composti lessicali possono formarsi sia attraverso prefissi, sia attraverso suffissi.
Si riportano brevemente alcuni esempi:
Al (negazione). Al+ firin ‘mortale’> alfirin ‘immortale’
Epe- (ripetizione). Epe+ esse ‘nome’> epesse ‘soprannome’
Dur (servitore). Aran ‘re’+ dur> Arandur ‘servitore del re/ministro ’
(n)dil (amicizia, devozione). Elen ‘stella’ + dil> Elendil ‘amico delle stelle’
(nome di un re degli Uomini).
39
2.1.1.3 Alfabeti elfici
Nel periodo dell’antico quenya (nel 1179), l’elfo Rúmil inventò il primo alfabeto
elfico, il sarati.
Questo alfabeto è di tipo consonantico e considera le vocali come una coloritura
della consonante, rappresentata graficamente da segni diacritici.
Si riporta di seguito lo schema consonantico che propone Danesi (2006, p.88).
Segni diacritici vocalici
L’alfabeto di Rúmil non godette di grande successo, anche se servì, in un certo
senso, ad iniziare una tradizione di scrittura della storia.
Dopo circa settant’anni venne introdotto un nuovo sistema di scrittura, che
riprendeva le caratteristiche dell’alfabeto sarati, ma che risultava più semplice di
questo. Si tratta dell’alfabeto tengwar, creato dall’elfo Feanor; un sistema di segni
dal referente fisso. Costituì una sorta di modello di base che fu utilizzato per i vari
40
dialetti elfici. Ma il modello che Danese prende come riferimento è l’alfabeto
tengwar utilizzato per la lingua quenya.
Non potendoci dilungare troppo sul sistema alfabetico, si sottolinea solamente che
l’iniziale del nome di ciascun carattere, in genere, contrassegna il suono della lettera
stessa. Quindi la lettera
, numen indica la lettera n.
Infine, le lettere ordinate verticalmente sono numerate con i numeri romani e
indicano il luogo di articolazione:
I. Dentali (t, nd, th, nt, -n-, -r-)
II. Labiali (p, mb, f, mp, -m-, -b-)
41
III. Velari (c, ng, h, nc, ng, -nn-)
IV. Labiovelari (cw, ngw, hw, nqw, ngw, -v-)
I sei gradi indicano il grado di sordità, nasalità e spirantizzazione:
Grado 1. Occlusive sorde (t, p, c, qu)
Grado 2. Occlusive sonore nasalizzate (nd, mb, ng, ngw)
Grado 3. Fricative sorde (th, f, h, hw)
Grado 4. Occlusive sorde nasalizzate (nt, mp, nc, nqu)
Grado 5. Nasali (n, m, ng, ngw)
Grado 6. Utilizzato per le consonanti più deboli o semivocaliche (r, v, nn, w).
2.1.1.4 Conclusioni
Avendo tracciato una sommaria disamina del processo di creazione linguistica in
Tolkien, non resta che lasciarsi andare a qualche considerazione conclusiva.
La pietra miliare della storia del fantasy, Il Signore degli Anelli, la saga creata
da Tolkien tra il 1937 e il 1949 e pubblicata in tre volumi tra il 1954 e 1955, deve
sicuramente il suo successo alla concatenazione di tradizioni linguistiche, le quali
si intrecciano inevitabilmente ad un’attenta elaborazione mitologica.
Il romanzo, nel tempo, ha attirato le attenzioni di studiosi, autori o di semplici
appassionati del genere, i quali hanno dato vita a delle vere e proprie società
tolkeniane23, associazioni senza scopo di lucro che hanno come obiettivo la
divulgazione e la promozione delle opere tolkeniane, ispirate dalla prima società, la
Tolkien Society, con sede in Gran Bretagna.24
Inoltre,
la storia della Terra di Mezzo, ha
ispirato
la
trasposizione
cinematografica, diretta dal regista neozelandese Peter Jackson. La pluripremiata
trilogia25, uno dei più grandi progetti mai realizzati nella storia del cinema, è stata
23 http://www.jrrtolkien.it/jrr-tolkien/tolkien-in-italia/associazioni-tolkieniane/
24 https://www.tolkiensociety.org/
25 L’intera trilogia ha vinto complessivamente 17 premi Oscar:
-La compagnia dell’anello vince 4 premi Oscar nel 2001: Migliore fotografia, Miglior trucco,
Migliori effetti speciali, Miglior colonna sonora (Cfr.
http://awardsdatabase.oscars.org/Search/Nominations?filmId=3986&view=2-Film%20Title-
Alpha)
-Le due torri vince 2 premi Oscar nel 2002: Miglior montaggio sonoro, Migliori effetti speciali
(Cfr.http://awardsdatabase.oscars.org/Search/Nominations?filmId=3593&view=2-Film%20Title-
Alpha)
42
insignita del titolo di trilogia cinematografica con maggior incasso mondiale di tutti
i tempi, contando $2.917.421.382 di incassi totali, a fronte dei $281.000.000 spesi
per la produzione di tutta la trilogia.
Ma l’aspetto che più ci riguarda è sicuramente quello più prettamente linguistico.
Le lingue che Tolkien ha inventato non si limitano solamente all’elfico e ai suoi
dialetti. Per quanto riguarda le lingue elfiche26, egli provò a creare una lingua
partendo da quello che lui riteneva il modello perfetto di lingua, una lingua ‘bella’
– e cioè il quenya (Danese:2006, p.112). Ma non si limitò a questa lingua, egli creò
anche l’aspra lingua dei
nani o l’oscura Lingua
Nera (la lingua in cui è
scritta
la
frase
incisa
sull’Anello. Vedi Figura
3) o, ancora, la ‘brutta’
lingua degli orchi. Come
Figura 3
Danese fa notare (2006, p. 112) «È significativo comunque notare che egli abbia
affidato le lingue sgradevoli alle genti malvagie: è come se, nel suo mondo, la
disarmonia di una lingua rispecchiasse anche la grettezza e la bassezza di una razza
o di un popolo. Per questo le lingue elfiche risultano esser le più gradevoli di tutta
Arda.» Pertanto, è come se, in certo senso, Tolkien volesse comunicarci che ‘siamo
ciò che parliamo’; come se l’identità di un essere (sia esso umano, sia esso un
-Il ritorno del re vince11 premi Oscar nel 2003: Miglior film, Migliore regia, Migliore sceneggiatura
non originale, Migliore scenografia, Migliori costumi, Miglior trucco, Miglior montaggio, Miglior
(Cfr.
sonora, Miglior canzone.
speciali, Miglior colonna
sonoro, Migliori effetti
http://awardsdatabase.oscars.org/Search/Nominations?filmId=4237&view=2-Film%20Title-
Alpha)
26 Oltre al quenya, Tolkien inventa anche il Sindarin, cui in questa trattazione non è stato riservato
molto spazio, se non per un accenno. Un’analisi anche di questo sistema linguistico, ricco e
completo, avrebbe, infatti, rischiato di fuorviare da quelle che sono le intenzioni tematiche di questa
trattazione. Pertanto, si fornirà una breve descrizione, per non escluderla totalmente dalla trattazione.
Possiamo trovare informazioni dettagliate all’interno dell’opera di David Salo, il linguista che fece
da consulente linguistico per la realizzazione della trasposizione cinematografica della trilogia (cfr.
https://web.archive.org/web/20070221080323/http://www.ls.wisc.edu/ArtesLibv7n1.pdf, pag. 4).
Nel suo libro, Salo descrive il Sindarin come «the end product of a history set within his [di Tolkien]
created or “secondary” world. The peculiar characteristics of this Elvish language were imagined
as deriving from periods of separation, isolation, and renewed contact with other Elvish languages.»
Per un’analisi più approfondita cfr. David Salo, A Gateway to Sindarin: A Grammar of an Elvish
Language from J. R. R. Tolkien’s Lord of the Rings, 2007, University of Utah Press.
43
personaggio fittizio) dipendesse dalla musicalità o dalla cacofonia prodotta dalla
parola che esso pronuncia. Questo profondo interesse per la musicalità della lingua,
continuamente reiterato da Tolkien nel suo Un vizio segreto, viene avvalorato dalla
possibilità di applicarlo anche alle lingue vive. Tolkien scrive che «La parola come
musica […] scorre in sottofondo, ma raramente per scelta consapevole. Vi sono
momenti in cui ci fermiamo a domandarci come mai un verso o un distico
producano un effetto al di là del semplice significato delle parole, e allora lo
attribuiamo all’autentica magia del poeta, o lo definiamo con qualche altra
espressione ugualmente priva di senso.» Egli, in un certo senso, lamenta la poca
attenzione con cui viene recepito il legame tra la forma-vocabolo e la musicalità del
suono, che spesso si traduce con una frettolosa attribuzione dell’effetto a «tratti più
elementari come rima o allitterazione» (Tolkien:1931, p.310).
E continua dicendo che «nelle lingue vive questa scoperta è ancora più
emozionante, perché la lingua non è in sé elaborata per questo scopo, è solo in
occasioni rare e fortunate scopriremo di averla usata per dire esattamente quello che
volevamo, con pienezza di significato, usandola simultaneamente come un canto
spensierato.» Quindi, ciò che Tolkien ci dice indirettamente è, forse, che il segreto
per la creazione di una lingua che sia ‘perfetta’ risiede proprio nella consapevolezza
della corrispondenza parola-suono, che, accompagnata da un sottofondo
mitologico, si sposa insieme in un’incantevole danza al ritmo di quel ‘canto
spensierato’ per il quale egli è sempre partito alla ricerca.
44
2.2 Il na’vi di Paul Frommer
Un’immersione totale nel mondo delle conlangs27 non può che includere altri
progetti glossopoietici come quello
realizzato dal linguista americano Paul
Frommer per il colossal Avatar, il film
con più incassi nella storia del cinema28,
diretto dal regista James Cameron, nel
2009.
Figura 4
Una compagnia interplanetaria terrestre, la RDA, viene inviata per una missione sul
pianeta Pandora con l’obiettivo di recuperare delle risorse naturali che stanno per
esaurirsi sulla terra.
Tra le diverse specie che popolano il pianeta, c’è una popolazione di umanoidi
senzienti dalla pelle blu striata, i na’vi (vedi Fig.5), alti anche più di 3 metri, i quali
si trovano in profonda comunione con la natura. Per avvicinare gli abitanti di
Pandora, gli scienziati costruiscono degli avatar, cioè dei corpi, identici a quelli dei
na’vi, creati in laboratorio, mediante il mescolamento genetico del DNA umano e
na’vi. Ogni avatar è collegato ad una e una sola persona, la quale è, infatti, l’unica
a poterlo controllare. Il controllo viene esercitato attraverso una capsula, dove il
Figura 5
soggetto si distende e cade in
una sorta di sonno profondo,
trasferendo, in questo modo,
la coscienza – e l’anima –
dell’umano nell’avatar na’vi.
L’aspetto che ci interessa più
da vicino è senza alcun dubbio
la lingua na’vi, la quale prende, dunque, il nome dall’omonimo popolo che la parla.
L’ideatore della lingua na’vi, Paul Frommer, nel 2010, ha rilasciato un’intervista,
per la rivista digitale Rapporto confidenziale29, nella quale espone il suo modus
27 «Conlanging is the creation of constructed languages or conlangs, such as Esperanto, Lojban, or
Klingon. A conlanger is someone who creates or constructs languages or conlangs.» (Cfr.
https://conlang.org/)
28 https://www.boxofficemojo.com/alltime/world/
29 Matteo Milani, Un’intervista con Paul Frommer, ideatore del linguaggio alieno per Avatar,
45
operandi per la realizzazione della lingua aliena che il regista James Cameron gli
aveva commissionato.
L’intervistatore, Matteo Milani, dopo aver chiesto a Frommer informazioni
riguardo al suo incontro con Cameron, e su come il regista si sia messo in contatto
con lui, si addentra all’interno dell’aspetto più squisitamente linguistico.
Frommer spiega, dunque, quali fossero inizialmente le richieste ‘linguistiche’
che Cameron aveva avanzato, dicendo che egli voleva «un linguaggio completo,
con un sistema sonoro (fonologia), delle regole nella costruzione delle parole
(morfologia) e regole nel mettere insieme parole nelle frasi (sintassi), più un
vocabolario (lessico) che fosse sufficiente per le esigenze del copione. Egli
desiderava anche che il linguaggio avesse un suono piacevole e gradevole per il
pubblico»30. Continua poi dicendo che l’unica vera restrizione nella creazione di
questa lingua aliena risiedeva nel fatto che a parlarla sarebbero stati attori umani.
Quindi i suoni, per quanto singolari, avrebbero dovuto essere pronunciabili da un
apparato fonatorio umano. Oltre a questa motivazione strettamente pratica, c’era
un’altra motivazione. La lingua, ai fini della trama, doveva in qualche modo essere
semplice da imparare per rendere realistico l’apprendimento del na’vi da parte dei
protagonisti della storia che si approcciano alla popolazione aliena, imparandone
lingua, usi e costumi.
Ma concentriamoci adesso sulle basi secondo cui Frommer ha costruito il suo
linguaggio a posteriori.
Prima di tutto, Frommer spiega che non ha ideato la lingua ex novo, ma egli è
partito da 30/40 parole che Cameron stesso aveva inventato per la sceneggiatura,
per lo più elementi linguistici legati all’onomastica o alla toponomastica, parole che
quindi non necessitavano di una vera e propria struttura linguistica che fosse
coerente. Si trattava quindi di nomi che potevano essere inventati anche da gente
non competente in materia linguistica, essendo questi semplici suoni inventati a
piacere, secondo la fantasia di Cameron.
«Rapporto Confidenziale», (2010), n.24, pp. 46-49 (https://www.rapportoconfidenziale.org/wp-
content/uploads/2010/04/Rapporto_Confidenziale-numero24-high.pdf)
30 Ivi p. 47
46
na’vi ‘il popolo’
Omaticaya (Omatikaya) ‘il
mikyun ‘orecchio’
nari ‘occhio’
nome del clan’
Éytukan ‘leader del clan
ireiyo ‘grazie’
Omaticaya, padre di Neytíri’
Mó’at ‘sciamana del clan
Omaticaya, madre di Neytíri’
Neytíri ‘erede di Mo’at’
Eywa ‘Gaia, la divinità del
pianeta Pandora’
Iknimaya ‘un rito di
passaggio’
sa’atenuk (sa’nok) ‘madre’
Toruk ‘L’ultima Ombra, il
più grande e temuto predatore
dei cieli di Pandora’
Tsu’téy ‘erede al trono di
Vitraya Ramunong ‘Albero
Éytukan ’
Silwanin ‘sorella di Neytíri’
delle anime’
Toruk Macto (toruk makto)
‘colui che cavalca Toruk’
ctsahik (tsáhìk) ‘sciamano’
uniltaron ‘un rito di
Neytiri te Ckaha Mo’at’ite,
Neytiri Mo’at’ite ‘Neytiri dei
Tskaha, figlia di Mo’at’
atokirina’ ‘il seme
dell’Albero delle Anime’
teylu ‘larva’
ikran ‘banshee’
taronyu ‘cacciatore’
seyri ‘labbro’
shahaylu (tsaheylu) ‘legame
neuronale’
iniziazione’
Tsu’tey te Rongloa Ateyitan
’Tsu’tey dei Rongloa, figlio
di Ateyo’
utraya mokri (utral
aymokriyä) ‘L’Albero delle
Voci’
Beyral (Peyral) ‘un nome
femminile’
olo’eyctan (olo’eyktan)
‘leader del clan’
ontu ‘naso’
Ninat ‘un nome femminile’
Le parole riportate in tabella31 hanno, quindi, dato a Frommer una precisa
indicazione sul tipo di effetto acustico a partire dal quale Cameron avrebbe voluto
sviluppare la lingua na’vi.
Dal momento in cui non si trattava più solamente di designare nomi di
personaggi o di luoghi, serviva adesso che qualcuno, competente in materia,
inventasse un sistema linguisticamente coerente per esprimere tutte le combinazioni
comunicative, necessarie per la sceneggiatura. Ed è qui che entra in gioco il lavoro
31 Le parole riportate sono state estratte dal copione del film, riportato integralmente nel sito
http://ecrannoir.fr/docs/JamesCameronAVATAR.pdf
47
di Frommer.
Durante l’intervista, il linguista espone le varie fasi della creazione della lingua,
cominciando dalla fonologia, che, in genere, è il primo aspetto su cui viene posta
l’attenzione nella costruzione linguistica.
«Per creare un certo interesse,» spiega Frommer «ho incluso un gruppo di suoni
che non si trovano spesso nelle lingue occidentali – suoni “eiettivi”, sorta di
scoppiettii come kx, px e tx.»32
Consultando il blog Language Log33, Frommer stesso espone seppur in maniera non
troppo approfondita, le caratteristiche della sua lingua, che saranno qui di seguito
riportate.
2.2.1 Fonetica e Fonologia
La lingua na’vi presenta venti consonanti, sette vocali, quattro dittonghi e due di
quelle che Frommer definisce “pseudovocali”, vale a dire rr e ll.
Le consonanti
Eiettive
Occlusive sorde
Affricate
Fricative sorde
Fricative sonore
Nasali
Liquide
Semivocali
Labiale
Alveolare
Palatale
Velare
Glottidale
px
p
f
v
m
w
tx
t
ts
s
z
n
r [ɾ], l
y [j]
kx
k
ng [ŋ]
’ [ʔ]
h
Frommer aggiunge in nota che le consonanti affricate e fricative sorde, cioè quelle
segnate in verde, possono presentarsi come primo elemento di un nesso
consonantico posto ad inizio sillaba, mentre le consonanti eiettive, occlusive sorde,
32 «Rapporto Confidenziale», (2010), n.24, p.47
33 http://languagelog.ldc.upenn.edu/nll/?p=1977
48
nasali e liquide, e cioè quelle segnate in rosso, possono figurare in posizione finale
di sillaba.
Le vocali
Anteriori Centrali
Posteriori
i [i]
u [u] Chiuse
ì [I] u [ʊ]
Quasi chiuse
e [ɛ]
ä [æ]
a [a]
o [o] Semi chiuse
Semiaperte
Quasi aperte
Basse
Il trapezio sopra riportato illustra, dunque, la disposizione delle vocali del na’vi
all’interno del trapezio vocalico. Un appunto deve essere fatto sulla u, la quale ha
due differenti pronunce: essa viene, infatti pronunciata [u] quando la sillaba è
aperta, mentre può essere pronunciata sia come [u] sia come [ʊ] nelle sillabe chiuse.
Quindi, la pronuncia della parola tsun34 ‘saper fare, essere capace’ può essere sia
[tsun] che [tsʊn], mentre il verbo lu ‘essere’ può essere pronunciato solamente [lu]
e non [lʊ].
Per quanto riguarda i dittonghi: il na’vi presenta aw [aw], ew [εw], ay [aj], ey
[εj].
Struttura sillabica e vincoli fonotattici
Ogni sillaba contiene al centro una vocale o un dittongo e ognuno di essi, all’interno
di una parola, costituisce una sillaba separata e può, da solo, costituire una sillaba a
sé stante.
Ad esempio: tsmukan ‘fratello’ è scomponibile in due sillabe tsmu-kan
a (un demarcatore di attribuzione del livello di una proposizione) è
una sillaba a sé stante.
Per quanto riguarda la caratterizzazione compositiva della sillaba, le vocali e i
34 Tutte le parole Na’vi utilizzate in questo paragrafo come esempi sono state estratte dal dizionario
Na’vi on-line, disponibile al sito https://learnnavi.org/navi-vocabulary/
49
dittonghi na’vi possono essere preceduti da una o due consonanti, mentre possono
essere seguiti da una sola consonante. Potremmo, in questo modo, riassumere la
struttura sillabica: (C) (C) (V) (C), riportando, al seguito, qualche esempio.
1. Costruzione CCVC: stum ‘quasi’
2. Costruzione CVC: sur ‘sapore, gusto’
3. Costruzione CV: kä ‘andare’
Esistono, tuttavia, delle restrizioni su quali consonanti e in quale posizione
possono presentarsi. Ad esempio, qualsiasi consonante può comparire a inizio
sillaba, mentre solo alcune possono comparire alla fine della sillaba, cioè:
Eiettive:
px
Occlusive: p
Nasali:
m
Liquide:
tx
t
n
r, l
kx
k
ng
Per quanto riguarda i nessi consonantici, essi possono verificarsi solo in
posizione iniziale della sillaba e possono contare solamente due consonanti e nelle
seguenti combinazioni
f, s, ts + {p, t, k, px, tx, kx, m, n, ng, r, l, w, y}
le quali sono tutte attestate nel lessico, per un totale di trentanove combinazioni:
vospxì ‘mese’, tskxe ‘pietra’, ftxìlor ‘delizioso’, tsngan ‘carne’, fngap ‘metallo’, ne
sono solo alcuni esempi.
Inoltre, una sequenza composta da una consonante occlusiva, seguita da una
consonante liquida, sebbene non possa verificarsi a inizio di sillaba, può essere
comunque ritrovata in posizione mediana. Ma, in questi casi, la sillabazione
provvede alla divisione del nesso consonantico, come segue nell’esempio
sottostante. La parola:
– kakrel ‘cieco’ viene sillabata in questo modo kak-rel e non *ka-krel
– mokri ‘voce’ viene sillabata in questo modo mok-ri e non *mo-kri
Per quanto riguarda le pseudovocali, nelle sillabe con costruzione CV, le
consonanti liquide l e r possono sostituire le vocali. Quando le liquide vengono
utilizzate come vocali, esse subiscono un processo di geminazione, reso
50
graficamente con ll e rr, il quale si traduce con un consequenziale cambiamento
fonetico. La r, infatti, viene pronunciata con una forte vibrazione e la l non si
velarizza mai e viene pronunciata come una clear l.35
Riguardo ai nessi vocalici, il na’vi permette molte possibilità di sequenze
vocaliche in una stessa parola, dove ogni singola vocale risulterà in una sillaba a sé
stante.
Es. meoauniaea ‘armonia (con la natura)’ > me-o-a-u-ni-a-e-a (8 sillabe)
Accento
L’andamento prosodico del na’vi è molto particolare e imprevedibile. L’accento,
infatti, deve essere sempre specificato per ogni singola parola, poiché esso ha
carattere fonematico, un cambiamento d’accento, cioè, comporta un cambiamento
semantico.
Es. tute [ˈtu.tɛ] ‘persona’ ≠ tute [tu.ˈtɛ] ‘persona (femmina)’
Lenizione
Alcuni processi grammaticali causano un cambiamento di natura lenitiva. Tuttavia,
solo otto consonanti subiscono la lenizione, come lo stesso Frommer riferisce
attraverso il seguente schema esplicativo.36
Consonante
Lenizione
Esempio
Significato
Px, tx, kx
P, t, k
Ts
P, t, k
F, s, h
s
Txep> mì tep
fuoco> sul fuoco
Kelku> ro helku
casa> a casa
Tsmukan> aysmukan
fratello> fratelli
´ (Glottal Stop)
scompare
´eylan> fpi eylan
amico> per il bene di un amico
35 La l non velarizzata, conosciuta anche come clear l o light l, è una particolare realizzazione del
grafema /l/, che si verifica quando essa si trova prima o in mezzo a vocali. Il suono è prodotto con
la punta della lingua nell’area alveolare (ad esempio nelle parole lingua, luce), e ad esso si
contrappone la dark l, la quale ricorre alla fine di una sillaba oppure prima di vocali posteriori ed è
prodotta con la lingua che si avvicina al velo palatino (ad esempio nelle parole pull, milk, full). Gli
esempi, in questo caso provengono da una lingua diversa dall’italiano, il quale non possiede nel suo
sistema questa realizzazione fonetica. Alcune lingue, infatti, hanno solamente la l non velarizzata,
come l’italiano o il tedesco, altre possono o non averla oppure averla solo davanti a vocali anteriori.
(Cfr. Teaching Pronunciation: A Reference for Teachers of English to Speakers of Other Languages,
di Marianne Celce-Murcia, Donna M. Brinton, Janet M. Goodwin p.68)
36 http://languagelog.ldc.upenn.edu/nll/?p=1977
51
2.2.2 Classi lessicali e Morfologia
Il passo successivo alla formulazione di un piano fonetico è stato quello di
progettare un sistema morfologico. Frommer spiega nella sua intervista che «Poiché
questa è una lingua aliena, parlata su un altro pianeta, ho voluto includervi strutture
e processi che fossero relativamente rari nel linguaggio umano, ma che avrebbero
potuto essere acquisiti facilmente, soprattutto perché nella trama del film alcuni
personaggi umani imparano a parlare na’vi.»
Ma andiamo ad analizzare, con sguardo approfondito, le classi lessicali con
relative regole di derivazione morfologica.
Nomi
I nomi vengono declinati secondo caso e numero, e, solo raramente, secondo il
genere.
Per quanto riguarda il numero, la lingua na’vi prevede quattro casi (singolare,
duale, triale e plurale) che vengono espressi mediante l’utilizzo di prefissi, ognuno
dei quali innesca un fenomeno di lenizione.
Ad esempio, nel caso della parola tokx ‘corpo’, il prefisso utilizzato per formare il
plurale, ay-, giustapponendosi alla parola, innesca una lenizione, la quale risulta
nella seguente catena di mutamenti morfologici
(1) Tokx> (2) ay + tokx> (3) aytokx>(4) aysokx> (5) sokx
Tra il passaggio (3) e (4) entra in gioco, dunque, il fenomeno di lenizione, come
previsto dalla tabella riportata sulla pagina precedente (pag. 51); mentre, nel
passaggio da (4) a (5), una volta verificatosi il processo lenitivo, la presenza della
marca del plurale ay- risulta ridondante, poiché la lenizione di t in s risulta già di
per sé un segno evidente di connotazione numerica plurale, e, pertanto, può essere
eliminato dalla parola.
Per quanto riguarda il caso, nomi e pronomi possono essere declinati secondo sei
casi: Nominativo, Agentivo, Pazientivo, Genitivo, Dativo e ‘Tematico’ (Topical).
È necessario sottolineare che i nomi e i pronomi declinati al caso ‘Tematico’
52
stabiliscono una leggera connessione semantica con la proposizione e possiedono
una vasta gamma di possibilità di utilizzo. Essi possono essere tradotti come ‘per
quanto riguarda’ o ‘riguardo a’, e così via, ma possono anche comparire laddove
sarebbe previsto un caso genitivo o dativo.
Il sistema dei casi è di tipo tripartito, vale a dire che esso distingue il soggetto
intransitivo, il soggetto transitivo e l’oggetto. Trattandosi di una lingua aliena,
Frommer ha voluto attribuire ad essa, infatti, delle caratteristiche linguistiche
plausibili, da un punto di vista ‘umano’, ma piuttosto insolite. Lo conferma egli
stesso nell’intervista con Milani: «E i nomi hanno un sistema di marcatura, noto
come sistema tripartito, un sistema possibile, ma piuttosto raro nelle lingue parlate
dagli umani.»37
Pronomi
Esattamente come per i nomi, i pronomi possono avere una forma al singolare,
duale, triale e plurale. La prima persona (duale, triale e plurale) possiede due forme:
una inclusiva e l’altra esclusiva.
Verbi
Il verbo del na’vi viene coniugato secondo il tempo verbale, l’aspetto verbale, modo
e l’atteggiamento del parlante, ma non secondo persona o numero.
La particolarità morfologica del verbo consiste nell’apposizione di infissi. Frommer
stesso ci spiega, in un certo senso, il perché di questa scelta: «La morfologia
verbale, per esempio, viene ottenuta esclusivamente attraverso infissi, che sono
meno comuni di prefissi e suffissi.»38
Gli infissi verbali si distinguono in due tipologie: gli infissi di prima posizione <1>
e quelli di seconda posizione <2>. Gli infissi di prima posizione <1> sono designati
per tempo, aspetto o modo. Inoltre, in questa posizione si possono ritrovare infissi
con valore participiale o riflessivo. La seconda posizione <2> è riservata per gli
infissi che esprimono l’atteggiamento del parlante nei confronti di ciò che dice – se
37 «Rapporto Confidenziale», (2010), n.24, p.47
38 Ibidem.
53
ha, quindi, un atteggiamento positivo o negativo, oppure se vuole esprimere un
determinato livello di incertezza della sua conoscenza.
Con i verbi aventi radice monosillabica, gli infissi di prima posizione
semplicemente precedono quelli di seconda posizione, mentre, con radici
multisillabiche, gli infissi di prima posizione si presentano nella penultima sillaba
e quelli di seconda posizione nella sillaba finale.
Si potrebbero, quindi, semplificare i suddetti concetti come segue:
Si ponga il caso di un verbo come taron ‘cacciare’, dove gli infissi di tempo e di
aspetto verbale vengono così espressi
Solo Tempo verbale
Con il significato di
Infissi
tìmaron
tayaron
Just now hunted
Will hunt
Solo Aspetto verbale
teraron
tolaron
Be hunting
Have hunted
-ìm-
-ay-
-er-
-ol-
Naturalmente, è possibile trovare entrambe le tipologie di affissi nello stesso verbo,
le quali vengono rese attraverso combinazioni di infissi in forma contratta:
Sia Tempo che Aspetto verbale Con il significato di
Infisso
tìrmaron
Was just now hunting
ìm + er
Il modo, invece, può essere espresso mediante appositi infissi (che occupano
stavolta la seconda posizione <2>), i quali consentono all’ascoltatore di cogliere
l’atteggiamento, sia esso positivo o negativo, che il parlante vuole conferire al
verbo. Si prenda come esempio il verbo monosillabico hum ‘partire’ e, ancora una
volta, il verbo multisillabico taron.
54
Infisso atteggiamento positivo
Infisso atteggiamento negativo
Verbo Monosillabico
-ei-
Hum> heium
-äng-
Hum> hängum
Infisso atteggiamento positivo
Infisso atteggiamento negativo
Verbo Multisillabico
-ei-
-äng-
Taron> teiaron
taron > tängaron
Infine, sia il modo che il tempo verbale possono combinarsi in un’unica parola nel
seguente modo:
Verbo base Tempo
Atteggiamento Risultato
Significato
taron
-ìrm-
-ei- [positivo]
tìrmareion
Was just now hunting
taron
-ay-
-äng- [negativo]
tayarängon
Will hunt
(con accezione negativa)
(con accezione positiva)
Aggettivi
Gli aggettivi rimangono invariati e non vengono declinati. Essi si formano mediante
un prefisso derivazionale a partire da altre parti del discorso, le-.
4. trr ‘giorno’ → letrr ‘giornaliero’
5. fpom ‘pace’ → lefpom ‘pacifico’
Adposizioni
Il na’vi prevede sia preposizioni che posposizioni, o meglio, le adposizioni possono
sia precedere che seguire le parole, senza che questo comporti alcun tipo di
mutamento semantico. Tuttavia, qualora esse seguissero la parola, dovranno essere
legate al nome o al pronome. Ad esempio, l’espressione ‘con te’ può essere tradotto
sia con hu nga che con ngahu, ma, nel secondo caso, i due elementi compositivi del
sintagma devono essere univerbati.
55
2.2.3 Sintassi
L’aspetto peculiare della sintassi del na’vi è la libertà di disposizione degli elementi
all’interno della frase. Il sistema dei casi permette tutte e sei le combinazioni
previste per le lingue naturali (SVO, SOV, OSV, OVS, VOS, VSO).
Per quanto riguarda il legame nomi e aggettivi, essi sono legati dal morfema a,
il quale si attacca all’aggettivo e la sua posizione è condizionata da quella del nome
a cui si riferisce. Il morfema, infatti, deve trovarsi sempre in posizione adiacente al
nome, come nell’esempio sotto riportato.
ngim ‘lungo’, kilvan ‘fiume’ > ngima kilvan o kilvan angim ‘lungo fiume’
2.2.4 Conclusioni
La disamina sopra condotta, a tratti più approfondita a tratti più superficiale, non
può che essere considerata un breve accenno alla grammatica della lingua, poiché
un’analisi completa e minuziosa non avrebbe di certo occupato le pagine che le
sono state dedicate in questa trattazione.
Inoltre, trattandosi di un sistema linguistico creato ad hoc per una popolazione
aliena protagonista di un film, non ritroviamo molta letteratura riguardante il
momento glossopoietico, se non qualche sporadico accenno da parte di Frommer in
qualche intervista. In altre parole, non esistono manuali di lingua na’vi da cui poter
attingere per un’analisi che vada più a fondo. Infatti, tutti gli elementi riportati nel
paragrafo 2.2 partono dall’analisi sommaria che Frommer ha disseminato tra varie
interviste e siti web (forum, blog), la quale è stata integrata con materiali sparsi per
il Web, materiali che, nonostante siano ‘amatoriali’, analizzano la lingua seguendo
degli ottimi criteri linguistici, che io stessa ho analizzato e che mi sembrano
plausibili e coerenti.
A questo punto, si potrebbe azzardare una considerazione sull’efficacia del
sistema linguistico ideato da Frommer, caricato di pregnanza comunicativa grazie
alla padronanza linguistica che gli attori hanno ottenuto dietro l’onnipresente guida
di Frommer, come lui stesso riferisce nella sua intervista con Milani. Infatti, alla
domanda di Milani riguardante le difficoltà incontrate nel rendere realistici e
credibili i dialoghi, Frommer risponde spiegando quanto questo effettivamente sia
56
stata «una vera sfida. Hanno dovuto imparare le loro battute in una lingua che
nessuno aveva mai sentito prima. Hanno dovuto imparare combinazioni di suoni
inusuali e recitarli in maniera convincente! Questo ha comportato non solo la
memorizzazione di frasi, ma anche la padronanza di intonazione al fine di porre
l’enfasi giusta nel posto giusto. Non è stato facile, ma il risultato è notevole. Ho
incontrato fuori dal set tutti e sette gli attori che dovevano parlare na’vi prima che
le loro scene venissero girate, per aiutarli con la pronuncia. Ho anche fornito loro
alcune registrazioni in mp3 perché potessero ascoltare e assimilare il dialogo.» 39
In conclusione, l’intervistatore chiede al nostro linguista se, per creare la sua
lingua, si sia ispirato a qualche conlang già esistente. Frommer risponde che
sicuramente il klingon creato da Mark Okrand per la serie Star Trek (di cui si parlerà
in maniera più approfondita nel prossimo paragrafo) ha giocato il ruolo della musa
ispiratrice. Egli, infatti descrive la lingua come «un lavoro imponente, una lingua
dal suono rozzo con una fonologia ed una grammatica complessa. Ci sono club
klingon in tutto il mondo, esiste addirittura una traduzione dell’Amleto in klingon!
Se il na’vi generasse lo stesso tipo di interesse, ne sarei felicissimo!»40
39 «Rapporto Confidenziale», (2010), n.24, p.48
40 Ibidem.
57
2.3 Il klingon di Mark Okrand
Ai fini di questa trattazione, non ci si poteva esimere dall’analizzare la lingua
artificiale, ideata da Mark Okrand per i film fantascientifici e per la serie televisiva
di Star Trek, il klingon, la lingua ufficiale dell’Impero klingon.
Il media franchise Star Trek nasce inizialmente con la serie classica, uscita per la
prima volta nel 1966, sotto la direzione di Gene Roddenberry, alla quale seguono
cinquant’anni di una serie televisiva composta da sei stagioni e tredici film.41
La Lingua klingon
Come qualsiasi lingua, sia essa artificiale, sia essa naturale, anche il klingon è
strettamente legato alla dimensione culturale. Esistono moltissimi dialetti klingon;
questa molteplicità deriva dal cambio dell’imperatore che sale al potere e dalla
lingua che lui parla. Infatti, quando un imperatore klingon viene sostituito, qualsiasi
sia il motivo, viene sostituita anche la lingua corrente con quella parlata
dall’imperatore che gli succederà. L’utilizzo del dialetto ufficiale presenta una
connotazione diastratica; infatti, i klingoniani che non lo parlano sono considerati
o stupidi/ignoranti oppure sovversivi, e vengono affidati loro quei compiti ritenuti
disgustosi dalle caste più alte della società.
Per quanto riguarda il klingon, in generale, i klingoniani sono fieri della loro
41 Le serie tv:
1) Star Trek: La serie classica (1966-1969) di Gene Roddenberry
2) Star Trek: La serie animata (1973-1974) di Gene Roddenberry (realizzata dalla FILMATION)
3) Star Trek: The Next Generation (1987-1994) di Gene Roddenberry
4) Star Trek: Deep Space Nine (1993-1999) di Rick Bearman, Michael Piller
5) Star Trek: Voyager (1995-2001) di Rick Bearman, Michael Piller, Jeri Taylor
6) Star Trek: Enterprise (2001-2005) di Rick Bearman, Brannon Braga
7) Star Trek: Discovery (2017-in corso) di Bryan Fuller, Alex Kurtzman
I film:
1) Star Trek – The Motion Picture (1979) di Robert Wise
2) Star Trek II – L’ira di Khan (1982) di Nicholas Meyer
3) Star Trek III – Alla ricerca di Spock (1984) di Leonard Nimoy
4) Rotta verso la Terra (1986) di Leonard Nimoy
5) Star Trek V – L’ultima frontiera (1989) di William Shatner
6) Rotta verso l’ignoto (1991) di Nicholas Meyer
7) Generazioni (1994) di David Carson
8) Primo contatto (1996) di Jonathan Frakes
9) Star Trek – L’insurrezione(1998) di Jonathan Frakes
10) Star Trek – La nemesi (2002) di Stuard Baird
11) Star Trek (2009) di J. J. Abrams
12) Into Darkness – Star Trek (2013) di J.J. Abrams
13) Star Trek Beyond (2016) di Justin Lin
58
lingua e spesso si intrattengono in discussioni riguardanti l’espressività e la bellezza
che questa lingua possiede. Ma nonostante l’alta considerazione che essi hanno del
klingon, essi lo riconoscono come un sistema linguistico non particolarmente adatto
alla comunicazione all’esterno dell’impero klingon. Pertanto, il governo klingon –
insieme ad altri governi – ha accettato l’inglese come lingua franca per le
comunicazioni intra- ed extra-galattiche. Di conseguenza l’inglese assume una
duplice funzione nella società klingon: da una parte è indice di erudizione e di
appartenenza alle alte caste della società, dall’altra è utilizzato come mezzo di
esclusione nei confronti delle caste più basse. Un ufficiale comandante klingon
potrebbe utilizzare il klingon per dare ordini al suo equipaggio, ma potrebbe
scegliere di utilizzare l’inglese quando non vuole essere capito dall’equipaggio
durante una conversazione con i suoi ufficiali. Oppure, potrebbe verificarsi anche
la situazione opposta, e cioè che un ufficiale klingon potrebbe parlare klingon in
presenza di un non-klingon per impedirgli di capire cosa sta succedendo
(Okrand:1992, pp.11-12).
Lasciando indietro il rapporto diglottico con l’inglese, ritorniamo adesso al
klingon. Inizialmente – e quindi nelle serie tv precedenti – gli attori parlavano solo
in inglese fino al rilascio del primo film nel 1979 (Star Trek – The Motion Picture).
In questo film, infatti, gli attori si limitavano a recitare suoni senza significato, ai
quali ponevano la giusta enfasi, caricandoli di forza comunicativa. Era solamente
grazie ai sottotitoli che era possibile capire cosa stessero effettivamente dicendo.
Successivamente, si cominciò a sentire l’esigenza di un vero e proprio sistema
linguistico e, dunque, i produttori decisero di assumere il linguista Mark Okrand
Figura 6
59
per creare dei veri dialoghi per la popolazione klingon. Il suo compito era quello di
creare una lingua che fosse tanto aliena quanto il loro aspetto particolare (come si
vede dalla Figura 6, infatti, questi alieni antropomorfi presentano una caratteristica
fronte increspata). La lingua doveva essere ‘estranea’ ma, allo stesso tempo,
pronunciabile da attori umani (lo stesso criterio utilizzato da Frommer per la
creazione del na’vi. Cfr. Paragrafo 2.2) ed essere coerente e simile ai gridi di
battaglia dei primi film.
Okrand non basò la sua lingua su una lingua naturale in particolare, ma ha
utilizzato le sue conoscenze linguistiche per costruirne una completa ed efficace.
2.3.1 I suoni del klingon
Ciò che la Paramount richiedeva, da un punto di vista fonetico, era una lingua
che fosse gutturale e aspra. Pertanto, Okrand selezionò suoni, i quali sarebbero stati
parte di combinazioni consonantiche inusuali nelle lingue naturali, come, ad
esempio, la d retroflessa in combinazione con la dentale t.
La pronuncia del klingon doveva essere necessariamente ‘forte’. Come scrivono,
umoristicamente, gli autori del klingon Language Institute, di cui si parlerà in
seguito (da questo momento in poi indicato con la sigla KLI) «Some of the sounds
may make the person you’re talking to a little wet. This is correct and to be
expected.»42
Per quanto riguarda il sistema alfabetico del klingon, chiamato pIqaD, esso può
essere rappresentato
con
lo
schema
riportato qui accanto.
Nonostante
esista,
dunque, un alfabeto
creato ad hoc per la
lingua da Michael Okuda43, si preferisce sempre utilizzare il sistema di scrittura
42 Cfr. https://www.kli.org/about-klingon/sounds-of-klingon/
43 Non ci sono prove certe che Okuda sia effettivamente il creatore dell’alfabeto, poiché egli – il
grafico di tutta la saga – si limita solo ad usare questo sistema alfabetico, non è detto che sia stato
effettivamente lui l’ideatore. Cfr. https://www.kli.org/about-klingon/writing-klingon/
60
basato sull’alfabeto latino fornito da Okrand stesso, il quale, naturalmente, non
poteva che inserire ad un sistema così ‘tipico e normale’ qualche insolita
caratteristica.
La particolarità ortografica del sistema di Okrand consiste, infatti, nell’utilizzo
alternato di lettere maiuscole e minuscole, che differisce dal modo in cui
solitamente vengono utilizzate nelle lingue naturali (ma anche nelle lingue
artificiali, dove questo aspetto raramente – almeno per quanto riguarda le lingue
finora analizzate – sembra essere preso in considerazione). In generale, si può
affermare che le lettere maiuscole sono utilizzate come ‘promemoria’, infatti esse
segnalano una differenziazione di pronuncia di quel suono rispetto all’inglese. Ma
non è solo una questione di segnalazione di una diversa pronuncia: a volte, la lettera
maiuscola, segnala un vero e proprio cambiamento di suono. Ad esempio, q e Q,
non sono gli stessi suoni pronunciati in maniera differente, ma due suoni
completamente diversi. «Confusing them would be like confusing f and g in
English», spiega il KLI44, il quale scrive anche di non confondere la lettera ’ con un
apostrofo. Il simbolo ’ , infatti, nella lingua klingon rappresenta una lettera a tutti
gli effetti.
Se vogliamo analizzare più da vicino i singoli componenti, dobbiamo fare
innanzitutto una distinzione tra consonanti e vocali.
44 Cfr. https://www.kli.org/about-klingon/sounds-of-klingon/
61
Le consonanti e le vocali del klingon
Lo schema sottostante indica i suoni delle consonanti del klingon; mentre per
quanto riguarda le vocali, il klingon ne possiede cinque: a, e, I, o, u.
i
l
a
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t
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A
62
L’accento
Ogni parola del klingon composta da più di una sillaba contiene in genere una
sillaba tonica (e cioè accentata), la quale viene pronunciata con un leggero
innalzamento di tono e con forza lievemente maggiore rispetto alle sillabe atone.
Nei verbi, di solito, quando la radice verbale è accompagnata da un suffisso, la
sillaba accentata è il verbo stesso. Se si vuole dare particolare enfasi al suffisso – e
quindi all’accezione che al verbo conferisce, l’accento può spostarsi sulla sillaba
del suffisso.
Nei nomi la sillaba accentata è di solito la sillaba immediatamente precedente al
primo suffisso nominale, oppure, se non è presente alcun suffisso, l’accento cade
sull’ultima sillaba.
Infine, ci sono casi in cui l’accento di una parola cade su una sillaba, in certi
contesti, e su un’altra, in altri contesti.
2.3.2 Morfologia
Per quanto riguarda le categorie grammaticali, Okrand ne distingue tre: nomi, verbi
e, come li definisce lui nel suo The Klingon Dictionary, «everything else».45
Nomi
Si suddividono in: nomi semplici, nomi complessi.
I nomi semplici sono semplici parole come ad esempio QIH ‘distruzione’,
oppure DoS ‘target’.
I nomi complessi sono composti da due o più parole e possono, a loro volta,
essere suddivisi a seconda del loro criterio composizionale. Si distinguono:
Compound nouns: possono essere formati da due o più parole poste
semplicemente in sequenza.
Es. jol ‘transport beam’+pa’ ‘room’ = jolpa’ ‘transportroom’
Verbo + -wI’: al verbo si aggiunge il suffisso d’agente –wI’, così come accade in
inglese con il suffisso –er (work/worker= lavorare/lavoratore).
45 Cfr. Okrand:1985, p.19
63
Es. baH ‘sparare un siluro’ + -wI’ ‘colui che fa’ = baHwI’ ‘colui che spara un
siluro’
Combinazione dei due metodi precedenti: poiché la costruzione verbo + -wI’
risulta un costrutto regolare a tutti gli effetti, essa può essere parte integrante di
un compound noun. Si prenda in considerazione la parola tIjwI’ghom ‘squadra
d’abbordaggio’, la cui composizione può essere ricostruita col seguente schema
tIjwI’ghom
tljwI’
ghom
group
tIj
board
-wI’
doer of an action
Esiste anche la possibilità che una parola abbia più di una sillaba, due o, più
raramente, tre sillabe, ma non viene considerato un nome complesso. Questi nomi
probabilmente si erano formati, in precedenza, combinando più nomi semplici, i
quali potrebbero non essere più in uso. Pertanto è impossibile risalire al significato
individuale dei suoi componenti.
L’esempio riportato da Okrand (1985, p. 21) permette di constatare una particolare
attenzione etimologica.
Si consideri la parola ‘ejDo’ (=navicella spaziale). La sillaba ‘ej ricorre anche nella
parola ‘ejyo’ (=flotta spaziale), quindi si presuppone una radice etimologica
collegata al concetto di ‘spazio’, ‘ej. Eppure non esiste nessuna parola del klingon
come ‘ej oppure Do. Dal momento che la parola per navicella dell’attuale klingon
è Duj, come se Do fosse la parola dell’Antico klingon usata per designare la
navicella, le cui tracce non sono pervenute se non nel nome ‘ejDo’. Naturalmente,
come afferma lo stesso Okrand (1985, p.21), seppur bisogna ammettere che
potrebbe esserci una parvenza di interesse etimologico, tutto questo ragionamento
rimane una mera congettura.
64
Suffissi Nominali
Tutti i nomi possono essere seguiti da uno o più suffissi, che possono o meno
ricorrere contemporaneamente. Esistono cinque tipi di suffissi, che verranno qui
analizzati più nel dettaglio. Se si verifica una compresenza, questi devono seguire
un preciso ordine, il quale può essere sintetizzato in questa sequenza
NOME — Tipo 1 — Tipo 2 — Tipo 3 — Tipo 4 — Tipo 5
Ogni tipologia di suffisso conta almeno due diversi suffissi, i quali non possono
ricorrere contemporaneamente nella stessa parola. Per cui, non si potranno avere
costruzioni lessicali *Nome + Suffisso X (Tipo 1) + Suffisso Y (Tipo 1).
Suffissi di Tipo 1:
Questo tipo di suffisso è quello che marca, in un certo senso, l’intensità del nome.
I suffissi di Tipo 1 si suddividono a loro volta in: augmentative, con il suffisso -’a’,
e diminutive, con il suffisso -Hom.
Per cui, si prenda in esempio la parola Sus ‘vento’.
Augmentative: -’a’ → Sus’a’ = forte vento
Diminutive: -Hom → SusHom = spiffero d’aria
Suffissi di Tipo 2:
I suffissi di Tipo 2 sono quelli destinati alla caratterizzazione quantitativa del nome.
In altre parole, sono quelle che portano informazioni riguardante il numero
(singolare/plurale).
Come in inglese, non esiste in klingon un suffisso specifico per la marca del
singolare (a differenza di quanto accade nell’italiano, dove abbiamo le desinenze –
o, -a, -e, che permettono di individuare, non solo il genere del nome, ma anche il
numero).
Dunque, come in inglese, in klingon un nome senza suffisso indicherebbe un nome
singolare. Eppure non è sempre così: la mancanza del suffisso indicante il plurale
65
non è da interpretare come la prova di un nome singolare. Un nome senza suffisso,
infatti, può riferirsi anche a più di un’entità, solo che, in questi casi, la pluralità
viene indicata o con un pronome (1), o con un prefisso verbale (2), o con una parola
piena (3), oppure la si deduce dal contesto.
Al fine di fare più chiarezza, è necessario riportare qualche esempio.
Si prenda il caso del nome yaS ‘ufficiale, ufficiali’. La parola può assumere sia il
significato singolare, che quello plurale, attraverso i sopracitati meccanismi
linguistici, i quali verranno adesso analizzati più nel dettaglio.
(1) Pronomi diversi
yaS jIH
(io) sono un ufficiale
yaS maH
(noi) siamo ufficiali
(2) Prefissi verbali
yaS vImojpu’
(io) sono diventato un ufficiale
yaS DImojpu’
(noi) siamo diventati ufficiali
(3) Parole piene
(grammaticalizzate)
tIjwI’ghom
‘squadra
d’abbordaggio’
tIjwI’ + ghom, dove ghom
significa di per sè ‘gruppo’
Nel caso (1), quello riguardante i pronomi, il numero del nome è deducibile
dall’accordo logico-grammaticale tra il nome e il pronome jIH ‘io’ oppure maH
‘noi’.
Nel caso (2), e quindi quello che concerne i prefissi verbali, considerando che moj
è il verbo ‘diventare’, si può notare che la marca del plurale è deducibile dai prefissi
vI- e DI-, che rappresentano sotto forma di enclitici rispettivamente i pronomi
personali ‘io’ e ‘noi’ (i prefissi verbali saranno approfonditi a pag. 73).
Nel caso
(3),
infine, si assiste ad un vero e proprio processo di
grammaticalizzazione, dove ghom è, in klingon, una parola ‘lessicale’, quindi
possiede un significato pieno, ovvero quello di ‘gruppo’. La parola, nell’esempio
riportato, si grammaticalizza e, quindi, si trasforma in parola grammaticale che
viene utilizzata per formare concetti che coinvolgono gruppi di persone. In altre
66
parole, diventa un suffisso per moltiplicare il numero di ciò che è espresso dal nome.
Si vedano altri esempi:
mang
mangghom
mu’
mu’ghom
Soldato
Esercito
Parola
Dizionario
Tuttavia, oltre ai casi particolari di cui sopra si è discusso, il klingon, in genere,
utilizza una formazione del plurale piuttosto regolare, con i suoi precisi suffissi:
⸭ -pu’ → è il suffisso utilizzato per gli esseri capaci di utilizzare un linguaggio.
Esso può essere usato per indicare un insieme di klingoniani, Romuliani,
Vulcaniani eccetera, ma non per animali, piante, oggetti, entità astratte, e così
via.
Es. Duy emissario > Duypu’ emissari
⸭ -Du’→ è il suffisso plurale delle parti del corpo appartenenti ad esseri capaci
di utilizzare un linguaggio, ma anche di animali.
Es. qam piede > qamDu’ piedi
tlhon narice > tlhonDu’ narici
⸭ -mey→ è il suffisso che viene utilizzato per formare il plurale di qualsiasi
nome, tranne che per le parti del corpo.
Es. yuQ pianeta > yuQmey pianeti
Quando –mey viene utilizzato per formare il plurale di nomi riferiti a esseri capaci
di usare un linguaggio, il suffisso conferisce un’idea di ‘sparso, sparpagliato
ovunque’. Si confronti:
puq bambino
puqpu’ bambini
puqmey bambini dappertutto
67
Infine, alcuni nomi in klingon sono sempre plurali nel significato, come accade
per i nomi collettivi nell’italiano, e non prendono mai il suffisso del plurale. In
altre parole, sono già nomi plurali e, inoltre, le loro corrispondenti forme singolari
sono parole totalmente diverse:
ray’ obiettivi
DoS obiettivo
cha siluri
peng siluro
chuyDaH propulsori
vIj propulsore
Suffissi di Tipo 3
Questo tipo di suffisso è di tipo ‘qualitativo’ e serve a indicare l’atteggiamento del
parlante nei confronti del nome che utilizza oppure a esprimere quanto egli è sicuro
dell’appropriatezza nel nome. Esistono tre suffissi appartenenti a questa categoria:
⸭ -qoq→ conferisce al nome una particolare sfumatura di significato. Si potrebbe
dire che è il suffisso utilizzato per sottintendere il concetto di ‘cosiddetto’.
Es. rojqoq ‘la cosiddetta pace’ → da roj (=pace) + -qoq
In questo caso, il parlante non crede davvero che la pace sia legittima oppure
che non durerà ancora per molto; in caso contrario avrebbe utilizzato
semplicemente la parola roj.
⸭ -Hey→ si potrebbe tradurre come ‘apparentemente’. Viene utilizzato quando il
parlante è quasi sicuro che il nome usato per designare l’oggetto sia preciso e
appropriato, ma nutre ancora qualche dubbio. Okrand (1985, p.25) riporta
l’esempio molto esaustivo di due ufficiali che guardano un radar e, al comparire
di un puntino sospetto, uno dei due chiede all’altro di cosa potrebbe trattarsi e
l’altro risponde DujHey ‘sembra essere una navicella’, invece di utilizzare
semplicemente il nome klingon per navicella, Duj. Questo esempio viene
portato avanti per spiegare meglio anche il prossimo e ultimo suffisso.
⸭ -na’→ indica che non c’è dubbio nel parlante sull’appropriatezza del termine
che utilizza. Continuando con l’esempio di prima, l’ufficiale a cui è stata posta
68
la domanda adesso guarda fuori dalla cabina di comando e avvista la navicella,
quindi adesso i suoi sospetti sono stati confermati. Allora si rivolge di nuovo
all’altro ufficiale e dice Dujna’, ‘decisamente/indubbiamente una navicella’.
Suffissi di Tipo 4
I suffissi di Tipo 4 fanno parte della categoria di suffissi più numerosa. Tra i
principali suffissi in questa categoria ritroviamo gli aggettivi possessivi e
dimostrativi.
Aggettivi Possessivi
Suffisso possessivo
Significato
Esempi con juH (=casa)
-wIj
-lIj
-Daj
-maj
-raj
-chaj
mio
tuo
suo
nostro
vostro
loro
juHwIj = casa mia
juHlIj = casa tua
juHDaj = casa sua
juHmaj = casa nostra
juHraj = casa vostra
juHchaj = casa loro
Per esprimere, invece, la costruzione ‘nome X possiede nome Y’ non viene
utilizzato nessun suffisso: la possessione è data dall’ordine sintattico dei costituenti,
il quale deve necessariamente seguire un ordine fisso
(1) POSSESSORE + (2) POSSEDUTO
jagh
(=nemico)
nuH
(=arma)
jaghnuH (=l’arma del nemico)
Aggettivi dimostrativi
Anche i dimostrativi vengono espressi tramite dei suffissi. Essi restano invariati
69
anche se riferiti ad un nome plurale. Si vedano i seguenti esempi con nuH ‘arma’ e
yuQ ‘pianeta’.
-vam ‘questo’
-vetlh ‘quello’
Es. nuHvam → quest’arma
Es. nuHvetlh → quell’arma
yuQvam → questo pianeta
yuQvetlh → quel pianeta
Suffissi di Tipo 5
Questo tipo di suffissi svolgono la funzione di marcatori sintattici. In altre parole
sono utilizzati per espletare la funzione del nome all’interno della frase.
Come in inglese (ma anche in italiano), il soggetto e il complemento oggetto
sono individuabili dalla posizione che occupano nella frase.
Julie loves Mark
Mark loves Julie
Anna saluta Claudia
Claudia saluta Anna
Allo stesso modo, anche il klingon utilizza l’ordine dei costituenti per determinare
la funzione del nome (cfr. par. 2.3.3), ma questa condizione vale solamente per la
determinazione del soggetto e del complemento oggetto. Per tutte le altre funzioni,
che in inglese e italiano vengono espresse attraverso preposizioni, in klingon
vengono espresse mediante suffissi.46
-Daq→ il suffisso indica che qualcosa accade nel luogo in cui si trova il nome a
cui è attaccato. Esso corrisponde all’elemento che in inglese è introdotto dalla
preposizione to, in, at, on, e, in italiano, dalla preposizione in. In altre parole,
esprime lo stato in luogo.
Klingon
Inglese
Italiano
pa’Daq jIHtaH
I’m in the room
Sono nella stanza
46 Verranno riportati i suddetti suffissi del Klingon, i quali verranno messi a paragone con la lingua
inglese e con quella italiana.
70
-vo’→ questo suffisso è simile al prefisso –Daq, ma viene utilizzato quando
un’azione si sposta via dal nome a cui è attaccato.
Klingon
Inglese
Italiano
pa’vo’ yIjaH
Leave the room!
Esci dalla stanza!
-mo’→ esprime la causa dell’azione espressa.
Klingon
Inglese
Italiano
SuSmo’ joqtaH
It [the flag]is fluttering
La bandiera sventola a
because of the breeze
causa della brezza
-vaD→ questo suffisso viene utilizzato per esprimere lo scopo dell’azione
oppure indica che il nome a cui esso è attaccato è il beneficiario dell’azione, la
persona o la cosa per cui l’azione si verifica.
Klingon
Inglese
Italiano
Qu’vaD lI’ De’vam
This
information
is
Questa informazione è
useful for the mission
utile per la missione
-’e’ → questo suffisso viene utilizzato per enfatizzare che il nome a cui esso è
attaccato è il topic della frase. In inglese, questa funzione è svolta da accorgimenti
prosodici o da speciali costruzioni sintattiche. Si veda l’esempio riportato sotto.
Klingon
Inglese
Italiano
lujpu’ jIH’e’
I, and only I, have failed
Io, e solo io, ho fallito
It is I who has failed
Sono io che ho fallito.
Una volta presa visione dei suffissi e dei princìpi di composizione morfo-sintattici,
si può procedere a qualche esempio che riassuma i sopracitati processi e metta in
pratica la regola prescrittiva dell’ordine composizionale dei suffissi.
71
QaghHommeyHeylIjmo’
A causa dei tuoi piccoli errori
Qagh (nome)
-Hom (suff. Tipo 1)
-mey (suff. Tipo 2)
-Hey (suff. Tipo 3)
-lIj (suff. Tipo 4)
-mo’ (suff. Tipo 5)
pa’wIjDaq
pa’(nome)
-wIj (suff. Tipo 4)
-Daq (suff. Tipo 5)
Duypu’qoqchaj
Duy’(nome)
-pu’ (suff. Tipo 2)
-qoq (suff. Tipo 3)
-chaj (suff. Tipo 4)
rojHom’e’
roj’(nome)
-Hom’ (suff. Tipo 1)
-’e’ (suff. Tipo 5)
I verbi
=errore
Suffisso Diminutivo
Suffisso Plurale
Suffisso ‘qualitativo’
=tuo, Suffisso Possessivo
Suffisso di Causalità
Nel mio ambiente
=ambiente
=mio, Suffisso Possessivo
Suffisso Locativo
I loro cosiddetti emissari
=emissario
Suffisso Plurale
Suffisso (=cosiddetto)
=loro, Suffisso Possessivo
La tregua
=pace
Suffisso Diminutivo
Suffisso ‘topic’
La maggior parte dei verbi del klingon consistono di forme monosillabiche, alle
quali possono essere aggiunti diversi affissi. A differenza dei nomi che ammettono
solamente l’aggiunzione di suffissi, i verbi ammettono anche i prefissi. Un’altra
cosa che i verbi hanno in comune con i nomi è che esistono diverse tipologie di
suffissi e che, anche in questo caso, devono seguire un ordine fisso. La struttura di
un verbo klingon può essere rappresentata con il seguente schema
PREFISSO – VERBO – SUFFISSI di TIPO: 1-2-3-4-5-6-7-8-9
72
Prefissi verbali pronominali
Qualsiasi verbo del klingon contiene un prefisso che indica chi o cosa compie
l’azione descritta dal verbo oppure chi o cosa subisce l’azione. Vale a dire che i
prefissi verbali indicano sia il soggetto che l’oggetto diretto della frase.
Una delle particolarità di questa lingua è che i prefissi verbali si fondono a
seconda della presenza dell’oggetto della frase, dando vita a nuovi prefissi. Se il
complemento oggetto è presente, la scelta del prefisso sarà determinata da
quest’ultimo. La tabella deve essere letta come una sorta di Quadrato di Punnett47,
dove, la colonna Nessuno (1) viene utilizzata quando nella frase non è previsto
l’oggetto diretto, per tutti gli altri casi, invece, si combinano le righe con le lettere
con le colonne numerate. I segni ‘–’ indicano che non è possibile creare una
combinazione e lo ‘0’ indica l’assenza del prefisso.
Oggetto
(1)
(2)
(3)
(4)
Soggetto Nessuno me
you
Him/her/it
(a)
(b)
I
You
(c) He/She/It
(d)
(e)
(f)
We
You
They
jI-
bI-
0
ma-
su-
0
—
qa-
cho-
—
mu- Du-
—
tu-
pI-
—
mu-
nI-
vI-
Da-
0
wI-
bo-
lu-
(5)
us
—
ju-
nu-
—
che-
nu-
(6)
(7)
you
them
Sa-
vI-
—
lI-
re-
—
lI-
Da-
0
DI-
bo-
0
Per maggiore chiarezza, è necessario riportare un paio di esempi, poiché si tratta
di un sistema di composizione atipico nelle lingue naturali. Si prenda in esame il
verbo ‘vedere’, legh:
6. ‘Io vedo’ → jIlegh→ si combinano gli elementi (a)+(1)
7. ‘Egli vede’→ legh→ si combinano gli elementi (c)+(1)
8. ‘Io vedo te’→ qalegh→ si combinano gli elementi (a)+(3)
9. ‘Noi vediamo loro’→ DIlegh→ si combinano gli elementi (d)+(7)
47 Il quadrato di Punnett è un diagramma ideato dal genetista Reginald Punnett e utilizzato in biologia
per determinare la probabilità con cui si manifestano i diversi fenotipi derivati dall’incrocio di diversi
genotipi. Il quadrato di Punnet è praticamente una matrice che combina, esattamente come nella
nostra tabella, i vari incroci genetici.
73
Suffissi Verbali
In klingon ci sono nove tipi di suffissi verbali. Così come accade per i nomi, essi
devono essere disposti secondo un ordine fisso e non possono comparire
contemporaneamente ad un altro suffisso appartenente alla stessa tipologia.
Poiché il numero dei suffissi è molto elevato, non potranno essere riportati tutti, ma
verranno presentati solo i principali.
Suffissi di Tipo 1
-’egh→ (=se stesso) questo suffisso è usato quando l’azione descritta dal verbo
ricade sull’attante, il soggetto. Il tipo di prefisso da usare in questi casi (senza un
oggetto) è, dunque, quello della colonna Nessuno (1) della Tabella riportata nella
pagina precedente.
Es. jIqIp’egh ‘Mi colpisco (lett. io colpisco me stesso)’ [qIp=colpire]
bIqIp’egh ‘Ti colpisci (lett. tu colpisci te stesso)’
-chuq→ (=l’un l’altro) questo suffisso viene usato solamente quando il soggetto
è plurale.
Es. maqIpchuq ‘Noi ci colpiamo (lett. noi ci colpiamo l’un l’altro)’
Suffissi di Tipo 2
I suffissi di questa categoria esprimono quanto il soggetto è predisposto a compiere
l’azione.
nIS→ (=necessità) Es. qaleghnIs ‘Ho bisogno di vederti’
bISopnIS ‘Hai bisogno di mangiare’ [Sop= mangiare]
-qang→ (=essere disposto a) Es. qaja’qang ‘Sono disposto a dirtelo’ [ja’=dire]
Heghqang ‘Egli è disposto a morire’ [Hegh=morire]
-vIp→ (=paura) Es. choHoHvIp ‘Hai paura di uccidermi’ [HoH= uccidere]
muqIpvIp ‘Loro hanno paura di colpirci’ [qIp=colpire]
Suffissi di Tipo 3
Questi suffissi indicano che l’azione descritta dal verbo riguarda un cambiamento
di cose che si verifica prima che l’azione abbia luogo.
74
-choH→ viene utilizzato per i cambiamenti di stato o di direzione.
Es. maDo’choH ‘stiamo diventando fortunati’ [Do’=essere fortunati]
Suffissi di Tipo 4
Questo tipo di suffissi indica che il soggetto sta innescando un cambiamento di una
condizione o generando una nuova condizione.
-moH→ (=causa) Es. tIjwI’ghom vIchenmoH ‘Io formo una squadra di
abbordaggio’ [tIjwI’ghom= squadra di abbordaggio; chen=dare forma]
Suffissi di Tipo 5
Ci sono solo due suffissi in questa categoria:
-lu’→ questo suffisso viene usato per indicare che il soggetto è sconosciuto.
Es. Soplu’ ‘Qualcuno lo mangia’ [Sop=mangiare]
-laH→ questo suffisso viene utilizzato per esprimere la possibilità e l’abilità di
fare qualcosa. Corrisponde, in altre parole, al can/be able dell’inglese.
Es. jIQonglaH ‘Posso dormire’ [Qong= dormire]
choleghlaH ‘Puoi vedermi’ [legh= vedere]
nuQaw’laH ‘Egli/ella può distruggerci’ [Qaw’= distruggere]
Suffissi di Tipo 6
I suffissi che fanno parte di questa categoria sono quelli che mostrano quanto certo
è il parlante nei confronti di ciò che viene detto.
Se ne contano tre:
-chu’→ (=chiaramente, perfettamente)
Es. jIyajchu’ ‘Capisco perfettamente’ [yaj=capire]
-bej→ (=certamente, indubbiamente)
Es. chImbej ‘è indubbiamente vuoto’ [chIm= essere vuoto]
75
-law’→ (=apparentemente)
Es. chImlaw’ ‘sembra essere vuoto’
nuSeHlaw’ ‘sembra che [egli/ella] ci stia controllando’ [SeH=controllare]
Suffissi di Tipo 7
I Suffissi della categoria 7 sono quelli riguardanti l’aspetto del verbo. Il klingon non
esprime formalmente i tempi verbali, ma essi emergono dal contesto o da parole
della frase che specifichino la dimensione temporale in cui l’azione si svolge (ad
esempio avverbi di tempo, quali wa’leS ‘domani’).
Eppure, pur non avendo una marca dell’aspetto verbale, la lingua utilizza dei
mezzi per esprimere se un’azione è completa o non ancora, o se un’azione è un
evento unico o continuato.
Inoltre, l’assenza del suffisso di Tipo 7 indica che l’azione non è completa e non è
continua e i verbi senza questi suffissi vengono tradotti in inglese con il Present
Simple.
-pu’→ questo suffisso indica che l’azione è completa, quindi riguarda la
perfettività del verbo.
Es. vIneHpu’ ‘Io li volevo’ [neh=volere]
-taH→ il suffisso indica che un’azione è in corso.
Es. nughoStaH ‘Si sta avvicinando a noi’ [ghoS=avvicinarsi]
Suffissi di Tipo 8
C’è solo un suffisso in questa categoria e viene utilizzato per esprimere educazione
e deferenza. Esso viene utilizzato quando ci si rivolge ad un superiore, o qualcuno
appartenente ad un rango superiore nella scala sociale.
-neS→ Es. qaleghneS ‘Io sono onorato di vederti’ [legh= vedere]
Suffissi di Tipo 9
La categoria 9 dei suffissi è simile a quella di Tipo 5 per i suffissi dei nomi. Questi
76
suffissi tracciano il ruolo del verbo all’interno della frase e verranno brevemente
schematizzati nella tabella riportata qui di seguito.
Suffisso
-DI’
-chugh
-pa’
Significato/Ruolo Esempio
Traduzione
‘Quando’
qara’DI’
‘Quando te lo
ordino’
‘Se’
choja’chugh
‘Se me lo dici’
‘Prima di..’
choja’pa’
‘Prima che tu mi
dica’
-vIS
‘Mentre’
bIQongtaHvIS
‘Mentre stai
dormendo’
-bogh
Frase relativa
qIppu’bogh yaS
‘L’ufficiale che
l’ha colpito’
-meH
‘Per’ (scopo)
jagh luHoHmeH
‘Cercano il nemico
lunejtaH
per ucciderlo’
Domanda si/no
cholegh’a’
‘Mi vedi?’
yaj’a’
‘Lui mi capisce?’
‘Colui che fa…’
joqwI’
‘Bandiera’
[joq=sventolare]
-’a’
-wI’
Aggettivi
In klingon non esistono aggettivi, o meglio, essi non vengono distinti in una
categoria a parte. I significati portati dagli aggettivi vengono espressi in klingon
attraverso i verbi stessi. In klingon, infatti non esiste il concetto di ‘stanco’ come
mera qualificazione del nome, ma esso viene espresso tramite predicato nominale,
come l’esempio che segue:
‣ puq ‘bambino’; Doy’ ‘essere stanco’ → puq Doy’ = bambino stanco
‣ Dujmey ‘navi’; tIn ‘essere grande’→ Dujmey tIn = grandi navi
Altri tipi di parole
Ciò che Okrand nel suo The Klingon Dictionary inserisce nella categoria
«everything else», sono tutti quegli elementi linguistici che non sono né nomi né
verbi. In sostanza, si parla di pronomi (questa volta però intesi come singole parole
77
indipendenti e non come suffissazioni pronominali che si attaccano ai verbi),
numeri, congiunzioni, avverbi, esclamazioni, nomi e appellativi. Queste parole non
verranno, però, analizzate, poiché non presentano caratteristiche particolari come
le costruzioni morfologiche riguardanti i nomi e i verbi. Per un approfondimento
esaustivo, si rimanda al libro di Okrand, The Klingon Dictionary.
2.3.3 Sintassi
La struttura fraseologica di base del klingon è
OGGETTO – VERBO – SOGGETTO
A differenza dell’inglese, che ha una struttura sintattica di tipo SVO (come anche
l’italiano), questo tipo di disposizione sintattica prevede il soggetto sulla destra e il
complemento oggetto sulla sinistra. L’importanza dell’ordine delle parole
all’interno di una frase può essere sottolineata dall’esempio che Okrand stesso
riporta nel suo libro. (Okrand:1985, p.60)
puq= bambino; legh= vedere; yaS= ufficiale
puq legh yaS→ l’ufficiale vede il bambino
yaS legh puq→ il bambino vede l’ufficiale
In entrambe le frasi non ci sono elementi che ci permettano di capire chi compie
l’azione e chi la subisce, l’unico modo di individuare il ruolo degli attanti è quello
di rintracciare la posizione che occupano all’interno della frase.
2.3.4 Conclusioni
Ci sarebbero troppe altre cosa da dire, da approfondire. Strutture degne di nota da
analizzare, eppure non basterebbe nemmeno tutta questa trattazione per indagare la
lingua nella sua interezza.
Ciononostante, era necessario inserirla (seppur a grandi linee) in questo lavoro sulle
conlangs, poiché il klingon è probabilmente la lingua artificiale che tra tutte ha
avuto maggior seguito nella storia. Tutte le altre lingue vengono sì studiate,
analizzate, ad esse vengono dedicati interi corsi nelle università più prestigiose che
78
si occupano di analizzarle e studiarle, ma il klingon occupa un posto privilegiato
nella scala d’importanza (se così si può definire) delle conlangs.
Prima di tutto, si deve riconoscere l’importanza di avere dietro di sé un’istituzione
linguistica creata con lo scopo di promuovere e supportare la lingua, nonché di
organizzare conferenze, riunendo così le varie comunità interessate ad essa. Si sta
certamente parlando del già citato Klingon Language Institute, il quale si descrive
in questo modo sul suo sito web, nella sezione About the KLI:
«In operation since 1992, the Klingon Language
Institute continues its mission of bringing together
individuals interested in the study of klingon
linguistics and culture, and providing a forum for
discussion and
the exchange of
ideas. Our
membership is diverse, including Star Trek fans
with curiosity and questions about klingon
Figura 7
language, RP gamers wishing to lend some authenticity to a klingon character, as
well as students and professionals in the fields of linguistics, philology, computer
science, and psychology who see the klingon language as a useful metaphor in the
classroom or simply wish to mix vocation with avocation. Though based in the USA,
the Institute is actually an international endeavor, presently reaching thirty
countries, and all seven continents.»48
In secondo luogo non si può non menzionare
l’iniziativa della piattaforma online per
l’apprendimento delle lingue, Duolingo49, la
quale ha inserito il klingon come protagonista
di un corso di lingua che conta ad oggi
Figura 8
424.000 apprendenti attivi. Il corso si deve al lavoro di Felix Malmenbeck, uno
svedese appassionato della saga che parla il klingon fluentemente e che ha proposto,
dunque, di costruire questo corso.50
48 https://www.kli.org/about-the-kli/
49 https://www.duolingo.com/course/tlh/en/Learn-Klingon-Online
50https://www.repubblica.it/tecnologia/mobile/2018/03/16/news/star_trek_adesso_puoi_imparare_i
l_klingon-191433847/
79
Infine, non è da sottovalutare l’importanza dell’inserimento del klingon in altre
serie tv di successo. Giusto per citarne una, la pluripremiata serie tv The Big Bang
Figura 9
Theory, che narra le vicende di un gruppo
di scienziati ‘nerd’ alle prese con le
relazioni sociali, con nuove scoperte
scientifiche, fumetti, serie tv e tutto
quello che fa parte del mondo ‘nerd’.
L’influenza che Star Trek ha avuto su uno
dei telefilm più seguiti al mondo è
evidente. Lo stesso Chuck Lorre, ideatore
della serie tv, dedica alla morte di
Leonard Nimoy, regista del terzo e del
quarto film della saga (vedi nota 41)
nonché attore che interpretò il vulcaniano Spock, una delle sue Vanity Card51.
Ma, ancora di più, il tributo più grande alla serie sono i molti dialoghi in lingua
klingon presenti nella serie tv. Il klingon viene utilizzato a volte come codice per
non
farsi comprendere52, per
apparire più minaccioso durante
un litigio con qualcuno53, oppure
semplicemente per giocare a
qualche gioco da tavola.54
Figura 10
Tirando le somme, il successo della lingua di Okrand si deve, prima di tutto,
senza dubbio all’accuratezza linguistica con cui egli ha creato questo sistema di
comunicazione, ma anche (e forse soprattutto) alla scelta appropriata del sistema
fonetico, il quale ha conferito a questa lingua aliena un tono di asprezza e crudezza
che si rispecchia perfettamente con l’aspetto esteriore, e non solo, dei suoi parlanti.
51 Le Vanity Cards sono delle schermate che appaiono alla fine dei titoli di coda di ogni telefilm
prodotto da Chuck Lorre in cui il regista scrive delle riflessioni riguardanti ogni aspetto della vita, o
della produzione della serie tv in questione. Si tratta, dunque, di una sorta di diario personale
raccolto, pagina per pagina, sul sito ufficiale di Lorre (cfr. http://www.chucklorre.com/)
52 The Big Bang Theory – Episodio 10×07 (https://www.youtube.com/watch?v=rfR03gibh6M)
53 The Big Bang Theory – Episodio 3×05 (https://www.youtube.com/watch?v=imkVsuB_vmg)
54 The Big Bang Theory – Episodio 2×07 (https://www.youtube.com/watch?v=xAG3gGzaVUo)
80
CAPITOLO III- Le Lingue di Game of Thrones
Si giunge, adesso, al fulcro dell’analisi: il proposito di questa trattazione è, infatti,
analizzare le lingue create per la serie tv Games of Thrones.
La serie firmata HBO55 trae spunto dalla saga fantasy, A Song of Ice and Fire, un
ciclo di romanzi ad opera dello scrittore George R.R. Martin.
3.1 Struttura della saga
La saga si compone di sette libri, ognuno dei quali è suddiviso in capitoli dedicati
ai singoli personaggi, provvedendo, così, ad un continuo mutamento della
prospettiva da cui il lettore si approccia alla storia.
Volume
Titolo
Anno di pubblicazione
1
2
3
4
5
6
7
A Games of Thrones
A Clash of Kings
A Storm of Swords
A Feast for Crows
A Dance with Dragons
The Winds of Winter
A Dream of Spring
1996
1999
2000
2005
2011
In produzione
In produzione
Come si può notare dalla tabella sopra riportata, la pubblicazione del primo libro
risale a più di vent’anni fa e tutt’ora la stesura della saga resta in corso d’opera.
Nonostante il lungo lasso di tempo in cui la saga si distende, l’opera di Martin vanta
di una delle fan base più numerose della storia: un séguito che ha attirato le
attenzioni dell’emittente HBO.
La serie, diretta da David Benioff e D.B. Weiss, sotto la supervisione dello stesso
Martin (egli è uno dei produttori esecutivi della serie), trasmette l’episodio pilota il
17 aprile 2011, appassionando i fan stagione dopo stagione, i quali fino ad oggi
attendono con ansia la messa in onda dell’ultima stagione prevista per l’aprile 2019.
55 HBO, acronimo di Home Box Service, è il nome di un’emittente televisiva statunitense.
81
3.2 Sinossi dell’opera
La storia è ambientata in un mondo immaginario, e si svolge tra i due continenti
principali, Westeros ed Essos, rispettivamente il continente occidentale e quello
orientale.
Figura 1
Valyria
Le vicende si svolgono all’interno di un’ambientazione di tipo medievale,
accompagnate da elementi fantastici e creature leggendarie, come draghi, giganti o
metalupi.
La trama prevede un intreccio di tre linee narrative differenti:
‣ Le contesa del Trono di Spade, sul
quale siederà il re dei Sette Regni, tra le
sette casate nobiliari principali di
Westeros.
Figura 2
‣ Il risveglio di creature mostruose e spietate al di là della Barriera al Nord. Nella
mappa, questa zona è contrassegnata dalla denominazione ‘Winter’. A questo
82
proposito, è necessario sottolineare come lo scorrere delle stagioni non corrisponde
Figura 3
a
quello
reale.
L’ultima estate, ad
esempio, è durata ben
nove anni e si prevede
un inverno altrettanto
lungo. L’inverno è
associato
ad
una
dimensione oscura e
funesta,
dove
l’avvento delle spietate creature al di là della Barriera, gli Estranei, rende frenetica
la preparazione dei Guardiani della Notte56 ad affrontare la minaccia che gli
Estranei, con il loro esercito di non non-morti, rappresentano.
‣ Le vicissitudini
dell’ultima legittima
erede
al
trono,
Daenerys Targaryen
(interpretata
da
Emilia
Clarke),
mandata in esilio nel
continente orientale,
Figura 4
che, passo dopo passo, conquista le terre dell’Essos, costruendo così il suo esercito,
con l’aiuto dei suoi fedeli servitori e dei suoi tre draghi. L’obiettivo che si pone
Daenerys, uno dei personaggi preferiti dai lettori, è quello di partire alla riconquista
del Trono di Spade, che le spetta di diritto, verso Westeros.
56 I Guardiani della Notte servono il regno vegliando alla Barriera e dedicando interamente la loro
vita alla protezione dei Sette Regni. Il giuramento rende esplicito il legame tra il singolo individuo
e la confraternita, tracciando linee nette sui ruoli che i Guardiani devono rivestire.
«Hear my words and bear witness to my vow. […] Night gathers, and now my watch begins. It shall
not end until my death. I shall take no wife, hold no lands, father no children. I shall wear no crowns
and win no glory. I shall live and die at my post. I am the sword in the darkness. I am the watcher
on the walls. I am the fire that burns against cold, the light that brings the dawn, the horn that wakes
the sleepers, the shield that guards the realms of men. I pledge my life and honor to the Night’s
Watch, for this night and all the nights to come.» (Martin G.R.R., A Game of Thrones, 2011, Bantam
Books, p.522).
83
3.3 Le conlangs di Game of Thrones – L’alto valyriano
La storia che verrà seguita in questa trattazione è quella riguardante le vicende
legate al personaggio di Daenerys Targaryen – e tutte le persone con cui entra in
contatto. La legittima erede al Trono di Spade è il personaggio che più viene
coinvolto nei processi più prettamente linguistici – che sono quelli di cui si discuterà
in questo capitolo. In particolare le lingue che verranno prese in esame saranno
l’alto valyriano e il dothraki, le conlangs create per la serie tv dal linguista
americano David J. Peterson.
Prima di concentrarci sull’aspetto linguistico, è necessario fornire il contesto storico
a partire dal quale la storia di Daenerys si viene a delineare.
I Targaryen erano una delle antiche casate, chiamate anche Signori dei Draghi57,
che governavano sulla Fortezza di Valyria, un impero molto esteso nel continente
orientale. Sebbene i Targaryen fossero una delle
Figura 5
famiglie meno influenti tra i Signori dei Draghi,
furono gli unici a sfuggire, insieme ai loro draghi,
al Disastro di Valyria, un cataclisma che distrusse
la Fortezza.
Le conseguenze del Disastro portarono i figli di
Valyria a sparpagliarsi per il continente, nelle
Città Libere, come Bravos o Volantis, oppure
nella Baia degli Schiavisti, come Mereen o Astapor, mescolandosi ai popoli
autoctoni e modificando così alcuni usi, costumi e anche la loro lingua d’origine,
l’alto valyriano.
I Targaryen, insieme ad altri valyriani, si insediarono nel continente occidentale,
stanziandosi sulla costa orientale del continente di Westeros. Una volta stabiliti lì,
Aegon il Conquistatore unificò i Sette Regni, che allora erano separati, sotto
un’unica corona con capitale Approdo del Re, il luogo del primo insediamento.
Dopo questo breve accenno di contestualizzazione storica, si può avviare
l’analisi della lingua madre della casata Targaryen, ovverosia l’alto valyriano.
57 Vennero chiamati Signori dei Draghi perché riuscirono a domare i draghi, trasformandoli in
spietate macchine da guerra.
84
3.3.1 Genealogia dell’alto valyriano
L’apporto linguistico che Martin offre alla lingua è minimo ma essenziale. Martin
non è un linguista o un filologo. Lo confermano le sue parole rilasciate in
un’intervista58, in cui spiega «Tolkien was a philologist, and an Oxford don, and
could spend decades laboriously inventing Elvish in all its detail. I, alas, am only a
hardworking SF and fantasy novel, and I don’t have his gift for languages. That is
to say, I have not actually created a Valyrian language. The best I could do was try
to sketch in each of the chief tongues of my imaginary world in broad strokes, and
give them each their characteristic sounds and spellings.»
In sostanza, Martin offre a Peterson come punto di partenza un albero genealogico
e sei sole parole (oltre ai nomi propri di persona), di cui si discuterà nel prossimo
paragrafo.
La discendenza linguistica dell’alto valyriano può tradursi con la rappresentazione
del seguente albero genealogico.
Il metodo migliore per approcciarsi alle lingue valyriane è considerarle, non come
lingue differenti, ma come diversi dialetti che vanno sempre più risultando in una
lingua altra, proprio come conferma una frase pronunciata da uno dei personaggi
principali della saga, Tyrion Lannister (interpretato nello show da da Peter
58 http://www.westeros.org/Citadel/SSM/Entry/1250/
85
Dinklage), il quale, a proposito dell’alto valyriano, dice: «He had learned to read
High Valyrian […] well, it was not so much a dialect as nine dialects on the way to
becoming separate tongues.»59
Seguendo le diramazioni del nostro albero genealogico, possiamo tracciare una
linea sugli avvenimenti che causarono questa divisione. Circa cinquemila anni
prima delle vicende narrate nella storia, l’Impero Valyriano invase e devastò
l’Impero Ghiscari a Est, soppiantando, quindi, la lingua Ghiscari con l’alto
valyriano. Nel corso dei secoli, l’alto valyriano si suddivise in basso valyriano,
parlato all’interno dell’Impero di Valyria, e in alto valyriano dell’Impero Ghiscari,
il quale si mescolò con la lingua Ghiscari, risultando in una sorta di lingua creola
Basso Valyriano del Nord
avente l’alto valyriano come
lingua principale.
Il basso valyriano, invece, si
diffuse, a Nord e a Est, nelle
Città Libere, producendo altri
miscugli di lingue. Potremmo,
in un certo senso, paragonare
l’alto valyriano al latino, il quale
Basso Valyriano del Sud
conta, nelle sue discendenze, le
lingue romanze. Allo stesso
modo, l’alto valyriano si evolve
in lingue che da esso discendono, ma che risultano in lingue abbastanza diverse tra
loro.
Nonostante il processo di discendenza linguistica sia praticamente analogo a quello
del latino e delle sue lingue figlie, è indiscutibile come questa attenzione alle
famiglie linguistiche innalzi il valore ‘linguistico’ della saga, rispetto agli altri
esempi di lingue artificiali, i quali ‘si limitano’ alla mera creazione di una lingua,
senza preoccuparsi delle loro storie, fatta eccezione per Tolkien. Ma, a differenza
59 Martin G.R.R., A dance with dragon, Capitolo I, Tyrion (è stata consultata una versione ebook di
questo libro, per cui è stato possibile inserire le pagine precise, ma solo un riferimento al capitolo
da cui il passo riportato è stato estrapolato.)
86
del modus operandi di Tolkien, il quale in una sua lettera scrive «To me a name
come first and the story follows»60, Martin ritiene che la storia sia la base a cui,
successivamente, tutti gli altri elementi di contorno debbano piegarsi.
Pertanto, il motivo per cui Martin si preoccupa di regalare all’alto valyriano una
‘storia familiare’ è quello di «establish the authenticity of an otherwise fantastical
realm.»61
3.3.2 Genesi della lingua
Il processo di creazione dell’alto valyriano, come si è detto precedentemente, si
sviluppa a partire da alcune parole presenti nei romanzi, da cui Peterson
successivamente estrapola una grammatica. A differenza del processo per la
creazione del dothraki (di cui si parlerà nel paragrafo 3.4), la base lessicale da cui
parte Peterson è senza dubbio più scarna. Egli infatti disponeva di sole sei parole e
di un vasto numero di nomi propri.
Il nostro linguista stesso, durante un’intervista, spiega: «There were really only two
phrases. Valar Morghulis and Valar Dohaeris. Those were the only phrases. After
that, there was one or two words here and there, like ‘valonqar’, which we know
means ‘little brother’».62 Le due frasi in questione, tradotte come ‘Tutti gli uomini
devono morire’ e ‘Tutti gli uomini devono servire’, furono la vera ispirazione per
la creazione dell’alto valyriano. Il punto di partenza del momento glossopoietico fu
proprio l’analisi di queste due uniche frasi, Valar Morghulis e Valar Dohaeris. Nel
suo libro The Art of Language Invention, Peterson spiega che Martin, con queste
due frasi, ha fornito delle informazioni preziose.
Comparandole nella seguente tabella, emerge che,
Valar Morghulis
All men must die
Valar Dohaeris
All men must serve
Tutti gli uomini devono morire
Tutti gli uomini devono servire
in primo luogo, poiché l’unica parola che si ripeteva in entrambe le frasi era valar,
60 Cfr. Battis and Johnston: 2015, p.19
61 Ibidem
62 https://www.geek.com/tech/you-can-now-learn-high-valyrian-from-duolingo-1707761/
87
Peterson ipotizza che questa fosse la parola per ‘all men’, mentre attribuiva alla
parola morghulis il significato di ‘die’ e a dohaeris quello di ‘serve’.
Fin qui, l’attribuzione di significato sembrerebbe semplice ed immediata. Restava,
quindi, da capire in che modo venissero espressi i concetti di ‘tutti’ e ‘devono’.
Dal momento in cui il concetto di ‘tutti’ non viene reso con una parola a sé stante,
e che Peterson non aveva intenzione di costruire una lingua con aggettivi espressi
mediante suffissi, decide di agire all’interno della sfera riguardante l’espressione
del numero. Per cui, afferma: «If High Valyrian had not only a singular and plural
number but also a collective, that collective number could be interpreted as “all”
given in the right context. I decided, then, that valar would be the collective of a
singular vala.»63 Inoltre, per riequilibrare il sistema, aggiunge anche il paucale, e
cioè il ‘plurale di pochi’. Per cui, viene fuori uno schema come il seguente.
Numero Accordo Verbale
A chi si riferisce
Singolare
Uno
Singolare
Un attore
Plurale
Molti
Plurale
Collettivo
Tutti
Singolare
Paucale
Pochi
Plurale
Molti attori non trattati come
un’unica unità coesa
Molti attori trattati come un’unica
unità coesa
Piccola quantità di attori non
trattati come un’unica unità coesa
Valar, quindi, verrà trattato come una terza persona singolare e ‘tutti gli uomini’
come un’unità indivisibile.
Una volta stabilito questo parametro, Peterson sposta la sua attenzione sui verbi.
Le due forme verbali, offerte da Martin, presentano due suffissi identici per
esprimere due significati altrettanto identici. Vale a dire che sia morghulis che
dohaeris terminano con il suffisso –is. Ciò significa che il suffisso rappresenta il
concetto di ‘must’.
63 Peterson, The art of language invention, 2015, Chapter 3 – Case Study
88
La somiglianza storica tra l’Impero Valyriano e l’Impero Romano contribuì alla
creazione di un sistema linguistico che somigliasse, per certi aspetti al latino. Come
l’Impero Romano, l’Impero di Valyria si espanse e diffuse l’utilizzo del valyriano,
così come era accaduto con il latino. Dopo la caduta dei due Imperi, si avviò un
processo di trasformazione linguistica, il quale portò le due lingue alla
disgregazione, risultante nelle diverse lingue romanze, nel caso del latino, e nelle
lingue valyriane, nel caso dell’alto valyriano. Pertanto, notando le innegabili
somiglianze, Peterson decise che la sua lingua avrebbe dovuto ricordare il latino.
La somiglianza con il latino emerge soprattutto nel processo di creazione dei verbi,
non privo, questo, di complicazioni.
Per creare il sistema verbale, Peterson abbozzò una sorta di proto-valyriano allo
scopo di semplificare il suo lavoro. Il proto-valyriano servì come base d’appoggio
della quale poi ipotizzare l’andamento evoluzionistico che le lingue naturali sono
solite seguire.
Da questa proto-lingua ricava due radici verbali, una perfettiva e una imperfettiva,
da cui
fa derivare sette
tempi verbali: presente,
imperfetto, perfetto,
piuccheperfetto, futuro, passato abituale e aoristo. Su quest’ultimo, è necessario
soffermarsi per portare alla luce qualche esempio, poiché si tratta di un tempo
verbale particolare, nonché del tempo verbale in cui sono coniugate le frasi Valar
Morghulis e Valar Dohaeris. Inoltre, è necessario sottolineare come Peterson
attribuisca all’aoristo esattamente la stessa funzione che Tolkien attribuisce
all’aoristo nel quenya (vedi par. 2.1.1.2). Si vedano gli esempi proposti dallo stesso
Peterson:
Presente
Aoristo
Alto valyriano
Jaohossa rhovis
Jaohossa rhovisi
Inglese
Italiano
The dogs are barking
Dogs Bark
I cani stanno abbaiando
I cani abbaiano
Jaohossa rhovis indica che dei cani stanno abbaiando contemporaneamente al
momento dell’enunciazione. Jaohossa rhovisi, invece, si riferisce ad una
condizione generica, sempre vera. Dal momento in cui l’aoristo non è un tempo
89
presente né in italiano né in inglese, esso viene espresso in traduzione con il
presente semplice in entrambe le lingue.
Se si sostituisse il plurale jaohossa con la corrispondente forma collettiva jaohor e
si coniugasse il verbo al tempo aoristo, si avrebbe lo stesso esatto significato
espresso dalla frase Valar Morghulis/Dohaeris.
Ritornando alla costruzione del sistema verbale, il processo, nonostante venga
solitamente trattato in contesto moforlogico, verrà qui anticipato, perché, come si è
detto precedentemente, è proprio dall’invenzione dei verbi che Peterson sviluppa
l’intera lingua.
I verbi
Come avviene in tutte le lingue naturali, anche nell’alto valyriano si distinguono
verbi regolari e verbi irregolari, da cui derivano differenti processi di coniugazione.
Per quanto riguarda i verbi regolari, si distinguono:
Verbi con radice che termina per consonante;
Verbi con radice che termina per vocale.
Ognuno di essi si suddivide in diverse sottocategorie, delle quali si discuterà
dettagliatamente nelle descrizioni dei singoli tempi verbali.
I verbi dell’alto valyriano vengono inquadrati secondo una triplice visione
prospettica. In altre parole, essi vengono suddivisi a seconda di tre diversi criteri:
tempo/aspetto, modo e diatesi.
Tempo e Aspetto Verbale
I tempi verbali dell’alto valyriano sembrano seguire un modello predefinito che
potrebbe essere inteso come una combinazione di tempo e aspetto.
Aspetto di base Aspetto Imperfettivo Aspetto perfettivo
Tempo Presente Presente
Futuro
Perfetto
Tempo Passato
–
Imperfetto
Piuccheperfetto
Senza Tempo
Aoristo
–
Passato Abituale
90
Per quanto riguarda il Presente, esso viene utilizzato per situazioni che si stanno
verificando al momento in cui si parla. A differenza dell’inglese, dove il tempo
presente viene utilizzato per azioni abituali, dunque, atemporali (I speak Valyrian),
o verità assolute (One plus one is two), l’alto valyriano esprime questi significati
attraverso il tempo aoristo.
Poiché abbiamo già chiarito i criteri di utilizzo dell’aoristo, si può procedere
all’analisi dell’Imperfetto. L’imperfetto viene utilizzato per indicare un’azione in
corso, specialmente se essa introduce un’azione più vicina temporalmente al
momento dell’enunciazione. Esso può essere tradotto con il Past Continous
dell’inglese (was/were {verb}ing). A differenza di molte lingue, incluso l’italiano,
l’imperfetto dell’alto valyriano non può essere utilizzato per l’espressioni di azioni
abituali che si svolgevano in un tempo antecedente al momento dell’enunziazione.
Questa funzione è svolta dal Passato Abituale, di cui si parlerà successivamente.
Per quanto riguarda il tempo Perfetto, esso viene utilizzato per indicare
un’azione considerata nella sua completezza, la quale si è svolta nel passato; mentre
il Piuccheperfetto viene usato per indicare la compiutezza o l’anteriorità temporale
di un evento rispetto ad un momento passato. Il Passato Abituale, invece, viene
utilizzato per esprimere azioni che erano abituali nel passato e che ora non lo sono
più; esso corrisponde all’inglese used to, mentre non troviamo corrispondenza con
l’italiano, poiché questa funzione nella nostra lingua è svolta dall’Imperfetto.
Il Futuro, infine, viene utilizzato per esprimere situazioni ed eventi – in un certo
senso – approssimativi, incerti. Si tratta di eventi che devono ancora verificarsi.
Modo Verbale
Il sistema verbale dell’alto valyriano prevede cinque modi:
‣ Indicativo, vale a dire il modo della certezza, il quale possiede tutti e sette i tempi
verbali previsti dalla lingua.
‣ Congiuntivo, e cioè il modo che serve ad esprimere un evento soggettivo, irreale,
91
non sicuro o non rilevante, presenta anch’esso tutti e sette i tempi verbali.
‣ Imperativo, utilizzato per esprimere esortazioni, divieti, preghiere, consigli in
maniera più o meno perentoria. Esso comprende solamente due tempi verbali
(Presente e Futuro).
‣ Infinito, il quale è destinato all’espressione di concetti generici e indeterminati.
Anche in questo caso, i tempi verbali previsti sono solamente due (Presente e
Futuro).
‣ Participio, il quale rappresenta l’elemento che partecipa alle funzioni del nome e
del verbo, il quale possiede cinque dei tempi verbali (Presente, Futuro, Perfetto,
Passato Abituale e Aoristo).
Diatesi
Le forme della diatesi previste per l’alto valyriano sono due: attiva e passiva.
Chiaramente, entrambe le forme prevedono un sistema di coniugazione tutto
proprio.
È necessario sottolineare la complessità del sistema verbale, poiché, è vero che la
distinzione tipologica delle coniugazioni verbali si riduce a due categorie (verbi la
cui radice termina in consonante e verbi la cui radice termina in vocale), ma a loro
volta, ognuna di queste categorie si suddivide in sottocategorie che presentano
coniugazioni proprie. Potremmo, a questo punto, stilare un elenco correlato di
sottocategorie:
Verbi la cui radice termina per consonante:
‣ Laterale e Vibrante→ l, r
‣ Occlusiva sonora→ b, g, d
‣ Occlusiva sorda→ p, t, k, q
‣ Fricativa→ h, s, z, gh, v, j
‣ Nasale→ n, m
‣ Palatale resonante→ lj, ñ
Verbi la cui radice termina per vocale: radice in a, e, i, o, u.
Risulta evidente quanto sia complesso contemplare tutte le possibilità di
coniugazione, motivo per il quale verrà riportata solo la tabella di coniugazione di
un verbo con radice terminante per consonante liquida (attivo) e di un verbo con
radice terminante per consonante occlusiva sonora (passivo). Per ulteriori
approfondimenti cfr. https://wiki.dothraki.org/High_Valyrian_Verb_Tables.
92
SCHEDA VERBALE RIEPILOGATIVA
Verbo con radice terminante per consonante liquida: jaelagon ‘volere’
Diatesi: Attiva
Indicativo
Presente Aoristo
Imperfetto Perfetto Piucch. Pas.Ab. Futuro
1 p.s.
jaelan
jaelin
jaelien
jēldan
jēlden
jēldin
jaelinna
2 p.s.
jaelā
jaelia
jaelilē
jēldā
jēldē
jēldia
jaelilā
3 p.s.
jaelza
jaelis
jaeliles
jēldas
jēldes
jēldis
jaelilza
1p.pl.
jaeli
jaelī
jaelilin
jēldi
jēldin
jēldi
jaelili
2p.pl.
jaelat
jaeliat
jaelilēt
jēldāt
jēldēt
jeldiat
jaelilāt
3p.pl.
jaelzi
jaelisi
jaelilis
jēldis
jēldis
jēldisi
jaelilzi
Congiuntivo
Presente Aoristo
Imperfetto Perfetto Piucch. Pas.Ab. Futuro
1 p.s.
jaelon
jaelun
jaelilon
jēldon
jēldan
jēldun
jaelilun
2 p.s.
jaelō
jaelua
jaelilō
jēldā
jēldo
jēldua
jaelilū
3 p.s.
jaelos
jaelus
jaelilos
jēldos
jēldos
jēldus
jaelilus
1p.pl.
jaeloty
jaeluty
jaeliloty
jēldoty
jēldoty
jēlduty
jaeluty
2p.pl.
jaelōt
jaeluat
jaelilōt
jēldōt
jeldōt
jēlduat
jaelilūt
3p.pl.
jaelosy
jaelusy
jaelilosy
jēldosy
jēldosy
jēldusy
jaelilusy
Imperativo
Presente
Aoristo
Futuro
Singolare
jaelās
jaeliās
jaelilās
Plurale
jaelātās
jaeliātās
jaelilātās
93
Presente
Futuro
Perfetto
Pass Ab
Aoristo
jaelare
jaelilare
jaelarior
jaelilarior
jēlda
jēldys
jēldan
jēldor
* jēldre
jaelire
jaelirior
Perfetto
jēldagon
Aoristo
jaeligon
Participio
Lunare
Solare
Terrestre
Acquatico
Infinito
Presente
jaelagon
Nota:
La desinenza è contrassegnata dal grassetto. Inoltre, si noti come nel dittongo
presente nella radice, per tutte le forme del perfetto, la prima vocale si innalza da
un punto di vista qualitativo, trasformandosi in e. Per cui, risultando in ee, viene
reso graficamente con ē.
Infine, le forme verbali con il simbolo (*) sono forme ricostruite in questa
trattazione, poiché si disponeva solamente della desinenza e quindi si è cercato di
ricostruire la parola, che, per l’appunto, non ha alcuna attestazione verificata.
Per cui, in questo caso, ritroviamo (*) solamente al Participio-Passato Abituale,
dove ritroviamo la forma * jēldre. L’unica informazione pervenuta in merito a
questa forma verbale riguardava il fatto che il participio passato abituale venisse
formato con il suffisso –tre; inoltre il sito forniva degli esempi dei verbi derēbagon
‘raggruppare’ e verdagon ‘organizzare’ e cioè, rispettivamente derēptre e vettre. Per
la formazione del participio passato abituale del verbo jaelagon, ho applicato quindi
un processo di ricostruzione per analogia.
Considerando i seguenti passaggi, mi sono concentrata sul verbo verdagon:
Infinito: Presente → Indicativo: Perfetto → Indicativo: Passato abituale
(1) verdagon → (2) *verdtan> vettan → (3) vettin
(4) jaelagon → (5) *jēltan> jēldan → (6) jēldin
94
Ho ipotizzato, quindi, che l’indicativo passato abituale si formasse a partire dalla
radice del perfetto e cioè, rispettivamente vet- e jēld-; ipotesi che è stata confermata
dalla fonte di informazioni (si vedano gli esempi (3) e (6)).
Ora, visto che il participio passato abituale del verbo verdagon è vettre, il quale
prende la radice dalla forma coniugata al perfetto (2), ho ipotizzato lo stesso
percorso per il verbo jaelagon. Per cui:
Infinito presente Indicativo perfetto Participio passato abituale
verdagon
jaelagon
vettan
jēldan
vettre
* jēldre
Diversamente da come accade per il verbo verdagon, dove il nesso rd viene
assimilato totalmente dalla t della desinenza, nel passaggio dall’infinito presente
jaelagon all’indicativo perfetto jēldan sembra che, stavolta, sia stata la desinenza
ad essere influenzata dalla consonante laterale l della radice, la quale innesca un
fenomeno di lenizione. La lenizione del perfetto si tramette, dunque, anche alla
formazione del participio passato abituale, risultando possibilmente nella forma
*jēldre. Per cui, riassumento cronologicamente i vari passaggi di mutamenti
fonetici possiamo riassumere il processo di ricostruzione nel seguente modo:
Infinito
presente
Passaggio al
perfetto
Indicativo
perfetto
jaelagon
*jēltan
jēldan
Passaggio al
passato
abituale
*jēltre
Participio
passato
abituale
jēldre
Così come lt tramite un
processo di lenizione diventa
ld…
…anche in questo passaggio lt
subisce una lenizione e diventa
ld
95
SCHEDA VERBALE RIEPILOGATIVA
Verbo con radice terminante per consonante occlusiva sonora: verdagon
‘organizzare’
Diatesi: Passiva
Indicativo
Presente Aoristo
Imperfetto Perfetto Piucch. Pass.Ab. Futuro
1 p.s. verdaks
verduks verdileks
vettaks
vetteks vettiks
verdilaks
2 p.s. verdāks
verdiaks verdilēks
vettāks
vettēks vettiaks verdilāks
3 p.s. verdaks
verduks verdileks
vettaks
vetteks vettiks
verdilaks
1p.pl. verdaksi verdiksi verdiliks
vettaksi vettiks vettiksi verdiliks
2p.pl. verdāks
verdiaks verdilēks
vettāks
vettēks vettiaks verdilāks
3p.pl. verdaksi vediksi
verdiliks
vettaksi vettiks vettiksi verdiliks
Congiuntivo
Presente Aoristo
Imperfetto Perfetto Piucch.
Pass.Ab. Futuro
1 p.s.
2 p.s.
3 p.s.
verdoks
verduks
verdiloks
vettoks
vettoks
vettuks
verdiluks
verdōks
verduoks verdilōks
vettōks
vettōks
vettuaks verdilūks
verdoks
verduks
verdiloks
vettoks
vettoks
vettuks
verdiluks
1p.pl. verdoski verduski
verdilosky vettosky vettoksy vettuksy verdilusky
2p.pl. verdōks
verduaks verdilōks
vettōks
vettōks
vettuaks verdilūks
3p.pl. verdoski verduski
verdilosky vettosky vettoksy vettuksy verdilusky
96
Participio
Lunare
Solare
Terrestre
Acquatico
Infinito
Presente
verdakson
Aoristo
Futuro
Perfetto
Pass Ab
vetiarza
verdilaksa
Vetta
Vettys
Vetton
vettor
vettiarza
Aoristo
verdiakson
Perfetto
vettakson
97
3.3.3 Fonologia
Il sistema alfabetico dell’alto valyriano include venti consonanti (incluse le due che
compaiono solamente nei prestiti linguistici), sei vocali (che possono essere sia
lunghe che brevi) e due semivocali (come quelle dell’italiano [j] [w]) che
compaiono solamente nei dittonghi, ma che vengono riportate graficamente in
tabella con un sistema differente da quello normalmente adattato.
Le consonanti
Labiale Dentale Alveolare
Nasale
m [m]
Plosiva
Sorda
p [p]
Sonora
b [b]
n [n]
t [t]
d [d]
Fricativa
Sorda
th [θ]
s [s]
Sonora
v [v
z [z]
Approssimante
~ w]
Laterale
Rotica
Sorda
Sonora
l [l]
rh [r̥ ]
r [r ~ ɾ]
Palatale Velare Uvulare Glottidale
Nasale
ñ [ɲ]
(n [ŋ ~ ɴ])
Sorda
k [k]
q [q]
Plosiva
Fricativa
Sonora
g [g]
Sorda
j [d͡ ʒ ~
kh [x ~ χ]
h [h]
Sonora
ʒ ~ j]
gh [ɣ ~ ʁ]
Approssimante
Laterale
lj [ʎ]
Rotica
Sorda
Sonora
98
Le consonanti presentano, però, delle peculiarità:
Per quanto riguarda la pronuncia della v, essa è pronunciata oggi (e per ‘oggi’ si
intende l’attuale presente nello show televisivo) come una [v] inglese, ma prima
veniva pronunciata [v] se precedeva le vocali anteriori – e quindi i ed e; veniva
pronunciata [w] se precedeva le vocali posteriori – e quindi o e u. Mentre, per la
vocale centrale – e quindi a – la pronuncia è incerta: non si trattava probabilmente
di [v] o di [w], piuttosto forse veniva pronunciata come approssimante labiodentale
[ʋ]. La pronuncia della v non ha mantenuto uno statuto fisso con lo scorrere del
tempo e con il conseguente susseguirsi di generazioni. Pertanto, è molto difficile
essere precisi riguardo alla corretta pronuncia.64
[ŋ ~ ɴ] non sono fonemi, ma allofoni di /n/. Il fonema /n/ subisce un fenomeno di
assimilazione progressiva quando è seguito da una consonante velare o uvulare,
come nell’esempio ēngos /ˈeːngos/ ‘lingua’ che viene pronunciato [ˈeːŋgos], oppure
valonqar /vaˈlonqar/ ‘fratello minore’ pronunciato [vaˈloɴqar].
[θ] and [x ~ χ] sono presenti solamente in parole di origine straniera. In quanto
suoni estranei alla lingua, non vengono sempre pronunciati come idealmente
andrebbero pronunciati. Ad esempio, alcuni parlanti potrebbero pronunciare Thoros
sia come [‘θoros], ma anche [‘toros] o addirittura [‘soros].
Per quanto riguarda /r/, essa è in genere una vibrante ([r]), ma viene pronunciata
come una monovibrante ([ɾ]) quando segue una vocale.
Le vocali
L’alto valyriano dispone di sei vocali, ognuna delle quali possiede una controparte
identica qualitativamente ma diversa dal punto di vista quantitativo. Esistono,
dunque, sei vocali brevi e sei vocali lunghe.
64 https://dedalvs.tumblr.com/post/141916578563/high-valyrian-v-can-be-pronounced-either-v-or
99
Vocali Brevi
Anteriori
Non arrotondate Arrotondate
Posteriori
Chiuse
Medie
Aperte
i [i]
e [e]
a [a]
y [y]
u [u]
o [o]
Vocali Lunghe
Anteriori
Non arrotondate Arrotondate
Posteriori
ȳ [yː]
ū [uː]
ō [oː]
Chiuse
Medie
Aperte
ī [iː]
ē [eː]
ā [aː]
Dittonghi
I dittonghi dell’alto valyriano si suddividono in due categorie:
Dittonghi discendenti: terminano in e oppure in o. I dittonghi che appartengono a
questa categoria vengono considerati come delle vocali lunghe.
Dittonghi ascendenti: terminano in i oppure in u. Essi possono essere considerati
sia brevi che lunghi a seconda della durata dell’ultima vocale che lo compone.
I dittonghi possono essere così schematizzati:
Coda
-a
-ā
-e
-ē
-o
-ō
ae [ae̯ ]
ao [ao̯ ]
āe [aːe̯ ]
ie [i͡ e]
āo [aːo̯ ]
io [i͡ o]
ia [i͡ a]
iō [i͡ oː]
i-
u- ua [u͡ a] uā [u͡ aː] ue [u͡ e] uē [u͡ eː] uo [u͡ o] uō [u͡ oː]
iē [i͡ eː]
iā [i͡ aː]
Discendenti
a-
ā-
Ascendenti
Iato
Nell’alto valyriano capita che due vocali si presentino di seguito senza formare un
dittongo. In questo caso esse devono essere pronunciate separatamente. Gli iati più
100
comuni sono āe [a.e:] e aō [a.o:]. È anche possibile, seppur più sporadicamente, che
due vocali, che in genere formano un dittongo, vengano pronunciate come due
vocali separate. L’unico esempio di questo fenomeno pervenuto è costituito dalla
parola daor, che corrisponde al not inglese – quindi è l’elemento linguistico che
viene utilizzato per creare frasi negative, il quale può essere pronunciato sia come
una sillaba sola [dao̯ r] (quindi la sequenza vocalica si dittonga) oppure come due
sillabe separate [da.ˈor] (e quindi la sequenza vocalica non viene dittongata).
Prosodia e Accento
Per analizzare il sistema prosodico, è necessario fornire prima qualche
informazione riguardante la struttura sillabica dell’alto valyriano.
La lingua presenta due diversi tipi di sillaba:
‣ Sillabe leggere: sono quelle sillabe che possiedono come coda una vocale breve
(ad esempio, vă-). Questo parametro include i casi in cui si tratti di dittonghi
ascendenti che terminano con una vocale breve (ad esempio, luĕ-).
‣ Sillabe pesanti: possono essere quelle composte da una vocale lunga (ad
esempio, zō-), quelle che contengono un dittongo discendente (ad esempio,
glae-, rāe-), quelle che terminano per consonante (ad esempio, lok-) e infine
quelle che contengono un dittongo ascendente che presenti all’ultimo posto una
vocale lunga (ad esempio, jiō-).
Una volta reso chiaro il concetto di sillabe leggere e pesanti, si può affermare che
la posizione dell’accento dipende dal ‘peso’ della penultima e della terzultima
sillaba. Quindi possono verificarsi tre combinazioni differenti:
Se entrambe le sillabe (penultima e terzultima) sono leggere, l’accento cade sulla
penultima sillaba.
Es. valaro = va. lá. Ro
Se la penultima sillaba è pesante, allora l’accento cade sulla penultima sillaba.
Es. valarra = va. lár. Ra
Se la penultima sillaba è leggera e la terzultima è pesante, l’accendo cade sulla
terzultima.
Es. valzyro = vál. zi. ro
101
Per quanto riguarda i prestiti linguistici, essi mantengono il loro accento originale,
qualsiasi desinenza essi posseggano.
Es. arákh (un tipo di spada) – prestito dal dothraki
buzdári ‘schiavo’ – prestito dal Valyriano Ghiscari di Astapor.65
Fonotassi
La struttura sillabica dell’alto valyriano può raggiungere un massimo di tre
consonanti in sequenza, seguendo uno schema così rappresentabile
CCCV.CC
L’attacco sillabico può essere costituito da una singola consonante o da un nesso
consonantico permesso, il quale può trattarsi di una consonante occlusiva seguita
da una consonante liquida o una sibilante.
65 A proposito di questa parola, Peterson, durante la conferenza di presentazione del suo libro,
(https://www.youtube.com/watch?v=yjAVGMq8P6U), spiega al pubblico come questa parola
compare nello show, mostrando la scena in cui essa viene pronunciata. Si tratta del quarto episodio
della terza stagione, in cui Daenerys scambia uno dei suoi draghi per un esercito di mercenari, gli
Immacolati. Daenerys si serve di una traduttrice, Missandei – che è anche la sua dama di compagnia
– la quale traduce ogni frase che il padrone degli schiavi, Kraznys, pronuncia. Convinto di non essere
compreso da Daenerys, Kraznys si lascia andare a volgari osservazioni e a rozzi modi di esprimersi,
che educatamente, Missandei, evita di tradurre. Una volta raggiunto l’accordo, Daenerys, in modo
plateale rivela la sua vera identità al rozzo schiavista, e lo fa per mezzo dell’alto valyriano, lasciando
di sasso il padrone, che viene, alla fine della scena, cruentemente bruciato vivo dal soffio infuocato
del drago. Lo scambio di battute è il seguente:
Kraznys
Ivetrá j’aspo, zya dyni do majis.
“Tell the bitch her beast won’t come.”
Valyriano
Inglese
Daenerys
Zaldrīzes buzdari iksos daor.
“A dragon is not a slave.”
Kraznys
Ydra ji Valyre?
“You speak Valyrian?”
Daenerys
Nyke Daenerys Jelmāzmo hen Targārio
Lentrot, hen Valyrio Uēpo ānogār iksan.
Valyrio muño ēngos ñuhys issa.
“I am Daenerys Stormborn of the House
Targaryen, of the blood of Old Valyria.
Valyrian is my mother tongue.”
Per quanto riguarda la parola segnata in grassetto, Peterson ci fa notare che questa è la parola del
valyriano di Astapor per schiavo. Nonostante Daenerys stia parlando in alto valyriano, decide
appositamente di non utilizzare la parola per schiavo – e cioè dohaeriros – ma utilizza la parola
buzdari, che è, invece, la parola per schiavo in valyriano di Astapori. Utilizzando questa parola,
Daenerys non solo dimostra di saper parlare il valyriano, che è, appunto, la sua lingua madre, ma
prova a Kraznys di saper parlare anche la variante del valyriano, l’Astapori, lingua madre dello
schiavista, quasi come a voler riportare alla luce le vicende storiche che vedono i ghiscariani
sottomessi alla potenza dei valyriani, non solo militarmente ma anche linguisticamente.
102
Il nucleo sillabico, invece, può essere composto da una vocale breve o da una vocale
lunga, così come da un dittongo consentito.66
Per quanto riguarda la coda della sillaba, essa può contenere qualsiasi consonante,
geminata o no, tranne le consonanti palatali – e cioè ñ, j e lj.
In merito alle parole, sono anche presenti dei vincoli fonotattici. Infatti, una
parola può cominciare per vocale, per consonante – anche quelle occlusive seguite
da liquide oppure quelle precedute da una sibilante. Vale a dire che una parola può
cominciare con un nesso consonantico contenente fino a tre consonanti in sequenza,
come riportato nello schema sottostante.
Prima consonante Seconda consonante Terza consonante
s
z
p
t
k
q
b
d
g
r
l
Infine una parola può terminare con una vocale e con le consonanti s, n, t, z o r.
Mentre, l’unico nesso consonantico possibile è ks.
Per quanto riguarda, invece, le regole fonotattiche delle singole consonanti si
riporta solamente una peculirità delle consonanti palatali sonore, ñ e lj, le quali non
possono ricorrere nella loro forma geminata e si depalatalizzano se precedono una
i o qualsiasi consonante che non sia j. Pertanto, lj[ʎ] si trasforma in l [l]; mentre, ñ
[ɲ] si trasforma in [n].
66 Per i dittonghi consentiti, si rimanda alla tabella di pag. 100.
103
Per quanto concerne
i nessi consonantici, esistono delle
restrizioni
nell’occorrenza. Si registrano, infatti, i seguenti nessi impossibili:
– *ññ;
– *ljlj;
– *jj;
– *ln, il quale subisce un processo di assimilazione regressiva, trasformandosi,
dunque in nn (ad esempio *qrin.rhol.no.r > qrīdronnor ‘caos’). Allo stesso modo,
nel caso opposto, cioè quando il nesso è *nl, si verifica un’assimilazione regressiva,
trasformandosi in ll.
In quanto ai nessi consonantici costruiti con la r, essi sono di particolare
importanza per la declinazione di nomi acquatici (per il nome e il suo genere, si
rimanda al paragrafo 3.3.4) e aggettivi. In particolare:
‣ hr diventa rh [r̥ ], ad esempio nell’aggettivo possessivo *ñuhro > ñurho ‘mio’;
‣ zr si trasforma in j, ad esempio nel verbo *ozrughagon > ojughagon ‘perdere’;
‣ sr diventa j, ma non sempre, infatti entrambe le forme sono ugualmente
accettabili. Ad esempio, il pronome dimostrativo ‘questo’, kesrio può anche
ricorrere come kejio ed essere linguisticamente accettato.
Per le consonanti nasali si verificano altrettanti cambiamenti fonetici, siano esse
entità prese singolarmente, sia quando ricorrono in nessi consonantici:
‣ nr o ñr si trasformano in dr con allungamento della vocale che precede il nesso.
Ad esempio, *qrin·rughagon > qrīdrughagon ‘rinunciare, scartare’. Il processo
funziona anche a ritroso – e cioè, laddove ricorre il nesso consonantico dr, esso si
trasforma in nr e la vocale che lo precede viene abbreviata. Ad esempio come nella
posposizione *hēnrȳ > hēdrȳ ‘tra’;
‣ mr diventa br, mediante un processo analogo a quello precedente, il quale
probabilmente include anche l’allungamento della vocale che precede il nesso, ma
non possiamo averne la certezza, poiché finora in tutte le parole in cui figura il
nesso, la vocale che lo precede è già lunga di per sé. Ad esempio come nella parola
sūmar > pl. sūbri ‘tè’;
‣ Un simile fenomeno si verifica quando n oppure m (e probabilmente anche ñ)
104
ricorrono prima della s: la consonante nasale subisce un fenomeno di sincope e
viene, dunque, eliminata, la vocale precedente viene allungata e la s si sonorizza
diventando z. Il processo si verifica anche nella posposizione *hensīr > hēzir ‘da
adesso in poi’. Si prenda, inoltre, in esempio la terza persona del verbo emagon
‘avere’ – *ēmza > ēza ‘egli ha’. Questo è, in generale, il processo regolare di
derivazione verbale per i verbi le cui radici terminano con una consonante nasale.
3.3.4 Morfologia
Avendo già parlato del sistema verbale, in quanto proprio da esso Peterson sviluppa
l’intera lingua, si cercherà, in questo paragrafo, di dare contezza del complesso
sistema di declinazione nominale, così come di tutti gli altri elementi che
compongono in genere una lingua, pronomi, aggettivi, avverbi, e così via.
I nomi
Si è già discusso della declinazione di numero dei nomi (vedi par. 3.3.2), ma una
delle cose che rende davvero particolare la lingua è il criterio di distinzione del
genere del nome.
Il nome dell’alto valyriano può avere quattro differenti generi:
I. Lunare (hūrenkon qogror)
II. Solare (vēzenkon qogror)
III. Terrestre (tegōñor qogror)
IV. Acquatico (embōñor qogror)
Come principio generale, la maggior parte dei nomi lunari termina con una vocale,
la maggior parte dei nomi solari termina in –s, la maggior parte di quelli terrestri
termina in –n e, infine, la maggior parte di quelli acquatici termina in –r. Ma ci sono
delle eccezioni: ad esempio, tutti i paucali terminano in –n, e tutti i nomi collettivi
in –r, a prescindere dalla categoria di genere di cui fanno parte.
Non esistono delle categorie semantiche dai confini netti all’interno delle quali
ascrivere ogni nome, ma si possono tracciare delle tendenze generali.
105
Per maggiore chiarezza, è necessario riportare una tabella quadripartita suddivisa
per generi accompagnati da esempi.
Lunare
Solare
-Esseri umani
-Esseri umani
vala ‘uomo’, abra ‘donna’,
quptys ‘selvaggio’, zentys ‘ospite’,
muña ‘madre’, āeksio ‘padrone’
dohaeriros ‘schiavo’
-Animali notturni
-Animali diurni
gryves ‘orso’, zaldrīzes ‘drago’,
zokla ‘lupo’, atroksia ‘gufo’,
hobres ‘capra’, ñombes ‘elefante’
kēli ‘gatto’
-Equipaggiamenti militari
-Mestieri
gelte ‘elmo’, korze ‘spada lunga’,
azantys ‘soldato’, dārys ‘re’,
azandy ‘spada corta’
voktys ‘prete’, loktys ‘marinaio’
-Parti del corpo
deks ‘piede’, kris ‘gamba’, relgos
‘bocca’, pungos ‘naso’, naejos ‘seno’
Terrestre
Acquatico
-Alimenti e Piante
-Liquidi e corpi composti da liquidi
havon ‘pane’, parklon ‘carne’
iēdar ‘acqua’, ānogar ‘sangue’, embar
-Metalli
‘mare’, qelbar ‘fiume’, nāvar ‘lago’
āeksion ‘oro’, gēlion ‘argento’
brāedion ‘rame’, korzion ‘ferro’
Chiaramente, come accade anche nelle lingue naturali, esistono delle eccezioni,
riconducibili naturalmente a diversi generi. Si pensi, ad esempio, alla parola per
‘verme’, turgon, che, nonostante si riferisca ad un animale, non è ascrivibile al
genere lunare o solare, ma invece a quello terrestre. La motivazione potrebbe
risiedere nel fatto che il verme vive sotto terra e, per quanto ‘banale’ possa essere
considerata, è comunque una motivazione semantica che risulta logica e sensata.
Un’altra eccezione è la parola brāedāzma ‘bronzo’, la quale non appartiene come
dovrebbe alla categoria di genere terrestre, in quanto metallo, bensì al genere lunare,
stavolta a causa del suffisso –āzma.
106
I casi dei nomi
L’alto valyriano possiede diversi casi che vengono utilizzati per la declinazione dei
nomi e degli aggettivi (vedi paragrafo riguardante gli aggettivi, pag.115), i quali
prendono forme diverse a seconda del ruolo che ricoprono all’interno della frase.
La lingua si serve di otto casi:
‣ Nominativo: è il caso che viene utilizzato quando il nome corrisponde al soggetto
della frase (Āeksio yne ilīritas. — Il padrone mi ha sorriso.), oppure quando esso,
all’interno di un predicato nominale, ricopre il ruolo del nome del predicato
(Zaldrīzes buzdari iksos daor. — Un drago non è uno schiavo.).
‣ Accusativo: è il caso dell’oggetto diretto del verbo (Dovaogēdys! Āeksia
ossēnātās, menti ossēnātās! — Immacolati! Uccidete i padroni, uccidete i soldati!).
‣ Genitivo: è il caso della dipendenza nominale che si usa anche per esprimere il
concetto di possessione (Va oktio remȳti vale jikās. — Mandate un uomo ai cancelli
della città; Daenerys Targarien, Jelmazmo, Dorzalty, Dāria Sikudo Dārȳti Vestero,
Muña Zaldrizoti. —Daenerys della Tempesta [lett. nata dalla Tempesta], la Non-
bruciata, Regina dei Sette Regni di Westeros, Madre dei Draghi).
Inoltre, il genitivo viene utilizzato per esprimere la materia di cui si compone un
determinato referente (Āeksio ondos — Hand of gold).
‣ Dativo: questo caso viene utilizzato per esprimere l’oggetto indiretto (Voktys Eglie
aōt gaomilaksir teptas. — Il Gran Sacerdote ti ha dato una missione.).
‣ Locativo: è il caso utilizzato per riferirsi allo stato in luogo (Olvī voktī Rulloro
Qelbriā ūndessun daor. — Non vedo molte sacerdotesse di R’hllor nelle Terre del
Fiume.) e, talvolta, può essere utilizzato per riferirsi a distinzioni di tipo temporale
(Kesy tubi jemot dāervi tepan. — Quest’oggi ti do la libertà.)
‣ Strumentale: viene utilizzato per indicare lo strumento per mezzo del quale si
compie l’azione (Quptenkos Ēngoso ȳdrassis? — Parli la Lingua Comune?
107
[Letteralmente ‘per mezzo della Lingua Comune’]). Inoltre viene utilizzato con gli
aggettivi comparativi per introdurre il secondo termine di paragone (Davido
zaldrīzes aōhos zaldrīzose rovyktys issa. — Il drago di David è più grande del tuo
drago.)
‣ Comitativo: viene utilizzato per esprimere la nozione di compagnia. I nomi
declinati al caso comitativo possono essere tradotti con la preposizione ‘con’. (Riña
raqiroso pikīptas. — La ragazza legge con un’amica.).
‣ Vocativo: viene utilizzato per designare l’invocazione del nome declinato secondo
questo caso (Dovaogēdys! Naejot memēbātās! — Immacolati! In marcia!).
Le declinazioni dei nomi
Una volta preso atto dei casi presenti nella lingua, è necessario operare una
distinzione tipologica dei nomi, i quali si suddividono in sei differenti classi di
declinazioni come segue.
Nomi di Prima Declinazione
Questi nomi presentano una a come vocale tematica. Esistono due tipi di nomi
appartenenti a questa declinazione:
I nomi che terminano in –a (come ad esempio vala ‘uomo’), che sono per lo più
di genere lunare.
‣ Essi possono avere anche una sottocategoria con nomi che terminano in –ia
(come ad esempio dāria ‘regina’), i quali presentano le stesse desinenze della
declinazione dei nomi in –a.
I nomi che terminano in –ar (come ad esempio embar ‘acqua’).
Verranno riportati di seguito le tabelle di declinazione per ogni tipologia di nome.
108
⸎Tipologia Lunare (vala)
Sottocategoria Lunare (dāria)
Sing.
vala
vale
valo
valot
valā
Pl.
vali
valī
valoti
valoti
valoti
Pauc.
valun
Col.
valar
valuni
valari
valuno
valaro
valunta
valarta
valunna
valarra
Nom.
Acc.
Gen.
Dat.
Loc.
Sing.
dāria
dārie
dārio
dāriot
Pl.
dārī
dārī
dārȳti
dārȳti
Pauc.
dārȳn
Col.
dāriar
dārȳni
dāriari
dārȳno
dāriaro
dārȳnta
dāriarta
dāriā
dārȳti
dārȳnna
dāriarra
Nom.
Acc.
Gen.
Dat.
Loc.
Strum.
valosa
valossi
valussa
valarza
Strum.
dārȳsa
dārȳssi
dārȳssa
dāriarza
Com.
valoma
valommi
valumma
valarma
Com.
dārȳma
dārȳmmi
dārȳmma
dāriarma
Voc.
valus
valis
valussa
valarza
Voc.
dārȳs
dārīs
dārȳssa
dāriarza
Per fare chiarezza, appare necessario elaborare qualche esempio esplicativo:
Āeksio Oño valari raqsa – Il Signore della Luce ama tutti gli uomini
Nyke zaldrīzeri raqan. – Io amo tutti i draghi.
Per quanto riguarda i nomi la cui radice termina in –ar, è possibile schematizzare
la declinazione con la seguente tabella:
⸎Tipologia Solare (embar)
Singolare Plurale
Paucale Collettivo
Nominativo
embar
Accusativo
embri
embri
embrī
embrun
embrar
embruni
embrari
Genitivo
embro
embroti
embruno
embraro
Dativo
embrot
embroti
embrunta
embrarta
Locativo
embar
embroti
embrunna
embrarra
Strumentale
embrosa
embrossi
embrussa
embrarza
Comitativo
embroma embrommi embrumma embrarma
Vocativo
embus
embis
embrussa
embrarza
Nomi di Seconda Declinazione
I nomi appartenenti a questa classe di declinazione presentano y come vocale
tematica. Di questa categoria fanno parte:
I nomi che terminano in –y (come ad esempio trēsy ‘figlio’), i quali sono
maggiormente di genere lunare.
I nomi che terminano in –ys (come ad esempio loktys ‘veliero’), i quali
appartengono alla categoria di genere solare.
109
⸎Tipologia Lunare (trēsy)
⸎Tipologia Solare (loktys)
Sing.
Pl.
Pauc.
Col.
Sing.
Pl.
Pauc.
Col.
trēsy
trēsi
trēsyn
trēsyr
Nom.
loktys
loktyssy
loktyn
loktyr
trēsi
trēsī
trēsyni
trēsyri
Acc.
lokti
loktī
loktyni
loktyri
trēso
trēsoti
trēsyno
trēsyro
Gen.
lokto
loktoti
loktyno
lokyyro
trēsot
trēsoti
trēsynty
trēsyrty
Dat.
loktot
loktoti
loktynty
loktyrty
trēsy
trēsī
trēsynny
trēsyrry
Loc.
loktȳ
loktī
loktynny
loktyrry
trēsomy
trēsommi
trēsyssy
trēsyrzy
Strum.
loktomy
loktommi
loktyssy
loktyrzy
trēsomy
trēsommi
trēsymmy
trēsyrmy
Com.
loktomy
loktommi
loktymmy
loktyrmy
trēsys
trēsys
trēsyssy
trēsyrzy
Voc.
loktys
loktssys
lokyyssy
loktyrzy
Nom.
Acc.
Gen.
Dat.
Loc.
Strum.
Com.
Voc.
Nomi di Terza Declinazione
Questi nomi presentano una o come vocale tematica. Questa è la declinazione più
diversificata, poiché essa include nomi appartenenti a tutti e quattro i generi e
diverse sottocategorie. Si distinguono, dunque:
I nomi che terminano in –o (come ad esempio pēko ‘oliva’), per lo più appartenenti
alla categoria lunare.
‣ Essi presentano anche una sottocategoria di nomi terminanti in –io (come ad
esempio āeksio ‘signore/padrone’).
I nomi che terminano in –os (come ad esempio ēngos ‘lingua’), i quali fanno parte
della categoria di genere solare.
‣ Esistono almeno tre sottocategorie che comprendono parole come rūs ‘bambino’
deks ‘piede’ e ȳs ‘arte’.
I nomi terminanti in –on (come ad esempio belmon ‘catena’), che appartengono
maggiormente alla categoria di genere terrestre.
‣ Essi comprendono i nomi sottocategoria che terminano in –ion (come ad
esempio dārion ‘regno’).
I nomi terminanti in –or (come ad esempio lentor ‘casa’), i quali appartengono
per lo più alla categoria acquatica.
‣ Esiste una sottocategoria che include parole come Mȳr, un nome proprio, e altre
parole che possano essere accomunate ad essa.
110
⸎Tipologia Lunare (pēko)
Sottocategoria lunare (āeksio)
Sing.
Pl.
Pauc.
Col.
Sing.
Pl.
Pauc.
Col.
pēko
pēka
pēkun
pēkor
Nom.
āeksio
āeksia
āeksȳn
āeksior
pēko
pēka
pēkuni
pēkori
Acc.
āeksio
āeksia
āeksȳni
āeksȳri
pēkō
pēkoti
pēkuno
pēkoro
Gen.
āeksiō
āeksȳti
āeksȳno
āeksȳro
pēkot
pēkoti
pēkunto
pēkorto
Dat.
āeksiot
āeksȳti
āeksȳnto
āeksȳrto
pēkot
pēkoti
pēkunno
pēkorro
Loc.
āeksiot
āeksȳti
āeksȳnno
āeksȳrro
pēkoso
pēkossi
pēkusso
pēkorzo
Strum.
āeksȳso
āeksȳssi
āeksȳsso
āeksȳrzo
pēkoso
pēkossi
pēkummo
pēkormo
Com.
āeksȳso
āeksȳssi
āeksȳmmo
āeksȳrmo
pēkos
pēkas
pēkusso
pēkorzo
Voc.
āeksios
āeksīs
āeksȳsso
āeksȳrzo
Nom.
Acc.
Gen.
Dat.
Loc.
Strum.
Com.
Voc.
⸎Tipologia Solare (ēngos) Sottocategoria solare (rūs)
Sing.
Pl.
Pauc.
Col.
Sing.
Pl.
Pauc.
Col.
ēngos
ēngossa
ēngun
ēngor
Nom.
rūs
rūhossa
rūhun
rūhor
ēngos
ēngossa
ēnguni
ēngori
Acc.
rūs
rūhossa
rūhuni
rūhori
ēngo
ēngoti
ēnguno
ēngoro
Gen.
rūho
rūhoti
rūhuno
rūhoro
ēngot
ēngoti
ēngunto
ēngorto
Dat.
rūhot
rūhoti
rūhunto
rūhorto
ēngot
ēngoti
ēngunno
ēngorro
Loc.
rūhot
rūhoti
rūhunno
rūhorro
ēngoso
ēngossi
ēngusso
ēngorzo
Strum.
rūso
rūhossi
rūhusso
rūhorzo
ēngoso
ēngossi
ēngummo
ēngormo
Com.
rūso
rūhossi
rūhummo
rūhormo
ēngos
ēngossas
ēngusso
ēngorzo
Voc.
rūs
rūhossas
rūhusso
rūhorzo
Nom.
Acc.
Gen.
Dat.
Loc.
Strum.
Com.
Voc.
Sottocategoria solare (deks) Sottocategoria solare (ȳs)
Sing.
Pl.
Pauc.
Col.
Sing.
Pl.
Pauc.
Col.
deks
dekossa
dekun
dekor
Nom.
deks
dekossa
dekuni
dekori
Acc.
ȳs
ȳs
yvossa
yvun
yvor
yvossa
yvuni
yvori
deko
dekoti
dekuno
dekoro
Gen.
yvo
yvoti
yvuno
yvoro
dekot
dekoti
dekunto
dekorto
Dat.
yvot
yvoti
yvunto
yvorto
dekot
dekoti
dekunno
dekorro
Loc.
yvot
yvoti
yvunno
yvorro
dekso
dekossi
dekusso
dekorzo
Strum.
ȳso
yvossi
yvusso
yvorzo
dekso
dekossi
dekummo
dekormo
Com.
ȳso
yvossi
yvummo
yvormo
deks
dekossas
dekusso
dekorzo
Voc.
ȳs
yvossas
yvusso
yvorzo
Nom.
Acc.
Gen.
Dat.
Loc.
Strum.
Com.
Voc.
111
⸎Tipologia Terrestre (belmon) Sottocategoria Terrestre (dārion)
Sing.
Pl.
Pauc.
Col.
Sing.
Pl.
Pauc.
Col.
belmon
belma
belmun
belmor
Nom.
dārion
dāria
dārȳn
dārior
belmon
belma
belmuni
belmondi
Acc.
dārion
dāria
dārȳni
dārȳndi
belmo
belmoti
belmuno
belmondo
Gen.
dārio
dārȳti
dārȳno
dārȳndo
belmot
belmoti
belmunto
belmondo
Dat.
dāriot
dārȳti
dārȳnto
dārȳndo
belmot
belmoti
belmunno
belmorro
Loc.
dāriot
dārȳti
dārȳnno
dārȳrro
belmoso
belmoti
belmusso
belmorzo
Strum.
dārȳso
dārȳssi
dārȳsso
dārȳrzo
belmoso
belmossi
belmunno
belmormo
Com.
dārȳso
dārȳssi
dārȳmmo
dārȳrmo
belmos
belmas
belmusso
belmorzo
Voc.
dārios
dārīs
dārȳsso
dārȳrzo
Nom.
Acc.
Gen.
Dat.
Loc.
Strum.
Com.
Voc.
⸎Tipologia Acquatica (lentor) Sottocategoria Acquatica (Mȳr)
Sing.
Pl.
Pauc.
Col.
Sing.
Pl.
Pauc.
Col.
lentor
lentra
lentrun
lentror
Nom.
Mȳr
Mȳra
Mȳryn
Mȳror
lentor
lentra
lentruni
lentrori
Acc.
Mȳr
Mȳra
Mȳryni
Mȳrori
lentro
lentroti
lentruno
lentroro
Gen.
Mȳro
Mȳroti
Mȳryno
Mȳroro
lentrot
lentroti
lentrunto
lentrorto
Dat.
Mȳrot
Mȳroti
Mȳrynto
Mȳrorto
lentrot
lentroti
lentrunno
lentrorro
Loc.
Mȳrot
Mȳroti Mȳrynno Mȳrorro
lentroso
lentrossi
lentrusso
lentrorzo
Strum. Mȳroso Mȳrossi Mȳrysso
Mȳrorzo
lentroso
lentrossi
lentrummo
lentrormo
Com.
Mȳroso Mȳrossi Mȳrymmo Mȳrormo
lentos
lentas
lentrusso
lentrorzo
Voc.
Mȳs
Mȳras
Mȳrysso
Mȳrorzo
Nom.
Acc.
Gen.
Dat.
Loc.
Strum.
Com.
Voc.
Nomi di Quarta Declinazione
I nomi facenti parte di questa tipologia di declinazione sono quelli che posseggono
una e come vocale tematica. Ne esistono di tre tipi, una categoria per ogni genere,
eccetto che per quelli di genere acquatico. Non esistono infatti nomi acquatici che
seguano la quarta declinazione.
I nomi che terminano in –e (come ad esempio gelte ‘elmo’), che appartengono per
lo più al genere lunare.
I nomi che terminano in –es (come ad esempio zaldrīzes ‘drago’), per lo più di
genere solare.
I nomi che finiscono in –en (come ad esempio il cognome Targārien), i quali
112
appartengono maggiormente alla categoria terrestre.67
⸎Tipologia Lunare (gelte) ⸎Tipologia Terrestre (Targārien)
Sing.
Pl.
Pauc.
Col.
Sing.
Pl.
Pauc.
Col.
gelte
gelti
geltin
gelter
Nom.
Targārien
Targārī
Targārȳn
Targārior
geltī
geltī
geltini
gelteri
Acc.
Targārī
Targārȳti
Targārȳni
Targārȳnndi
gelto
geltoti
geltino
geltero
Gen.
Targārio
Targārȳti
Targārȳno
Targārȳndo
geltot
geltoti
geltinte
gelterte
Dat.
Targāriot
Targārȳti
Targārȳnte
Targārȳnde
geltē
geltoti
geltinne
gelterre
Loc.
Targāriēn
Targārȳti
Targārȳnne
Targārȳrre
geltose
geltossi
geltisse
gelterze
Strum.
Targārȳse
Targārȳssi
Targārȳsse
Targārȳrze
geltome
geltommi
geltimme
gelterme
Com.
Targārȳme
Targārȳmmi
Targārȳmme
Targārȳrme
geltys
geltis
geltisse
gelterze
Voc.
Targāries
Targārīs
Targārȳsse
Targārȳrze
Nom.
Acc.
Gen.
Dat.
Loc.
Strum.
Com.
Voc.
⸎Tipologia Solare (zaldrīzes)
Sing.
Pl.
Pauc.
Col.
zaldrīzes
zaldrīzesse
zaldrīzin
zaldrīzer
zaldrīzī
zaldrīzī
zaldrīzini
zaldrīzeri
zaldrīzo
zaldrīzoti
zaldrīzino
zaldrīzero
zaldrīzot
zaldrīzoti
zaldrīzinte
zaldrīzerte
zaldrīzē
zaldrīzoti
zaldrīzinne
zaldrīzerre
zaldrīzose
zaldrīzossi
zaldrīzisse
zaldrīzerze
zaldrīzome
zaldrīzommi
zaldrīzimme
zaldrīzerme
zaldrīzys
zaldrīzesses
zaldrīzisse
zaldrīzerze
Nom.
Acc.
Gen.
Dat.
Loc.
Strum.
Com.
Voc.
Nomi di Quinta Declinazione
Questi nomi hanno una i come vocale tematica e appartengono anche questi a tutti
i generi, stavolta eccetto i nomi di genere terrestre. Di questa declinazione fanno
parte:
I nomi che terminano in –i (come ad esempio brōzi ‘nome’), la cui maggioranza
appartiene al genere lunare.
I nomi che finiscono in –is (come ad esempio tubis ‘giorno’), per lo più della
categoria solare.
67 Si noti che la parola Targārien si tratta di una sottocategoria riservata principalmente a nomi
molto antichi e, pertanto, molto rari.
113
I nomi che terminano con –ir (come rōbir ‘fico’), che appartengono in genere alla
categoria di genere acquatica.
⸎Tipologia Lunare (brōzi) ⸎Tipologia Solare (tubis)
Sing.
Pl.
Pauc.
Col.
Sing.
Pl.
Pauc.
brōzi
brōza
brōza
brōzir
Nom.
tubis
tubissa
tubin
Col.
tubir
brōzi
brōza
brōzini
brōziri
Acc.
tubis
tubissa
tubini
tubiri
brōzio
brōzȳti
brōzino
brōziro
Gen.
tubio
tubȳti
tubino
tubiro
brōziot
brōzȳti
brōzinti
brōzirti
Dat.
tubiot
tubȳti
tubinti
tubirti
brōzī
brōzȳti
brōzinni
brōzirri
Loc.
tubī
tubȳti
tubinni
tubirri
brōzȳsi
brōzȳssi
brōzissi
brōzirzi
Strum.
tubȳ
tubȳssi
tubissi
tubirzi
brōzȳmi
brōzȳmmi
brōzȳmmi
brōzirmi
Com.
tubȳmi
tubȳmmi
tubimmi
tubirmi
brōzys
brōzas
brōzissi
brōzirzi
Voc.
tubys
tubissas
tubissi
tubirzi
Nom.
Acc.
Gen.
Dat.
Loc.
Strum.
Com.
Voc.
⸎Tipologia Acquatica (rōbir)
Sing.
Pl.
Pauc.
Col.
rōbir
rōbra
rōbrin
rōbrir
rōbir
rōbra
rōbrini
rōbriri
rōbrio
rōbrȳti
rōbrino
rōbriro
rōbriot
rōbrȳti
rōbrinti
rōbrirti
rōbīr
rōbrȳti
rōbrinni
rōbrirri
rōbrȳsi
rōbrȳssi
rōbrissi
rōbrirzi
rōbrȳmi
rōbrȳmmi
rōbrimmi
rōbrirmi
rōbys
rōbas
rōbrissi
rōbrirzi
Nom.
Acc.
Gen.
Dat.
Loc.
Strum.
Com.
Voc.
Nomi di Sesta Declinazione
La sesta – e ultima – declinazione viene utilizzata per diverse tipologie di nomi, i
quali possono essere suddivisi in due categorie:
Paucali e Collettivi reinterpretati: Talvolta un paucale acquisisce un significato
così specifico che comincia ad essere concepito come una parola separata (si pensi
alla parola tīkun ‘ala’, la quale era originariamente la forma paucale di tīkun
‘piuma’, oppure alla parola azantyr ‘esercito’ che originariamente era la forma
114
collettiva di azantys ‘soldato’). Una volta reinterpretata la parola, quindi una volta
che essa è diventata una parola a sé stante, essa necessita di una sua forma plurale.
I paucali reinterpretati mantengono il genere della parola originale e possono
quindi appartenere a qualsiasi categoria di genere. Tutto ciò che si conosce
riguardo alla declinazione dei paucali reinterpretati è che il singolare mantiene la
sua declinazione paucale.
Parole straniere: fanno parte di questa categoria tutti i termini importati da altre
lingue o dalle varianti dell’alto valyriano, come ad esempio la parola già citata
buzdari ‘schiavo’ in valyriano di Astapor. La parola in questione viene accordata
secondo la seguente declinazione.
Sing.
Pl.
Pauc.
Col.
Nom.
buzdar(i)
buzdari
buzdarin
buzdarir
Acc.
Gen.
Dat.
Loc.
buzdari
buzdarī
buzdarini
buzdariri
buzdaro
buzdaroti
buzdarino
buzdariro
buzdarot
buzdaroti
buzdarinti
buzdarirti
buzdarī
buzdaroti
buzdarinni
buzdarirri
Strum. buzdarisi
buzdarissi
buzdarissi
buzdarirzi
Com.
buzdarimi buzdarimmi buzdarimmi buzdarirmi
Voc.
buzdaris
buzdarissis
buzdarissi
buzdarirzi
Gli Aggettivi
Nell’alto valyriano gli aggettivi si accordano secondo genere, caso e numero – solo
singolare e plurale (essi non possiedono, infatti, forme paucali o collettive) –al
nome che modificano. La declinazione è simile a quella utilizzata per i nomi, ma
presenta alcune differenze e criteri diversi di classificazione di genere. Per questo
motivo, essi non vengono suddivisi per ‘declinazioni’, piuttosto vengono distinti in
‘classi’, che verranno esaminate singolarmente più avanti.
115
Gli aggettivi possono precedere o seguire un nome, eccetto che per qualche
determinante o dimostrativo, i quali in genere precedono sempre l’aggettivo. Se un
aggettivo di questo tipo segue il nome, esso assume una connotazione semantica di
‘ufficialità’ oppure conferisce alla frase una particolare enfasi.
Quando un aggettivo si dispone nella frase come elemento pospositivo – e cioè
segue il nome che modifica – allora esso prevede il set completo di desinenze,
mentre quando esso è prepositivo – e quindi precede il nome cui si riferisce – le
desinenze sono abbreviate e più inclini a cadere.
Per quanto riguarda i gradi di comparazione, la regola generale è l’aggiunzione
della desinenza –pa per formare i comparativi di uguaglianza, -kta per i comparativi
di maggioranza e –je per i superlativi. Inoltre, è necessario notare come, nonostante
la classe cui appartiene il nome, i comparativi di maggioranza e di uguaglianza
seguiranno sempre la declinazione degli aggettivi di prima classe, mentre i
superlativi quella di seconda. Infine, come accade nella maggior parte delle lingue
naturali, alcuni comparativi hanno forme irregolari (come l’italiano bene>meglio).
L’unico aggettivo dell’alto valyriano ad avere processo irregolare è litse ‘carino’, il
quale presenta la forma līspa al comparativo di uguaglianza, līsta al comparativo di
maggioranza e līje al superlativo.
Aggettivi – Classe I
Gli aggettivi appartenenti a questa classe presentano in genere radici di ogni tipo,
seppur rimangano vincolate dall’accettabilità fonotattica dei nessi consonantici.
Poiché, come si è detto, gli aggettivi possono figurare in posizione precedente o
seguente rispetto al nome che modificano, si possono avere diverse combinazioni
di desinenze, come riportato nella seguente tabella, la quale prende in esame
l’aggettivo kasta ‘blu, verde’.
116
Posizione prepositiva
Singolare
Plurale
Lun.
Sol.
Terr. Acq.
Lun.
Sol.
Terr. Acq.
kaston
kastys
kaston
kastor
kasti
kastys,-yz
kasta
kastra
kaste
kasti
kaston
kastor
kastī
kastī
kasta
kastra
kasto
kasto
kasto
kastro
kasto(t)
kasto
kasto
kastro
kasto(t) kasto(t) kasto(t) kastro(t) kasto
kasto
kasto
kastro
kastā
kastȳ
kasto(t) kastro
kasto
kastī
kasto
kastro
kastos
kastos
kastos
kastros
kastos
kastos
kastros kastros
kaston,
kaston,
kaston,
kastron,
kaston,-
kaston,
kaston,
kastron,
-om
-om
-om
-rom
om
-om
-om
-rom
kastus
kastys
kastos
kastos
kastis
kastys,-yz
kastas
kastas
Nom.
Acc.
Gen.
Dat.
Loc.
Strum.
Com.
Voc.
– Si precisa che la forma con desinenza in –yz al caso nominativo, plurale solare,
ricorre prima di una vocale, della consonante h e prima di una consonante sonora.
– La (t) che ricorre al genitivo, al dativo e al locativo, viene omessa prima di una
consonante, ma viene mantenuta prima di una vocale. Quindi, nell’esempio in
tabella la desinenza –t è presente.
– Per quanto riguarda il caso comitativo, la forma terminante in –m ricorre solo
prima di una vocale o una consonante labiale, mentre resta –n in tutti gli altri casi.
Posizione pospositiva
Singolare
Plurale
Lun.
Sol.
Terr. Acq.
Lun.
Sol.
Terr. Acq.
kasta
kastys
kaston
kastor
kasti
kastyzy
kasta
kastra
kaste
kasti
kaston
kastor
kastī
kastī
kasta
kastra
kasto
kasto
kasto
kastro
kastoti
kastoti
kastoti
kastroti
kastot
kastot
kastot
kastrot
kastoti
kastoti
kastoti
kastroti
kastā
kastȳ
kastot
kastrot
kastoti
kastī
kastoti
kastroti
kastosa
kastosy
kastoso
kastroso
kastossi kastossi
kastossi kastrossi
kastoma
kastomy
kastomo
kastromo
kastommi
kastommi
kastommi
kastrommi
kastus
kastys
kastos
kastos
kastis
kastyzys kastas
kastas
Nom.
Acc.
Gen.
Dat.
Loc.
Strum.
Com.
Voc.
117
Gradi di comparazione
Uguaglianza: kastāpa ‘quanto il blu’
Maggioranza: kastykta ‘più blu’
Superlativo: kastāje ‘il più blu’
Aggettivi – Classe II
La maggior parte degli aggettivi appartenenti a questa classe presentano una radice
terminante in j, l, n, ñ oppure r, sia singole sia geminate (come nel caso di mirre
‘ogni’). Si prenda come esempio l’aggettivo kirine ‘felice’:
Posizione prepositiva
Singolare
Plurale
Lun. Sol. Terr. Acq. Lun. Sol. Terr. Acq.
kirine
kirine
kirino
kirinior
kirinior
kirinȳr
kirino(t)
kirinȳr
kirinē
kirinos
kirinȳr
kirinȳs
kirini
kirini
kirino
kirino
kirino
kiriniar
kiriniar
kirinȳ
kirinȳ
kirinȳ
kirinos
kirinȳs
kirinon,-om
kirinȳn, -ȳm
kirinion,-om
kirinȳn, ȳm
kirines
kirinios
kirinis
kirinīs
Nom.
Acc.
Gen.
Dat.
Loc.
Strum.
Com.
Voc.
Posizione pospositiva
Singolare
Plurale
Lun. Sol. Terr. Acq. Lun. Sol. Terr. Acq.
kirine
kirine
kirino
kirinot
kirinē
kirinior
kirinior
kirinȳro
kirinȳro
kirinȳro
kirini
kirini
kirinoti
kirinoti
kirinoti
kiriniar
kiriniar
kirinȳti
kirinȳti
kirinȳti
kirinose
kirinȳso
kirinossi
kirinȳssi
kirinome
kirinȳmo
kiriniommi
kirinȳmmi
kirines
kirinios
kirinis
kirinīs
Nom.
Acc.
Gen.
Dat.
Loc.
Strum.
Com.
Voc.
118
Gradi di comparazione
Uguaglianza: kirimpa ‘felice come’
Maggioranza: kirinta ‘più felice’
Superlativo: kirinjie ‘il più felice’
Aggettivi – Classe III
Gli aggettivi di questa classe terminano di solito – ma non sempre – con nessi
consonantici. La maggior parte delle radici di questi terminano in l, n, r oppure v.
Si prenda in esame l’aggettivo ‘alto’, eglie.
Posizione prepositiva
Singolare
Plurale
Lun. Sol. Terr. Acq. Lun. Sol. Terr. Acq.
Nom.
eglie
Acc.
Gen.
Dat.
Loc.
eglie
eglio
eglio(t)
egliē
Strum. eglios
Com.
eglion
Voc.
eglies
eglior
eglior
eglȳr
eglȳr
eglȳr
eglȳs
eglȳn
eglios
Posizione pospositiva
eglī
eglī
eglio
eglio
eglio
eglios
eglion
eglīs
egliar
egliar
eglȳ
eglȳ
eglȳ
eglȳs
eglȳn
eglīs
Singolare
Plurale
Lun. Sol. Terr. Acq. Lun. Sol. Terr. Acq.
Nom.
eglie
Acc.
Gen.
Dat.
Loc.
eglie
eglio
egliot
egliē
Strum. eglȳse
Com.
eglyme
Voc.
eglies
eglior
eglior
eglȳro
eglȳrot
eglȳrot
eglȳso
eglī
eglī
eglȳti
eglȳti
eglȳti
egliar
egliar
eglȳti
eglȳti
eglȳti
eglȳssi
eglȳssi
eglȳmo
eglȳmmi
eglȳmmi
eglios
eglīs
eglīs
119
Gradi di comparazione
Ugualianza: eglipa ‘alto come’
Maggioranza: eglikta ‘più alto’
Superlativo: eglije ‘il più alto’
I pronomi
Naturalmente anche i pronomi seguono la declinazione a seconda del caso e, poiché
essi corrispondono esattamente ai nomi, ci limitiamo a riportarne la completa
declinazione in tabella.
Singolare
Plurale
1°
2°
3° pers
1°
2°
pers
pers
Sol./ Lun.
Terr./Acq.
pers
pers
3°
pers
Nom.
nyke
ao
Acc.
Gen.
yne
yno
Dat.
ynot
Loc.
nykē
avy
aō
aōt
aō
Strum.
Com.
ynoma aōma
ziry
ziry
zijo
zijot
zirȳ
zijosy
ūja
ūī
ūō
ūjōt
ūjā
josa
zijomy
joma
īlon
īlōn
īlo
īlot
īlō
jeme
pōnta
jemī
pōnte
jemo
pōnto
jemot
pōntot
jemē
pōntā
īloma
jemme
pōntosa
pōntoma
Voc.
nykys
aōs
zirys
Rifles. nykēla aōla
zirȳla
ūjus
jāla
īlos
jemys
pōntus
īlōnda
jemēla pōntāla
Per quanto riguarda i pronomi possessivi, essi possono essere così schematizzati:
1° persona
2° persona
3° persona
Singolare
Plurale
ñuhon ‘mio’
īlvon ‘nostro’
aōhon ‘tuo’
jevon ‘vostro’
Sol./Lun.
zȳhon ‘suo’
Terr./Acq.
jāhon ‘suo’
pōjon ‘loro’
A differenza degli aggettivi possessivi, che modificano sempre il nome (ad esempio,
120
Āeksiot zȳhon vaoreznon jepin ‘Chiedo al Signore il suo favore’), i pronomi
possessivi vengono utilizzati da soli (come nel caso Kesy zȳhon issa ‘Questo è suo’),
oppure in funzione di soggetto del predicato (ad esempio, Zȳhon suvio perzō vāedar
issa ‘La canzone del ghiaccio e del fuoco è la sua’).
Pronomi dimostrativi e interrogativi
Questi pronomi, in alto valyriano, formano un’unica categoria. A differenza dei
pronomi personali, essi si declinano per lo più in modo regolare e si comportano
grosso modo come gli aggettivi. Questa categoria di pronomi si divide in tre
sottocategorie:
Prossimali: utilizzati per riferirsi a entità vicine al parlante. Corrisponde al this
dell’inglese o al questo dell’italiano.
Distali: utilizzati per riferirsi a qualcosa che si trova lontano rispetto al parlante.
Corrisponde al that inglese e al quello italiano.
Interrogativi: sono
i pronomi utilizzati per formulare domande. Essi
corrispondono all’inglese what/which e all’italiano quale.
Per ognuna di queste sottocategorie esistono due radici, una per referenti animati e
l’altra per quelli inanimati. Si può, dunque, riassumere così la suddetta distinzione:
Animato Inanimato
Prossimale
bisa
Distale
bona
kesa
kona
Interrogativo spare
skore
È necessario, inoltre, sottolineare che i pronomi dimostrativi appartengono sempre
alla Classe I degli aggettivi, mentre gli interrogativi alla Classe II.
Questi pronomi si comportano esattamente come gli aggettivi: hanno una forma
prepositiva e pospositiva, anche se quest’ultima è molto rara poiché i dimostrativi
precedono quasi sempre il nome cui si riferiscono.
121
A seconda del genere del nome a cui si riferiscono, anche i pronomi seguono una
precisa declinazione che, insieme alla distinzione tra animato e inanimato, danno
vita e diverse forme, le quali possono essere sintetizzate schematicamente come
segue:
Lunare
Solare
Terrestre
Prossimale
bisa muña
‘questa madre’
bysys zaldrīzes
‘questo drago’
bison turgon
‘questo verme’
Acquatico
bisor hāedar
‘questa sorella minore’
Animato
Distale
bona muña
Interrogativo
spare muña
‘quella madre’
‘quale madre?’
bonys zaldrīzes
spare zaldrīzes
‘quel drago’
bonon turgon
‘quel verme’
bonor hāedar
‘quale drago?’
sparior turgon
‘quale verme?’
sparior hāedar
‘quella sorella minore’
‘quale sorella
minore?’
Nome
bisy/bisir
bony/boniy
sparos/sparior
‘questo qui/questa persona’
‘quello lì/quella persona’
‘chi?’
Prossimale
kesa brōzi
‘questo nome’
kesys biarves
Inanimato
Distale
kona brōzi
‘quel nome’
Interrogativo
skore brōzi
‘quale nome?’
konys biarves
skore biarves
‘questa celebrazione’
‘quella celebrazione’
‘quale celebrazione?’
keson glaeson
konon glaeson
skorior glaeson
‘questa vita’
kesor qelbar
‘questo fiume’
kesy/kesir
‘quella vita’
konor qelbar
‘quel fiume’
kony/konir
‘quale vita?’
skorior qelbar
‘quale fiume?
skoros/skorion
‘questo qui/questa cosa’
‘quella lì/quella cosa’
‘cosa?/quale cosa?
Lunare
Solare
Terrestre
Acquatico
Nome
122
Pronomi relativi
A differenza dell’inglese e della maggior parte delle lingue europee, i pronomi
relativi dell’alto valyriano non hanno una forma propria, vale a dire che essi si
declinano secondo il caso del nome cui si riferiscono. Quindi, ad esempio, la frase
l’uomo che ha incoraggiato la donna, viene resa con Ābre kustittas lue vale (lett.
Donna incoraggiato che uomo). La struttura fraseologica, come si può notare, segue
la direzione opposta alla struttura dell’italiano e, più in generale, delle lingue
europee. Pertanto, l’alto valyriano non presenta un’unica forma, ma segue – più o
meno – la declinazione degli aggettivi di Classe I, presentando alcune irregolarità,
le quali saranno segnate in grassetto nella tabella seguente.
Singolare
Plurale
Lun.
Sol.
Terr. Acq.
Lun.
Sol.
Terr. Acq.
lua
lue
luo
lȳs
lī
luo
luon
luor
luon
luor
lī
lī
lȳs, – ȳz
lua
lī
lua
lura
lura
luo
luro
luo(t)
luo(t)
luo(t)
luro(t)
luo(t)
luo(t)
luo(t)
luro(t)
luo(t)
luo(t)
luo(t)
luro(t)
luā
lȳ
luo(t)
luro(t)
luo(t)
lī
luo(t)
luro(t)
Nom.
Acc.
Gen.
Dat.
Loc.
Strum.
luos
luos
luos
luros
luos
luos
luos
luros
Com.
luon, -om
luon, -om
luon, -om
luron, -om
luon, -om
luon, -om
luon, -om
luron, -om
Voc.
lūs
lȳs
luos
luos
lis
lȳs, – ȳz
luas
luas
Affissi derivazionali
Gli affissi derivazionali consistono in prefissi e suffissi che vengono utilizzati per
creare una nuova parola a partire da parole già esistenti. Esistono, come in italiano,
dunque particolari affissi che determinano la formazione di specifiche categorie
grammaticali. Ad esempio, in italiano, sappiamo che il suffisso –mente, forma
avverbi a partire da aggettivi (lento> lentamente), oppure –tore crea nomi a partire
da verbi (inventare> inventore), e così via.
Allo stesso modo, l’alto valyriano prevede determinati affissi per la formazione di
specifiche categorie grammaticali, le quali verranno elencate qui di seguito.
123
Affissi che formano Aggettivi
Affisso
do-, dor- (pref.)
Esempio
Dor-zalty
Significato
Non-Bruciata
Creano forme negative
Do-vaogēdy
Immacolati
(lett. non
-enka (suff.)
Vaog-enka
Creano aggettivi di Classe I
nēd-enka
macchiati)
Sporco
Coraggioso
nā- (pref.)
nā-morghūlilare
Immortale
(lett.
non
Crea forme negative
-ōñe (suff.)
emb-ōñe
Crea aggettivi di Classe II
teg-ōñe
mortale)
acquatico
terrestre
-oqitta (suff.)
Laehurl-oqitta
Senza faccia
Privativo,
indica
la
mancanza la mancanza di
qualcosa
ñōgh-oqitta
Senza braccia
-sīha, -īha (suff.)
*vestero-sīha
Westerosi (abitanti di
Suffisso gentilici
Westeros)
Valyr-īha
Valyriani (abitanti di
Affissi che formano Avverbi
Affisso
-ī (suff.)
Esempio
ader-ī
Crea avverbi da aggettivi di
arl-ī
Valyria)
Significato
presto
di nuovo
Classe II e III
-irī (suff.)
nedenk-irī
coraggiosamente
Crea avverbi da aggettivi di
trūmrī
profondamente
Classe I
-kydoso (suff.)
skor-kydoso?
kes-kydoso
124
come?
così
Affissi che formano Nomi
Affisso
-io (suff.)
Accrescitivo
Esempio
Kel-io
Ōdr-io
Significato
Leone (lett. grande gatto)
Ferita
(lett.
grande
danno)
-io (suff.)
mīs-io
Protettore (lett. colui che
Creano nomina agentis
protegge)
Kaerīn-io
Salvatore (lett. colui che
salva)
-ītsos (suff.)
Riñ-ītsos
Ragazzina (lett. piccola
Creano diminutivi
ragazza)
Zokl-ītsos
Lupetto
(lett. piccolo
-non (suff)
Ērin-non
Creano nomi deverbali
Raq-non
lupo)
Vittoria
Amore
-tys/rys, dopo vocale (suff.)
Vok-tys
Sacerdote
Crea nomi di professioni
Men-tys
-ves (suff.)
Crea nomi astratti da
Dāer-ves
Kirim-ves
aggettivi
Soldato
Libertà
Felicità
Affissi per creare Verbi
Affisso
Esempio
-ēbagon, -ībagon, -ūbagon
Mem-ēbagon
Significato
Avanzare
Vengono
utilizzati
per
creare verbi,
la vocale
iniziale del suffisso sembra
sytil-ībagon
Appartenere
dipendere
dall’ultima
Dekur-ūbagon
Camminare
vocale della radice verbale
-ikagon, -kagon (suff.)
Hos-kagon
Rendere orgoglioso
Forma i verbi causativi
jor-, jol-, jo- (pref.)
Jo-mōzugon
Continuare a ubriacarsi
125
Crea verbi continuativi
-ligon (suff.)
Verd-ligon
Ricreare
Crea verbi reiterativi
-ūljagon (suff.)
Morgh-ūljagon
Morire
Crea verbi incoativi
Questi sono solamente alcuni dei prefissi che la lingua utilizza per trasmettere
specifici significati.68
3.3.5 Sintassi
Come è facilmente deducibile dagli esempi riportati nel paragrafo precedente, l’alto
valyriano segue un ordine di tipo SOV. (Soggetto-Oggetto-Verbo), per cui il verbo,
all’interno della frase, occupa la posizione finale.
Iōnos ñuha ñābranna issa. — Jon è mio cugino.
Mentre, per quanto riguarda la posizione della testa, l’alto valyriano è una lingua
con testa a destra, vale a dire che in un sintagma nominale, ad esempio, la testa –
che è il nome- viene posto alla fine del sintagma.
Ad esempio, nella lingua giapponese, la quale segue anche l’ordine SOV,
ritroviamo i seguenti esempi, riportati da Givon (2001, Vol.I p.242):
a) ooki hito-wa (Adj-N)
big man-top
‘the big man’
b) sono onna-wa (Dem-N)
that woman-top
‘that woman’
c) san-satsu-no hon-o (Num-N)
three-cl-gen book-obj
‘three books’
d) watashi-no hon-o (Poss-N)
I-gen book-obj
‘my book’
Allo stesso modo, si può confrontare questo tipo di costruzione fraseologica con
68 Per la lista completa, si rimanda alla consultazione del sito
https://wiki.dothraki.org/High_Valyrian_Derivational_Affixes#cite_ref-2
126
quella dell’alto valyriano. Si prenda in esempio la frase Yn dāeri vali sīr issi, la
quale può essere tradotta come ‘Ma voi siete uomini liberi adesso’.
Yn dāeri
vali
sīr
issi.
Ma
liberi uomini adesso siete.
Sotto questo punto di vista, l’alto valyriano è più simile all’inglese che all’italiano,
poiché notiamo come il nome è preceduto, come in inglese, dall’aggettivo che si
riferisce ad esso. Mentre, in italiano, l’aggettivo segue il nome.
Adposizioni
Trattandosi di una lingua che segue l’ordine SOV, si suppone una forte tendenza
all’utilizzo prevalente di posposizioni piuttosto che di preposizioni. Ed
effettivamente questa predilezione è verificata.
L’alto valyriano presenta infatti solamente tre preposizioni, mentre il numero delle
posposizioni è superiore.
Preposizioni
Come si è detto sopra, l’alto valyriano contempla solo tre preposizioni:
‣ hae: assume un valore semantico di tipo comparativo, essa infatti presenta in tutte
le sue occorrenze una sorta di paragone tra due termini. Inoltre, ricorre solamente
prima di nomi al caso locativo.
1) Yne sytivīlībilāt? Hae dāero valoti?
2) Hae jemē istin.
‘Combatterete per me? Come
uomini liberi?’
‘Una volta io ero come voi
adesso.’69
3)
Lodaor hēnkos vējose hae Astaprot
Altrimenti, Yunkai subirà lo stesso
Yunkai botilza.
destino come Astapor.
4) Tubī hae kesīr sittāks.*
‘Sei nato in un giorno come
questo qui.’
69 Si noti, appunto, che valoti e jemē sono le forme declinate al caso locativo rispettivamente di vala
e del pronome personale della seconda persona plurale.
127
*Si noti come, in questo caso, la particella prepositiva si comporti come una
posposizione. Poiché non esistono altri esempi simili per ricondurre il fenomeno
ad una regola precisa, possiamo limitarci ad immaginare un’eccezione dovuta,
forse, all’assenza di un secondo termine di comparazione sotto forma nominale.
Infatti la ‘comparazione’ avviene tra tubis (=giorno, declinato al caso locativo) e
un pronome dimostrativo, il quale, sottointendendo il riferimento a tubis, trasmette
ad esso il caso locativo. Mentre, in tutti gli altri i casi, i termini paragonati sono
ben distinti (1) voi – come uomini liberi; 2) io – come voi; 3) Yukai – come
Astapor).
Inoltre, questa preposizione può formare composti, insieme ad alcuni avverbi:
– hegnīr (hae + konir ‘lì’)→ ‘così, in quel modo’
Es. Issa, drīvose hegnīr ēdrus. ‘Si, lei sta davvero dormendo in quel modo lì.’
– heksīr (hae + kesir ‘qui’)→ ‘così, in questo modo’
Es. Issa, heksīr ipradan. ‘Si, sto mangiando in questo modo qui.’
‣ hen: a seconda del caso in cui è declinato il nome che segue la preposizione
assume un valore semantico differente. Se ricorre prima di un nome al caso
locativo assume un significato correlato al concetto di provenienza, come
dimostrano le seguenti frasi (con il verde è contrassegnato il nome al caso
locativo):
Es. Hen perzȳ vȳs amazverdagon asittaks. ‘È rinata dal fuoco per ricostruire il
mondo.’
Es. Nyke Daenerys hen Targārio Lentrot. ‘Io sono Daenerys dalla casata dei
Targaryen.’
Es. Hen sȳndrorro, ōños. Hen ñuqīr, perzys. Hen morghot, glaeson.
‘Dall’oscurità, la luce. Dalla cenere, il fuoco. Dalla morte, la vita.’
Se la preposizione ricorrre prima di un nome declinato al caso dativo assume una
connotazione di causalità come nella seguente espressione (il caso dativo è
contrassegnato dal colore rosso):
Es. …se hen pōjo qringaomnoti Āeksia īlinurtas. ‘e lei ha crocifisso i padroni per
128
i loro peccati.’
Inoltre, questa preposizione può formare composti insieme a preposizioni o
avverbi, come nei seguenti esempi:
– hēdrȳ (hen + rȳ ‘tra’)→ ‘tra’70
Es. Jenti jevi jemēle iderēbilātās, qogrondo jevo hēdrȳ. ‘Sceglierai un leader tra
persone del tuo stesso grado.’
– hezīr (hen + sīr ‘adesso’)→ ‘da adesso’
Es. Hēzīr, brōza jevi jemēle iderēbilātās. ‘Da adesso, sceglierete i vostri nomi.’
‣ va: anche questa preposizione assume diverse accezioni a seconda del caso cui è
declinato il nome che la segue. Per cui, se essa si trova prima di un nome declinato
al caso locativo, essa assumerà un’accezione che interessa la direzionalità del
movimento, come dimostra la seguente frase (in verde è segnato il nome al caso
locativo):
Es. Va oktio remȳti vale jikās. ‘Manda un uomo ai cancelli della città.’
Se, invece, la preposizione precede un nome declinato al caso dativo, essa
assumerà il significato di delimitazione del punto di arrivo. In altre parole, essa
può essere tradotta come ‘fino a’, come mostrano gli esempi seguenti (il nome
declinato al caso dativo verrà contrassegnato con il colore rosso):
Es. Pyryrzy napasirossa vokemilzi, va daorunta ñelli qringaomnā pōjo zālari.
‘Essi purificheranno centinaia di miscredenti, bruciando i loro peccati e la loro
carne, fino a ridurli a niente.’
Inoltre, la delimitazione va anche intesa da un punto di vista temporale. Si noti
l’espressione va moriot. Essa è una locuzione idiomatica che include la
preposizione va ‘fino a’, seguita dal nome mōris ‘fine’, declinato al caso dativo.
Per cui, l’espressione, nel suo complesso, letteralmente significa ‘fino alla fine’,
quindi assume il significato di ‘sempre’. Lo possiamo notare nel seguente
70 L’esatto corrispettivo sarebbe l’inglese from amongst, che nella traduzione italiana perde l’accento
sulla composizionalità dell’espressione. Infatti dovrebbe essere tradotta con l’espressione letterale
*da tra.
129
esempio:
Es. Lannister va moriot zȳha gēlȳnī addemmis. ‘Un Lannister paga sempre i suoi
debiti.’
Posposizioni
Tutte le posposizioni vengono utilizzate nel caso in cui il nome che le precede sia
declinato al caso genitivo. Tra le posposizioni distinguiamo:
‣ bē: corrisponde alla preposizione italiana ‘su’. La posposizione assume sia un
significato letterale (come nell’espressione: perzo bē ȳgha, il cui significato
letterale è ‘sicuro sul fuoco’. Da qui, l’espressione viene resa con la traduzione
non perifrastica, ‘ignifugo’), sia nella sua accezione argomentativa in frasi come:
Es. Kostilus jevi āeksia yno bē pirtra jemot vestretis. ‘I suoi padroni ti avranno
mentito su di me.’
‣ gō: è una posposizione che assume sia un valore spaziale sia un valore di
anteriorità temporale. Essa può esprimere un valore spaziale di inferiorità quando
viene aggiunta ad un verbo, in veste di prefisso:
Es. gōvilagon→ ‘trovarsi al di sotto’
Es. gōvilemagon→ ‘mettere sotto’
Oppure, lo stesso valore spaziale può essere espresso da gō posposto al nome cui
si riferisce, come nell’esempio:
Es. ēbrio gō (ebrion=cielo notturno) ‘Sotto il cielo notturno’
Per quanto riguarda l’unica occorrenza in cui la posposizione assume
una’accezione di anteriorità temporale, riportiamo l’avverbio sīrgō, formato
dall’unione di sīr ‘adesso’ + gō, il quale assume il significato letterale di ‘prima
di adesso’. Questo significato è confermato dall’unica frase presente nel corpus:
Es. Sīrgō parklon iprattā? ‘Hai mai mangiato carne prima d’ora?’
‣ iemnȳ: questa posposizione, la quale può essere tradotta con l’italiano ‘dentro,
130
all’interno’, viene utilizzata per conferire più enfasi di un semplice locativo.71 La
posposizione, metaforicamente filiata dalla parola iemny ‘stomaco’, corrisponde
alla parola ‘stomaco’ declinata al caso locativo.72
Es. Jēdar yno toliot. Tegon yno gō. Perzys yno iemnȳ. ‘Il cielo su di me. La terra
sotto di me. Il fuoco dentro di me.’
‣ naejot73: la posposizione naejot corrisponde al nome naejon ‘davanti, lato
anteriore’ declinato al caso locativo o al caso dativo. Essa corrisponde, quindi, alla
locuzione prepositiva ‘di fronte a/ davanti a’ e, se accompagnata da un verbo,
71 A proposito di questa posposizione, Peterson scrive «I used the “inside” postposition that’s used
for emphatic “inside”-ness because ordinarily you’d just use the locative. I also thought of using
‘hen’, but that’s a preposition and would break up the symmetry. This translation preserves the
symmetry.» (http://www.dothraki.com/2011/09/the-header-script/#comment-93965)
72 La connessione metaforica tra ‘stomaco’ e ‘dentro’ non sorprende, poiché esso rappresenta, infatti,
un esempio canonico di grammaticalizzazione a partire dal nome di una parte del corpo. Il
collegamento tra i due termini è testimoniato da altri casi di grammaticalizzazione della parola
‘stomaco’ in alcune lingue come la lingua swahili, hausa, morè e altre lingue africane. (Cfr. Heine e
Kuteva: 2002, pp.53-54).
73 Peterson ci racconta, nel suo The Art of Language Invention (2015, Cap II), di un ‘imprevisto’
linguistico. La produzione gli aveva mandato un’email in cui gli si chiedeva di tradurre la frase:
“You stand before Daenerys Stormborn, the Unburnt, Queen of Meereen, Queen of The Andals and
the Rhoynar and the First Men…”. Peterson si mise subito all’opera e notò che, all’interno della
frase ‘Daenerys Stormborn’ era l’oggetto della frase, dice «she is the one stood before; she’s
not the one doing the standing». In inglese, dunque, il nome Daenerys avrebbe seguito la parola
‘before’ e, insieme ad essa, avrebbe seguito il verbo. «Not so in High Valyrian», precisa Peterson.
La frase in alto valyriano avrebbe dovuto essere tradotta come “Daenero Jelmāzmo naejot iōrā…”
Il nostro linguista spiega, quindi, che la parola Daenerys rappresentava l’oggetto della posposizione
naejot. Di conseguenza, la desinenza –ys, avrebbe dovuto essere cambiata in –o, secondo le regole
di declinazione nominale. Una volta tradotta la frase, la manda alla produzione che però la rifiuta,
spiegando che il nome Daenerys doveva rimanere invariato, cosicché i fan lo avrebbero
riconosciuto. A quel punto Peterson cercò di arrivare ad un compromesso. Se la battuta fosse stata
cambiata da “You stand before Daenerys” in “Daenerys sits before you”, in quel caso, Peterson
avrebbe potuto mantenere la desinenza del nominativo singolare –ys, soddisfacendo in quel modo i
requisiti richiesti dalla produzione. Inizialmente, egli ricevette una risposta positiva, e quindi cambiò
la frase in “Daenerys Jelmāzmo aō naejot dēmas…”, ma gli attori si lamentarono poiché la
traduzione non coincideva con la battuta del copione. I produttori avevano mantenuto, infatti, la
battuta iniziale “You stand before Daenerys Stormborn”, spiegando che la traduzione andava bene,
ma la battuta sarebbe dovuta rimanere invariata. Quindi Peterson, alla fine, si rassegna e aggiunge
che per i produttori – e, in generale, per i parlanti nativi inglesi – è normale che l’inflessione
nominale sia una caratteristica linguistica che non viene tenuta granché in considerazione, poiché
l’inglese non presenta praticamente nessuna flessione per i nomi, se non quella riguardante la
formazione del plurale, che però non ha nulla a che vedere con la flessione derivata dal caso.
Infine, vorrei aggiungere che condivido la scelta degli autori della serie, poiché si tratta, a mio
avviso, di una strategia che avvicina lo spettatore allo show, in quanto sentire e riconoscere parole
di una lingua totalmente sconosciuta che ricorrono diverse volte, rende più concreta, più reale la
lingua. E, trattandosi di una lingua inventata, non esiste alcuna situazione che sia più auspicabile di
ricordare o dare l’impressione di trattarsi di una lingua naturale. Pertanto, paradossalmente
snaturando i principi di una lingua reale, avente le sue ‘regole’, si è ottenuto il risultato opposto e
cioè: rendendo ‘non-realistica’ una lingua, la si è resa più reale.
131
assume il ruolo grammaticale di avverbio, come nel caso proposto come esempio:
Es. Dovaogēdys! Naejot memēbātās! ‘Immacolati! Avanzate! (lett. marciate
avanti)
‣ ondoso: la posposizione in questione deriva dal nome ondos ‘mano’ declinato al
caso stumentale, e potrebbe essere letteralmente tradotto come ‘per mano di/a
causa di’. La posposizione ondoso viene utilizzata con i verbi passivi per marcare
l’agente dell’azione.
Es. Valo ondoso Aerys iderēbaks74. ‘Aerys è stato scelto per mano di
quell’uomo.’
‣ rȳ: questa posposizione viene utilizzata per esprimere un valore di permanenza,
di un qualcosa che si protrae. Poiché il corpus contiene solamente un’occorrenza,
non si può esprimere la certezza che questa posposizione possa avere
un’accezione, oltre che temporale, anche spaziale.75
Es. Jevo glaesoti rȳ buzdari istiat. ‘Siete stati schiavi per tutta la vostra vita.’
syt: storicamente, essa potrebbe corrispondere al caso locativo o dativo di un nome
sconosciuto o andato perduto, probabilmente qualche parola collegata
all’aggettivo sȳz ‘bene, buono’, che possa in qualche modo rientrare nella sfera
semantica del beneficiario. La posposizione, dunque, riguarda l’espressione del
beneficiario di un’azione, come confermerebbero le seguenti frasi:
Es. Vala Aero syt rōbra derēbza. ‘L’uomo raccoglie fichi per Aerys.’
Es. Se dāeri vali pōntalo syt gaomoti iderēbzi. ‘E gli uomini liberi compiono scelte
per se stessi.’
74 Si sottolinea la forma passiva del verbo iderēbagon> iderēbaks (cfr. p.96 di questa trattazione).
75 Il dubbio che la posposizione possa avere anche un valore spaziale sorge spontaneo per via del
modo in cui la nostra fonte di informazioni (https://wiki.dothraki.org/High_Valyrian_Vocabulary)
traduce il significato di essa. La traduzione fornita dalla nostra fonte, infatti, è throughout, il quale
possiede svariati significati che non vengono circorscitti soltanto alla dimensione temporale, ma
anche a quella spaziale. Riportiamo i principali significati del temine secondo il Cambridge
Dictionary: «Throughout→ in every part, or during the whole period of time» (Cfr.
https://dictionary.cambridge.org/dictionary/english/throughout).
132
Infine, questa posposizione viene molto utilizzata per creare espressioni causali,
quali:
Espressione
Esempio
Skorio syt? ‘Perché?’
Skorio syt kesī krēga bāngā?
‘Perché inforni quelle barbabietole?’
Kesrio syt ‘perché, poichè’ Kesrio syt bantis zōbrie issa se ossȳngnoti lēdys.
‘Poiché la notte è oscura e piena di terrore.’
‣ toliot: la posposizione toliot, quasi certamente derivata dall’avverbio tolī ‘sopra,
dopo’, possiede, dunque, valore locativo di superiorità fisica – traducibile con
‘sopra’ – e valore temporale di posteriorità – traducibile con ‘dopo’.76
Es. Jēdar yno toliot. ‘Il cielo su di me.’ [Valore locativo]
3.3.6 Conclusioni
L’analisi delle lingue de Il Trono di Spade e, nello specifico, dell’alto valyriano,
non è stato un lavoro semplice. Non essendo stato pubblicato alcun manuale
ufficiale – o anche non ufficiale – è stato davvero difficile riuscire ad organizzare
un discorso organico e che coinvolgesse i molteplici livelli linguistici in cui l’alto
valyriano si stratifica.
L’analisi linguistica presente in questo paragrafo è il risultato di un assemblaggio
di informazioni estrapolate da svariati siti online, e di preciso il sito
https://wiki.dothraki.org/Learning_High_Valyrian#Grammar,
giudicato
linguisticamente attendibile da Peterson stesso, con il quale ho avuto l’onore di
parlare personalmente (Vedi e-mail 15/01/2019 23:29 in appendice, p.181).
Per molte delle informazioni, si è dovuto procedere ad una ricostruzione, poiché sul
sito erano presenti solamente delle regole generali che però non venivano applicate
76 Per quando riguarda Il caso in cui la posposizione assume valore temporale di posteriorità il corpus
non offre nessuna conferma del fenomeno. La caratteristica è stata riportata fedelmente dalla fonte
(https://wiki.dothraki.org/High_Valyrian_Vocabulary),
della
quale,
posposizione, scrive: «toliot [‘toli͡ ot] – post.→gen. above, over; after»
definizione
nella
la
133
con esempi concreti. Per cui, era impossibile verificarne l’effettiva esistenza: tutte
le parole in questione sono state contrassegnate, infatti, da un asterisco.
Infine, in quanto a tutti quegli aspetti linguistici non trattati, la loro assenza non è
stata una scelta volontaria, bensì obbligata dall’assenza di fonti che trattassero altri
aspetti della lingua in maniera ragionata, chiara, coerente e linguisticamente
appropriata.
134
3.4 Le conlangs di Game of Thrones – Il dothraki
La storia di Daenerys non rimane vincolata alle sue origini – e di conseguenza alla
lingua valyriana. Il personaggio di Daenerys è forse quello più dinamico sotto il
punto di vista spaziale. La legittima erede al trono, viaggia, si sposta, conquista
regioni, libera gli schiavi dagli oppressori. Nel suo cammino verso la riconquista
Figura 6
del trono, viene
venduta
dal
fratello al capo
della tribù dei
dothraki,
una
popolazione di
guerrieri
che,
sui loro cavalli,
solcano
le
steppe del continente di Essos, vivendo come semi-nomadi, conducendo uno
sfrenato stile di vita, senza inibizioni e pietà. Il fratello di Daenerys la cede, dunque,
al khal (il capo della tribù), Drogo, nella speranza che la loro unione portasse dalla
parte dei Targaryen un esercito di guerrieri senza pietà, pronti ad accompagnarli a
Westeros per la riconquista del trono. Inizialmente Daenerys è spaesata, prima di
tutto per lo stile di vita selvaggio che i dothraki conducevano e, in secondo luogo,
per la barriera linguistica che si interponeva tra lei e il popolo di cui era diventata
regina. Pertanto, si
Figura 7
affida ad una ‘dama’,
Irri (interpretata da
Amrita Acharia), che
la inizia ai costumi
dothraki
e
che,
soprattutto, le insegna
la lingua. Una volta
abbattuta la barriera linguistica, Daenerys riesce ad ambientarsi e a diventare a
pieno titolo la khaleesi di quel popolo che tanto le appariva violento e burbero.
135
3.4.1 Genesi della lingua
Il processo che Peterson utilizzò per la creazione della lingua divergeva dai metodi
che usualmente utilizzava per creare le sue lingue (non si consideri la creazione
dell’alto valyriano, che è avvenuta successivamente alla creazione del dothraki).
Nel suo The Art of Language Invention, Peterson spiega che il suo punto di
partenza fu una lista di cinquantasei parole, ventisei delle quali erano nomi propri.
khal
khaleesi
khalasar
dosh
rhae
Iggo
Ogo
khaleen
arakh
khas
hramma
mhar
Zollo
Temmo
rakh
haj
rhaesh
andahli
rhaggat
Bharbo
ko
dothrae
mr’anha
khalakka
vaes
dothrak
Pono
Rhogoro
dothraki
hrakkar
Drogo
Haggo
Cohollo
maegi
qiya
Qotho
Jhogo
Quaro
Rhaego
Rakharo
qoy
shierak
Fogo
Jommo
tolorro
jaqqa
Irri
rhan
Jhiqui
haesh
rakhi
Moro
Mago
Aggo
Jhaqo
ai
Dall’analisi di queste parole, Peterson ha estrapolato una grammatica.
Naturalmente, in un processo creativo così complicato, l’errore resta sempre dietro
l’angolo. Ad esempio, Peterson racconta di un errore di base che si è portato sin
dall’inizio: notando che in quasi tutte le parole non comparivano mai le lettere p e
b, decide di eliminarle completamente dal sistema alfabetico, non notando che in
realtà esse erano presenti nei nomi propri Bharbo e Pono.
Dunque, preso atto di tutte le considerazioni linguistiche che saltavano fuori da
quell’elenco di parole – stavolta più cospicuo di quello dell’alto valyriano –
cominciò a creare la sua lingua, cercando di mantenere inalterato il set lessicale che
Martin aveva fornito all’interno dei suoi libri.
La prima frase che Peterson analizza è: “Rakh! Rakh! Rakh haj!” they
proclaimed. A boy, a boy, a strong boy.” (AGoT: 1996, Cap. 46). Per cui, deduce
che Rakh è la parola per ‘boy’, poiché è l’unica che ricorre tre volte, e che haj è la
parola per ‘strong’. Quindi, già questa piccola frase offre le informazioni necessarie
a capire che si tratta di una lingua con testa a sinistra, poiché l’aggettivo segue il
nome a cui si riferisce.
136
La seconda frase che Peterson analizza è: “Khalakka dothrae mr’anha!” she
proclaimed in her best dothraki. A prince rides inside me!” (AGoT: 1996, Cap. 46).
Postulando che Khalakka sia la parola per ‘principe’77, Peterson si concentra sulla
seconda parola. Essa è evidentemente derivata dalla parola che designa il popolo,
dothraki, parola che letteralmente significa ‘riders’. Per cui, quello doveva essere
certamente il verbo, e mr’anha doveva corrispondere necessariamente a ‘inside
me’. Considerando i processi di costruzione preposizionale nelle lingue naturali,
dove è molto probabile che una preposizione, incontrando un pronome, si fonda con
esso (cfr. francese de elle>d’elle o inglese with them>with’em), Peterson ritiene
possibile che la preposizione sia espressa con la parola mra che, a contatto con il
pronome anha, subisce un’elisione. Il caso contrario – e cioè se anha fosse stata la
preposizione e mra il pronome – sarebbe stato possibile, ma Peterson ha ritenuto
improbabile che una costruzione del genere fosse stata nelle intenzioni di Martin,
trattandosi egli di un nativo anglofono che difficilmente possiede familiarità con
questa tipologia linguistica (tipica, ad esempio, del giapponese).
Da queste deduzioni linguistiche, Peterson traccia le linee base della lingua: si tratta
di una lingua flessiva, con testa a sinistra, che presenta l’ordine sintattico SVO
(Soggetto-Verbo-Oggetto).
3.4.2 Fonologia
La lingua dothraki prevede ventidue consonanti e quattro vocali.
Consonante
ch
d
f
g
h
n
IPA Esempio
t͡ ʃ
m’ach! ‘ciao!’
Consonante
j
IPA Esempio
d͡ ʒ
haj ‘forte’
d̪
f
g
h
n̪
dothralat ‘cavalcare’ k
darif ‘sella’
khogar ‘vestiti’
haj ‘forte’
zheanak ‘bello’
kh
l
m
th
k
x
l̪
m
θ
akat ‘due’
rikh ‘marcio’
lajak ‘guerriero’
mem ‘suono’
athrokar ‘paura’
77 Peterson sa che khal è la parola che designa il leader del clan e che khalasar è il nome delle genti
dothraki. Pertanto, intuisce che aggiungendo dei suffissi alla parola khal è possibile creare una rete
lessicale semanticamente collegata alla parola khal.
137
Consonante
IPA Esempio
Consonante
IPA Esempio
q
r
s
sh
t
q
fasqoyi ‘destino’
ɾ, r
mori ‘essi’
s
ʃ
t̪
vaes ‘città’
shierak ‘stella’
astat ‘dire’
v
w
y
z
zh
v
w
j
z
ʒ
vov ‘arma’
zoqwat ‘baciare’
yer ‘tu’
ziso ‘ferita’
rizh ‘figlio’
– Per quanto riguarda la consonante r, essa viene pronunciata come una polivibrante
([r]) a inizio parola, se seguita da vocale, se geminata o a fine parola. Mentre, viene
pronunciata come una monovibrante ([ɾ]) in tutti gli altri casi.
Per quanto riguarda le vocali, il dothraki ha quattro vocali, che non si presentano
mai sottoforma di vocali lunghe e che non si dittongano mai.
Anteriore Posteriore
Chiusa i [i]
Media e [e]
o [o]
Aperta a [a]
Sia le consonanti che le vocali possono essere raddoppiate e ogni segmento viene
pronunciato come entità a sé stante.
Infine, quando le consonanti come ch, kh, sh, th e zh vengono raddoppiate,
diventano rispettivamente cch, kkh, ssh, tth e zzh.
Prosodia
Per quanto riguarda la prosodia del dothraki, essa segue le seguenti regole:
‣ Quando una parola finisce per vocale, l’accento cade sulla prima sillaba.
Es. ataki, havzi
‣ Quando una parola finisce per consonante, l’accento cade sulla sillaba finale.
Es. lajak, m’athchomaroon
‣ Quando la penultima sillaba è pesante e la parola finisce per vocale, l’accento cade
sulla penultima sillaba.
Es. zhavorsa, vosecchi
138
3.4.3 Grammatica
La struttura di analisi che verrà adoperata per il dothraki, non seguirà il modello che
finora è stato utilizzato, ma seguirà la struttura e l’ordine del manuale di Peterson,
Living Language Dothraki78, per ricostruire la stessa struttura logico-sistematica
che lo stesso inventore della lingua segue.
3.4.3.1 Pronomi Personali
Prima di introdurre i pronomi, Peterson spiega che la lingua dothraki viene declinata
con i casi. Per cui, presenta, in primo luogo, i pronomi personali al caso nominativo.
Prima Persona
Singolare
anha ‘io’
Plurale
kisha ‘noi’
Seconda Persona79
yer ‘tu (informale)’
yeri ‘voi (informale)’
Terza persona
me ‘egli, ella, esso’
mori ‘essi’
shafka ‘tu/voi (formale plurale e singolare)
3.4.3.2 Il Sistema Verbale
A differenza del complesso sistema verbale dell’alto valyriano, i verbi in dothraki
presentano una costruzione di gran lunga più semplice. Infatti, essi vengono
coniugati a seconda della persona e del numero e si coniugano al modo indicativo
(presente, passato e futuro) e al modo imperativo. Esistono due tipologie verbali
che si differenziano per via della loro desinenza: ritroviamo, dunque, verbi con
terminazione in –lat, e verbi che terminano con la desinenza –at, i quali vengono
coniugati diversamente a seconda del tempo verbale.
Si proceda ad un’analisi approfondita dei tempi verbali dell’indicativo.
78 Peterson D.J., Living language Dothraki, 2015
79 Peterson precisa che l’utilizzo del pronome di seconda persona dipende dal numero e dalla
formalità. Se si parla con una persona verrà utilizzato yer; mentre se si parla con più di una persona,
verrà usato il pronome yeri. In situazioni più formali, invece, viene utilizzato il pronome shafka,
indipendentemente dal numero di persone a cui ci si riferisce.
139
PRESENTE: Verbi -lat
Le desinenze che si aggiungono alla radice del verbo sono:
1° pers. sing. → -k
2° pers. sing. → -e
3° pers. sing. → -e
1° pers. pl. → -ki
2° pers. pl. → -e
3° pers. pl. → -e
Si prenda come esempio uno dei verbi -lat più utilizzati in dothraki: dothralat
‘cavalcare’. Una volta rimossa la desinenza dell’infinito, resta la radice verbale
(dothra-), la quale verrà coniugata come segue:
Singolare Plurale
Per cui, è possibile adesso ricollegare
Prima Persona
dothrak
dothraki
Seconda Persona dothrae
dothrae
Terza Persona
dothrae
dothrae
alla frase che Peterson analizza
quando comincia a lavorare sulla
creazione della lingua: “Khalakka
dothrae mr’anha!” she proclaimed in
her best dothraki. A prince rides inside me!” (vedi pag. 136).
Per quanto riguarda, invece, l’accordo tra il pronome shakfa e il verbo, esso
concorda con la terza persona plurale.
Per quanto riguarda la negazione dei verbi –lat, il verbo necessita di altre desinenze
e di un elemento lessicale: vo (davanti a verbi che cominciano per consonante)
oppure vos (davanti a verbi che cominciano per vocale). Le desinenze devono essere
aggiunte subito dopo la radice verbale privata della sua ultima vocale. Possiamo
riassumere questo processo con il seguente schema:
Singolare Plurale
Per cui avremmo frasi come:
Prima Persona
-ok
Seconda Persona -o
Terza Persona
-o
-oki
-o
-o
– Anha vo dothrok ‘Io non cavalco’
– Kisha vos indoki ‘Noi non beviamo’
(indoki = da indelat ‘bere’).
140
PRESENTE: Verbi –at
Le desinenze che si aggiungono alla radice del verbo sono:
1° pers. sing. → -ak
2° pers. sing. → -i
3° pers. sing. → -a
1° pers. pl. → -aki
2° pers. pl. → -i
3° pers. pl. → -i
Allo stesso modo dei verbi –lat, si aggiungono le sopraindicate desinenze, come è
possibile notare nella seguente tabella, che prende in esame il verbo astat ‘dire’.
Singolare Plurale
Prima Persona
astak
astaki
Seconda Persona asti
Terza Persona
asta
asti
asti
Per quanto riguarda la negazione dei verbi –at, anche in questo caso il verbo
necessita di specifiche desinenze e deve essere accompagnato da vo oppure da vos,
a seconda della prima lettera che compone la parola.
Singolare Plurale
Per cui avremmo frasi come:
Prima Persona
-ok
-oki
– Anha vos astok ‘Io non dico’
Seconda Persona -i
Terza Persona
-o
-i
-i
– Mori vos asti ‘Essi non dicono’
PASSATO: Verbi –lat
Formare i verbi al passato è molto semplice, poichè il verbo, in questo caso, seppur
debba sempre concordare con il numero, non ha bisogno di accordarsi con la
persona. Per creare i verbi al passato, non si aggiunge alcuna desinenza con i
soggetti al singolare, mentre si aggiunge –sh ai verbi con soggetto al plurale, come
riportato sotto.
141
Singolare Plurale Es. Singolare Es. Plurale
Prima Persona
–
Seconda Persona –
Terza Persona
–
-sh
-sh
-sh
Anha dothra
Kisha dothrash
Yer dothra
Yeri dothrash
Me dothra
Mori dothrash
Per quanto riguarda la negazione, basta cambiare la vocale tematica in o e
aggiungere alla radice del verbo le desinenze del passato, non dimenticando di
preporre al verbo la negazione vo/vos.
Si avranno, dunque, frasi come: Anha vo dothro ‘Io non cavalcavo’
Mori vos indosh ‘Essi non bevevano’.
PASSATO: Verbi –at
Esattamente come accade per i verbi –lat, i verbi –at al passato si formano con
l’aggiunta di una desinenza, stavolta –ish, per i soggetti al plurale e sono marcati
dall’assenza di desinenza per i soggetti al singolare.
Singolare Plurale Es. Singolare Es. Plurale
Prima Persona
–
Seconda Persona –
Terza Persona
–
-ish
-ish
-ish
Anha ast
Kisha astish
Yer ast
Me ast
Yeri astish
Mori astish
La negazione al passato dei verbi in –at, prevede la particellla di negazione vo/vos
e l’aggiunta del suffisso –o per i soggetti singolari e un mutamento vocalico che
coinvolge la i presente nella desinenza –ish, la quale viene sostituita da una o.
Si avranno, dunque, frasi come: Kisha vos astosh ‘Noi non dicevamo’
Yeri vo charo ‘Voi non sentivate’
(charo= da charat ‘sentire’)
FUTURO
La formazione del futuro non tiene conto della distinzione tipologica tra verbi –lat
e verbi –at. Per formare il futuro dei verbi che cominciano per vocale basta partire
dalla coniugazione del verbo al presente (che puà essere di grado positivo o di grado
negativo, a seconda se la frase al futuro è positiva o negativa) e aggiungere il
142
prefisso v- al verbo. Per i verbi che cominciano per consonante si aggiungono il
prefisso a-, se sono di grado affermativo, o- se sono di grado negativo.
Verbi che… Affermativa
Negativa
iniziano per
Presente> anha ifak
Presente Neg.> anha ifok
vocale
‘io cammino’
‘io non cammino’
Futuro> anha vifak
Futuro> anha vo vifok
‘io camminerò’
‘io non camminerò’
iniziano per
Presente> anha dothrak
Presente> anha dothrak
consonante
‘io cavalco’
‘io cavalco’
Futuro> anha adothrak
Futuro> anha vos odothrak
‘io cavalcherò’
‘io non cavalcherò’
Infine, si vuole porre l’attenzione sull’espressione dei verbi ausiliari essere e avere.
A differenza dell’inglese o dell’italiano, il dothraki non utilizza il verbo essere per
collegare un nome ad un altro nome o ad un aggettivo. Si possono esprimere i
predicati nominali semplicemente giustapponendo i due costituenti.
Si veda l’esempio:
mahrazh ‘uomo’ + lajak ‘guerriero’
Mahrazh lajak ‘L’uomo è un guerriero’
Per esprimere la forma negativa del verbo essere in questo contesto basta
aggiungere la particella negativa vos tra i due nomi. In questo caso la particella
rimane invariata, vale a dire che non cambia se davanti a consonante o a vocale. Si
avranno, quindi, frasi come: Mahrazh vos lajak ‘L’uomo non è un guerriero’.
Per collegare, invece, un nome a un aggettivo, è necessario trasformare l’aggettivo
in un verbo stativo, aggiungendo la desinenza –(l)at. Si avranno, dunque, frasi
come: Anha zheanak ‘Io sono bello’ (zheanak = da zheanalat ‘essere bello’),
oppure Shafka vos naqiso ‘Voi non eravate piccoli’ (naqiso = da naqisat ‘essere
piccolo’), o ancora Mori ahaji ‘Essi saranno forti’ (ahaji = da hajat ‘essere forte’).
Per quanto concerne l’espressione del verbo avere, il dothraki prevede l’utilizzo
143
dell’espressione idiomatica mra qora, che letteralmente significa ‘in mano’.
Quando l’espressione viene utilizzata constestualmente ad un nome declinato al
caso nominativo, essa assume il significato pieno di ‘avere’, dove il nome che
precede mra qora designerà l’oggetto che si possiede. Si avranno, dunque, frasi
come Arakh mra qora. ‘Io/tu/egli/noi ho/hai/ha/abbiamo un arakh (=una spada
ricurva) ’. L’espressione letteralmente significa ‘un arakh è in mano (di qualcuno)’
e il possessore dell’oggetto verrà determinato dal contesto in cui la frase si sviluppa.
Infine, il modo imperativo in dothraki viene utilizzato per comandi o richieste ed
esistono due modi per esprimerlo: l’imperativo informale viene utilizzato per le
richieste, mentre l’imperativo formale viene utilizzato per i comandi.
‣ L’imperativo informale, nelle frasi affermative, viene espresso mediante
l’aggiunta della desinenza –as, per le radici verbali terminanti per consonante, e
della desinenza –s, per le radici verbali terminanti per vocale.
Es. Lekhis jin lamekh (lekhis = da lekhilat ‘assaggiare’)
‘Assaggia questo latte di giumenta’
Mentre, per le frasi negative, basta rimuovere dalla radice verbale la vocale tematica
e aggiungere la desinenza –os, e aggiungere prima del verbo la particella negativa
vo/vos.
Es. Vo liwos haz hrazef (liwos = da liwalat ‘legare’)
‘Non legare quel cavallo’
‣ Per esprimere ordini o comandi, viene utilizzato l’imperativo formale: si aggiunge
una –i ai verbi la cui radice termina per consonante (e quindi tuttu i verbi -at) e si
utilizza la sola radice verbale per i verbi terminanti per vocale (e quindi tutti i verbi
in -lat).
Es. Inde! ‘Bevi!’ (=da indelat ‘bere’)
Loji! ‘Corri!’ (=da lojat ‘correre’)
Per le frasi negative è necessario cambiare la –i o la vocale tematica in o e
aggiungere la particella negativa vo/vos.
144
Es. Vo rhelo! ‘Non aiutare!’ (=da rhelalat ‘aiutare’)
Vo lojo! ‘Non correre!’ (=da lojat ‘correre’)
3.4.3.3 I Nomi
La peculiarità dei nomi dothraki risiede nella salienza del tratto di animatezza:
esistono, infatti, nomi animati e nomi inanimati, la cui natura determina una
specifica desinenza. Questa distinzione non è estranea alle lingue naturali: si prenda
il caso dell’inglese. Anche l’inglese distingue nomi animati e inanimati quando si
tratta di scegliere il pronome della terza persona singolare. Per cui, si utilizzerà la
frase It is on the sofa se ci si vuole riferire ad un soggetto inanimato (utilizzando il
pronome personale inanimato, it), mentre si utilizzerà la frase She is on the sofa se
ci si vuole riferire ad un soggetto animato di genere femminile (utilizzando il
pronome personale animato femminile, she).
In dothraki, però, la distinzione non è cristallina come in inglese. Gli esseri viventi
sono considerati soggetti animati in entrambe le lingue – l’inglese e il dothraki –
d’altro canto, in genere, questa categoria di soggetti non rappresenta mai un
problema.80 Ciò che però diverge è che in dothraki vengono considerati soggetti
animati anche entità che non verrebbero considerate tali in inglese (ad esempio
feshith ‘albero’, hoyalasar ‘musica’, hake ‘fiore’, considerati tutti nomi animati,
mentre non lo sono in inglese). Viceversa, alcune cose che in inglese verrebbero
considerate soggetti animati non lo sono in dothraki (ad esempio yalli ‘bambino’ o
zafra ‘schiavo’, considerati inanimati mentre lo sono in inglese).
Per quanto riguarda la declinazione del nome secondo il numero, essa dipende
dall’animatezza del nome. Infatti, solamente i nomi animati possegono la forma
plurale: essi aggiungono una –i se terminano per consonante, -si se terminano per
vocale.
80 Si pensi, ad esempio, all’attribuzione del genere nelle Tedesco: i nomi animati non presentano
connotazioni di genere arbitrarie. Vale a dire che a un soggetto di sesso femminile verrà attribuito
un genere linguistico femminile, idem per la controparte maschile. Mentre, per i soggetti inanimati
l’attribuzione di un genere è del tutto arbitrario e non è deducibile dalla natura dell’oggetto di
riferimento. Chi vuole imparare il genere dei nomi tedeschi, infatti, si ritrova ad affrontare un lavoro
di tipo mnemonico decisamente non privo di difficoltà, poiché è costretto ad imparare il genere di
ogni singolo nome, senza possibilità di ricondurlo ad una logica precisa.
145
Es. rizh ‘figlio’> rizhi ‘figli’
lajak ‘guerriero’> lajaki ‘guerrieri’
Invece, per i nomi inanimati non è prevista una forma plurale. È, infatti, il contesto
a stabilire se il nome in questione è singolare oppure plurale.
Infine, la parte del sintagma nominale che viene declinata è la testa, ovvero il primo
nome in un composto o in un sintagma. Di conseguenza, quando all’interno di un
sintagma è presente un nome animato, verrà considerato animato tutto il sintagma.
Facciamo un esempio: dosh khaleen designa il ‘concilio delle anziane’ che si occupa
di consigliare i dothraki in materia spirituale e sociale. Dosh, che è la parola per
‘consiglio’, è un nome inanimato; mentre, khaleen, che è la parola per ‘anziane’, è
un nome animato. Tutto il composto (nel nostro caso: dosh khaleen) prende
l’animatezza o l’inanimatezza dalla parola che sta a sinistra – poiché quella è la
testa del sintagma. Ad esempio, una frase come ‘il consiglio del dosh khaleen’
verrebbe tradotta come ‘fonnoya doshi khaleen’, dove il suffisso del genitivo –i
viene aggiunto alla parola dosh, in quanto testa del sintagma, e non alla seconda
parola del sintagma, khaleen.
3.4.3.4 I casi del dothraki
La lingua dothraki prevede cinque casi: Nominativo, Accusativo, Genitivo, Allativo
e Ablativo.
‣ Caso Nominativo: i nomi declinati secondo questo caso sono alla loro ‘forma base’
e sono quelli che designano il soggetto della frase.
Nominativo
arakh ‘spada/e’
rizh ‘figlio’
ashefa ‘fiume’
jano ‘cane/i’
rizhi ‘figli’
ashefasi ‘fiumi’
‣ Caso Accusativo: questo caso viene utilizzato quando un nome svolge la funzione
di oggetto diretto all’interno della frase. Così come in inglese, ma anche in italiano,
il pronome al caso accusativo cambia (cfr. I see him – Io lo vedo, dove I e Io sono
146
al caso nominativo e him/lo sono al caso accusativo) e allo stesso modo cambiano
i nomi.
Per formare l’accusativo dei nomi inanimati che terminano per consonante basta
usare la forma base della parola, cioè il nome al caso nominativo. In altre parole, il
nome rimane invariato dal caso nominativo. Mentre, per i nomi inanimati che
terminano per vocale basta rimuovere la vocale finale. Per cui, riprendendo gli
esempi di prima, si avranno:
Nominativo
arakh ‘spada/e’
jano ‘cane/i’
Accusativo
arakh ‘spada/e’ (ogg.)
jan ‘cane/i’ (ogg.)
Es. Anha tihak jan ‘Io vedo il cane/i cani’
Kisha zigereki arakh ‘Ci serve una spada/Ci servono delle spade’
Alcuni nomi inanimati prendono una –e se la loro radice termina per g, w, q o nesso
consonantico.
Per quanto riguarda i nomi animati, essi aggiungono la desinenza –es alla radice, se
si tratta di nomi al singolare. Al plurale, invece, prendono la desinenza –is, se la
radice termina per consonante, -es se la radice termina per vocale.
Nominativo
Caratteristiche del Nome→ Desinenza
Accusativo
rizh ‘figlio’
Animato, Singolare→ -es
rizhes
rizhi ‘figli’
Animato, Plurale, Termina per consonante→ -is rizhis
ashefa ‘fiume’ Animato, singolare →-es
ashefaes
Ashefasi ‘fiumi’ Animato, Plurale, Termina per vocale → -es
ashefaes
‣ Caso Genitivo: il caso genitivo è quello utilizzato per esprimere il possesso. Per i
nomi inanimati, il genitivo si forma aggiungendo una –i alla radice nominale:
Jano ‘cane/i’ + eve ‘coda/e’→ ‘jani eve’la coda del cane/ le code dei cani’
Per i nomi animati, il genitivo si forma aggiungendo la desinenza –(s)i alla radice
del nome, indipendentemente dal fatto che esso sia singolare o plulare:
Rizh ‘figlio’ + hrazef ‘cavallo’→ rizhi hrazef ‘il cavallo del figlio’
Ashefasi ‘fiumi’ + eveth ‘acqua’→ ashefasi eveth ‘l’acqua dei fiumi’
147
‣ Caso Ablativo: questo caso rappresenta il caso locativo, il quale indica, in genere,
il concetto di moto da luogo. Inoltre, esso viene utilizzato per esprimere il possesso
inalienabile.81
Per declinare un nome inanimato al caso ablativo è necessario aggiungere la
desinenza –oon alla radice nominale.
Jano ‘cane/cani’→janoon ‘dal cane/dai cani’
Athevar ‘inizio’→athevaroon ‘dall’inizio’
Per i nomi animati, invece, si aggiunge la desinenza –(s)oon ai nomi singolari e –
(s)oa ai nomi plurali.
Ashefa ‘fiume’→ ashefasoon ‘dal fiume’
Ashefasi ‘fiumi’→ ashefasoa ‘dai fiumi’
‣ Caso Allativo: anche questo è un caso locativo e indica il movimento verso un
nome. Inoltre, in presenza di determinati verbi, indica l’oggetto indiretto, il
ricevente dell’azione. In altre parole, occasionalmente si sostituisce al caso dativo,
assente nel dothraki.
Per declinare un nome inanimato al caso ablativo si aggiunge la desinenza –aan alla
radice.
Jano ‘cane/cani’→ janaan ‘al cane/ai cani’
Per i nomi inanimati, invece, si aggiunge la desinenza –(s)aan ai nomi singolari, e
la desinenza –(s)ea ai nomi plurali.
Rizhi ‘figli’→ rizhea ‘ai figli’
Ashefa ‘fiume’ → ashefasaan ‘al fiume’
81 Per possesso inalienabile si intende il possesso di qualcosa che non può essere rimosso dal suo
possessore, come le parti del corpo, i rami di un albero, il tetto di una casa, l’elsa di una spada. (cfr
Peterson:2014, p.60)
148
I pronomi declinati secondo i casi
Anche i pronomi in dothraki vengono declinati secondo i casi, come ad esempio
accadeva nel latino, poiché essi sostituiscono i nomi e come tali si comportano. Si
riporta una tabella riassuntiva di tutti i pronomi declinati secondo tutti e cinque i
casi.
Nominativo Accusativo Genenitivo Ablativo Allativo
1° pers. sing.
anha
2° pers. sing.
yer
anna
yera
anni
yeri
anhoon
anhaan
yeroon
yeraan
2° p.s. formale shafka
shafka
shafki
shafkoa
shafkea
3° pers. sing. me
1° pers. plur.
kisha
2° pers. plur.
yeri
3° pers. plur. mori
mae
kisha
yeri
mora
mae
kishi
yeri
mori
moon
maan
kishoon
kishaan
yeroa
yerea
moroa
morea
Esprimere la possessione
In dothraki si può esprimere il possesso sia mediante la declinazione al genitivo e
all’ablativo (per il possesso inalienabile, di cui si è discusso sopra, pag. 148), sia
attraverso l’utilizzo di modificatori con la marca del possessivo. Considerando che
in dothraki il modificatore possessivo segue il nome, si riportano i seguenti esempi:
a) Okeo anni (gen.) ‘il mio amico’;
b) Qora anhoon (abl.) ‘la mia mano’
c) Okre yeri (gen.) ‘la tua/vostra tenda’
d) Noreth moon (abl.) ‘i suoi capelli’82
3.4.3.5 Gli Aggettivi
Trattandosi di una lingua con testa a sinistra, gli aggettivi seguono il nome a cui si
riferiscono. Quindi si avranno espressioni come:
hrazefk dik ‘un cavallo veloce’
lajak haj ‘un guerriero forte’
Ricordiamo che gli aggettivi legati ai nomi possono figurare sia sottoforma di
82 Negli esempi b) e d) si utilizza l’ablativo poiché si tratta di un possesso inalienabile: nel primo
caso la mano, nel secondo caso i capelli.
149
aggettivi qualificativi sia sottoforma di verbi stativi. Confrontiamo le seguenti frasi:
a) khaleesi zheana ‘la bella khaleesi’
b) Khaleesi zheanae. ‘La khaleesi è bella’
c) Khaleesi zheana afisha. ‘La bella khaleesi sentirà freddo’
Nella frase a) la qualità ‘bella’ viene espressa semplicemente giustapponendo
l’aggettivo al nome; mentre nelle frasi b) e c) l’aggettivo costituisce il determinante
del sintagma nominale che accompagna la testa, ovvero il nome khaleesi.
Gli aggettivi si accordano secondo il numero con i nomi animati plurali, com’è
possibile notare nelle frasi come:
Lajak haj, lajak haji ‘Un guerriero forte, guerrieri forti’
Lajaki haji.
Lajaki haji dikish.
‘I guerrieri sono forti’
‘I guerrieri forti erano veloci’
Inoltre, gli aggettivi vengono declinati anche secondo il caso, ove possibile. Gli
aggettivi al singolare che terminano per consonante prendono il suffisso –a per
indicare che essi modificano un nome attribuendogli un caso diverso dal nominativo
(vedi frase 1)). In altre parole, segnalano che il nome cui si riferiscono non è al caso
nominativo. Mentre, quando il nome a cui si riferiscono è plurale, l’aggettivo
prende la desinenza –i, indipendentemente dal caso del nome (vedi frase 2))
1) Qorasi khaleesioon haja fishish.
2) Jahaki lajakoa haji neakish.
‘Il forte braccio della khaleesi era
‘Le trecce dei guerrieri forti erano
freddo’
lunghe’
Infine, quando vengono utilizzati sia aggettivi qualificativi sia quelli che marcano
il possesso, l’aggettivo occuperà la posizione di mezzo tra il nome e il possessivo.
Arakh davra mae has.
Hrazef davra khali adiki.
‘La sua spada buona era affilata’
‘I cavalli buoni del khal saranno veloci’
150
Aggettivi Comparativi
Nella lingua dothraki esistono quattro livelli di comparazione, non considerando il
grado dell’aggettivo neutrale. Si potrebbe schematizzare la progressione dei gradi
con il seguente grafico:
Il meno X
Meno X
Aggettivo
X
Più X
Il più X
Ciascun grado di comparazione viene espresso mediante l’aggiunzione di
circonfissi83, i quali possono essere applicati non solo agli aggettivi, ma anche ai
verbi stativi.
Partendo dall’aggettivo di forma neutrale X, si hanno i seguenti circonfissi:
– Più X→ a- X –an
– Meno X→ o- X –an
– Il più X→ a- X –anaz
– Il meno X→ a- X -anoz
Si propone un esempio per maggiore chiarezza.
Ahajano
Il meno forte
Ohajn
Meno forte
Aggettivo
haj
‘forte’
Ahajan
Più forte
Ahajanaz
Il più forte
83 «I circonfissi sono morfi discontinui costituiti da un prefisso e un suffisso che stanno
obbligatoriamente insieme. Si tratta di una struttura piuttosto rara nelle lingue e instabile nel tempo.
In italiano, come nelle altre lingue romanze, essa è impiegata per la derivazione di verbi a partire da
nomi (per es., abbottonare, imbrigliare) o da aggettivi (addolcire, indebolire). La particolarità di
questa costruzione sta nel fatto che nella lingua non appaiono come parole né la forma solo prefissata
(* abbottone, * addolce) né quella solo suffissata (* bottonare, * dolcire). I circonfissi possono essere
chiamati anche ambifissi; il fenomeno di circonfissazione è chiamato anche parasintesi.»
(Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/affissi_%28Enciclopedia-dell%27italiano%29/)
151
Scendendo più sul dettaglio, noteremo come questo processo parasintetico funzioni
all’interno di una frase. Si verrano a costruire espressioni di questo tipo:
Mahrazh haj ‘uomo forte’ → aggettivo neutrale;
1. Mahrazh ahajan ‘uomo più forte’ → comparativo di maggioranza
Es. Mahrazh ahajana yeroon. ‘L’uomo è più forte di te’;
2. Mahrazh ahajanaz ‘il più forte’→ superlativo relativo
Es. Mahrazh ahajanaza. ‘L’uomo è il più forte’;
3. Mahrazh ohajan ‘uomo meno forte’→ comparativo di minoranza
Es. Mahrazh ohajana yeroon. ‘L’uomo è meno forte di te’;
4. Mahrazh ahajanoz ‘il meno forte’→ sublativo84
Es. Mahrazh ahajanoza. ‘L’uomo è il meno forte’.
Per quanto riguarda il secondo termine di paragone, esso viene espresso attraverso
la sua declinazione al caso ablativo, come possiamo notare dagli esempi 1 e 3, dove
il pronome che ricopre la funzione di secondo termine di paragone viene declinato
al caso ablativo (yeroon).
3.4.3.6 Gli avverbi
Come sappiamo, gli avverbi sono parole che descrivono come, dove o quando si
verifica l’azione espressa dal verbo. In dothraki esistono cinque tipologie
avverbiali, di cui si riporta solo un esempio. Per una lista più completa, si rimanda
a Peterson:2014, Pag. 77.
1. Avverbi di modo, come norethaan ‘completamente’
2. Avverbi di tempo, come save ‘di nuovo’
3. Avverbi di luogo, come hezhah ‘lontano’
4. Avverbi di frequenza, come ayyey ‘sempre’
84 Il termine sublativo, qui, viene usato da Peterson (2014: p.76) con l’accezione di ‘non-
superlativo’. Tuttavia, in linguistica, il suddetto termine viene utilizzato per indicare un caso di
declinazione presente nel Finlandese e nell’Ungherese, il quale viene utilizzato per esprimere il
movimento verso l’esterno (cfr. http://users.jyu.fi/~pamakine/kieli/suomi/sijat/sijatadverbien.html,
per il Finlandese, e Carol Rounds 2001: p.101, per l’Ungherese).
152
5. Avverbi di quantità, come zolle ‘un po’, una piccola quantità’
In dothraki, gli avverbi possono anche essere formati a partire da aggettivi o da
nomi. In quest’ultimo caso si aggiunge la preposizione ki (con) al nome declinato
al caso genitivo, come nell’esempio riportato.
athhajar
forza
athjilar
correttezza
k’athhajari
fortemente (lett. con forza)
k’athjilari
correttamente (lett. con correttezza)
Per quanto riguarda la posizione che l’avverbio occupa all’interno della frase, esso
tende ad essere utilizzato alla fine della frase, ad eccezione degli avverbi di tempo
e di luogo, però, i quali possono trovarsi all’inizio della frase, qualora si volesse
porre l’enfasi su di essi.
3.4.3.7 I Dimostrativi
Nella lingua dothraki, i dimostrativi fungono sia da aggettivi che da pronomi.
‣ Aggettivi Dimostrativi: marcano la distanza dal parlante o dall’ascoltatore. A
differenza degli aggettivi qualificativi, i pronomi dimostrativi precedono il nome,
seguendo il tipo italiano ‘quest’uomo, quel cavallo’. Essi si possono riassumere nel
seguente schema:
jin
haz
rek
questo/questi
quello/quelli
quello/quelli lì
(vicino il parlante)
(vicino all’ascoltatore)
(lontano da entrambi)
jin ifak/ifaki
haz ifak/ifaki
rek ifak/ifaki
questo straniero/questi
quello straniero/ quegli
quello straniero lì/
stranieri
jin hrazef
stranieri
haz hrazef
quegli stranieri lì
rek hrazef
questo cavallo/questi
quel cavallo/quei cavalli
quel cavallo lì/ quei
cavalli
cavalli lì
153
Infine, si ponga l’attenzione sulla possibilità di formare avverbi di luogo dagli
aggettivi dimostrativi, processo che avviene mediante la duplicazione della
consonante finale della radice e l’aggiunzione del suffisso –e, come dimostrano gli
esempi riportanti nella seguente tabella.
jinne
qui
hazze
lì
rekke
laggiù
(vicino al parlante)
(vicino all’ascoltatore)
(lontano da entrambi)
Ifak kovara jinne
Ifak kovara hazze.
Ifak kovara rekke.
C’è uno straniero qui.
C’è uno straniero lì.
C’è uno straniero laggiù.
‣ Pronomi Dimostrativi: a differenza degli aggettivi dimostrativi, i pronomi
dimostrativi vengono modificati in base all’animatezza e al numero del nome.
Nel caso dei nomi animati, i pronomi aggiungono alla base (la quale è costituita
dall’aggettivo dimostrativo) la desinenza –ak, al singolare, e la desinenza –aki, al
plurale.
Animato
Singolare
Plurale
jinak ‘questo’
hazak ‘quello’
rekak ‘quello lì’
jinaki ‘questi’
hazaki ‘quelli’
rekaki ‘quelli lì’
Mentre, per i pronomi che si riferiscono a nomi inanimati – poiché questi ultimi
non fanno distinzione formale tra singolare e plurale – non tengono conto del
numero e si formano semplicemente aggiungendo una –i alla forma base (quella
dell’aggettivo dimostrativo).
Inanimato
jini
hazi
reki
Questo/questi
Quello/quelli
Quello/quelli lì
Infine, poiché i pronomi sostituiscono il nome, e il nome viene declinato secondo
i casi, i pronomi verranno anch’essi declinati secondo tutti i casi, come dimostrato
dalle seguenti tabelle riepilogative.
154
Questo/questi Nominativo Accusativo Genitivo Ablativo Allativo
Sing. Anim.
jinak
Plur. Anim.
jinaki
Inanim.
jini
jinakes
jinakis
jin
jinaki
jinaki
jini
jinakoon
jinakaan
jinakoa
jinakea
jinoon
jinaan
Quello/quelli Nominativo Accusativo Genitivo Ablativo Allativo
Sing. Anim.
hazak
hazakes
hazaki
hazakoon
hazakaan
Plur. Anim.
hazaki
hazakis
hazaki
hazakoa
hazakea
Inanim.
hazi
haz
hazi
hazoon
hazaan
Quello/quelli lì Nominativo Accusativo Genitivo Ablativo Allativo
Sing. Anim.
rekak
Plur. Anim.
rekaki
rekakes
rekakis
Inanim.
reki
rek
rekaki
rekaki
reki
rekakoon
rekakaan
rekakoa
rekakea
rekoon
rekaan
Si riportano alcuni frasi esemplificative del fenomeno mostrato nelle tabelle
soprastanti:
– Arakh jinaki hasa. → ‘L’arakh di questo qui è affilato.’
– Jahak hazakoon neaka. → ‘La treccia di quello è lunga.’
– Vovi rekaki meshish. → ‘Le armi che appartengono a quelle persone lì erano
nuove.’
3.4.3.8 Le Adposizioni
Il dothraki presenta esclusivamente preposizioni, le quali determinano il caso della
parola che segue, e il loro significato dipende dal caso ad esse assegnato. Si propone
qui di seguito la lista delle preposizioni con annessi differenti significati a seconda
del caso, riportata fedelmente dal sito wiki.dothraki.org/Prepositions.
155
ha
haji
hatif
irge
ki
ma
mra
oleth
oma
qisi
she*
torga
vi
Nominativo Acc. Genitivo
Allativo
Ablativo
for
from
because of
facing, opposite
to front of, to
from front of,
to, before
before
from before
after
to behind
from behind
by, because of
within
into
over, above
with
out of
without
about,
concerning
on, upon, in
onto
off of
under
through,
along
yomme across
in spite of
*Per quanto riguarda la preposizione she, essa assumerà il significato di ‘in’ al caso
nominativo (come nella frase Dalen rhaggat eveth ma ale vekhi she Vaes Seris. —
‘There are thousands of ships in the free cities.’), mentre assumerà il significato di
‘onto’ se declinato al caso allativo (come nella frase Eyel varthasoe she ilekaan
rikhoya. — The rain will fall on your rotting skin.)
3.4.4 Conclusioni
Il manuale di lingua dothraki offertoci da Peterson non presenta solamente
informazioni circoscritte alla dimensione linguistica. Poiché una lingua, in genere,
non può prescindere dalle dimensioni extralinguistiche che contribuiscono
all’evoluzione della lingua stessa, Peterson presenta molti spaccati culturali utili a
comprendere le dinamiche più prettamente linguistiche che il dothraki segue. Per
156
dare contezza a questa dimensione culturale, Peterson inserisce delle Cultural
Notes, che aiutano a comprendere meglio certi meccanismi linguistici che
dipendono dagli usi e dalla caratterizzazione interiore della tribù dei dothraki. Ad
esempio, nella Cultural Note riguardante il saluto dothraki, Peterson spiega che i
dothraki sono un popolo diffidente, per cui essi utilizzano diversi saluti a seconda
che il loro interlocutore sia un dothraki o uno straniero, chiamati in modo
dispregiativo ifaki. Nel primo caso utilizzeranno M’athchomaroon, il quale
significa letteralmente ‘rispetto’; nel secondo caso verrà utilizzata l’espressione
Athchomar chomakaan/chomakea, la quale significa letteralmente ‘Rispetto per
colui che rispetta’. Questo saluto serve ad avvertire gli stranieri: è come se dicessero
«respect us, and you will be treated with respect. Otherwise, watch out.»85
Un’altra nota ancora approfondisce i rapporti tra il popolo dothraki e la battaglia.
Trattandosi di un popolo di guerrieri, i dothraki hanno diversi motivi per uccidere,
motivo per il quale la lingua possiede differenti termini per esprimere il concetto
‘uccidere’: le forme più comuni sono addrivat, drozhat e ogat, le quali assumono
differenti sfumature semantiche, come si può notare dallo schema sottostante:
e Addrivat
r
e
d
i
c
c
U
Drozhat
Ogat
Usato quando l’assassino è un
essere senziente
Lett. rendere qualcosa
morto
Usato quando l’assassino è un
animale o un oggetto inanimato
Usato per riferirsi all’atto di
uccidere animali
Lett. massacrare/
macellare
Degna di nota è la Cultural Note inerente ai modi di esprimere i ringraziamenti.
Peterson spiega che non esiste alcuna parola per esprimere ‘grazie’. Esistono molti
modi di manifestare rispetto, ai quali potremmo pensare come una sorta di
ringraziamento, ma si tratta per lo più di espressioni che riflettono il desiderio di
onorare l’ascoltatore, come l’espressione San athchomari yeraan! la quale può
tradursi con ‘Molto rispetto!’ (lett. ‘Molto onore per te’).
85 Peterson:2014, p.26
157
Infine, non si poteva escludere dall’analisi la Cultural Note sull’importanza dei
cavalli. Peterson sottilinea come i dothraki facciano costante riferimento ai cavalli.
Persino la divinità idolatrata dai dothraki è un cavallo chiamato il Grande Stallone
(Vezhof). O, ancora, quando un khal non può più cavalcare il suo cavallo, smette
automaticamente di essere il leader del suo khalasar. L’importanza che questo
animale ha nella cultura dothraki si riflette all’interno di espressioni idiomatiche,
ma anche in espressioni basilari come quella per chiedere ‘Come stai?’. Si noti, a
questo proposito il verbo utilizzato per questa espressione:
‣ Hash yer dothrae chek? → ‘Come stai?’ (lett. Tu cavalchi bene?)
Anha dothrak chek. → ‘Bene.’ (lett. Io cavalco bene.)
‣ Anha dothrak she vaesoon. → ‘Provengo dalla città’ (lett. Io cavalco dalla città.)
‣ Anha dothrak adakhataan. → ‘Sto per mangiare’ (lett. Sto cavalcando per
mangiare.)
158
CAPITOLO IV – La tipologia linguistica del dothraki e dell’alto valyriano
Questo capitolo si pone il proposito di ascrivere le lingue de Il Trono di Spade, il
dothraki e l’alto valyriano, all’interno di una tipologia linguistica nonché di
valutarne l’adeguatezza tipologica, seguendo i parametri che il linguista Joseph
Greenberg ci offre con i suoi Universals of Language.
Al fine di giungere al nostro obiettivo, è necessario fare un passo indietro,
ritornando ai tempi in cui la classificazione tipologica delle lingue muoveva i suoi
primi passi.
Il bisogno di categorizzazione insita nell’uomo non poteva che colpire anche
una sfera così variegata come la linguistica. Si è sempre più sentita l’esigenza di
attribuire una specifica appartenenza alle tantissime lingue parlate nel mondo,
inserendole all’interno di una classificazione la quale prende ora una prospettiva
ora un’altra. Per cui, le lingue cominciano ad essere classificate già a partire dagli
inizi dell’Ottocento secondo diversi punti di vista (cfr Graffi-Scalise: 2002, p. 63).
Secondo Graffi-Scalise (2002, pp.51-68), le lingue vengono dunque categorizzate
secondo una:
‣ Prospettiva genealogica: attraverso la quale le lingue vengono classificate a partire
dalla famiglia linguistica di appartenenza. Si avranno in questa classificazione
diciture come: lingue indoeuropee, lingue uraliche, lingue sino-tibetane, e così
via. Nel caso delle lingue di cui si è discusso nel capitolo III, siamo riusciti a
delineare una stentata descrizione genealogica dell’alto valyriano, fornitoci
direttamente dall’autore stesso di A Song of Ice and Fire, Martin (vedi par. 3.3.1),
senza però poterle contestualizzare all’interno di una prospettiva più ampia che
comprendesse anche le altre lingue parlate nei continenti di Westeros ed Essos.
‣ Prospettiva areale: classifica le lingue che non sono genealogicamente legate ma
che hanno sviluppato caratteristiche strutturali comuni a causa del contatto
linguistico risultante da una vicinanza geografica (si pensi al Cinese e al
giapponese, le quali pur non essendo minimamente imparentate, hanno comunque
159
sviluppate caratteristiche comuni). Nel caso del dothraki, non è stato possibile
lasciarsi andare a considerazioni in quest’ottica, poiché non sappiamo di contatti
di questa tribù con altri popoli. Mentre, per l’alto valyriano, tutto ciò che sappiamo
è che, in seguito al disastro di Valyria, i valyriani si sparpagliarono per il
continente, nelle Città Libere, mescolando con le popolazioni autoctone i loro
costumi e anche la loro lingua. Nonostante non ci siano evidenze che testimonino
il mescolamento linguistico, si ha ragione di credere che, in qualche modo, così
come avviene nel contatto tra lingue naturali, le lingue si siano mescolate e/o
influenzate.
‣ Prospettiva tipologica: è quella che ci interessa più da vicino e che verrà adesso
approfondita. Le lingue considerate appartenenti alla stessa tipologia devono
presentare caratteristiche strutturali comuni, indipendentemente da un loro
eventuale legame genealogico. I linguisti che si sono occupati di classificare le
lingue da un punto di vista tipologico hanno ricercato queste caratteristiche
comuni all’interno delle sfere sintattiche e morfologiche (possibilmente perché
esse sono quelle meno inclini al cambiamento – si pensi alla dinamicità del lessico
e alla relatività della fonetica).
Non verrà proposta, in questa trattazione, un’analisi approfondita delle diverse
tipologie linguistiche, ma verranno analizzate nel dettaglio solamente le categorie
di cui fanno parte le lingue de Il Trono di Spade.
4.1 Classificazione Tipologica
Nel tentativo di classificare le lingue a partire da caratteristiche comuni, Joseph
Greenberg, uno dei massimi esponenti degli studi riguardanti la tipologia
linguistica, si concentra sulla struttura delle parole (morfologia) e su quella dei
gruppi di parole (sintassi). «The reason for this choice was that previous experience
suggested a considerable measure of orderliness in this particular aspect of
grammar» (Greenberg:1966, p.73).
Greenberg, attraverso la comparazione sistematica di circa trenta lingue, riesce a
160
tracciare una serie di comportamenti che si verificano in precise circostanze. Riesce
così a stilare una lista di queste tendenze, che chiamerà universali linguistici.
Questi universali linguistici sono per lo più implicazionali e, cioè, «they take the
form, “given x in a particular language, we always find y.»
In altre parole, si ipotizzano dei comportamenti linguistici generali a partire
dall’occorrenza di questi fenomeni nelle lingue campione. Naturalmente, gli
universali linguistici non vanno intesi come linee guida dogmatiche, ma essi
cercano di accomunare quante più lingue possibili sotto la stessa categoria. Infatti,
difficilmente un universale linguistico si lascia andare a enunciazioni del tipo ‘Tutte
le lingue X, possiedono Y’, se non in casi dove la totalità delle lingue esaminate
non permetta di esprimere considerazioni indiscutibilmente vere, come nel caso di
quelli che Greenberg, Osgood e Jenkins chiamano «unrestricted universal»
(Greenberg:1966, p.XIX), ovvero quegli universali che fanno riferimento a
caratteristiche possedute da tutte le lingue. Sotto questa dicitura rientrano non solo
gli universali più ovvi, come ad esempio il fatto che tutte le lingue hanno le vocali,
ma anche considerazioni di tipo numerico, come ad esempio il fatto che tutte le
lingue possiedono un minimo di 10 fonemi e un massimo di 70 fonemi oppure il
fatto che ogni lingua possiede almeno due vocali. Questo tipo di considerazioni non
verranno discusse in questa trattazione, poiché – Ferguson fornisce questa stessa
motivazione86– questi universali possono essere considerati «definitional»87, vale a
dire che sono impliciti nel concetto di lingua del linguista.
Verrà, dunque, posta attenzione solamente sugli universali implicazionali.
4.1.1 Tipologia dell’ordine dei costituenti nelle frasi dichiarative
Come Greenberg stesso scrive (Greenberg:1966, p.76), i linguisti hanno
consapevolezza della tendenza che le lingue hanno nell’inserire modificatori o
elementi che restringono il significato prima dell’elemento che modificano o di cui
restringono il significato. Di contro, sa che ne esistono molte altre che fanno
l’opposto. Il turco, ad esempio, prevede l’aggettivo preposto al nome che modifica,
posiziona l’oggetto del verbo prima del verbo, colloca il genitivo prima dell’oggetto
86 Cfr. Greenberg:1966, p. 53
87 Ibidem
161
posseduto, gli avverbi prima degli aggettivi che modificano, predilige l’utilizzo di
posposizioni, e così via. Una lingua di tipo opposto è la lingua italiana, nella quale
l’aggettivo segue il nome, l’oggetto segue il verbo, il genitivo segue l’oggetto
posseduto e vengono predilette le preposizioni. Si potrebbe a questo punto tracciare
una linea di confine, ma la comparazione tra la maggior parte delle lingue non
produrrebbe gli stessi risultati che le lingue portate come esempio hanno offerto.
Nella stragrande maggioranza delle lingue, tra cui figura emblematicamente una
lingua ‘importante’ come l’inglese, il confine non è mai così netto, per cui la
classificazione tipologica comincia a farsi più intricata. In inglese, come nella
lingua italiana, ci sono le preposizioni (come nell’esempio (1)) e l’oggetto della
frase segue il verbo (come nell’esempio (2)):
(1) The book is on-Pr. the shelf.
(2) I am reading-V. a book-Ogg.
Al tempo stesso, sempre in inglese, così come nel turco, l’aggettivo precede il nome
(come nell’esempio (3)):
(3) An unexpected-Agg. surprise-Nom.
Inoltre, l’inglese presenta una costruzione del genitivo che segue entrambi gli ordini
dei costituenti di entrambe le lingue che si stanno confrontando. Per cui, in inglese
si possono avere le seguenti espressioni:
(4) John’s-Gen. House-Nom.
(5) the house-Nom. of John-Gen.
Per cui, in che categoria dovremmo inserire la lingua inglese? Per ovviare a questo
tipo di problema, Greenberg decide di stabilire prima di tutto una tipologia che
tenga conto dell’ordine dei costituenti e, per farlo, segue tre criteri:
1) La presenza, in una data lingua, di preposizioni (Pr) o di posposizioni (Po), che
162
influenza l’ordine in cui figurano insieme il genitivo (G) e il nome (N) che esso
modifica. (Cfr. Greenberg:1966, p. 78)
2) La posizione del verbo (V) rispetto al soggetto (S) e all’oggetto (O) nella frase
dichiarativa. A questo proposito, è necessario sottolineare che la maggior parte
delle lingue possiede diverse impostazioni sintattiche utilizzate per scopi specifici
– fare domande, porre enfasi su un determinato costituente – ma possiede un solo
ordine standard. Esistono sei ordini possibili, alcuni dei quali sono già stati
menzionati in questa trattazione: SVO, SOV, VSO, VOS, OSV e OVS. Di questi
sei, solo i primi tre ricorrono come ordine standard. Gli ultimi tre non ricorrono
mai, se non con qualche rarissima eccezione.
3) La posizione dell’aggettivo qualificativo (A) rispetto al nome (N) che esso
modifica. Riguardo agli aggettivi dimostrativi, numerali, e indefiniti, essi si
comportano diversamente dagli aggettivi qualificativi.
Basando la sua ricerca sui suddetti criteri, Greenberg procede alla stesura dei primi
universali linguistici, i quali riassumono le caratteristiche sintattiche che ricorrono
contestualmente nelle lingue campione nel seguente modo (Graffi-Scalise:2002,
p.66):
Table 188 I – VSO II – SVO III – SOV
Da cui si deducono le seguenti
Po-AN
Po-NA
Pr-AN
Pr-NA
0
0
0
6
1
2
4
6
6
5
0
0
combinazioni:
a) VSO/Pr/NG/NA
b) SVO/Pr/NG/NA
c) SOV/Po/GN/AN
d) SOV/Po/GN/NA
Trascurando a), poiché nessuna tra le due lingue che verranno qui poste in esame
presenta l’ordine VSO, si può cominciare a ragionare sull’adeguatezza tipologica
di entrambi gli idiomi artificiali.
88 La tabella tetracorica di Greenberg è strutturata così che i tipi opposti figurino agli estremi della
tabella. (Cfr. Greenberg:1966, p.77)
163
4.2 ALTO VALYRIANO
Come si è già detto, l’alto valyriano presenta l’ordine sintattico di tipo III, vale a
dire un ordine di tipo SVO. Le lingue di questo tipo possono essere considerate «the
polar opposite of type I.»89 Il motivo è da ricercarsi nell’assenza di lingue
posposizionali all’interno della tipologia VSO; di conseguenza, ci aspetteremmo
che non ci siano lingue preposizionali all’interno della tipologia SOV. «This is
overwhelmingly true, but I am aware of several exception.»90 Poiché, come si è
detto sopra, la posizione del genitivo è fortemente influenzata dalla presenza di
Preposizioni o di Posposizioni, ci aspetteremmo che le lingue SOV presentino un
ordine di tipo GN. Ma «To this there are some few exceptions.»91 Infine, c’è da
considerare che, nel caso in cui l’ordine del genitivo dovesse cambiare, esso
comporterebbe lo stesso cambiamento nella posizione dell’aggettivo (A) rispetto al
nome (N).
Per cui la nostra lingua dovrebbe avere le caratteristiche: SOV – Po – GN – AN.
Assodato che l’alto valyriano sia una lingua che presenta l’ordine SOV, c’è da
verificare se si tratti di una lingua che presenta o no l’ordine ridigo di cui parla
Greenberg (1966, p.79). Poiché gli ordini di cui abbiamo discusso (VSO, SVO,
SOV), sono ordini standard, non si esclude – come si è già detto – che essi possano
essere alterati per precisi scopi. Se in questi casi, e cioè quando si vuole alterare
l’ordine, ad esempio per fare una domanda, il verbo resta comunque alla fine, allora
si tratta di un sottotipo rigido di lingua SOV.
A questo punto, esaminiamo alcune frasi interrogative dell’alto valyriano:
(6) Qaedar klios issa? Daor! ‘Is a whale a fish? No!’
(7) Skorio syt kesī krēga bāngā? ‘Perché cuoci queste barbabietole?’
(8) Sparos kesīr botas? ‘Chi sta lavorando qui?
(9) Rhaella aohor ñamar issa? ‘Is Rhaella your aunt?’
(10) Jemelo kaerinnon ivilibilat, lo sir Daria Daenerys jemi ivilibagon kesir ilos
daor? ‘Combatterete per la vostra salvezza, adesso che la Regina Daenerys non è
89 Cfr. Greenberg:1966, p. 78
90 Ibidem
91 Op. cit., p.79
164
qui a combattere per voi?
Come risulta evidente, in quasi tutte le frasi interrogative proposte, il verbo ricorre
sempre in posizione finale, siano esse domande polari siano esse domande costruite
con pronomi interrogativi. Potremmo, dunque, ipotizzare che si tratti di una
sottocategoria rigida del tipo III. Eppure, analizzando l’esempio (10), è possibile
notare l’eccezione. Infatti, il verbo non ricorre all’ultima posizione, bensì precede
– slittando in questo modo al penultimo posto – la particella negativa daor. Ma
l’esempio risulta da un’unica eccezione estrapolata dall’intero corpus, per cui
potremmo attribuire l’insolita posizione del verbo alla natura della frase.
Considerando che la negazione, in frasi dichiarative affermative, ricorre sempre in
posizione di posteriorità verbale (come nella frase Zaldrīzes buzdari iksos daor. —
Un drago non è uno schiavo. O, ancora Zaldrīzesse biādroti elēnȳti zūgusy daor. —
I draghi non temono le opinioni della pecora.) e che, quindi, la sua posizione non ci
stupisce, potremmo anche immaginare che essa – la posizione – derivi dal fatto che
si tratti di una frase subordinata dipendente dalla frase principale. Pertanto,
solamente osservando il comportamento della particella negativa, non si può
affermare con assoluta certezza se l’alto valyriano appartenga o meno allla tipologia
rigida individuata da Greenberg. Poiché le occorrenze che confuterebbero questa
classificazione sono in numero troppe esigue, saremmo più portati ad ascrivere
l’alto valyriano al sottotipo rigido.
Per quanto riguarda l’universale 4 di Greenberg, quello secondo cui una lingua
SOV⸧Posposizioni (dove ⸧ sta per “implica”), la lingua rimane coerente al
principio postulato da Greenberg, poiché esso non esclude categoricamente
l’eventualità che possano apparire contestualmente entrambe le opzioni, e quindi
posposizioni e preposizioni compresenti. Greenberg si riserva, infatti, un margine
di imprevedibilità, nel caso in cui una lingua dovesse non seguire questo principio,
affermando «With overwhelmingly greater than chance frequency, languages with
normal SOV order are pospositional.»92
L’alto valyriano, seppur sembri non conformarsi all’universale con la presenza di
92 Universale 4, in Greenberg:1966, p.79.
165
preposizioni, in un certo senso lo conferma con la preponderanza di posposizioni
contrapposte alle tre sole occorrenze preposizionali, le quali, tra l’altro, vengono
utilizzate solamente in specifici contesti. Si tratterebbe, dunque, della proverbiale
eccezione che conferma la regola.
Per quanto concerne la posizione del genitivo rispetto al nome che esso modifica,
essendo questa caratteristica strettamente legata alla presenza di una specifica
categoria adposizionale, dovrebbe seguire –
trattandosi di una
lingua
‘prevalentemente’ posposizionale – l’ordine genitivo-nome. Inoltre, la posizione
del genitivo influenza anche la disposizione dell’aggettivo in relazione con il nome.
«[S]e una lingua presenta l’ordine SOV, allora essa è posposizionale, e, se colloca
l’aggettivo prima del nome, allora colloca il genitivo prima del nome. Infatti non
sono attestati casi di lingue che presentino contemporaneamente l’ordine AN e
l’ordine NG. […] L’implicazione complessa che abbiamo riportato dice che AN
richiede GN, ma non dice che NA richiede GN. Quindi possono benissimo esistere
lingue che hanno l’aggettivo dopo il nome e il genitivo prima.»93
Per cui, schematizzando l’affermazione appena riportata, dovremmo avere la
seguenti implicazione:
Aggettivo-Nome ⸧ Genitivo-Nome
Poiché l’implicazione non può essere letta nel senso opposto – è cioè dove
Genitivo-Nome ⸧ Aggettivo-Nome – potremmo trovare anche lingue che
presentino un ordine dei determinanti nominali del tipo: NA-GN.
A questo punto, verifichiamo se l’alto valyriano segue strettamente il principio
universale o se la lingua va a collocarsi in quello scarto linguistico non contemplato
dall’universale greenberghiano. Si considerino le seguenti espressioni:
(11) Va oktio remyti→ ‘Mandate un uomo ai cancelli della città’
(12) Muña zaldrizoti. → ‘La madre dei draghi.’
93 Cfr. Graffi-Scalise:2002, p.68
166
(13) Lo jention mirre nūmāzme ēza, iderenna qopsa verdagon issa. → ‘Se la
leadership si occupa di qualcosa, sarebbe senza dubbio fare scelte difficili’
(11) Va oktio remyti→ ‘Mandate un uomo ai cancelli della città’
Va
oktio
remȳti
vale
jikās
‘Verso, a’
della città
cancelli
un uomo
mandate
Preposizione
Genitivo di
oktion (Nome
Ter., 3° Decl.)
Plurale di
remio (Nome
Lun., 3° Decl.)
Accusativo
Sing. di vala
(Nome Lun.,
1° Decl.)
Imperativo
presente di
jikagon
In questa frase ritroviamo, prima di tutto, la preposizione va ‘verso, a’ che precede
il genitivo oktio preposto al nome che modifica, remȳti. Quindi potremmo
ipotizzare un ordine dei costituienti che segue uno schema di tipo NG, che
sembrerebbe confermata anche dall’espressione (12):
(12) Muña zaldrizoti. → ‘La madre dei draghi.’
Muña
zaldrizoti
Madre
dei draghi
Nome
Genitivo
167
Ma poniamo l’attenzione sulla frase (13) Lo jention mirre nūmāzme ēza, iderenna
qopsa verdagon issa. → ‘Se la leadership si occupa di qualcosa, sarebbe senza
dubbio fare scelte difficili’
Lo
jention
mirre
nūmāzme
ēza,
Se
leadership
alcun
significato
ha
iderenna
qopsa
verdagon
issa.
scelte
difficili
fare
è
Nome
Aggettivo
Verbo
Verbo
Come possiamo notare, in questo caso, l’aggettivo segue il nome (NA),
contraddicendo, in un certo senso, l’universale lingusitico. Ma, poiché si tratta
dell’unica attestazione che presenti quest’ordine, potremmo attribuire al fenomeno
le stesse cause dell’insolito posizionamento del verbo in presenza di una negazione,
il quale perde la sua solita posizione finale. La causa potrebbe essere, dunque,
rintracciata nella tipologia di frase: infatti, si tratta di una frase subordinata
dipendente dalla frase principale. È come se, in un certo senso, l’alto valyriano
avesse la propensione ad invertire il normale ordine dei costituenti nelle frasi
subordinate.
Per essere più precisi, è necessario porre l’attenzione sul comportamento degli
aggettivi all’interno della frase. Come si è già detto – e come facilmente prevedile
– l’aggettivo precede il nome. Ora, secondo l’universale 18, quando un aggettivo
descrittivo precede il nome, gli aggettivi dimostrativi e numerali seguono la stessa
168
tendenza94, tendenza confermata anche nell’alto valyriano. Si consideri la seguente
frase:
(14) Bony timpys hontes gevie issa. → ‘Quell’uccello bianco è bello.’
Bony
timpys
hontes
gevie
issa.
Quel
bianco
uccello
bello
è.
Come possiamo notare, infatti, l’aggettivo dimostrativo, bony ‘quel’, precede
l’aggettivo descrittivo e il nome. Ciò ci porta dritto all’universale 20: «When any
or all of the items (demonstrative, numeral, and descriptive adjective) precede the
noun, they are always found in that order. If they follow, the order is either the same
or its exact opposite.» Quindi, la costruzione dell’alto valyriano, sembra
confermare l’implicazione dell’universale, supportato anche dall’occorrenza di
altre costruzioni identiche, come le seguenti (si precisa che l’aggettivo dimostrativo
verrà contrassegnato dal colore verde, mentre il nome dal colore rosso):
(15) Kesa gelte byka issa. → ‘Questo elmo è piccolo.’
(16) Bone vale idakōs! → ‘Attacca quell’uomo!’
(17) Kesys ondor avy sytilībus daor. → ‘Non dovresti avere questi poteri.’
Una volta analizzata la lingua da una prospettiva sintattica, possiamo procedere alla
classificazione di essa da un punto di vista morfologico.
Confermando le intenzioni di Peterson di voler avvicinare l’alto valyriano al latino,
la lingua valyriana può essere inclusa all’interno del tipo linguistico fusivo-flessivo.
L’alto valyriano esprime, infatti, le diverse relazioni grammaticali mediante
l’utilizzo di un unico suffisso:
94 «Universal 18. When the descriptive adjective precedes the noun, the demonstrative and the
numeral, with overwhelming more than chance frequency, do likewise.» (Greenberg:1996, p.86).
169
Parola
Significato
Informazioni Grammaticali
vala
‘Uomo’
Nominativo, Singolare
valommi
‘Con gli uomini’
Comitativo, Paucale
jaelagon
‘Volere’
Infinito, Presente
jaelan
‘Io voglio’
Indicativo, Presente, Prima Persona Singolare
jaelinna
‘Io vorrò’
Indicativo, Futuro, Prima Persona Singolare
Inoltre, un’altra caratteristica delle lingue flessive è quella di poter indicare le
diverse funzioni grammaticali attraverso la variazione della vocale radicale della
parola. Si tratta di una variazione libera, non condizionata dall’ambiente
fonologico,
indicante diverse funzioni grammaticali o sintattiche, come
nell’italiano faccio rispetto a feci, esco rispetto a uscì, e così via. Questo fenomeno
di flessione interna è presente anche nell’alto valyriano. Si vedano le schede verbali
riepilogative di pp. 93-97, in cui appaiono evidenti le variazioni vocaliche.
Un altro criterio utile alla classificazione riguarda l’analisi delle strategie
morfologiche che la lingua utilizza per codificare le relazioni di dipendenza
attraverso il ricorso ad affissi. A seconda del metodo prediletto dalla lingua,
distinguiamo: lingue che marcano la dipendenza sulla testa, altre che marcano la
dipendenza sugli elementi dipendenti, altre ancora che marcano la dipendenza sia
sulla testa che sugli elementi dipendenti (cfr. Grandi:2003, p.45). L’alto valyriano
rientra, certamente, nella seconda categoria linguistica – e cioè quella che presenta
marcatura sulla dipendenza. Ancora una volta l’alto valyriano si conferma molto
simile al latino. Tra gli esempi riportati da Grandi (2003, p. 46), possiamo scorgere
le uguaglianze con la nostra lingua:
Latino
Alto valyriano
filius Ascani-i
muña zaldriz-oti
figlio Ascanio-GEN
Madre draghi-GEN
(Testa) (Modificatore)
(Testa) (Modificatore)
‘il figlio di Ascanio ’
‘madre dei draghi’
170
Nei nostri esempi, il possesso viene, dunque, espresso dalla desinenza del genitivo
singolare, nel caso del latino, e del genitivo plurale, nel caso dell’alto valyriano, la
quale viene unita al modificatore della testa; di conseguenza la testa del sintagma
resta priva di marche volte all’espressione della dipendenza.
Quindi, in linea definitiva, possiamo affermare che l’alto valyriano si dimostra
tipologicamente adeguato, poiché non presenta forti discordanze con gli universali
postulati da Greenberg per la categoria tipologica a cui esso appartiene. Per quelle
piccole deviazioni discordanti con le implicazioni ipotizzate, si è cercato di dare
una spiegazione plausibile, rintracciando motivazioni che sembrano più che
accettabili.
4.3 DOTHRAKI
Dal punto di vista dell’ordine dei costituenti, il dothraki presenta un ordine di tipo
II in termini greenberghiani, vale a dire di tipo SVO. Pertanto si provvederà ad
un’analisi volta a valutare l’adeguatezza tipologica, seguendo le caratteristiche
implicate da questa tipologia di lingua.
Innanzitutto, le lingue SVO, secondo la tabella tetracorica di Greenberg (vedi
p.163), sono l’unico tipo linguistico che presenta tutte le combinazioni di
occorrenze. Esse possono, cioè, avere le seguenti caratteristiche:
– Posposizioni + AN
– Posposizioni + NA
– Preposizioni + AN
– Preposizioni + NA
GN
NG
171
Inoltre, l’universale 2 di Greenberg afferma che, nelle lingue con preposizioni, il
genitivo, di norma, segue il nome. Quindi, in sostanza, la nostra lingua, tirando le
somme, presenterebbe un ordine SVO – Pr – NA – NG. Questa caratteristiche
sembrerebbero confermate dalle seguenti espressioni e, in generale, dalla
costruzione fraseologica non marcata della frase dichiarativa:
(18) Anha ezok lekhes dothraki. → ‘Sto imparando la lingua dothraki.’ – SVO
(19) Nevakhi vekha ha maan. → ‘C’è un posto per te.’ – Preposizioni
(20) hrazef dik → ‘un cavallo veloce’ – NA
(21) Anha adakh zhores vezhoon. → ‘Ho mangiato il cuore di uno stallone’ – NG
Se si considerano le implicazioni sottese alla tipologia sintattica delle lingue SVO,
la lingua appare coerentemente costruita. Essa infatti presenta, a differenza dell’alto
valyriano, esclusivamente preposizioni; è una lingua con testa a sinistra, infatti i
sintagmi nominali presentano sempre l’ordine testa-modificatore (come mostrano
gli esempi (20) e (21)), per cui il nome viene sempre preposto all’elemento che lo
modifica.
Restando in tema di modificatori nominali, si sposti l’attenzione sugli aggettivi e,
più specificatamente, nella modalità di espressione del grado comparativo. Secondo
l’universale 22 «If in comparisons of superiority the only order or one of the
alternative orders,
is standard-marker-adjective,
then
the
language
is
postpositional. With overwhelmingly more than chance frequency is the only order
is adjective-marker-standard, the language is prepositional.»95
Quindi, ciò che l’universale implica è che la lingua è posposizionale, se il paragone
viene espresso con una costruzione di questo tipo
Secondo termine di
Marcatore del
paragone
di Anna
than Anna
paragone
più
-er
Aggettivo
Primo termine di
paragone
intelligente
Tu (sei)
smart
You (are)
95 Greenberg:1966, p. 89.
172
Mentre se la costruzione segue l’ordine opposto, allora la lingua è preposizionale,
come mostrato nella tabella sottostante.
Primo termine di
paragone
Aggettivo
Tu (sei)
intelligente
You (are)
smart
Marcatore del
Secondo termine di
paragone
più
-er
paragone
di Anna
Than Anna
Dunque, considerando che, senza alcun dubbio, il dothraki sia una lingua
preposizionale, dovrebbe presentare quest’ultima sequenza. Verifichiamo, adesso,
l’effettivo mantenimento del principio. Si analizzi la seguente espressione:
Lessico: mahrazh ‘uomo’; chiori ‘donna’; haj ‘forte’
Mahrazhi
ahajan
chiorisoa
Nome-PLUR PREFISSO-aggettivo-SUFFISSO
Nome-ABLATIVO
Gli uomini
più forti
delle donne
La comparazione in dothraki si costruisce, dunque, mediante l’utilizzo di
circonfissi, i quali vengono aggiunti all’aggettivo, e mediante la declinazione del
secondo termine di paragone al caso ablativo. Tralasciando la sovrabbondanza di
marcature della comparazione (a significare lo scopo comparativo dell’espressione
ci sono, infatti, sia i circonfissi nell’aggettivo, sia il caso ablativo del secondo
termine di paragone), è possibile definirla relativamente coerente rispetto
all’implicazione dell’universale. Infatti, nonostante ci sia un prefisso ‘di troppo’,
troviamo comunque una marca di comparazione che si trova esattamentre tra
l’aggettivo e il secondo termine di paragone.
Primo
termine di
paragone
Marcatore
del paragone
Aggettivo
Marcatore
del paragone
Secondo
termine di
paragone
Marcatore
del paragone
Mahrazhi
a-
haj
-an
chiori
-soa
I riquadri segnati in rosso seguono l’ordine implicato dall’universale: è possibile,
173
dunque, affermare la coerenza del sistema rispetto ad esso.
Un tratto che, invece, presenta qualche incongruenza è l’espressione degli
appellativi. L’universale 23 afferma che «If in apposition the proper noun usually
precedes the common noun, then the language is one in which the governing noun
precedes its dependent genitive. With much better than chance frequency, if the
common noun usually precedes the proper noun, the dependent genitive precedes
its governing noun.»96 Pertanto, se lo dovessimo sintetizzare schematicamente,
potremmo riassumere l’universale dicendo che:
Nome-Appellativo ⸧ NG quindi ‘Smith Mr.’ ⸧ ‘the house of John’
Appellativo-Nome ⸧ GN quindi ‘Mr. Smith’ ⸧ John’s house
In dothraki, l’appellativo occupa la posizione immediatamente precedente al nome,
com’è possibile vedere in espressioni come:
(21) Khal Drogo – ‘Re’ Drogo
(22) Khal Fogo97 – ‘Re’ Fogo
Pertanto, considerando che l’ordine sintattico per l’espressione del genitivo
appartiene alla tipologia NG, troviamo qui una discrepanza tra l’implicazione
dell’universale e la reale attuazione dell’espressione di possesso, la cui causa
potrebbe risiedere nell’influenza della lingua madre del creatore della lingua. Non
si dimentichi che si tratta pur sempre di una lingua creata da un uomo, per cui
eccezioni a tendenze universali, potrebbero dipendere da una svista, o da un
deliberato disinteresse per questo tipo di implicazioni. Inoltre, non dimentichiamo
che anche le lingue naturali possiedono zone in cui si rivelano meno coerenti
rispetto al tipo cui appartengono. Si pensi, ad esempio, all’italiano dove,
esattamente come accade nel dothraki, l’appellativo precede il nome proprio
(Signor Rossi, Signora Bianchi), ma il possessore segue il nome dell’oggetto
posseduto (Il libro di Marco; La madre di Lucia).
96 Greenberg:1966, p. 89.
97 La seguente espressione è stata riportata in Peterson:2014, p. 108.
174
Per quanto riguarda l’altro campo d’indagine per la classificazione della lingua, si
vuole adesso provare ad inquadrare tipologicamente la lingua da un punto di vista
morfologico. Anche il dothraki, così come l’alto valyriano, è una lingua fusivo-
flessiva, per cui più significati grammaticali vengono espressi da una desinenza
sola, come si può notare dai seguenti esempi:
Nominativo
Desinenza
Relazioni Grammaticale
rizh ‘figlio’
rizhoon
Singolare+ ablativo
rizhi ‘figli’
rizhoa
Plurale+ ablativo
ashefa
ashefasaan
Singolare+ allativo
ashefasi
ashefasea
Plurale+ allativo
Infine, si sottolinea che, come anche l’alto valyriano, il dothraki marca la relazione
di dipendenza sul modificatore e non sulla testa. Per cui, comparandolo all’esempio
del Latino riportato da Grandi (2003, p. 46), il dothraki presenta la seguente
struttura:
Latino
Dothraki
filius Ascani-i
zhor vezh-oon
figlio Ascanio-GEN
cuore stallone-GEN
(Testa) (Modificatore)
(Testa) (Modificatore)
‘il figlio di Ascanio ’
‘il cuore di uno stallone’
Tirando le somme, sul piano della sintassi la lingua non presenta eccezioni. Mentre,
per quanto riguarda i risultati d’indagine morfologica, abbiamo riscontrato qualche
eccezione. Per cui, possiamo affermare che la lingua rispetta in linea di massima
quasi tutte le implicazioni postulate da Greenberg che sono state prese in esame in
questa trattazione.
4.4 Conclusioni
Trattandosi, la ricerca sulla tipologia linguistica, di un campo d’investigazione volto
a trovare dei punti di contatto reali tra lingue, essa si ‘limita’ a constatare i
comportamenti linguistici delle lingue storico-naturali, le quali altro non sono che
il risultato di un susseguirsi di evoluzioni, dovute a fattori storico-sociali, a
influenza con altri popoli. Per cui, adoperare un’analisi di questo genere su delle
175
lingue frutto di uno studio a tavolino – seppur rese anche piuttosto realistiche –
sembrerebbe insensato. Tra l’altro, come afferma Nicola Grandi «una ricerca
tipologica ha la sua ragion d’essere nella comparazione interlinguistica. Ne
consegue dunque che non ha senso realizzare un’indagine tipologica basata su una
sola lingua. Ciò non significa tuttavia che non sia possibile tracciare il ritratto
tipologico di una singola lingua. Ma un approccio di questo tipo diviene plausibile
solo se prevede il ricorso a termini di raffronto esterni alla lingua in questione. Se,
ad esempio, volessimo descrivere la configurazione tipologica dell’italiano rispetto
a determinati parametri, potremmo farlo solo dopo aver chiarito quali siano e come
funzionino […] le principali tendenze tipologiche relative ai parametri selezionati
per l’indagine.»98
Pertanto lo scopo di quest’analisi risiede nel verificare se l’andamento delle lingue
de Il Trono di Spade segua di pari passo quello di una lingua naturale. In altre parole,
lo scopo è quello verificare se il creatore di queste due lingue, Peterson, nella
costruzione delle sue lingue, abbia tenuto presenti le considerazioni tipologiche di
Greenberg.
Si è provato quindi ad analizzare l’alto valyriano e il dothraki, cercando di
verificarne l’adeguatezza tipologica con gli stessi criteri utilizzati per le lingue
naturali, e cercando, quindi, di valutare se Peterson avesse effettivamente riproposto
nei suoi sistemi linguistici le tendenze generali delle lingue naturali.
È chiaro che le motivazioni di eventuali divergenze dagli universali non possano
avere la stessa consistenza di quelle delle lingue naturali. Trattandosi queste di
lingue artificiali, mi sono dovuta limitare a delle considerazioni tipologiche,
trattando ‘illegittimamente’ le lingue de Il Trono di Spade come lingue naturali,
dimenticando volutamente che si tratta di lingue che non seguono un percorso
evoluzionistico reale, per quanto il loro autore, consciamente o no, si sia sforzato
di regalare loro delle parvenze di ‘naturalità’, obiettivo che, come emerge
dall’analisi, è stato raggiunto a pieno titolo.
98 Grandi continua, scrivendo «Il fatto che condurre un’analisi tipologica basandosi su una sola
lingua rappresenti di fatto un controsenso consente di evidenziare un ultimo aspetto di grande
rilevanza teorica: la tipologia linguistica non può e non vuole essere una teoria generale del
linguaggio, ma evidentemente può contribuire in modo decisivo – e di fatto contribuisce – alla
formulazione di una teoria linguistica generale.» (Cfr. Grandi:2003, p.59).
176
CONCLUSIONI
Inizialmente, l’obiettivo che mi ero posta era quello di rispondere ad una domanda
che ricorreva costantemente tra i miei pensieri ogni qualvolta che mi imbattevo in
una lingua artificiale, e cioè “Perché inventare una lingua?”
Pertanto, ho cominciato a fare ricerche al riguardo, cercando di indagare più
approfonditamente sulle ragioni che spingono l’uomo a creare dei sistemi
linguistici. Che scopo può avere la creazione di una lingua? Inutile dire che, non
appena ho cliccato sul tasto di ricerca, un nuovo mondo si è materializzato davanti
ai miei occhi. Profondamente affascinata da questa – a mio avviso – forma d’arte,
ho deciso di farmi bastare come risposta alla mia domanda iniziale un frettoloso
“Sicuramente per dare più enfasi e credibilità allo show” e ho deciso di tuffarmi nel
mare che questo tipo di ‘attività’ rappresenta. Un mare forse troppo inesplorato e
tutto da sondare. E allora le domande si sono triplicate. Come si crea una lingua?
Si costruisce con coerenza? Si prende un manuale di linguistica e si ripropongono
parti di lingue diverse, mescolate in una lingua nuova? Per fortuna sono riuscita a
rispondere a tutte le nuove domande, sorprendendomi sempre di più, lingua dopo
lingua. Mi sono ritrovata catapultata in un mondo di artisti, o forse dovrei chiamarli
più appropriatamente linguisti-artisti. Infatti, tutti i creatori di lingue artificiali,
siano esse destinate alla letteratura siano esse destinate alla cinematografia o alla
televisione, hanno varcato oltremodo le mie aspettative. La profonda conoscenza
linguistica necessaria per portare al termine un lavoro così mastodontico è quasi
disarmante. Per poter creare dei capolavori linguistici come i sistemi di cui si è
177
discusso in questa trattazione è necessaria, infatti, una padronanza linguistica
considerevole che non si limita alla mera consapevolezza del funzionamento delle
lingue. Si parla più che altro di una consapevolezza che non cessa mai di crescere,
trattandosi, le lingue, di sistemi dinamici. Per cui, la consapevolezza del processo
di creazione degli avverbi a partire da aggettivi, giusto per fare un esempio, non
può mai dirsi conclusa, poiché oggi una lingua si comporta in un modo, ma, in
futuro, la stessa lingua avrà plausibilmente cambiato il processo di derivazione.
In conclusione, la domanda a cui questa trattazione ha voluto rispondere più di ogni
altra domanda è, senza dubbio, quella in cui ci si chiede se una lingua si costruisca
con coerenza, se un glottoteta nel processo linguistico creativo tenga conto delle
tendenze universali che le lingue naturali seguono. Naturalmente, non possiamo
azzardare una risposta per quelle lingue che, in questa tesi, sono state trattate per
grandi linee, ma possiamo certamente affermare che, nel caso delle lingue su cui ci
siamo soffermati in particolar modo (l’alto valyriano e il dothraki), il quesito abbia
avuto esito positivo.
178
15/2/2019
Gmail – Thesis about High Valyrian and Dothraki
Alida Castronovo
Thesis about High Valyrian and Dothraki
18 messaggi
Alida Castronovo
A:
14 gennaio 2019 14:33
M’athchomaroon Mr Peterson! My name is Alida and I’m a student of foreign languages
in an Italian university and I’m writing my thesis about the languages you created for
game of thrones, that is high valyrian and dothraki. So, I have few question that no one
but you could answer! Could you help me? Thanks a lot in advance!!
David J. Peterson
A: Alida Castronovo
14 gennaio 2019 20:02
Feel free to email me questions. 🙂
-David
Sent from my iPhone
[Testo tra virgolette nascosto]
Alida Castronovo
A: “David J. Peterson”
14 gennaio 2019 21:54
Dear Mr. Peterson,
First of all, thanks for answering me! It is a great honour for me to have the
opportunity to talk with you! Well… I’m reading and re-reading your books over and
over again, and as far as Dothraki language is concerned, i have no problem,
because your book “Living Language Dothraki” is a perfect guide! So, even if i’m not
working on that language at the moment, i think i won’t have any problem with it,
because in the book there’s everything I need. The real problem for me is
understanding High Valyrian from a linguistic point of view. Since there isn’t any
official guide available… I get lost sometimes! I apologize in advance, because, since
I don’t know if this is the only chance I have to talk with you, i will ask you “a couple”
of question
I understood how you figured out a way to match Valar Morghulis/Dohaeris with
1)
‘All men must die/serve’ (withmodality expressed by the suffix -is and Valar resulting
from a collective form for nouns). So, correct me if i did not understand the proper
meaning: the MUST of ‘all men must die’ is a general condition, a sort of prerequisite,
which is simply conveyed by the suffix -is? So that: if you are a man –> then you must
die/serve, like= if you are alive–> it means you breathe. Is it correct?
2)
This question is the most important, because I didn’t really understand the rules
by which you created stems andtenses. Where did you get the suffix -tet? Is it part of
179
15/2/2019
Gmail – Thesis about High Valyrian and Dothraki
that proto-Valyrian you outlined? Is that draft a “secret document”?
Because i’m
sure it would be easier for me to understand if i had more information about it. (So, I
wonder if i could have a look to some document/draft in which the language is
)
described..
Finally, in you book ‘The art of language invention’ you wrote in the Case Study: High
Valyrian Verbs “In the first stage, there were two sets – regular and gnomic – which
looked like this (and then there is the scheme)” But what do you mean by “there
were”? Aren’t they part of the language anymore? Did they evolve? I’m very
confused about this topic in particular.
There are other thing I would like to ask (actually i would like to have a sort of
linguistic report of high valyrian, because it is veeery complex!!!
) but i don’t know
if you can follow me in this path! I suppose you are very busy, but, at the same time, i
hope that you can find the time to help this confused semi-linguist with her work,
which could change her life.
In any case, I must really thank you for answering me and for showing youself
surprisingly gentle and willing. Thanks Again.
One of your fans,
Alida Castronovo
[Testo tra virgolette nascosto]
David Peterson
A: Alida Castronovo
14 gennaio 2019 23:50
(1) Is mostly correct. The “must” is an interpretation based on the construction. That
is, it is a given that all men die,so if you use the gnomic, then the interpretation is
that all men *must* die, otherwise why would you say it?
(2) The formulation of the perfect is, indeed, a part of proto-Valyrian.
(3) In English, when you say “there were”, it doesn’t imply that they’re no longer
present. So, I said there were *just*the two; now there are more than just those
two.
Does that all make sense? Feel free to send more questions! I’ll get to them as I can.
-David
[Testo tra virgolette nascosto]
Alida Castronovo
A: “David J. Peterson”
15 gennaio 2019 17:16
Ok, but I still don’t get the process of creation of verbs. I added a picture with a scheme
in order to clarify the point in which I get stucked.
Moreover, I have to ask you something about a website. I found this website
http://wiki.dothraki.org/
Category:High_Valyrian where there is a deep analysis of High Valyrian language. Can
i consider it linguistically reliable?
Thank you again!
Alida
180
15/2/2019
Gmail – Thesis about High Valyrian and Dothraki
20190115_170224 .jpg
7478 K
David Peterson < [email protected] >
15 gennaio 2019 23:29
A: Alida Castronovo
If you’re asking a synchronic question, some of these suffixes have no meaning:
They’re just there. The wiki at dothraki.org is good. When it comes to learning a verb,
you have to learn the perfect stem to be able to conjugate the verb correctly. The
perfect stem is mostly but not completely predictable. Sometimes you just have to
memorize it.
Remember that just because something is an affix doesn’t mean it has to have a
specific meaning. That’s not how language works.
-David
[Testo tra virgolette nascosto]
Alida Castronovo
A: “David J. Peterson”
16 gennaio 2019 16:36
Ohh, maybe I got it. I’m going to send you a picture with a scheme. I’m a schematic
person as you can see ahahhaha Anyway in the scheme there are 3 questions about
the time those endings represent. Would you say the scheme is correct?
Moreover, I want to ask you the permission to add these e-mails on the appendix of my
thesis because I’m veeery proud of that.
Thank you, always Alida
[Testo tra virgolette nascosto]
181
15/2/2019
Gmail – Thesis about High Valyrian and Dothraki
20190116_162636 .jpg
8352 K
David Peterson < [email protected] >
17 gennaio 2019 10:49
A: Alida Castronovo
You’re missing the imperfect /-il/ forms (future and imperfect), and also that’s not
actually the way those forms looked back when those categories were relevant. There
were sound changes. Something like:
*dohaern
*dohaerā *dohaers
*dohaeri
*dohaerāt
*dohaersi
I’m still not sure what your aim is. Are you trying to model the development of verbs
historically, or show how they work now? If it’s the latter, you don’t need to worry
about the historical stuff. If it’s the former, I’m not sure you have enough information
to be able to demonstrate how everything developed for certain.
Yes, you can feel free to quote the emails. That’s fine.
-David
[Testo tra virgolette nascosto]
Alida Castronovo
A: “David J. Peterson”
17 gennaio 2019 11:08
First of all, thank you for the permission! Secondly, You’re right I didn’t present
properly my work!
what I’m trying to do is -in general- speaking about conlangs
for movies/tv series or literary works, specifically for Game of Thrones (so Dothraki
and high valyrian). So I need to write everything about the language in a schematic
way. So, there is no need to go so deep the language (going back to proto-valyrian) I
just need to understand how verbs work now (I mean, how many modes and tenses
are there?) because I’m confused about that and i thought that going back to
protovalyrian was the only way to understand it. What I’m trying to do is to create
something that looks like a sort of grammar book, something like “I could really learn
to speak high valyrian from that thesis”. I don’t know if I made my point
[Testo tra virgolette nascosto]
182
15/2/2019
Gmail – Thesis about High Valyrian and Dothraki
David J. Peterson
A: Alida Castronovo
17 gennaio 2019 11:26
Why not just copy out the tables here?
https://wiki.dothraki.org/High_Valyrian_Verb_Tables
Sent from my iPhone
[Testo tra virgolette nascosto]
Alida Castronovo
A: “David J. Peterson” [email protected]
17 gennaio 2019 11:45
Oh wow I missed out this page, thank you! I have no more doubts now. But I’ve got the
feeling I will come back for more questions.
again? Sorry for bothering you and Thank you a lot for your patience!
Alida
If I’m in need, can I write to you
David J. Peterson
A: Alida Castronovo
17 gennaio 2019 13:15
Any time!
Sent from my iPhone
Alida Castronovo
A: “David J. Peterson”
31 gennaio 2019 15:21
Dear Mr. Peterson,
I’m the girl who is writing a thesis about High Valyrian and Dothraki. As
you can see… I’m back!
new question arose. So, here are the points:
I finished the analysis of both languages and
1) In Dothraki, when we talk about making comparisons, how is the
second term of the comparisonexpressed? Does it always go in the
ablative case? For instance, I created two examples:
1. Anha ahajan rizhoon → I am stronger than the son.
2. Hrazef azhokwaaz janoon → The horse is bigger than the dog.
3. Mahrazh ahajan chorisisoa → Men are stronger than women.
Morover, as far as the third example is concerned: is it chorisisoa or
chorisoa? Should I add the suffix (s)oa to the stem or to the plural word?
2) Can I describe High Valyrian verbs in this way:
High Valyrian verb are seen from three different perspectives. In other
words, they are analysed with three different criteria:
183
15/2/2019
Gmail – Thesis about High Valyrian and Dothraki
1. Mood → Thas it to say: whether they are conjugated at Indicative, Subjunctive,
Imperative, Participle, Imperative mood;
2. Tense+aspect → That is to say: whether they unfold in a Present time, in a Past
time or in an timeless dimension, and the tense combines itself with the aspect
of the verb, so whether the verb has an imperfective or a perfective aspect;
3. Diathesis → That is to say: whether a verb has an active or a passive form.
Is it correct?
3) Since ‘natural languages’ follow some specific rules depending on their typology –
I mean, for example, SOVlanguages have the tendency to use postpositions
rather than prepositions, or to use adjective before the noun, or to put the
possessor before the possessed, while SVO languages prefer prepositions to
postpositions, possessor after the thing possessed, and so on… – when you
created Dothraki and High Valyrian, did you follow every Greenberg’s linguistic
universals (concerning syntax, morphology) or you just created them according to
your personal taste, without caring too much about matching all the universals? I
mean, were these universals the basis from which you started creating the
languages? I do not know if what i want to say is clear. What i want to say is:
When you created the languages – you had 56 words in Dothraki as a starting
point – did you tell yourself: Well, khal → khal-eesi, this is a language with
inflection. Then you thought: Greenberg’s universal number 29 says: “If a
language has inflection, it always has derivation.” and so you added the
derivation process to Dothraki language. Is this the process you followed?
I don’t know if I made myself
clearer, but I hope so.
Thank you in advance for you
patience and your kindness. Alida
David Peterson
A: Alida Castronovo
31 gennaio 2019 21:44
Hi Alida,
Here are some answers:
(1) Yes, the comparand is expressed with the ablative. The ablative plural of chiori is
chiorisoa.
(2) I’m not sure I’d call the imperative or participles a mood, but that’s more or less
correct. In English, we call whatyou’ve written as diathesis “voice”.
(3) Joseph Greenberg isn’t really regarded as accurate anymore. That said, this should
be a question you couldanswer by analyzing the language. In effect, the placement
of elements is done in precisely the same way it’s done in natural languages:
Elements evolve from older elements and are in the same place they were in the
older state. For example, High Valyrian has a postposition bē, which means “on top
of”. It is a postposition because it derives from an older noun. baes, which means
“top”. In the oldest form of the language, you’d say lento baes, “the house’s top”.
Lenton was put in the genitive because it was the possessor of baes. Later sound
changes happened, and it became lento bē. Its placement was determined by its
184
15/2/2019
Gmail – Thesis about High Valyrian and Dothraki
history. The same is true of all elements of Dothraki and High Valyrian (and also
natural languages).
Hope that helps!
-David
[Testo tra virgolette nascosto]
Alida Castronovo
A: David Peterson
2 febbraio 2019 18:02
Perfect! This is very helpful! Thank you so much!! As I said before, I will probably
write to you again.
[Testo tra virgolette nascosto]
Thank you again. Alida
Alida Castronovo
A: “David J. Peterson”
14 febbraio 2019 20:07
Dear Mr. Peterson,
I am glad to tell you that I concluded my thesis! Therefore, I wanted to thank you for
helping me, from the bottom of my heart! It was a pleasure for me to talk with one of
the most incredible conlanger ever! It would be amazing for me having the honour to
work with you one day. So, if you are searching for an apprentice, you know where to
find me!
Just daydreaming… but who knows? Never say never!
Thanks again for your kindness and for your
exemplary knowledge and dedication. Yours
sincerely, Alida Castronovo
[Testo tra virgolette nascosto]
David J. Peterson
A: Alida Castronovo< [email protected]>
14 febbraio 2019 21:36
Congratulations! When you’d can, I’d love a copy of your thesis to post on Fiat Lingua,
if you’d allow me to. Have a wonderful day!
-David
Sent from my iPhone
[Testo tra virgolette nascosto]
Alida Castronovo
A: “David J. Peterson”
14 febbraio 2019 21:47
Sure!!! It is such an honour for me! Once I finish with all the little details I promise I will
send it to you! Thank you again!!
[Testo tra virgolette nascosto]
185
BIBLIOGRAFIA
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CreateSpace Independent Publishing Platform, 2015
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FILMOGRAFIA
Cinema
Il Signore degli Anelli
La Compagnia dell’Anello, regia di Peter Jackson (2001)
Le Due Torri, regia di Peter Jackson (2002)
Il Ritorno del Re, regia di Peter Jackson (2003)
Avatar, regia di James Cameron (2009)
Star Trek
Star Trek – The Motion Picture (1979) di Robert Wise
Star Trek II – L’ira di Khan (1982) di Nicholas Meyer
Star Trek III – Alla ricerca di Spock (1984) di Leonard Nimoy
Rotta verso la Terra (1986) di Leonard Nimoy
Star Trek V – L’ultima frontiera (1989) di William Shatner
Rotta verso l’ignoto (1991) di Nicholas Meyer
Generazioni (1994) di David Carson
Primo contatto (1996) di Jonathan Frakes
Star Trek – L’insurrezione(1998) di Jonathan Frakes
Star Trek – La nemesi (2002) di Stuard Baird
Star Trek (2009) di J. J. Abrams
Into Darkness – Star Trek (2013) di J.J. Abrams
Star Trek Beyond (2016) di Justin Lin
189
Televisione
Star Trek
Star Trek: La serie classica (1966-1969) di Gene Roddenberry
Star Trek: La serie animata (1973-1974) di Gene Roddenberry (realizzata
dalla FILMATION)
Star Trek: The Next Generation (1987-1994) di Gene Roddenberry
Star Trek: Deep Space Nine (1993-1999) di Rick Bearman, Michael Piller
Star Trek: Voyager (1995-2001) di Rick Bearman, Michael Piller, Jeri Taylor
Star Trek: Enterprise (2001-2005) di Rick Bearman, Brannon Braga
Star Trek: Discovery (2017-in corso) di Bryan Fuller, Alex Kurtzman
The Big Bang Theory, (2007-in corso) ideato da Chuck Lorre e Bill Prady
Game of Thrones
Ideatori: David Benioff e D.B. Weiss
Produttore esecutivo: David Benioff e D.B. Weiss
Co-produttore esecutivo: George R.R. Martin
Emittente: HBO
Anno: 2011-2019
IMMAGINI
Figura in copertina
https://www.pinterest.at/pin/787426316076413073/
Capitolo II:
Figura 1
https://lotr.fandom.com/it/wiki/Musica_degli_Ainur?file=Musica_degli_Ainur_by_Denis_Gordee
v.jpg
Figura 2
http://www.fmboschetto.it/didattica/Tolkien/universo_numenoreano.gif
Figura 3
http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/signore-degli-anelli-stagione-sar-incentrata-sul-giovane-
1533497.html
190
Figura 4
https://www.imdb.com/title/tt0499549/mediaviewer/rm2861991168
Figura 5
https://www.imdb.com/title/tt0499549/mediaviewer/rm4271211776
Figura 6
https://it.ubergizmo.com/2015/04/15/i-corsi-per-imparare-il-klingon-2.html
Figura 7
https://www.kli.org/
Figura 8
https://www.repubblica.it/tecnologia/mobile/2018/03/16/news/star_trek_adesso_puoi_imparare_il
_klingon-191433847/
Figura 9
http://www.chucklorre.com/index.php?p=493
Figura 10
https://www.televisionando.it/gallery/the-big-bang-theory-il-cast-della-comedy-cbs/215349/21/
Capitolo III
Figura 1
https://i.pinimg.com/originals/17/57/f2/1757f2473da78e52ecb1ae7c243a85c1.jpg
Figura 2
https://calciatoribrutti.com/application/files/6114/8822/9627/tum10563.jpg
Figura 3
https://nst.sky.it/content/dam/static/contentimages/original/sezioni/skyatlantic/news/2017/07/27/ki
ng.jpg/jcr:content/renditions/cq5dam.web.738.462.jpeg
Figura 4
https://www.vanityfair.it/show/tv/2017/07/17/game-of-thrones-7-settima-stagione-sky-serie-
episodi
Figura 5
https://it.wikipedia.org/wiki/Aerys_II_Targaryen
Figura 6
https://www.scpr.org/programs/take-two/2014/10/28/40040/game-of-thrones-withdrawals-learn-
to-speak-dothrak/
Figura 7
https://www.euronics.it/tecnologiafacile/h-g-i/novita/Il-Trono-di-Spade-Sesta-Stagione/1852/
191
RINGRAZIAMENTI
Non sono solita ai sentimentalismi, ma stavolta devo ammettere che c’è voluta una squadra di
supporto alle mie spalle. Per cui, non posso che fermarmi a ringraziare tutte le persone che,
direttamente o no, hanno contribuito alla stesura di questo lavoro.
Vorrei ringraziare, in primo luogo, la mia relatrice Luisa Brucale, che ogni giorno di più si è
rivelata il tipo d’insegnante che vorrei diventare, con la sua ineccepibile professionalità e con la
sua incommensurabile disponibilità. Ma sopra ogni altra cosa, tenevo a ringraziarla per il suo non
avere mai trasmesso ansia e preoccupazioni per scadenze imminenti, senza porre mai limiti alle mie
scelte, seppur sempre sotto la sua vigile sorveglianza che, però, risultava sempre caratterizzata
dalla calma e dalla gentilezza che la contraddistinguono.
Vorrei ringraziare i miei genitori, che mi hanno sempre sostenuto in tutte le mie scelte, sia
psicologicamente che economicamente. Ma vorrei ringraziarli soprattutto per non avermi mai
caricato di ulteriori pressioni durante tutta la mia carriera universitaria (che di pressioni ne aveva
già tante di per sé), e per avermi incoraggiato a non cadere nello sconforto. Un ringraziamento
speciale va a mio fratello, Mattia, che, nonostante i chilometri di distanza che ci dividono, trova
sempre il modo di farsi sentire vicino a me. Grazie, perché mi dimostrate ogni giorno quanto siete
fieri di me: con questo lavoro spero di poter essere io, stavolta, a trasmettervi quanto sia fiera di
voi.
Vorrei ringraziare i miei migliori amici, Gaetano e Roberta, che non hanno mai smesso di credere
in me, prendendomi in giro ad ogni mio ‘Non ce la farò’. Siete la mia forza, la mia famiglia e per
questo, credo, non smetterò mai di ringraziarvi.
E vorrei, inoltre, ringraziare Giuseppe Sc. perché, nonostante il suo modo di fare, ho sempre saputo
che, in qualsiasi momento, lui era lì per me.
Non possono mancare i ringraziamenti alle mie due fedeli compagne di viaggio, le mie colleghe
Graziella e Francesca. Insieme abbiamo creato una squadra infallibile, una macchina ‘macina-
esami’, nonché un’amicizia sincera e pura. Grazie al reciproco supporto, abbiamo cominciato
insieme e abbiamo finito insieme.
Vorrei ringraziare tutti i miei amici dell’Auletta in cui ho trascorso ogni giorno degli ultimi due
anni, la quale è diventata, di fatto, la mia seconda casa. In particolare, ringrazierò Elena per aver
sopportato per due mesi interi i miei sproloqui in tedesco. Grazie per aver fatto finta di capire quello
che stavo dicendo. E grazie per i momenti che hai speso ad aiutarmi con la tesi, tabella dopo tabella,
schema dopo schema. Non posso inserirvi tutti perché siete davvero tanti, per cui ringrazierò, a
nome di tutti gli altri, solo quelli che mi hanno aiutato materialmente a scrivere questa tesi,
aiutandomi nei modi più disparati: con imminenti corse in auto verso biblioteche o all’inseguimento
del postino (Grazie Laura!), con acquisto di libri online all’ultimo secondo nonché onnipresente
consulenza per Word Office (Grazie Peppe!); grazie a Vito per essere stato il mio fornitore ufficiale
di qualsiasi cosa riguardasse Game of Thrones (la HBO dovrebbe pagarti!); grazie ad Emanuele
per aver impiegato ore a dettare parole per lui senza senso da inserire in tabelle infinite; grazie a
Roberta per averci ospitato per un numero inquantificabile di giorni e di notti, trascorsi a studiare,
piangere, ridere, studiare, piangere, e così via.
E infine, devo ringraziare l’unica persona che non ha mai vacillato, nemmeno quando è stato
davvero difficile starmi accanto. L’unica persona che è stata in grado di gestire la bomba ad
orologeria che ero diventata. La persona che ogni secondo in cui ne avevo bisogno, mollava tutto
e veniva a darmi un abbraccio. La persona che mi ha asciugato lacrime dalle guance e che ha riso
insieme a me quando ne avevo bisogno. La persona che mi ascoltato ripetere centinaia e centinaia
di pagine, senza mai stancarsi. La persona con la quale voglio condividere l’obiettivo ultimo di
questo mio traguardo. Giuseppe, questa tesi è per te e per il nostro futuro insieme.